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Hazel

by Route66

(quinta parte)

I personaggi di Xena e Gabrielle sono di proprietà della MCA/Universal Pictures, pertanto non intendo infrangere nessun Copiright.
Questo racconto è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto della mia immaginazione o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
Potete scrivermi a questo indirizzo: us.route66@hotmail.it

Colin giocherellava con il suo portafortuna. Era un ciondolo a forma di sole. Mac non aveva mai saputo chi glielo avesse dato e perché. Sapeva solo che era una delle cose a cui teneva di più. Assieme al suo gatto Walt.
-“Accidenti, speriamo che Miss Anna si sbrighi: ho altre faccende urgenti”, disse l’uomo.
Mac non rispose. Era intenta ad esaminare incartamenti vari, a consultare libri, a perdersi in ragionamenti complessi che occupassero la sua mente.
-“Ehi…sto parlando con te”, incalzò l’uomo.
-“Mmm”
-“Ma che hai oggi?”
-“Niente”, rispose senza alzare gli occhi dai libri.
In quel momento entrò Miss Anna.
-“Scusatemi…”, fece capolino dalla porta trafelata.
I due si voltarono.
-“Ho analizzato il composto di inchiostro che avete acquistato all’emporio. La ricetta ha diversi componenti aggiuntivi…birra, aceto; resine per aumentarne la brillantezza; anilina e altri pigmenti colorati… Ma corrisponde con quella del vostro caso. E anche le pergamene”.
Mac restò pensierosa.
-“Dunque è Mika quello che cerchiamo”, disse Colin.
-“Non lo so…”, tamburellò le dita sul tavolo, “Lui potrebbe solo aver fornito inchiostro senza sapere a chi. Non è detto che sia coinvolto”
-“No no: qui c’è stato l’intento bello e buono di darci un indizio”, disse sicuro Colin, “L’amico di Gabriel ha voluto indirizzarci sulla pista giusta, fornendoci l’unica traccia che gli era rimasta”.
Mac non disse nulla, pur trovando che il ragionamento filava.
-“E l’agguato sul tetto poi? Secondo me lui c’entra eccome.”, aggiunse energico.
Miss Anna intervenne:
-“Quella specie di incisione sotto gli strati della pergamena….non è impossibile da ricreare. Certo ci vuole un po’…ma con gli strumenti adatti….un qualsiasi falsificatore di opere d’arte potrebbe ottenerla”
-“Ecco, sentito? Mika aveva una stanza per la restaurazione di tele e quadri”, esclamò Colin.
-“Ok, mettiamo caso che lui c’entri qualcosa in tutta questa storia: non abbiamo nulla di tangibile per incastrarlo”
-“Io penso che con un bell’interrogatorio l’uccellino canterà. Andiamo a prenderlo”, disse risoluto l’amico.
In quel momento arrivò Josh.
-“Prendi la roba ragazzo: torniamo dall’antiquario”, gli comunicò frettolosamente Colin.
-“O-ok”
-“Mac, tu resta qui: non ti sei ancora rimessa del tutto”.
La donna si sentì messa da parte, ma non ebbe la forza per ribattere.
Colin continuò a rivolgersi a Josh, dandogli direttive.
-“Bene, avvisa la squadra e comunica a Kate che i libri dovranno aspettare”, concluse spingendolo verso la porta.
-“In r-realtà n-non so dove s-sia K-kate. Oggi n-non è affatto v-venuta”.


Mac e Valery…Mac e Valery…Mac e Valery... Quel pensiero le martellava in testa. Era tutta la mattina che provava a fare qualche scatto in giro per la città. Aveva lasciato le ricerche a Josh ed era arrivata in centro col primo autobus disponibile, senza avvisare nessuno, senza spiegare a nessuno. Voleva restare sola. Ma ora che ne aveva la possibilità si rendeva conto che non le riusciva di fare nemmeno le cose che faceva abitualmente, nemmeno quello che amava di più: fare fotografie. Era come se….fosse scomparsa in lei qualsiasi spinta vitale.
L’unica cosa che non poteva smettere di fare era pensare a Mac e Valery insieme. Ci aveva provato in ogni modo, anche facendo le ore piccole lavorando per la missione. E per un po’ ci era riuscita, aveva ottenuto anche ottimi risultati, ma poi? Poi, quando la mente smette di essere occupata, ecco che ritorna il tormento di quello che odi di più…di quello che non vorresti mai accadesse.
La cosa che le faceva rabbia era che non era riuscita a dimenticare Mac dopo tanto tempo; che ora, a distanza di quasi due anni, era ancora qui, invischiata con lei. In lei.
Come avrebbe voluto adesso che ci fosse riuscita…perché almeno non le avrebbe spezzato il cuore vederla rifarsi una vita. Senza di lei.
Mise a fuoco le chiome degli alberi sopra di lei, sdraiata sulla panchina del parco. Poi l’immagine ritornò sfocata. Si accorse che stava piangendo.


Da qualche parte, nel bosco viennese

-“Signore”, l’uomo accennò un inchino.
-“Sei sempre il ben venuto caro amico. Quali nuove mi porti?”
-“Non so come, ma sono giunti da me”
-“Hmm”
-“Hanno chiesto inchiostro e pergamena, fingendo che fosse per conto di terzi. Avrei voluto indagare di più ma è successo…”, l’uomo si bloccò qualche secondo, “I suoi uomini…hanno attirato la loro attenzione… C’è stato quell’inconveniente sul tetto”, disse amareggiato.
-“Sta tranquillo amico mio. Non doveva succedere è vero, ma possiamo essere comunque soddisfatti”.
L’uomo lo fissò titubante. L’altro aggiunse:
-“Stanno venendo da me e a modo mio. Questo era quello che volevo”, disse compiaciuto.
L’uomo si inchinò e fece per andarsene. Ma l’altro lo fermò.
-“Ti hanno seguito?”
-“Naturalmente signore”
-“Hanno capito qualcosa?”
-“Sono riuscito a seminarli”
-“Smantella la tua bottega oggi stesso. Sparirai dalla circolazione per un po’.
Mika annuì, si inchinò ancora e andò via.


Base Omega

Gabriel uscì dalla doccia. Il bagno era avvolto in una nuvola di fumo. Si legò l’asciugamano in vita e spannò lo specchio. Poi fece lo stesso su un angolo della finestra. Si accorse che aveva smesso di nevicare.
Si infilò la camicia pulita e i pantaloni ben stirati. Mentre si abbottonava i polsini si fermò perplesso. Ritornò alla finestra. C’era un pupazzo di neve proprio lì davanti. Chi mai poteva averlo fatto? Era vestito da agente, proprio come i suoi ragazzi. A volte gli uomini della squadra erano davvero dei bambini.
Ritornò davanti allo specchio per rifarsi la barba e sorrise. Poi si ricordò che doveva chiamare Todd per il rapporto su Mac. Prese il cercapersone e gli inviò una segnalazione. Qualche secondo dopo ne sentì il trillo in lontananza. Quando capì che non era la sua immaginazione, aprì la finestra. Era il cercapersone del pupazzo di neve a squillare.
Infastidito, l’uomo uscì dalla sua stanza e percorse il vialetto esterno. Faceva freddo e le scarpe gli affondavano nella neve fresca.
-“Che sciocchi. Ecco perché non rispondeva. Ora lo starà cercando”, disse borbottando fra sé e sé.
Ma prima che tornasse indietro, sentì un mugugno soffocato. Si guardò attorno, ma nulla. Si voltò e fece per andarsene, quando lo sentì di nuovo. Guardò il pupazzo di neve per un istante. Poi di nuovo il mugugno.
-“Ma che razz’..”. Con foga prese a distruggere la creazione di neve.
-“Todd!!”, esclamò riportandolo alla luce.
Era legato e imbavagliato, con due cannucce nelle narici che spuntavano sul volto del pupazzo.
-“Ma chi ti ha ridotto così?!”, disse Gabriel stupito.
Todd prese prima una boccata d’aria profonda, poi si accasciò al suolo stanco.
-“Mi dispiace…incarichi qualcun altro per sorvegliare quella Mac!”.


