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DISCLAMER: I personaggi di Janice, Melinda, Xena, ed alcuni che possono “vagamente” ricordare Ares, Aphrodite ed Eli, sono copyright della MCA/Universal Renassiance Pictures. I personaggi sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e per rendere omaggio a quegli splendidi  personaggi, il che significa: non c’è alcun fine di lucro.

EPISODIO DI RIFERIMENTO: Xena e le antiche pergamene (The Xena Scrolls) – Stagione 2, Episodio 10.

RIFERIMENTI STORICI: ho cercato di fare del mio meglio per non incappare in errori storici, ma se ne trovate fatemi sapere. Gli unici personaggi storici reali citati sono Rita Hayworth e Seton Lloyd, ai quali va tutto il mio rispetto e spero nessuno si senta offeso dal vederli citati in questo contesto (di nuovo, se qualcuno ha qualcosa da dire, beh, me lo dica pure).

VIOLENZA/SESSO: scene violente o a sfondo sessuale, sì, sono presenti, ma non sono gratuite e neppure eccessive (almeno… credo), comunque a qualsiasi ora in TV trovate di peggio! Viene di seguito rappresentata una storia romantica (in tutti i suoi aspetti) tra individui dello stesso sesso, quindi, se la cosa vi disturba, o per qualche motivo vi è proibito leggere cose di questo tipo… basta chiudere la pagina.

Per qualsiasi commento (sempre bene accetti), nota, o altro che non mi viene in mente adesso, potete scrivermi all’indirizzo email:
lesta.mancina@gmail.com
Oppure potete passare a farmi un saluto su Facebook …vi basterà chiedere di Lesta Mancina.
Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

CHI RITROVA UN'AMICA, TROVA UN TESORO

di LESTA MANCINA

 

