IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

 

TERZO CAPITOLO


-Cosa sta dicendo?
La voce di un uomo che non conosce, giunge a Joyce da una distanza infinita, mentre lentamente la sua coscienza lotta per riprendere possesso delle sue facolta`.
-Non saprei. - Questa invece e` una voce di donna, anch'essa ignota. - Sembra una frase in una lingua straniera, ma non la riconosco. L'ha ripetuta nel delirio molte volte piangendo.
Il tono della voce femminile e` basso, come se la donna parlasse piano per non disturbarla, e carico di pena.
-Povera ragazza. Avra` poco piu` di vent'anni, e deve averne passate di tutti i colori.
-Aspetta a commuoverti. Ancora dobbiamo capire cosa e` successo.
La voce dell'uomo, invece, mantiene un tono piu` alto, piu` risoluto.
-Guarda. - l'interrompe la donna. - Si sta svegliando.
Joyce, infatti, sta aprendo gli occhi cercando di mettere a fuoco l'ambiente che la circonda.
Una stanza bianca, un letto, quello sul quale giace, una finestra con la tapparella abbassata a tenere fuori la luce esterna e strumenti per il controllo medico collegati a lei da una infinità di tubicini.
Accanto al letto vede le due persone, l'uomo e la donna, che ha sentito parlare fino ad allora.
L'uomo, sulla cinquantina, stempiato, non molto alto, si volta per dirigersi verso la porta.
-Vado a chiamare il medico. - dice, ed esce.
La donna le si siede accanto e le sorride. Non deve avere molti anni piu` di lei, forse una trentina. Piuttosto bella, occhi e capelli castani tenuti abbastanza corti incorniciano un viso dalla carnagione un po' olivastra. Indossa un lungo soprabito chiaro che le copre quasi tutta la figura, che comunque si indovina ben proporzionata. Gli occhi dallo sguardo profondo la fissano con compassione.
- Come si sente? Sa dirci il suo nome? - chiede.
Joyce tenta di rispondere, ma e` come se dalla sua bocca non riuscissero ad uscire suoni articolati.
- Non si sforzi. Sta arrivando il dottore. Vedra` che si riprendera` benissimo. - aggiunge la donna stringendole piano la mano.
Joyce, con sorpresa, si accorge di avere il viso bagnato di lacrime e l'altra con un fazzolettino di carta preso da un contenitore accanto al letto, glielo asciuga delicatamente.
-Ci raccontera` poi con calma cosa le e` successo. - conclude.
In quel momento, la porta della stanza si apre e rientra l'uomo seguito da un altro in camice bianco, il dottore evidentemente, in compagnia di un'infermiera.
Il medico la osserva attentamente con sicurezza professionale, fissandole le pupille con l'aiuto di una piccola torcia elettrica.
-Lei e` una ragazza molto fortunata. - afferma sorridendole.
-Sta bene, dottore? - chiede la donna bruna accanto a lei.
-Considerato quello che le deve essere capitato, se l'e` cavata con poco. Una lieve commozione cerebrale e una slogatura alla caviglia, dolorosa ma non grave. Dovrebbe guarire in pochi giorni.
-Possiamo parlarle?
-Se proprio dovete. Ma non piu` di pochi minuti e senza stancarla.
-Se ritiene che sia meglio lasciarla riposare, potrei tornare io domani. - dice la donna.
-Beh, sarebbe… - comincia a rispondere il medico, quando una voce ancora rauca emessa con sforzo li interrompe.
-Aspettate. - La ragazza sul letto, il volto pallido e tirato, li fissa con un'implorazione nello sguardo. - Vorrei che rimaneste. - dice.
Il dottore resta un attimo perplesso.
-D'accordo. Ma ricordatevi quello che vi ho detto. E lei, - aggiunge rivolto alla paziente, - non approfitti della sua fortuna. - Quindi esce seguito dall'infermiera.
L'uomo stempiato chiude la porta alle loro spalle e poi guarda la ragazza con aria inquisitiva.
-Ma lei e` americana? - chiede.
-Certo. - risponde lei. - Voi siete della polizia, vero?
-Tenente George Carruthers. - L'uomo le mostra velocemente un distintivo. - E questa e` la dottoressa Jennifer Rowles, psicologa consulente della Procura. - dice indicando la donna bruna. - Credo che lei ci debba alcune spiegazioni, signorina.
- Perche` mi avete chiesto se sono americana?
Jennifer Rowles le si rimette a sedere accanto.
-Perche` lei poco fa nel sonno, parlava in una lingua straniera. - dice.