Josh prese la chiamata proveniente dall’apparecchio satellitare, portandosi le cuffie alle orecchie.
-“C-colin…è la squadra Howl-06Y…d-dicono che ci s-sono movimenti…”.
L’uomo smise di riempire la sua ventiquattr’ore e lo sguardo gli si illuminò.
-“Bene”
-“D-devo pa-passare la c-comunicazione a Mac”
-“No”.
Josh lo guardò interrogativo. Colin si affrettò ad aggiungere:
-“Me ne occupo io… Mac ora è impegnata in altre faccende”. Afferrò le cuffie e sentì la voce dell’agente.
-“Perfetto… Non perdetelo di vista… Tenetemi aggiornato”, disse e chiuse la comunicazione.
Josh lo guardò ancora. Colin gli gettò uno sguardo fugace, poi afferrò la sua borsa.
-“Avviserò io Mac, sta tranquillo. Ora scappo”.
Diede una pacca sulla spalla del giovane e fece per uscire.
-“C-colin….v-vorrei sapere cosa s-succede…”, disse serio Josh. “Ne ho il d-diritto”.
L’uomo si fermò pensieroso. Si voltò, fissò gli occhi del ragazzo. Per molte cose quel giovanotto gli ricordava se stesso quando era più giovane. Alla fine si arrese.
-“Ascolta…di molti dei compiti di Mac me ne sto facendo carico io”, lo guardò dritto negli occhi, “La sto alleggerendo, per quanto mi è possibile”.
Josh parve finalmente capire.
-“T-tu…stai g-guidando l’operazione al suo p-posto?!”, domandò preoccupato.
Colin annuì, facendogli segno di abbassare la voce.
-“Esatto. Ma nessuno deve saperlo, tantomeno lei: ne morirebbe”
-“Sei s-sicuro che…è tutto s-sotto controllo?”
-“Si. Lo è.”, si alzò fissando altrove, “Mac in questo periodo ha altro per la testa”.


-“Mmm….vieni qui”
-“Sono già qui”, sorrise Valery.
-“Ancora di più”, Mac la strinse forte su di se, baciandola con passione.
Valery la lasciò fare. Le piaceva sentirla muoversi piena di desiderio. Perché era quello che provava anche lei. Non c’è nulla di più bello, pensò, quando due persone si desiderano con la stessa intensità, nello stesso momento.
Le mani di Mac scivolavano ovunque sul suo corpo, mentre lei le tratteneva il volto tra le sue, baciandola senza sosta.
-“Mi lasci senza fiato lo sai?”, disse Mac in estasi, “Ti voglio talmente tanto…”
-“Anche per me è così…”.
Valery affondò la lingua nella sua bocca piena di desiderio.
-“Facciamolo ora…”, le sussurrò Mac in un orecchio.
Valery sorrise, trattenendo le mani dell’amica.
-“Credimi…lo…vorrei anch’io…”, disse a stento tra mille brividi.
Mac la afferrò, togliendole la maglietta. Scese a baciarle il collo, mentre le sue mani tentavano di slacciarle il reggiseno.
-“Mmm…Mac…”.
Valery provò a trattenerla, malgrado stava cedendo all’estasi.
-“Si…”.
Valery sorrise ancora.
-“No…”, la baciò, “Vorrei…Ma devo vedere Adam e Stella tra poco”
-“Mmm…”, Mac continuò a baciarla, ignorando le sue parole.
-“Davvero...devo andare”, sorrise sotto il solletico della lingua dell’amica.
-“Ma….che dici…? Dai….”
-“Na na….”, si alzò sul letto, prese la maglietta e se la rimise.
-“Avanti, torna qui”, Mac la afferrò e Valery cadde di nuovo a cavalcioni su di lei.
La baciò teneramente.
-“Cos’è questa storia che preferisci loro a me?”
-“Mmm…non è così”, disse con occhi trasognati, mentre sentiva la morbidezza delle labbra sulle sue, “Ma ogni tanto dobbiamo anche trovare qualcos’altro da fare…”
-“Hai paura…di innamorarti di me?”, chiese Mac.
Valery si fermò, aprì gli occhi e la guardò intensamente. Poi accarezzò il volto dell’amica e la baciò di nuovo. Questa volta a Mac sembrò diverso…le parve come di percepire per la prima volta tutto ciò che sentiva Valery.
La ragazza scese dal letto e prese le sue cose. Mac rimase ad osservarla. Valery si voltò e la guardò dolcemente.
-“Ci vediamo più tardi ok?”, sorrise.
Mac annuì, seguendola con lo sguardo finchè non scomparve dalla porta. Lasciò cadere la testa all’indietro sul cuscino, sospirò e chiuse gli occhi per qualche secondo. Poi si ridestò.
-“Ok. Al lavoro”.
Afferrò i nuovi fascicoli del laboratorio e cominciò a leggerli. Poi prese il resoconto precedente e affiancò il tutto per un quadro generale. Per il momento avevano davvero poco: chiunque si stava muovendo in questa faccenda era piuttosto abile. Non lasciava traccia nelle incursioni e negli agguati, e finora non si era ancora messo allo scoperto. Il movente ormai era chiaro. Ma meno chiaro era perché ce l’avevano con Valery.
La figura dell’amico morto di Gabriel era interessante. Di lui sapeva poco, ma cose importanti. Probabilmente quello che poteva dedurne era questo: era riuscito ad infiltrarsi in questa cerchia di persone, forse ladri di reliquie o collezionisti d’alto livello. Aveva scoperto cose compromettenti su di loro, importanti per poterli far arrestare… Magari si era conquistato anche la loro fiducia e aveva vissuto con loro qualche tempo. Poi c’era stata la scoperta del sito da parte di Valery e della sua squadra. Ha captato le loro intenzioni e ha deciso di muoversi e incastrarli definitivamente. Loro però sono stati più scaltri: l’hanno scoperto, hanno intuito tutto e l’hanno fatto fuori, facendo sparire ogni traccia da lui raccolta che potesse ricondurre a loro. Per ucciderlo non si sono sporcati le mani: era un mangiatore d’arsenico e l’hanno eliminato con le sue stesse abitudini.
Fece uno sbadiglio e controllò l’orologio. Lasciò il fascicolo a metà, si alzò e andò in cucina. Afferrò una birra dal frigo e cominciò a sorseggiarla. C’era un tempo in cui durante lo studio di un caso non beveva nemmeno una coca cola. Si lasciò scappare uno sorriso amaro, ricordando quegli anni lontani.
Ritornò sul letto, si sistemò il cuscino dietro la schiena e accese la tv. Tutto quel silenzio cominciava a infastidirla. Fece zapping col telecomando, poi lo lasciò cadere sul letto.
Afferrò le foto allegate ai fascicoli. In quel momento le venne in mente un dettaglio. Si ricordò che il medico legale aveva trovato piccole tracce d’anilina sotto le unghie del cadavere. Forse prima di morire l’amico di Gabriel era stato nel laboratorio di Mika. Dopotutto avevano appurato che l’inchiostro che aveva usato proveniva da lì. Magari le sue indagini l’avevano condotto da Mika o magari ci lavorava proprio assieme, mentre era sotto copertura. E non era da escludere che potesse essere stato proprio l’antiquario ad avvelenarlo l’ultima volta che si erano visti. Non restava che aspettare il ritorno di Colin per saperne di più.
Osservò le altre foto del medico legale. Dove aveva già visto quell’immagine sbiadita del tatuaggio sulla spalla del cadavere? La capovolse. Sembrava un uccello. Ma certo. Era sui libri fotocopiati in biblioteca da Colin e Kate. Li scartabellò finchè non trovò quello che cercava. Una pagina con i simboli araldici dei cavalieri Teutonici. Certo il tatuaggio era più grossolano e stilizzato, ma somigliava in tutta la sua sagoma all’aquila simbolo dell’Ordine. Se era davvero così, cosa poteva significare? Che l’amico di Gabriel era un fanatico dell’Ordine e voleva proteggere i manufatti dalle mani sbagliate?
Mentre era presa da questi pensieri, il suo cercapersone vibrò. Era Gabriel. Colin era già rientrato.