PARTE I

Dalla porta dell'ufficio del direttore del Museo di Storia Antica non giungeva alcun rumore, ma, tremante di ansia di fronte a quella porta, la donna sapeva che presto, oltre quella soglia si sarebbe scatenato l'inferno.
Rassegnata al proprio destino, Melinda Pappas fece un profondo sospiro e bussò.
<<Avanti!>> tuonò una voce imperiosa, già alterata perché sapeva chi aspettarsi.
Mel girò la maniglia e aprì lentamente la porta, tentennando nell'entrare.
<<Permesso, scusi Direttore Mayer, mi ha mandata ha chiamare?>>
<<Si muova Dottoressa Pappas, entri e chiuda la porta!>>
Ubbidiente e remissiva, con lo sguardo basso, Mel richiuse la porta e si avvicinò alla scrivania del direttore. L'ufficio era spazioso e ben illuminato da due ampie finestre che davano sul cortile retrostante il museo.
Il vento scuoteva gli alberi, Marzo era quasi finito, ma il freddo sembrava non volersene andare, eppure a Mel pareva di soffocare in quell'ufficio così austero. Le librerie che tappezzavano completamente le pareti erano colme di volumi nuovi, ordinati e sempre perfettamente spolverati, il parquet a spina di pesce era lucido e scivoloso, come le due poltrone di pelle nera innanzi alla scrivania.
<<Si sieda Dottoressa>> ordinò il piccolo direttore di mezza età, sistemandosi gli occhialini rotondi che accentuavano il suo sguardo acuto ed inflessibile.
L'uomo era in piedi e per non sfigurare fece sedere Melinda, che dall'alto del suo metro e ottanta, soverchiava la sua mascolinità.
Mel si accomodò senza fiatare, si sentiva colpevole per quanto era accaduto, avrebbe accettato di buon grado le conseguenze, perché aveva sbagliato.
<<Dottoressa Pappas, non è un segreto per nessuno il perché lei lavori qui. Dopo quanto è accaduto in Sudamerica nessuno le avrebbe mai più offerto di dirigere uno scavo, o di salire in cattedra e questo museo le ha aperto le porte, ormai un anno fa, perché abbiamo avuto pietà del buon nome di suo padre, un luminare nel campo dell'archeologia, che molto ha fatto per noi. Lei invece, che cosa ha fatto?>>
Melinda si tormentava le mani strette sul ventre e si mordeva le labbra per non rispondere agli insulti gratuiti di quel piccolo e borioso omuncolo. Mel sapeva di essere un'archeologa valida quanto il padre, fatto che i suoi colleghi uomini non volevano accettare e le avevano reso la vita un inferno.
Nessuno la voleva intorno, la gente leggeva il suo nome e pensava che quello che aveva era merito di qualcun'altro, di suo padre appunto, perché lei era solo una donna.
Ma donna, o no, questa volta era stata davvero Melinda Pappas a sbagliare e se ne sarebbe assunta le responsabilità.
Era stata incaricata di portare al museo la collezione Zimmerwald, una collezione privata di un centinaio di reperti sumeri, per una mostra che avrebbe aperto di lì a poco.
Mel era sicura che tutti i pezzi fossero presenti al momento del loro carico sui camion, era stata molto attenta, aveva controllato ogni singolo pezzo più e più volte. Non c'erano dubbi, che al momento della partenza per il museo, ognuno dei 97 pezzi della collezione fossero sui trasporti. Eppure, giunti al museo, i reperti erano solo 96!
Una statuetta votiva della dea Inanna era scomparsa.
Una voragine si aprì sotto i piedi di Mel, ora tutti volevano la sua testa su un piatto d'argento. E stavano per averla!
Mayer aveva continuato a sputare cattiverie e a scaricare sulle spalle di Melinda tutte le responsabilità, lei sarebbe stato il capro espiatorio del museo.
<<Si renderà conto che non c'è altra soluzione, lei non ha idea delle pressioni a cui siamo sottoposti a causa sua e della sua negligenza. Lei è licenziata>> concluse Mayer categorico e colmo di soddisfazione per essersi tolto quella spina nel fianco che Mel rappresentava a detta di tutti, anche se a caro prezzo.
<<Direttore, almeno mi lasci dire che...>>
<<Non renda tutto più difficile, prenda le sue cose dal suo ufficio e se ne vada>> Mayer si stava irritando, non voleva discutere con quella donnicciola.
<<...ma forse si tratta di un furto>> riuscì finalmente a dire Mel, raccogliendo tutto il suo coraggio.
<<Non accampi stupide scuse e se ne vada subito, se non vuole che chiami la sicurezza!>> il Direttore aveva alzato la voce offeso. Come si permetteva quella donna di non fare subito ciò le si diceva? Era proprio stupida e inaffidabile.
Mel sentì montare la rabbia dell'umiliazione, ma non era tipo da esternare le proprie reazioni violente e sentendo le lacrime della frustrazione offuscarle la vista, si rialzò a testa bassa e se ne andò svelta dall'ufficio, dal museo e da un anno di duro lavoro.
Melinda era salita sul tram senza sapere dove andare, non era passata dal suo ufficio, avrebbe mandato un fattorino a ritirare le sue cose. Se fosse tornata all'ufficio, avrebbe sicuramente incontrato qualche collega, che altro non aspettava se non denigrarla, o umiliarla ulteriormente ed in quel momento sentiva di non essere in grado di poter tenere testa a tutti quanti.