-Cosa? Che lingua?
-Non lo sappiamo. Forse una lingua europea, ma non sono riuscita a capire quale fosse.
-Io conosco solo un po' di spagnolo, imparato a scuola, e non ne ricordo che poche parole. Non so nessun'altra lingua.
-D'accordo. - interrompe il Tenente, un po' infastidito da quella che ritiene evidentemente un'inutile perdita di tempo. - Lasciamo andare per ora. Lei come si chiama?
-Joyce Bowers. Ma il mio nome da ragazza e` Randall.
-E` di qui?
-No. Vengo da un paesino della Pennsylvania. Milford. Abito qui solo da un paio di anni.
-E` sposata?
-Non piu`. - risponde Joyce, quasi in un soffio. - Ho ucciso mio marito.
I due la fissano senza parlare.
-Non volevo farlo, - prosegue lei, lo sguardo nel vuoto, - ma non avrei sopportato che lui mi picchiasse ancora.
La psicologa guarda il poliziotto, poi riprende la mano della ragazza stringendogliela affettuosamente.
-Questo spiega diverse cose. - dice - C'erano delle macchie di sangue sul suo vestito, ma dalla visita medica non risultavano tagli o ferite che avessero sanguinato, non di recente almeno. Lei ha numerosi lividi su tutto il corpo, alcuni quasi guariti, il che lasciava pensare che se li fosse procurati a piu` riprese.
Ma Joyce continua a parlare come se neanche avesse sentito.
-Non so dove ho trovato il coraggio, ma stasera, finalmente ci sono riuscita. Ho reagito, non sono rimasta li` a farmi prendere a calci e pugni come una bambola di pezza.
-Stasera? - chiede perplesso Carruthers, ma Jennifer gli fa segno di non interromperla, e anche lei, in silenzio, ascolta lo sfogo di Joyce.
La giovane parla, ma non sembra rivolgersi a loro. Fissa un punto sulla parete di fronte, come se vi vedesse proiettate le immagini del suo racconto.
-Mark e` tornato, in ritardo come al solito, ubriaco come al solito, ma questa volta ero pronta. Quando ha cercato di colpirmi, ho afferrato un coltello e l'ho minacciato. Lui era sorpreso, si vedeva. Non si aspettava una reazione da me. Ma poi mi e` saltato addosso e il coltello gli si e` conficcato nel petto. Non so neanche come e` successo, ma lui era li`, disteso in terra, bianco come un cencio. Allora sono scappata via. Non sapevo dove andare. Devo aver camminato per molti isolati, finche` mi sono trovata…
E qui Joyce s'interrompe e per la prima volta da quando ha iniziato il suo racconto, smette di fissare il muro e si guarda intorno smarrita.
-Si? Che e` successo poi? - l'incoraggia Jennifer.
-Non mi ricordo. Non ricordo piu` nulla.
Il tremito nella voce, fino ad allora abbastanza controllato, aumenta e Joyce che ha raccontato della morte di suo marito quasi senza emozioni, comincia a versare lacrime copiose.
Carruthers la fissa sospettoso.
-Che vuol dire che non si ricorda? Fino a un attimo fa ricordava tutto.
-Stia calma. - le dice Jennifer, lanciando uno sguardo di rimprovero all'uomo. - Probabilmente e` una conseguenza della commozione cerebrale. Ha preso una brutta botta alla testa. Adesso noi la lasciamo. Vedra` che dopo una notte di riposo, ricordera` tutto.
Joyce sembra aver ripreso la sua espressione assente, ma quando vede Jennifer e il Tenente allontanarsi verso la porta, getta un grido.
-No! Non andatevene!
Jennifer, che sta gia abbassando la maniglia, si blocca.
-Che c'e`, Joyce? Non deve preoccuparsi. Questo e` un ospedale. Ci sara` un'infermiera qui fuori, pronta ad accorrere in caso di bisogno.
-Lascero` anche uno dei miei uomini. - aggiunge il Tenente.
-La spada. - sussurra Joyce.
Jennifer e Carruthers si guardano e tornano indietro.
-La spada? Che spada? - chiede il poliziotto.
-Lei aveva una spada.
-Signora Bowers, per favore, vuole dirci di cosa sta parlando?
-Non lo so. E` stato come un lampo. Ho ricordato una spada, e… - e la ragazza s'interrompe di nuovo.
-E…? - Jennifer la sta osservando come ipnotizzata. Joyce sembra quasi posseduta dal suo ricordo, gli occhi gonfi di lacrime e un sordo lamento che le viene dalla gola.