Quando entrò nell’ufficio, trovò i due che ridevano scherzosamente tra loro.
-“Ah eccoti”, disse Colin salutandola.
-“Ho ricevuto la chiamata”
-“Si”, disse Gabriel ricomponendosi, “la squadra è rientrata da poco. Volevamo informarti”.
Mac si sentì come un’estranea tra due amici di vecchia data.
-“Avete fatto abbastanza in fretta”, sibilò la donna, “E’ andato tutto bene?”
Prima che ricevesse risposta bussarono alla porta ed entrò un uomo.
-“Signore…”
-“Si”
-“E’ arrivato questo per lei”
-“Si grazie”.
Il giovane avanzò con una busta tra le mani che porse al suo superiore. Poi uscì.
Mentre apriva il plico, Gabriel chiese:
-“Sapete cosa possa esserci di interessante nei boschi fuori Vienna?”
Mac restò accigliata. Gabriel richiuse la busta. Dalla sua espressione si trattava di qualche altra seccatura. Poi continuò.
-“Colin e la squadra hanno seguito il vostro sospettato fino fuori Vienna. Il signor Mika avrà avuto le sue ragioni”
-“Forse era lì per una scampagnata”, disse ironica Mac. “Cosa hanno visto?”
-“Nulla di nulla. Lo hanno perso.”
-“Credo sia il caso di stringere la corda attorno a lui. Farò fare qualche ricerca nell’area”, disse poi Colin, con tono intraprendente.
Mac colse questa sua improvvisa ansia da primo della classe.
-“Abbiamo ispezionato il negozio quando Mika è uscito. Non c’era nessun indizio rilevante, ma ho trovato questo”, disse poi mostrando qualcosa all’amica.
Sembrava un biglietto da visita, ma non c’erano scritte, solo l’immagine di un’aragosta e un numeretto.
-“Ho pensato che potesse essere una traccia. Magari tu ci capisci qualcosa più di me”, aggiunse.
Mac annuì.
-“Bene…allora ci aggiorniamo più tardi”, disse la donna con fretta.
-“Che farai tu?”, le chiese Colin curioso.
-“Mi muoverò. Se vuoi capire come funziona il gioco, bisogna conoscere anche i giocatori”, disse risoluta.
-“Scusatemi: qualcuno sa che fine ha fatto mia figlia?”, disse poi Gabriel seccato.
-“L’ho incrociata poco fa nel corridoio”, rispose Colin.
-“Ah…almeno so che è viva. Non capisco che cosa le sia preso in questi giorni”.
Mac non rispose, malgrado forse aveva la risposta che l’uomo cercava. Colin scrollò le spalle.
-“Ora scusatemi. Ho altre faccende urgenti. Comunicatemi se ci sono novità”.
Gabriel congedò i due, poi uscì lui stesso, richiudendosi la porta alle spalle. Nel corridoio incontrò Kate. Aveva una faccia cupa. L’uomo non le chiese nulla, disse solo poche parole.
-“Domattina c’è una riunione operativa, dopodichè dovrai affiancare Valery in alcune ricerche”.
Kate sembrava imbambolata, come se fosse su un altro pianeta.
-“Io….io veramente preferirei restare qui…”.
Il padre la scrutò e parve afferrare qualcosa.
-“Mi dispiace Kate. Sei voluta entrare nella squadra e come membro effettivo di essa farai ciò che ti viene chiesto. Nessun privilegio o favoritismo. Almeno così ti renderai conto di cosa vuol dire lavorare in questo campo… Prima regola: niente spazio al cuore.”, disse duro e andò via.


Qualche ora dopo

-“Dove stiamo andando?”
-“In un posto dove sono certa usciremo con qualche informazione.”
-“Sei pratica di Vienna dunque?”
-“Diciamo che so che il lupo perde il pelo ma non il vizio…Conosco le abitudini di alcune vecchie conoscenze…”.
Mac e Valery camminavano svelte per le viuzze lastricate di antichi pietroni, bagnate dalla pioggia caduta fino a poco fa.
Avevano abbandonato la Vienna conosciuta, quella ricca di caffè e negozi, di piazze e attrazioni turistiche, per entrare in quella meno nota e più malfamata.
-“Siamo quasi arrivate”, disse Mac. Indicò in fondo alla via. “Il Black Lobster…”
-“Hmmm…sembra carino a prima vista”, ironizzò Valery.
-“Un luogo poco raccomandabile per le signore”, sorrise Mac, “Ma tu sai cavartela, no?”
-“Direi di si….A meno che non debba sfidare qualcuno a carte”, sorrise.
Si avviarono.
-“Già il nome è un programma”
-“Infatti stavo appunto chiedendomi l’origine di quella curiosa insegna”, aggiunse Valery.
-“Non ne ho idea. Non credo si riferisca alla specialità della casa…”, Mac spalancò la porta e rimasero qualche istante sull’uscio, fissando la massa di brutti tipi che affollavano il bar, “Penso sia più un pacato riferimento al fatto che è un vero e proprio porto di mare”.


Black Lobster

Mac e Valery raggiunsero il bancone del bar. Un uomo col cravattino stava asciugando dei bicchieri. Accanto a loro una fila di sgabelli era occupata da tipi tutt’altro che raccomandabili, che si voltarono a fissarle non appena si sedettero.
Nella sala, rischiarata solo da qualche abat-jour negli angoli, si respirava un odore acre. L’aria era satura di fumo e alcool.
Mac si guardò intorno con circospezione.
-“Aspettami qui al bancone. Mi pare di aver intravisto un paio di conoscenze…”
-“Ok”
-“Occhi aperti…”.
Valery le fece un cenno col capo e la guardò dirigersi verso una saletta appartata.
-“Un gin”, disse poi, rivolgendosi al barista.
Mac scivolò tra alcuni divanetti. Vide la porta del privè che stava per chiudersi velocemente. Accelerò il passo e spinse con le mani sull’uscio, piazzando un piede tra la porta e lo stipite prima che questa si chiudesse. Qualcuno dietro la teneva bloccata. Poi un volto fece capolino.
Il viso di un ometto dai tratti asiatici abbozzò un sorriso in evidente difficoltà.
-“Oh Mac! Che piacere rivederti!”
-“Piacere reciproco Xiaolu…”, disse continuando a fare forza sulla porta.
L’uomo ebbe un piccolo sussulto. Mac era l’unica che riusciva a distinguerlo da suo fratello.
-“Perché non mi lasci entrare così facciamo quattro chiacchiere?”, continuò Mac.
L’ometto stava sudando freddo.
-“Eh ehe…”, ridacchiò isterico, poi si arrese e lasciò la porta. Le fece segno di entrare, abbozzando un piccolo inchino.
-“Grazie”, disse la donna riassettandosi.
Xiaolu richiuse la porta alle sue spalle.


Al bancone, Valery stava sorseggiando il suo gin. Ogni tanto lanciava qualche occhiata intorno a sé. Non c’era che dire: era davvero un posto malfamato, di quelli da film. Non era mai tranquilla quando si trovava in luoghi del genere. Non che ne avesse frequentati molti, ma ne aveva visti abbastanza per l’età che aveva. Sperava solo che Mac si sbrigasse e uscissero di lì senza fare danni. Cercò di assumere l’aria più dura che aveva.
Un uomo le si avvicinò. Posò dei soldi sul bancone e si rivolse al barista.
-“Un altro uguale per me e la signorina”. Si voltò e le sorrise.
Valery lo guardò: a differenza della maggior parte degli uomini presenti nel locale, era ben vestito, aveva un buon profumo e i capelli in ordine.
La ragazza aggrottò le sopracciglia e tornò al suo gin.
L’uomo continuava a guardarla sorridendo. Non era malaccio.
-“Hai una paralisi?”, disse Valery, sulla difensiva.
Il tizio rise.
-“No…”.
Il barista riempì i bicchieri.
-“Grazie del gin”, disse la ragazza e fece un sorso.
-“Voglio venire a letto con te. Ti voglio adesso”, disse risoluto l’uomo continuando a fissarla.
Valery tossicchiò mentre beveva. Si girò, guardandolo.
-“Hmm…diretto e chiaro… Una dote rara negli uomini…”, roteò sullo sgabello, mettendosi di fronte all’uomo. “Vediamo se io riesco ad esserlo altrettanto: mi piacciono le donne”, il giovane sorrise, “E la mia compagna che è nei paraggi non gradirebbe questo tuo modo di importunarmi”.
L’uomo fece un sorso del suo gin.
-“Non mi dispiacerebbe fare una cosa a tre…vedere due donne insieme mi eccita…”, insistette.
-“Beh…dovrai affittare una cassetta allora…”
-“Le tipe dure come te mi piacciono”, sorrise, “A letto rendono tutto più divertente…”, allungò una mano giocherellando con una ciocca di capelli di Valery.
La ragazza si voltò di scatto, afferrandogli il polso con forza.
-“Forse non sono stata chiara…”.
Si fissarono con durezza per qualche secondo.
-“Hai una vaga idea di chi sono io?”, disse il giovane, sprizzando rabbia dagli occhi.
-“Oh si…ho un’idea. E tutt’altro che vaga. Sei un idiota che ha appena preso una cantonata”, disse Valery risoluta. Poi si alzò.