In particolare non avrebbe sopportato gli scherni di Frank Wallen, sempre pronto a svilirla, a volte in modo decisamente pesante, come quando l'aveva sedotta ad una festa di lavoro ed il giorno dopo se ne era vantato con tutti al museo, raccontando cose davvero poco galanti sul conto di lei.
Mel si mise a sedere guardando la città scorrere fuori dal finestrino, ma non vi prestava particolare attenzione, i suoi pensieri ora erano tutti rivolti alla deprimente situazione in cui versava: senza lavoro e senza speranza di trovarne uno tanto presto, visto che questo episodio avrebbe affossato una carriera già segnata dallo spiacevole episodio avvenuto in Sudamerica...
Il Sudamerica! Ma certo: Janice! Janice Covington!
Come aveva fatto a non pensarci prima! Se c'era qualcuno che avrebbe potuto aiutarla in quella situazione era proprio la sua amica Janice. Il pensiero dell'amica, però, la rese in quel momento ancora più triste e malinconica.
Dopo lo scandalo in Sudamerica, Melinda e Janice avevano perso i contatti. Quella volta era stata Janice a pagare il prezzo della colpa; Melinda era stata scagionata da tutte le accuse, ma anche in questo caso la cattiva reputazione di un genitore (quello di Janice) ricadde sulla figlia, che fu accusata di contrabbando e furto di antichità.
Melinda, come ultima spiaggia, aveva accettato un incarico al museo, nulla più di una segretaria in fin dei conti, ma un tipo ribelle come Janice non si era piegato a nessun compromesso ed era stata tagliata fuori da tutta la comunità scientifica.
Da quel momento le due donne si erano viste sempre di meno, Mel aveva tentato di far ragionare Janice, ma invano. L'ultima vota che si erano viste, Janice aveva concluso il loro diverbio ringhiando vendetta:
"Vogliono a tutti i costi farmi passare per una contrabbandiera per salvarsi le chiappe? E va bene, contrabbandiere sia!"
Da quel momento Janice era diventata il terrore di ogni archeologo, se da un qualsiasi scavo, in qualsiasi parte del mondo venivano rubati degli oggetti di valore, che poi ricomparivano nei salotti di qualche ricco magnate, il nome che saliva alle labbra degli archeologi era sempre uno: "Covington".
Sul viso di Mel si affacciò un sorriso, non tutto era perduto. Se, come sospettava, il pezzo mancante della collezione Zimmerwald era stato rubato, ora era già sul mercato nero, o doveva arrivare nelle mani di qualche riccastro senza scrupoli che aveva commissionato il furto, e se c'era qualcuno dell'ambiente in grado di saperne qualcosa quella era proprio Janice Covington, "la Predatrice".
Di nuovo di buon umore e decisa a risolvere quel pasticcio, per dimostrare la propria innocenza, Melinda Pappas era scesa dal tram e si era diretta verso casa con uno spirito guerresco e una determinazione che non credeva potessero essere sue.
Mel si era fatta un bagno rigenerante, aveva indossato il suo tailleur preferito, viola con il colletto e i bordi delle maniche bianchi, aveva raccolto i lunghi capelli corvini in un fiero chignon e messasi le scarpe, la giacca e afferrato il cappello, spalancando la porta di casa per lanciarsi in battaglia, si accorse che:
"Non so dove andare!"
Tutto l'ardimento di Mel si sgonfiò in un secondo, la donna non aveva la più pallida idea di dove fosse Janice. L'amica aveva lasciato il suo appartamento e non ne aveva più saputo nulla, per quanto ne sapeva Mel, Janice poteva essere davvero in qualsiasi angolo del mondo, probabilmente il più sperduto e con il tesoro più nascosto e prezioso.
Mel richiuse la porta, riappese la giacca, si tolse il cappello e le scarpe e si lasciò andare sulla poltrona già pronta a dichiararsi sconfitta.
Sospirò rassegnata per un numero interminabile di minuti, mentre il mondo riprendeva a scavarle la fossa sotto i piedi; poi come in cerca di ispirazione girò la testa verso il mobile del soggiorno, sul quale era appoggiata, tra bicchieri e bottiglie di liquore, una foto in bianco e nero di lei e Janice durante il loro primo scavo insieme. Com'erano felici allora, erano trascorsi solo sei anni, ma sembravano un'eternità. Il ricordo di quei giorni era ormai lontano, soprattutto la gioia e la soddisfazione che traspariva dai loro sorrisi. Janice poi era raggiante come non mai, finalmente in pace col mondo e appagata da una vita piena, sia a livello professionale, che a livello personale.
Il volto di Mel si rigò di lacrime, come aveva potuto lasciarla andare? Perché aveva permesso che la sua amica, la migliore che avesse mai avuto, tornasse a farsi del male?
Per la seconda volta in quella giornata tragica, che ormai volgeva al termine, Melinda Pappas, prese il coraggio a due mani e decise che avrebbe lottato.
<<Ti ritroverò Janice Covington ed insieme sistemeremo tutti i nostri guai!>>