-…e una voce. - aggiunge d'improvviso.
-Che voce? Cosa diceva?
-Non lo so, non lo so, ma c'era tanta pena, tanto dolore… Vi prego, vi prego, - e questa volta il pianto sgorga profondo - aiutatemi. - sussurra tra i singhiozzi.
E Jennifer la prende tra le braccia, stringendola a se`. Anche lei, senza quasi rendersene conto, sente le lacrime bruciarle agli angoli degli occhi, mentre Carruthers le guarda, senza capire.


Quando il Tenente vede Jennifer uscire finalmente dalla stanza e dirigersi verso la sala d'aspetto, dove e` ad attenderla da quasi venti minuti, si alza e le va incontro.
- Allora? - chiede.
- Si e` addormentata, ma il dottore le ha dovuto dare un calmante. - La donna si lascia cadere su una poltroncina.
-Credevo che fosse meglio evitare di somministrare sedativi a chi ha avuto una commozione cerebrale. Dicono che non dovrebbero addormentarsi.
-La commozione e` ormai vecchia di un paio di giorni e comunque era peggio se continuava ad agitarsi cosi`.
Jennifer si passa una mano sul volto, come a cercare di cancellarne l'espressione persa nel vuoto, mentre l'uomo la guarda perplesso.
-Cosa significa questa storia, Rowles? - domanda secco.
-Non lo so. Che vuoi che ti dica, ne so quanto te.
-No, mi riferivo a te.
-Cosa intendi? - Jennifer gli restituisce lo sguardo perplessa. - Non capisco cosa vuoi dire.
-Mi sei sembrata strana.
-Strana?
-Per l'amor di Dio, Rowles! - sbotta il poliziotto sedendosi accanto a lei. - Noi due ci conosciamo. Abbiamo collaborato un mucchio di volte, e non ti ho mai vista cosi` coinvolta in un caso, di cui peraltro ti ricordo, non sappiamo assolutamente niente.
Jennifer distoglie lo sguardo e appoggia la testa contro la spalliera della poltroncina.
-Hai ragione. Anch'io non capisco, ma in quella ragazza… non so… c'e` qualcosa… - Poi si volta di nuovo verso di lui. - Cos'hai scoperto? - chiede.
Carruthers estrae dalla tasca un taccuino.
-L'indirizzo. Centoventiquattro, Ramsay Street. Ho mandato una macchina. L'appartamento e` all'ultimo piano. La porta era chiusa, ma non a chiave. Dentro era un po' tutto come l'ha descritto lei, tracce di colluttazione, sangue sul pavimento e il coltello. - Qui, Carruthers fa una pausa, mentre ripone il taccuino. - Tranne che per un dettaglio. - prosegue fissando Jennifer - Nessun cadavere.
La donna lo guarda interdetta.
-Sei sicuro?
-Beh, noi poliziotti, non saremo delle cime, ma quando troviamo un morto, sappiamo riconoscerlo. Ti dico che non c'era nessuno in quell'appartamento. I miei uomini me l'hanno confermato poco fa.
-E i vicini? Nessuno ha sentito niente?
-Niente di niente. Hanno quasi dovuto sfondare un paio di porte per farsi aprire. Quello e` un quartiere a rischio. A una certa ora la gente si barrica in casa col televisore al massimo per essere sicura di non sentire niente, neanche per sbaglio.
-Ma allora il marito e` vivo! - esclama Jennifer.
-A quanto pare.
-E potrebbe essere stato proprio lui ad aggredirla.
-Tutto potrebbe essere, anche se ho qualche dubbio che un uomo con una ferita sanguinante al petto, possa inseguire e aggredire una donna a tre isolati di distanza.
-Ma cosa puo` essere successo, allora? - Jennifer fissa il volto dell'interlocutore, ma come se non lo vedesse. - E quella mano?
-Chissa`? Forse ne sapremo di piu` dall'esame autoptico. Domattina dovrebbero essere pronti i risultati.
-D'accordo. - La psicologa si alza e comincia a camminare quasi soprappensiero lungo la sala deserta. - Ora, cerchiamo di fare il punto della situazione. Una pattuglia, richiamata da urla e rumori, trova in un vicolo il corpo di una donna priva di sensi, ma non abbandonata, piuttosto adagiata al suolo su del cartone e della stoffa, evidentemente raccolta dal vicino cassonetto, come a farle da improvvisato giaciglio. E qualche metro piu` in la`, una mano maschile recisa all'altezza del polso con un colpo netto, un coltello a serramanico e tracce di sangue in abbondanza, ma a parte la donna, non un'anima, ne' viva ne' morta. E` esatto?