Mac lanciò uno sguardo nella saletta. Sul divanetto in penombra si levò una nuvola di fumo.
-“Mac…qual buon vento?”
-“Luis”, la donna si guardò attorno.
-“Avanti, siediti… Siamo tra amici: non ti fidi?”
-“E’ proprio degli amici che ho imparato a diffidare”, disse sedendosi.
L’uomo rise, poi il suo volto uscì dalla penombra. Lui e il fratello Xiaolu erano gemelli.
-“Posso offrirti qualcosa?”
-“No, ti ringrazio”
-“Come mai qui? Sentivi nostalgia dell’aria di casa?”
-“La porta di casa non dovrebbe essere sempre aperta?”, Mac lanciò un’occhiata a Xiaolu.
-“Oh avanti…si parlava d’affari…”, rispose Luis.
-“Naturalmente…”, Mac fissò il drappeggio rosso che copriva parte della saletta e faceva accedere a un altro stanzino, “Sophie, ora puoi anche uscire”.
Luis e Xiaolu si guardarono in silenzio. Per qualche secondo non volò una mosca.
-“Ti ho vista prima, forza”, aggiunse Mac.
Un istante dopo, una donna dall’aspetto sofisticato venne fuori da dietro il tendaggio. Le lunghe dita affusolate reggevano una sigaretta francese tra le più pregiate.
-“Tesoro…felice di rivederti”, disse con la sua voce pomposa.
Mac le fece un cenno, poi si rivolse ancora a Luis.
-“Una bella riunione in vecchio stile, vedo…”, incrociò le braccia.
Luis divagò:
-“Chi è quella splendida creatura che ti ha accompagnato?”
-“La mia aiutante”
-“Hmm…è diversa dagli aiutanti di cui ti circondavi prima. Ottima scelta”
-“Parliamo di cose più interessanti…Visto che siamo in clima d’affari…”.
I tre si guardarono. Mac colse i loro sguardi.
-“Deve tirare aria cattiva, se una donna come Sophie si mette in affari con voi…”, lanciò il sasso.
-“O magari…è solo un momento in cui bisogna unire le forze…”, rispose la donna, soffiandole un boccata di fumo in faccia.
Luis tagliò corto:
-“Perché sei qui, Mac?”.
Mac sorrise.
-“Ho sentito parlare di quello che succede da queste parti…”
-“Già…è un periodo un po’ movimentato…”, sorrise Luis. Sophie gli andò a sedersi vicino e ridacchiò mentre gli carezzava la pelata. “Sei interessata anche tu al gioco?”
-“Dipende dalle regole…”, Mac lo fissò.
Luis raccolse lo sguardo. Cacciò Sophie e divenne serio.
-“Sei venuta anche tu per unirti alla caccia dunque?”
-“Diciamo che ero qui di passaggio…Ma come si dice: se vedi passare un treno, lo afferri…”.
Luis abbozzò un sorriso. Picchiettò il sigaro nel posacenere per spegnerlo. Incrociò le dita e rimase in silenzio.
-“Allora è vero quello che si dice…”, continuò Mac, fingendo, “E’ stato ritrovato il medaglione di Von Salza?”.
Sophie si mosse con eleganza verso di lei.
-“La notizia ci è arrivata da poco, anche se alcuni ambienti ne erano al corrente molto prima…”, fece una smorfia.
Mac sorrise:
-“I soliti circoli elitari della concorrenza. Vedo che ho lasciato tutto come allora…”
-“Sono personaggi inaffidabili e scaltri”, disse Sophie disgustata.
-“Come se voi foste timorati di Dio”, rilanciò Mac.
La donna le lanciò un’occhiata tagliente. Poi riprese:
-“In questo momento sono tutti molto indaffarati a scavalcare l’avversario. E’ divertente vederli accapigliarsi e architettare astuzie…”
-“E voi?”
-“Noi cerchiamo di guadagnarci il possibile senza danneggiarci…”, disse Luis.
Mac lo guardò accigliata.
L’uomo spiegò:
-“Ci sono giocatori più forti e potenti… Restiamo a bordo campo a guardare per ora, aspettando l’occasione per prendere tutto…”
-“Saggio comportamento…”, disse Mac.
Sophie la guardò cogliendo i suoi pensieri e disse:
-“Sappiamo bene dove porta il medaglione. Alla spada di Von Salza. Solo uno sciocco si accontenterebbe delle briciole…”.
Mac la studiò.
-“Immagino che un’altra entrata possa creare dei problemi…”
-“Oh, nient’affatto. Specie se ad entrare è qualcuno come te che rende il gioco più divertente.”, disse Luis.
Mac restò pensierosa per qualche istante. Poi riprese:
-“Che sai dirmi del signor Mika?”, domandò mostrando il tesserino trovato da Colin.
Luis sbarrò gli occhi.
-“Cosa gli è successo?”, chiese tradendo un pizzico di preoccupazione.
-“Nulla. Lo ha solo dimenticato. È invischiato anche lui?”
-“E’ un amico…”, disse trattenendosi l’uomo.
-“Ma certo, altrimenti non avrebbe questo. Dimmi, dove posso trovarlo? Ho bisogno di scambiare con lui qualche parola…”
-“Lui ha un negozio di antiquariato…”
-“So bene del negozio, ma stranamente ha chiuso all’improvviso. Forse aveva fretta di togliersi dal giro…”.
L’uomo stava cominciando a sudare.
-“Avanti Luis…”
-“Non so dove sia, non lo sento da qualche giorno”
-“E’ la verità?”
-“Si. A dire il vero lui…è un tipo un po’ strano…”, disse abbassando la voce, “Lo abbiamo ammesso nel giro perché ci ha fatto capire di avere dei buoni agganci…ma ci ha sempre tenuto all’oscuro dei suoi movimenti…”
-“Tipo furbo. Penso che vi stia facendo le scarpe amici miei. Lavora per qualcun altro”
-“Forse per quel Renee che nominava spesso”, esordì Sophie facendo una boccata di fumo.
-“Chi sarebbe?”, chiese Mac interessata.
Luis fece una smorfia come per sminuire le parole della sua donna.
-“Allora?”, insistette Mac.
-“Renee Ablack…E’ un maniaco dei Teutonici… Lo nominava spesso, diceva che avrebbe dovuto incontrarlo in questi giorni, che doveva passargli delle notizie importanti”, fece una pausa, poi si rivolse a Sophie, “Naa…non credo che lavori per lui…”.
Mac si alzò.
-“Per quanto tu sia un bastardo, riesci sempre a farti incastrare dagli altri”, disse rivolgendosi a Luis, “Dove lo trovo?”.
L’uomo sbuffò irritato.
-“Una Keller sotterranea”, le passò un bigliettino.
Mac lo afferrò: c’era un indirizzo scritto.
-“Bene…grazie per la chiacchierata interessante”
-“Di niente.”, si riaccese un sigaro, “Forse…dovresti pensare di aggregarti a noi…l’unione fa la forza”, disse Luis.
-“Hmmm…preferisco muovermi da sola”
-“Certo. Beh, speravo di trattarti da socia, invece sarai l’ennesima rivale. Che vinca il migliore”.
Mac le fece un cenno con la mano e si avviò alla porta. Sophie l’accompagnò. Prima di uscire le disse:
-“Mac…ti consiglio di stare in guardia più del solito…Il gioco è divertente, ma le regole sono le stesse: chi trova la spada se la prende…”, disse ammiccando.
Mac le si avvicinò sussurrando:
-“Sai…non è proprio così: chi trova la spada, deve anche riuscire a mantenerla…”, ammiccò.
Poi si sentì un rumore di bicchieri rotti e tavoli ribaltati provenire dalla sala.
Mac si girò, attirata dal frastuono.
-“E’ ora che vada…”, salutò la donna e si lanciò nella mischia.
Da dietro la calca riuscì a osservare il centro della scena: in mezzo alla sala c’era Valery che stava facendo a botte con alcuni uomini.
Si fece largo tra tipi ubriachi che si erano alzati dai tavoli per godersi meglio lo spettacolo. Le urla e le risate riempivano l’aria.
Raggiunse l’amica schivando una sedia che stava per colpirla in testa. Strattonò un uomo ubriaco fradicio facendolo rotolare per terra. Valery rise vedendola arrivare.
-“Non ci trovo niente di divertente”, disse Mac, affiancandola, “Non ti avevo lasciata tranquilla al bancone?!”, chiese. Tirò un calcio allontanando un altro uomo.
-“Ti ho mai detto che odio i tipi arroganti e presuntuosi?!”, disse Valery colpendo un ciccione con una gamba di una sedia.
-“E ti ha mai detto qualcuno che usare le parole invece delle mani è più costruttivo?”
-“Credimi: qui è difficile farsi capire con i francesismi!”.
Mac alzò le sopracciglia, poi saltò sul tavolo. Ora altri uomini stavano gettandosi nella mischia per fare a botte. Gli unici che mantenevano gli occhi sull’obiettivo erano pochi; la maggior parte, ubriaca e frastornata, cercava solo un pretesto per fare danni.
Mac cominciò ad allontanarne quanti più poteva con calci e bastonate. Valery vide la massa stringersi sempre più su di lei. Mac le porse una mano, invitandola a salire.
-“Madame”
-“Grazie”, sorrise.
Valery diede un’occhiata verso la porta.
-“Forse potremmo arrivarci saltellando sui tavoli…”.
Mac la guardò perplessa, prima di tirare una bottiglia di cognac in testa ad un tizio.
-“Ok, se hai un’idea migliore dilla!”, incalzò Valery e tirò un pugno al muso di un ometto pelato. “Accidenti, era un nano quello?”
-“Ascolta, dobbiamo muoverci! Se tu pre…”.
Qualcuno ribaltò il tavolo ed entrambe caddero nella calca. Valery la guardò.
-“Dicevi?!”.
Mac sbuffò. Un paio di grassoni le bloccarono subito. Valery iniziò a tenerne a bada uno sferrando pugni e schivandone altri. Mac invece fu presa alle spalle.
-“Cavolo…sembri incinta!”, disse sentendo la pancia prominente premere dietro la sua schiena. L’uomo la stringeva, senza lasciarle spazio per i movimenti. “Uff…ti voglio bene anch’io tesoro, ma così mi fai male…!”, con gesto rapido, sferrò una potente gomitata nello stomaco del grassone.
Questi barcollò all’indietro, lasciandola finalmente libera. Raggiunse Valery che dopo aver sistemato il suo grassone aveva preso a battersi con un tizio barbuto.
-“Sono stanca, usciamo di qui”, le disse Mac.
Valery fece un cenno con la testa. Con agilità sfilò il coltello che l’uomo aveva alla cinta. Lo lanciò sopra di sé, dove c’era un grande lampadario in disuso. La corda invecchiata si srotolò. La giovane sganciò il peso che faceva da contrappunto. Si agganciò alla corda proprio quando questa iniziava a salire. Parallelamente il lampadario prese a scendere con velocità. Gli uomini guardarono in alto ed ebbero un momento di panico. Si scansarono prima che la grande conca di vetro colpisse qualcuno. Mac liberò la catena dal lampadario e cominciò a farla roteare per aria. Valery si lasciò cadere al suo fianco. Ora si era creato un vuoto attorno a loro. Nessuno osava avvicinarsi.
-“Bene… Signori: è stato un vero piacere intrattenersi con voi, ma ora dobbiamo davvero andare…”, Mac parlava, muovendosi verso la porta. I visi, pieni di espressioni diverse, le fissarono finchè non ebbero raggiunto l’uscita. La donna lasciò cadere la catena e scomparvero nel buio.


Mac si guardò il labbro ferito e un po’ gonfio che le doleva. Non ricordava di aver ricevuto un pugno. Spense la luce fioca che illuminava lo specchio nel bagno e tornò in camera. Valery si stava asciugando i capelli.
-“Domattina faremo una visitina a questo Renee Ablack”, disse guardando fuori dalla finestra del cottage, pensierosa.
-“Cosa pensi?”, le chiese l’amica.
-“Non lo so. È stata una chiacchierata interessante dopotutto”
-“Vuoi sapere che idea mi sono fatta io? Credo che ci siano tanti pesci intorno a questo boccone e la situazione è più complessa di quello che sembra”
-“Già”. Mac si gettò sul letto sfinita. Spostò il cuscino dietro le spalle e vi si appoggiò. Gettò il capo all’indietro. Era davvero stanca.
Valery la vide e sorrise. Con passo felpato la raggiunse. Dolcemente le salì a cavalcioni. Si sistemò su di lei e le prese il volto tra le mani. Iniziò a baciarla con tenerezza. Sarebbe morta su quelle labbra morbide e calde.
Mac non oppose resistenza. Portò le mani alle spalle della ragazza per tenerla stretta a sé.
-“Ah…”. Mac sentì dolore sulla ferita al labbro.
Valery sorrise mentre continuava a baciarla.
-“Scusa…”
-“Mmm…”, si staccò da quel bacio tanto ipnotico controvoglia, “Ancora non mi hai detto perché abbiamo messo a soqquadro quel posto…”.
Valery scese lungo il collo della donna e prese a baciarla nel punto che le piaceva di più.
-“Davvero vuoi saperlo?”, riuscì a dire, nonostante la bocca occupata.
Mac era in estasi ma provò a restare lucida.
-“Si…gradirei sapere il motivo per cui entro in una rissa di solito”
-“Hmm…”, la ragazza si staccò.
Mac sorrise e la guardò.
-“Dunque, cara la mia Mac…”, intrecciò le dita alle sue, “Stasera ti sei battuta per una causa più che valida…”, sorrise, sistemandosi su di lei.
-“Ma davvero? E sarebbe?”
-“Un tipo alquanto prepotente e pieno di sé ha tentato di abbordarmi. E nel momento in cui l’ho respinto mi ha lanciato addosso i suoi scagnozzi!”
-“Hmm…e?”
-“E cosa?!”
-“Voglio sapere i dettagli. Magari l’hai istigato in qualche modo…Non tutti gli uomini respinti reagiscono così!”
-“Ah! Quindi non ti fidi di me?!”, Valery iniziò a farle il solletico. Mac tentò di bloccarle le mani mentre tratteneva le risate.
-“Se proprio lo vuoi sapere, mi sono limitata a dire che ero lì con la mia donna: TE!”, continuò a farle il solletico, “E non ti ho detto neanche quali sono stati i suoi termini senza mezze misure con cui ci ha provato!”
-“Ok ok…va bene, mi fido!”, disse tornando alla normalità, “Avresti dovuto chiamarmi, povera la mia piccola ragazza indifesa!”, ironizzò sfiorandole una guancia.
Valery ritornò giù per baciarla. Socchiuse gli occhi. Ogni volta sembrava nuova: quella danza tra le loro labbra aveva qualcosa di magico.
-“Cos’è che ti ha detto quel tipo?”, sussurrò poco dopo Mac.
Valery sorrise. Sentirla ingelosirsi le riempiva il cuore. Strusciò il volto su quello della donna fino ad arrivarle vicino l’orecchio.
-“Voleva venire a letto con me…”, disse con un soffio di voce. Spinse la sua mano sopra la parte più intima dell’amica.
Mac ebbe un sussulto. Poi la circondò con le sue braccia capovolgendo la situazione. La portò giù e le fu sopra.
-“Che sciocco…”, disse mentre la baciava, “Tu sei solo mia…”.
A quelle parole Valery sorrise. Le portò le braccia al collo e l’accolse in sé.


Una goccia bagnò la pagina del libro. Kate si asciugò gli occhi per l’ennesima volta. Proprio non riusciva a concentrarsi. Nella testa aveva solo lei. Lei, e il dolore che le provocava amarla.
Colin entrò d’improvviso nella biblioteca e la vide china sul tavolo.
-“Ancora su quei libri? Và a prendere una boccata d’aria”, disse posando dei volumi.
Kate tirò su col naso e si girò per non essere vista.
-“Si…ora vado”.
Colin si voltò e notò che qualcosa non andava. Si avvicinò a lei.
-“Kate…che…?”, vide che aveva gli occhi lucidi. Si chinò posandole un braccio sulla spalla. “Piccola…che succede?”.
La ragazza si alzò, per ritrovare un po’ di forza. Provò a trattenere le lacrime.
-“C’entra Mac non è vero? Che diavolo ha combinato stavolta?”, chiese l’uomo.
-“Sai, quando sono tornata a Miami dall’Africa avevo una nuova energia dentro, mi sentivo diversa, rinata, forte…. Pensavo di poter affrontare tutto, di avere le idee finalmente chiare su gran parte della mia vita”, disse gesticolando, “Così, quando ho visto Mac quel giorno stesso che ho rimesso piede in città mi sono detta: ecco, questa è la mia prova. Ma la verità è che quel giorno, mi sono resa conto di quanto ancora lei faceva parte di me.”
-“E’ normale Kate…”, disse Colin dolcemente.
-“I giorni che sono seguiti, le cose che sono accadute, le sempre più numerose coincidenze e poi la scoperta del caso….”, Kate provò a mandare giù il groppo che aveva in gola, “Ho pensato: deve essere un segno. Un qualcosa che mi riporta da lei, che l’ha rimessa sulla mia strada, affinché forse…”, si toccò la fronte.
Colin le si avvicinò, posandole un mano sul braccio per farle forza.
-“Ho detto di essere voluta entrare in questa missione per mio padre, dopo quello che avevo scoperto su di lui, perché era il minimo che potessi fare per me stessa dopo che tutte le mie certezze erano andate al diavolo. Ma la verità….è che…forse non ho mai smesso di cercare Mac…di sperare che tra noi tornasse tutto com’era”, disse con le lacrime agli occhi.
Colin l’abbracciò.
-“Kate…questa speranza non deve morire. Tra voi può essere ancora com’era”.
-“No… Ora so che non è così. Posso smettere di illudermi. Ci sono stati tanti di quegli sbagli, di quegli errori e… Mi accorgo solo ora che non ho mai capito quel malessere tra noi, quel qualcosa che non andava e…”
-“Kate basta! Di sbagli ne commettiamo tutti. Nessuno sa come far funzionare alla perfezione un rapporto, né è possibile renderlo perfetto. Perché non sarebbe reale!”, disse guardandola negli occhi, “Ma se c’è qualcosa che so riconoscere dalla mia lunga esperienza di vita, sono due persone innamorate. E tu e Mac vi siete amate davvero, anche se forse non ve lo siete mai detto, anche se forse non lo sapete. E due persone che si sono giocate il cuore a questo livello…non potranno mai dire che è finita”, fece una pausa, “Tra voi non finirà mai realmente”, disse piano.
Kate sospirò.
-“Ho visto dolore e sofferenza e tanto male nei suoi occhi…”, spiegò piano, “E quando tra due persone non rimane che questo…è finita davvero.”, ora le lacrime presero a scorrere di nuovo, “Lei…non può starmi accanto”, disse infine.
Colin la strinse a sé senza dire nulla. Lasciando solo che si sfogasse. Perché nessuna parola sarebbe servita davvero.