-Al millesimo. - conferma Carruthers.
-La donna viene soccorsa e ricoverata. Resta priva di conoscenza per due giorni. Non ha con se` documenti, per cui quando nel delirio si mette a parlare in una lingua straniera, e` lecito supporre che non sia americana. Salvo che invece lo e`, e non solo, afferma di non conoscere lingue straniere.
-Beh, pero` e` in stato confusionale, - l'interrompe Carruthers, - e tutte le sue affermazioni finora non sono state proprio esattissime. Dopotutto, non c'e` stato nessun omicidio.
-Ma lei come faceva a saperlo? Ha lasciato suo marito steso in terra sanguinante, con un coltello nel petto. Era logico che lo ritenesse morto.
-E il fatto che sia convinta che tutto sia successo oggi? E la storia della spada? Ti paiono cose possibili?
Jennifer fissa il Tenente con decisione.
-Quella donna non sta recitando, se e` questo che intendi.
-Non ho detto questo.
-E poi che senso avrebbe? Si e` incolpata di un delitto che e` convinta di aver commesso, perche` avrebbe dovuto mentire su altre cose? Inoltre la storia della spada si accorderebbe con la mano mozzata, no?
Carruthers non risponde.
-Quella mano non e` stata certo recisa con un coltello. Non sono un medico legale, George, ma scommetto quello che vuoi che gli esami evidenzieranno un colpo netto, dato con una lama pesante, una scure, o una spada, appunto.
-Tutta questa storia non ha senso. - mormora il Tenente.
-Forse. - risponde Jennifer. - O forse ne ha, ma in un modo che ancora non riusciamo a capire.
-Mi sta venendo il mal di testa. - Carruthers si alza. - Io me ne torno in ufficio. Ho ancora un mucchio di lavoro da sbrigare. Tu resti qui, Rowles?
-No, non credo che servirebbe. Comunque ho lasciato il mio numero di cellulare al medico, in caso di necessita`. Non credo che quella povera ragazza abbia qualcuno che si interessi a lei.
-Hai deciso di adottarla?
-Molto spiritoso.
-OK, era una pessima battuta, e ti chiedo scusa, ma tua sorella, oggi avrebbe piu` o meno la sua eta`, no?
-Gia`. Ci vediamo, George.
E Carruthers se ne va, con un ultimo cenno di saluto, lasciando Jennifer nella sala deserta, persa nei suoi pensieri.


La nebbia e` densa come sempre in quella impenetrabile foresta. Lei gira intorno lo sguardo, confusa ma non intimorita, in quel luogo che ormai conosce. Ogni volta, anzi, le sembra di muovercisi meglio.
Adesso avverte l'aria pura e tersa che le riempie i polmoni. Un'aria di tale limpidezza come non ricorda di averne respirata mai.
Mai? No, non proprio, ma da lungo, lunghissimo tempo.
E poi, d'un tratto il sogno muta.
Ora ci sono fiamme intorno a lei, fiamme che la circondano, ma anche queste in qualche modo non le sente come una minaccia. Le paiono quasi come uno scudo protettivo.
Lei giace su qualcosa di rigido, duro. Una roccia?
Non puo` saperlo di sicuro, perche` ha gli occhi chiusi. Allora, come puo` vedere le fiamme?
Non le vede, ne avverte la presenza, il calore, come ora avverte la presenza, il calore di qualcuno vicino a lei. Qualcuno che si china su di lei, due labbra morbide che si posano sulle sue in un bacio leggero e tenerissimo.
Lei apre gli occhi, mentre la sua bocca si appresta a pronunciare un nome…

…ed ecco, tutto svanisce.
Con gli occhi spalancati nel buio, Joyce osserva la poca luce che gli strumenti medici mandano illuminando appena la piccola stanza d'ospedale in cui si trova. Lentamente porta le dita alle labbra, dove le pare di avvertire ancora la lieve pressione del bacio. Ma le sue dita incontrano anche le guance bagnate di pianto e di nuovo i singhiozzi le chiudono la gola.
"Cosa mi sta succedendo? Cosa sono questi sogni?"
I suoi pensieri confusi ruotano intorno a queste domande, e attorno al ricordo di un nome. Un nome che nel sogno le e` esploso chiaro, familiare e amato nella mente, ma che ora il brusco ritorno alla realtà` le ha strappato dalla coscienza rigettandolo nelle tenebre ancora una volta e lasciandole dentro un terribile senso di vuoto.