VIENNA SOTTERRANEA

-“Fortunatamente abbiamo un’indicazione. Sai cosa significa andare alla cieca qui sotto?”, disse Mac scansando una pozza nell’oscurità dei sotterranei, “Il sottosuolo viennese è praticamente un labirinto. Ci sono migliaia di percorsi che si snodano per tutta l’ampiezza della città. Nel settecento addirittura tutte le cantine erano collegate tra loro a formare una vera e propria città sotterranea”
-“Si, ne ho sentito parlare”, Valery camminava rasente muro, con la torcia proiettata davanti a sé, “Mi sento molto Orson Welles ne Il terzo uomo”.
Mac sorrise. Svoltarono a diversi bivi, che all’apparenza sembravano tutti uguali.
-“Stiamo per lasciare il percorso visitabile ai turisti. Da qui in poi, occhi aperti”.
Valery intravide un cancelletto socchiuso. Fece un cenno a Mac. In silenzio lo oltrepassarono.
-“Mac?”
-“Che c’è?”
-“Non vorrei rompere quest’aria di romanticismo”, illuminò un ratto, che infastidito dalla luce, scappò, “E non vorrei neanche sembrarti una rompiscatole, ma…dovremmo parlare della tua situazione con gli altri. Sembra che siate tutti contro tutti e questo non fa bene alla missione”
-“Dobbiamo proprio discuterne ora?!”
-“Ok, se vuoi lasciamo perdere”.
Mac si incamminò per un altro anfratto totalmente buio. Per terra era praticamente impossibile vedere dove mettere i piedi, ma un leggero ruscelletto scorreva sotto di loro da un po’.
-“Sai che Gabriel mi ha fatto spiare da un agente?”
-“Cosa?!”
-“Già. Non so che cosa prenda a tutti. Anche Colin è strano. Non so cosa dirti e sinceramente ora non voglio parlarne”.
Valery non disse più nulla. Una flebile luce comparve appena svoltarono l’angolo. Una lampadina a muro, poco luminosa, sovrastava un porta semichiusa.
-“Ci siamo”, disse Mac facendo cenno all’amica di stare zitta.
Si mossero caute, strisciando rasente muro. Mac portò per istinto la mano dietro la schiena, sulla sua pistola, e Valery la imitò. Si affacciò piano alla porta. L’interno era illuminato ma sembrava non esserci nessuno. La donna spinse la porta ed entrarono.
La keller non era molto grande: una cantina di ampiezza media, sovrastata da archi al soffitto di mattoni. Lungo le pareti c’erano fila di botti, alcune ancora in uso, altre probabilmente vuote. Due lunghi tavoli di legno occupavano il centro della stanza. Tre punti luce correvano paralleli lungo tutto il soffitto, illuminando a malapena il locale.
-“In molte di queste cantine si serve ancora da bere e mangiare secondo un’antica tradizione, ma dubito che qui si ospitino turisti”, disse Mac, notando il disordine.
Il rumore di una porta che sbatteva, interruppe i loro pensieri.
Mac impugnò l’arma e raggiunse il fondo della stanza. Sulla destra, seminascosta alla vista, c’era una porticina secondaria. Con passo svelto si diressero verso di essa.
-“C’è qualcuno?”, disse Valery ad alta voce.
Mac aprì la porticina e furono immesse in uno stanzino più piccolo.
-“Signor Ablack… E’ lei?”.
-“Accidenti…”, esclamò Valery guardandosi intorno, “Che razza di posto è questo?”.
-“Non c’è dubbio: siamo nel luogo giusto”, disse Mac facendo spaziare lo sguardo.
Intorno a loro, una saletta ricca di testimonianze sui Cavalieri Teutonici: foto, articoli, cimeli di ogni genere, oggetti di ogni specie, quadri e quant’altro si potesse immaginare.
Mac si avvicinò alla scrivania, su cui regnava un disordine mai visto.
-“Santo Cielo…”. Rapidamente girò intorno al tavolo e si inginocchiò.
Valery la raggiunse. Per terra giaceva un uomo. Mac portò le dita al collo per verificare se fosse ancora vivo. Lo sguardo che rivolse all’amica fu eloquente.
Aveva una ferita all’altezza del petto. Una coltellata piuttosto profonda che non aveva lasciato scampo.
-“Pensi sia Ablack?”, chiese Valery.
-“Credo di si…”.
Un ombra si mosse dietro il lungo tendaggio purpureo che celava un’ulteriore apertura. Mac si alzò di scatto, impugnò l’arma e si diresse verso la porticina, seguita da Valery.
-“L’assassino è ancora qui”, disse l’amica.
-“Seguiamolo”, disse Mac scostando la tenda e notando che da lì si dipartivano altri cunicoli.
Si lanciarono all’inseguimento dell’uomo. Man mano che correvano, i passaggi si facevano angusti e bui.
-“Non riesco a vederlo chiaramente…”, disse Mac arrancando nell’oscurità.
-“Sembra che lui sappia come muoversi…”, disse Valery, “Così finiremo per perderlo”.
Puntò la pistola nel buio e sparò un paio di colpi davanti a sé. Il rumore riecheggiò per le strette gallerie.
L’uomo parve esitare nella sua corsa. Rallentò, maneggiando qualcosa.
-“Che fa?”, chiese Mac, strizzando gli occhi.
Valery non rispose subito, continuò a correre. Si sentì un piccolo tintinnio metallico. Poi afferrò il braccio dell’amica.
-“Merda!”.
Mac si fermò di scatto, prima che fosse troppo tardi.
-“Puntine d’acciaio per terra”, disse Valery, spostandone una manciatina col piede.
-“Grazie”, disse Mac all’amica per averla trattenuta, “Ma ora ha un bel vantaggio su di noi”.
Valery sospirò, poi indicò davanti a sé.
-“Guarda”, Mac si voltò, “C’è una luce laggiù”.
Ripresero a correre. Man mano che si avvicinavano, potevano notare la luce danzare sul muro.
Mac guardò a terra.
-“Sangue… L’hai colpito prima…”.
Valery la guardò sorpresa mentre continuavano in quella direzione. Finalmente giunsero in prossimità di un’altra apertura. Il passaggio sotto l’arco era basso e stretto, ma quando l’oltrepassarono, si ritrovarono in un’altra cantina. Lo spazio era circolare, il soffitto piuttosto alto.
Davanti a loro c’era l’uomo che avevano inseguito. Non potevano guardarlo in volto: indossava una tuta nera che lo ricopriva interamente. In mano aveva una fiaccola. Tutto intorno aveva schierato una fila di piccole botti.
Il suo intento era chiaro.
-“Porc’…”.
L’uomo gettò a terra la fiaccola e progressivamente si alzò un muro di fiamme tra loro e lui. Mac con rapidità si gettò dall’altra parte prima che fosse troppo tardi. Con un salto, oltrepassò le fiamme, atterrando come un felino quasi vicino all’uomo che stava scappando verso un cancelletto.
Lo afferrò per un braccio, facendolo voltare. Iniziarono a colpirsi, l’uno schivando i colpi dell’altro, in una danza di tecniche rapide e precise.
Mac lo strattonò nel punto in cui l’amica l’aveva ferito, poi estrasse il suo coltellino e come un fulmine lo colpì sul braccio sinistro. La tuta si lacerò, rendendo visibile un tatuaggio. L’uomo si portò una mano sulla ferita, poi rimase qualche secondo immobile guardando Mac. Infine riprese a correre verso il cancelletto. Lo oltrepassò e lo richiuse alle sue spalle.
Mac tentò di afferrarlo, ma senza successo. L’uomo la fissò, poi abbozzò un sorriso dietro la maschera che gli ricopriva il volto, le rivolse un inchino e sparì nell’oscurità.


-“Quindi non l’hai visto in faccia?”, chiese Colin all’amica.
-“Ti ho detto di no. Indossava un passamontagna”.
Colin le porse una benda da premere sulla ferita che aveva alla mano. Si trovavano di nuovo nella stanza segreta di Renee Ablack. Dopo l’inseguimento, Mac e Valery avevano contattato Colin e la squadra per analizzare il luogo.
Josh camminava con un apparecchietto sconosciuto tra le mani, passandolo ovunque.
-“Che sta facendo?”, chiese Valery, ferma vicino la scrivania.
-“Controlla che non ci siano diavolerie elettroniche in giro, tipo cimici o microtelecamere o…”
-“Va bene, ho capito”, lo interruppe.
Mac era seduta su una sedia di legno molto simile a quelle medievali, massaggiandosi le parti che le dolevano di più.
-“Mio Dio…qui c’è davvero un piccolo mondo a parte…”, disse Kate guardandosi attorno, “Quest’uomo è un vero fanatico”
-“Era.”, disse il medico riemergendo da dietro il tavolo, “Una pugnalata piuttosto profonda al cuore”, si sfilò i guanti, “E’ morto da circa quattro ore”
-“Forse un regolamento di conti?”, ipotizzò Kate.
-“No”, disse decisa Mac.
-“L’assassino era ancora qui quando siamo arrivate noi”, aggiunse Valery interpretando i suoi pensieri.
Mac asserì col capo:
-“Stava cercando qualcosa e noi l’abbiamo interrotto”, disse.
-“Il medaglione di Von Salza?”, chiese Kate, “Forse pensava che l’avesse Ablack”, disse tenendo una foto tra le mani.
-“Non lo so. È possibile. Voi che mi dite? Avete trovato traccia di Mika nei boschi?”, chiese Mac.
-“No, nulla di nulla… Quel tipo sa il fatto suo”, disse Colin smuovendo le cose sulla scrivania e soffermandosi a guardare quelle più strane.
-“Josh”, Mac chiamò il giovane, “Puoi ricreare la planimetria di questi cunicoli e dirmi dove conducono?”
-“C-certo. E’ uno s-scherzetto per me. Mi m-metto subito all’opera con i r-ragazzi”
-“Perfetto”.
Josh sparì dietro il tendaggio purpureo con la sua attrezzatura ingombrante e misteriosa e tre uomini della squadra.
-“Mac come la mettiamo con Gabriel?”, disse Colin.
La donna fece una smorfia.
-“Lo so, ma hai rischiato venendo qui senza comunicarlo alla squadra … E poi Valery dovrebbe essere sotto protezione, non partecipare attivamente a combattimenti clandestini!”.
Mac sbruffò ancora mentre ribatteva alle parole dell’amico.
Valery si avvicinò alla scrivania, estraniandosi per qualche momento da tutto. Sentiva dentro di sé come qualcosa che l’attirava. Sfogliò dei libri, dei fascicoli di ricerche, accumulati sul piano. C’era un vero caos. La lampada era ancora accesa, scottava. Sotto la lente d’ingrandimento c’erano alcune monete antiche. Si spostò su un lato facendo correre la sua mano su quelle cose sconosciute e affascinanti. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Un cordoncino rosso dal tavolo scendeva penzoloni lateralmente. Lo seguì con lo sguardo, abbassandosi. Sotto il ripiano del tavolo, giaceva impigliato in una fessura del legno un piccolo ciondolo, grande come una delle monete che aveva visto, ma più spesso. Istintivamente, come imbambolata, se lo lasciò scivolare in tasca senza essere vista.
-“Ok, basta così!”, disse poi Mac. La sua voce la riportò alla realtà. “Raccogliete tutto. Dobbiamo esaminare il materiale che c’è qui.”.
Fece un cenno agli uomini che cominciarono a darsi da fare. Poi si avvicinò a Valery.
-“Stai bene?”
-“S-si…”, le sorrise, “La tua mano?”
-“Un graffietto”
-“Bene”.
Mac la scrutò.
-“Credo sia meglio ritornare al cottage. E’ stata una giornata abbastanza intensa. Qui possono continuare loro”.
Valery sembrava un po’ spaesata.
-“Va bene”, fu tutto quello che disse.
Kate notò le due che si allontanavano e sospirò.


WIENERWALD

-“Stenditi un po’, ti farà bene”, disse Mac a Valery, vedendola ancora strana.
La ragazza non le rispose. Si sedette sul bordo del letto.
-“Cos’hai?”, le chiese.
Valery alzò le spalle.
-“Vado un attimo in bagno”
-“Ok”.
Mac la osservò mentre spariva dietro la porta. Non potè fare a meno di pensare quanto fosse difficile la situazione di Valery, anche se poteva sembrare il contrario. In questo momento della sua vita probabilmente si sentiva come un tulipano in un campo di girasoli: spaesato e fuori luogo. Ora più che mai aveva bisogno di lei.
La giovane si guardò allo specchio. Aveva la faccia sbattuta. Aprì il rubinetto e si bagnò abbondantemente il viso. Si guardò ancora, sfinita. Si portò una mano in tasca e le sue dita sfiorarono il ciondolo. Lo tirò fuori e lo osservò. Riluceva sotto la fioca luce del bagno. Si rassettò il jeans e sospirò. Poi ritornò in camera.
-“Stai bene?”, le chiese Mac quando la vide.
-“Si. Ti va un po’ di tv?”, salì sul letto accanto a Mac e accese la televisione.
La donna la scrutò: i suoi occhi erano rivolti allo schermo, ma aveva chiaramente la testa altrove. Si alzò e andò a spegnere la tv.
-“Ehi, ma…”.
-“Ascolta piccola…con me non devi fingere. Se c’è qualcosa che non va…a me puoi dirlo”, le disse dolcemente, mettendosi in ginocchio al lato del letto, davanti a lei.
Valery la guardò, sospirando. Le mani dell’amica le accarezzavano teneramente le gambe. Le sorrise stanca e la baciò dolcemente.
-“Mac…io…”
-“Cosa?”.
Quegli occhi così pieni di comprensione e sicurezza fecero sparire ogni timore in lei.
-“Voglio che tu sappia che in questo momento della mia vita…tu sei l’aria che respiro. Mi dai tanto…”.
La donna la guardò comprensiva.
-“Lo sai che ti sono accanto ogni istante vero? Non ti lascio…”
-“Si…lo so… E ti ringrazio anche perché non passa attimo in cui tu non me lo dimostri…”.
Mac si sporse appena baciandola. La ragazza portò le sue braccia attorno al collo della donna e la tenne stretta a sé, lasciando le labbra incollate alle sue. Mac le circondò la vita, alzandola con sè. Valery portò istintivamente le gambe attorno a lei. Continuarono a baciarsi dolcemente, mentre la luna cominciava a illuminare la stanza. La donna camminò piano fino alla parete di fronte, poi vi appoggiò la schiena di Valery.
-“Ho voglia…”, sussurrò lei, mentre le divorava avidamente le labbra. “Ho voglia di te…”.
Mac sorrise.
-“Ti voglio anche io…”, disse. Poi scese a baciarla sul collo.
Sentì le gambe di Valery stringersi ancora di più attorno a sé. La sentì ansimare. Con dolcezza le sfilò la maglietta. Scese di nuovo sulla sua pelle dorata. Si ritrovò a percorrere i dolci pendii delle spalle. Li sfiorò con le dita, poi si abbassò a baciarli. Vide di nuovo quella strana voglia.
-“Cos’è questa?”, chiese con un filo di voce, continuando a baciarla.
Valery era già persa tra i brividi di piacere, non era lucida.
-“E’ solo una piccola voglia”, riuscì a dire pochi secondi dopo. Inarcò la schiena quando sentì le mani di Mac correrle dietro. Il respiro le si fece più cadenzato e profondo.
D’istinto prese le mani di Mac e le portò giù. La donna la guardò, poi le sbottonò i jeans piano. Valery le prese la testa dolcemente e la portò nella calda insenatura del suo seno. Sentì le sue morbide labbra muoversi con magia in quel punto. La strinse a sé più che poteva. Lentamente sentì scivolare una mano dentro i jeans sbottonati e poi negli slip. Ormai con la mente appannata dall’eccitazione, Valery pensò che se c’era qualcosa che avrebbe ricordato negli anni sarebbe stata l’immensa dolcezza con cui Mac faceva l’amore con lei.


Aprì gli occhi che era già giorno fatto. Vide Mac già vestita che la fissava.
-“Ciao…”, disse stropicciandosi gli occhi, “Che ore sono?”
-“Tardi”
-“Non vieni a darmi un bacio?”.
Mac sorrise e le si avvicinò con dolcezza.
-“Dormigliona, è ora di alzarsi… Non siamo qui in vacanza”
-“Hmm…mi piacerebbe tanto andare in vacanza con te… Che ne dici se molliamo tutto e andiamo in un’isola deserta nel Mediterraneo?”
-“Sta certa che ci troverebbero anche lì”, disse infilandosi l’orologio. Poi prese la giacca. “Io raggiungo la base. Ci vediamo dopo d’accordo?”.
Valery esitò qualche istante poi disse tutto d’un fiato:
-“Mac ieri nella camera segreta di Ablack ho trovato qualcosa. E’ per questo che sono stata strana per tutto il resto della serata”.
La donna si fermò e tornò a sedersi sul letto, aspettando che l’amica parlasse.
-“Ho trovato questo”, prese i jeans a terra e tirò fuori da una tasca il ciondolo. Lo passò all’amica.
-“Cos’è?”
-“Apparteneva al professor Kildare. L’ho riconosciuto subito quando l’ho visto. Mi dispiace non averti detto nulla in quel momento…non so cosa mi sia preso”.
Mac scrutò l’oggetto: era piccolo ma ben fatto. Vi erano incisi dei sottili disegni floreali ed incastonate tre pietrine piccolissime colorate.
-“Io…non so cosa pensare, ma so che lui non se ne separava mai, per nessun motivo. Il fatto che fosse lì…forse significa…”, le parole le morirono in gola.
L’amica le posò una mano sulla spalla.
-“Ascolta, non significa proprio un bel nulla. Potrebbe essere finito lì in mille modi”
-“Lo so cosa pensi… Dopo tanti anni dalla sua scomparsa dovrei aver valutato anche la possibilità che lui sia morto. Eppure, averne la certezza davanti…non rende le cose più facili”
-“Non penso niente del genere. È normale reagire così.”
-“Dovrei mostrarlo anche ai miei amici”, disse poi.
Mac annuì.
-“Tenteremo di capirci qualcosa di più, tranquilla”, si alzò, “Ora vado, ci vediamo fra qualche minuto alla base”, le posò un bacio sulla fronte e corse via.


VIENNA – da qualche parte

Il giovane, col mantello nero sulle spalle, scese i gradini di pietra fino ai sotterranei. Si diresse verso la porta blindata e schiacciò un pulsante sulla tastiera. Subito, la scansione della retina effettuò il controllo e si attivò il microfono interno.
-“Sono Clark, signore”.
Nessuna voce gli rispose, ma la porta si sbloccò e lui potè entrare. Una musica soffusa si diffondeva per tutta la stanza. I Carmina Burana di Carl Orff. L’ambiente era cupo, solo qualche fioca luce qua e là; le pareti erano state lasciate di nuda pietra; a terra era stata scelta moquette rosso porpora; un grande tavolo di legno stava sulla parete principale e dietro vi era la sedia imbottita dove molti avevano fantasticato di sedersi un giorno.
-“Signore”, ripetè il giovane facendo un inchino.
L’uomo era voltato, perso nella musica. Il ragazzo gettò un’occhiata fugace sul divanetto posto nell’angolo. Aveva perso il conto di quante volte entrando aveva assistito a scene intime tra il capo e qualche donnetta. Questa volta era vuoto.
-“Signore, Jacob è pronto per essere ricevuto”. Aspettò in silenzio.
-“Bene”
-“Ci siamo occupati di tutto quello che aveva chiesto, signore. E’ tutto apposto”
-“Hmm…Non avete lasciato tracce? Qualcosa di riconducibile a noi?”
-“No signore”
-“Bene”.
L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo.
-“Cosa ne pensi Clark se facessi installare un idromassaggio in questa camera? Ci vuole un’alternativa a quello…”, indicò il divanetto.
-“Io…”.
L’uomo si sporse sul tavolo.
-“Sarebbero soldi ben investiti non trovi?”.
Il giovane sentì la fronte imperlarsi di sudore. L’uomo lo fissò, scrutandolo, aspettando la risposta. La risposta giusta.
-“Io…credo che…sarebbe un’ottima idea signore”.
L’uomo distese i nervi della faccia in un sorriso compiaciuto.
-“Ne ero convinto anche io infatti”, picchiettò le dita sul tavolo, “Ora fa entrare Jacob”.
Il giovane si inchinò di nuovo e uscì.
Poco dopo entrò un uomo. Era sulla trentina, i capelli biondi lisci, la corporatura robusta. Qualche escoriazione segnava il suo volto e aveva un braccio fasciato.
Si inchinò e rimase in attesa. Clark li lasciò soli e richiuse la porta.
-“Sai che non mi piace vedere questi segni”, disse dopo un po’ il capo.
Si riferiva alle ferite riportate dal giovane.
-“Sono mortificato, signore”, rispose fissandolo con i suoi occhi azzurri.
Il capo lasciò la scrivania e si alzò. Era abbigliato secondo ciò che esigeva il suo rango. Si avvicinò al giovane.
-“Non devi esserlo…”, sussurrò. Scansò il mantello e appoggiò una mano sulla spada che aveva alla vita. Il giovane vi gettò una fugace occhiata. “Non ti aiuterà essere mortificato…”. Parlava dolcemente, ma traspariva la rigidità delle sue intenzioni.
Jacob continuò a fissare davanti a sé, mentre sentiva irrigidirsi tutto il corpo. Non doveva trapelare nessuna emozione.
-“Dimmi cosa è successo”, lo incitò il capo.
Jacob ingoiò, poi parlò.
-“Ero nella keller di Ablack…come da piano… Stavo rovistando tra le sue cose, quando…”
-“Te ne sei liberato?”
-“Ho dovuto ucciderlo…è stato necessario…”.
L’espressione del capo restò immutata, continuò a girare attorno al giovane con le mani dietro la schiena.
-“All’improvviso sono sopraggiunte due donne e mi sono nascosto…”, continuò, “Ma mi hanno scoperto e…”.
Il capo si fermò.
-“Due donne? Puoi descriverle?”
-“Una più alta, capelli scuri…quella che mi ha ferito”, disse piano, “L’altra più bassa, capelli castani, molto agile anch’essa…”
-“Hmm….”, si toccò il mento, “Dunque c’era anche lei…”, sussurrò.
-“C-come dice?”
-“Niente. Continua”
-“C’è stato un breve inseguimento…ho provato ha seminarle, ma…. E poi alla fine mi sono trovato a lottare con quella donna… Era davvero molto abile e…”, disse come per scusarsi, ma il capo lo interruppe.
-“Ti ha visto in volto?”
-“No”
-“Bene”
-“Ma…”, tentennò, “Mi ha ferito all’altezza del tatuaggio…”
-“Pensi che l’abbia riconosciuto?”
-“Non posso dirlo con certezza…E’ stato tutto così rapido…”
-“Hai trovato qualcosa tra le cianfrusaglie di Ablack?”, chiese ancora.
-“No, nulla. Io…”.
Il capo scosse la testa.
-“Ah, Jacob Jacob…”
-“Signore io…”
-“Sono davvero deluso…Dopo che ti ho cresciuto come un figlio…”.
Il giovane iniziò a sudare.
-“Sono davvero dispiaciuto capo….”.
In un lampo, l’uomo staccò la cinta con la spada e diede a Jacob un colpo dietro le gambe. Il ragazzo si accasciò in ginocchio. L’uomo si abbassò e gli strinse il volto in mano.
Gocce di sudore bagnavano il suo viso. Aveva il respiro affannato.
-“Signore….non capo…Signore”, disse duro guardandolo negli occhi, “Devi inginocchiarti davanti al tuo signore e chiedere clemenza”
-“S-si….”.
L’uomo abbozzò un sorriso.
-“Sta per iniziare il gioco, Jacob…non sei eccitato anche tu?”.
Il giovane non rispose, stava tremando.
-“Oggi è il tuo giorno fortunato: sono di buon umore. Ti darò un’altra occasione”, disse freddo. Gli spinse il volto lontano dal suo e sorrise fissando il vuoto.





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