L'impresa si era rivelata più difficile del previsto. Nessuno sembrava sapere nulla di Janice; tutti conoscevano "La Predatrice", ma nessuno sembrava sapere dove si trovasse o come contattarla.
Come prima cosa, Mel si era recata nel palazzo dove aveva abitato Janice, ma il portiere le disse che la signorina Covington, "quella poco di buono", non aveva lasciato nessun nuovo recapito e che era meglio così, perché di certa gente era preferibile non saperne più niente.
Poi, Mel cercò qualche parente, ma anche in quel caso fu un fiasco totale. La famiglia Covington aveva tagliato completamente i ponti con il padre di Janice già da quando lei non era ancora nata; Henry Covington aveva dedicato tutta la sua vita alla ricerca delle famose "pergamene di Xena" e per portare a termine il suo obbiettivo non si era fatto scrupoli, diventando contrabbandiere e tombarolo, facendosi diseredare e disconoscere dalla famiglia e segnando per sempre la vita della piccola Janice. La signora Covington, la madre di Janice, invece, aveva una sorella a Philadelphia. Mel credeva che rintracciare la zia di Janice l'avrebbe aiutata, salvo poi scoprire che la donna neanche sapeva di avere una nipote.
Ma Mel, non si arrese, sentiva che non poteva ne gettare la spugna, ne mettersi a piagnucolare, era convinta che riunirsi e affrontare insieme le avversità fosse la loro unica speranza di salvezza. Da sole, il destino era soccombere, ma insieme la lotta per la vita le avrebbe condotta alla vittoria.
"E poi mi manchi ancora così tanto, Janice dove sei?"
Infine Mel ebbe un'idea geniale, pericolosa, ma infallibile.
L'importanza della missione giustificava quel sacrificio. Mel prese un'antica e preziosissima daga dalla raccolta di suo padre e sparse la voce di volerla vendere sottobanco, di voler trattare con il migliore, anzi con "La" migliore; Mel fece girare la notizia che aveva una cosa che "La Predatrice" stava cercando da molto tempo.
Melinda sperava che Janice sarebbe andata da lei, che le avrebbe dato un appuntamento, ma tutto quel che ottenne fu una soffiata. Un mattina, svegliandosi aveva trovato sotto la porta il volantino di un night, dietro al quale c'era scritto: "zona di caccia della Predatrice".
Mel decise che ci sarebbe andata quella sera stessa.

Erano quasi le dieci e mezza di sera quando il taxi arrivò sotto casa di Mel e le suonò il clacson. Melinda scese di corsa le scale e salì sulla vettura, sporgendosi verso l'autista per mostrargli il volantino.
L'uomo storse la bocca rigirandosi il sigaro tra le labbra, la barba folta e la coppola calata alla trequarta sulla fronte gli davano un'aria burbera.
<<Signorina, è sicura di voler andare lì?>> chiese con voce roca riconsegnando il volantino a Mel.
<<Sì, signore. Sicurissima>> rispose Mel ostentando sicurezza, anche se il suo cuore batteva all'impazzata e l'agitazione la faceva tremare. Però non sapeva esattamente cosa era ad innervosirla di più, se recarsi da sola in un luogo di dubbia fama e covo di malviventi, o il fatto che finalmente fosse sulle tracce di Janice.
<<Se vuole la mia opinione, lei potrebbe trovare lavoro in locali decisamente meglio frequentati, una pupa come lei si può permettere di scucire cifre importanti>> commentò il tassista squadrando Mel laido, mostrando senza vergogna l'oscenità dei suoi pensieri.
<<Ma come si permette!- replicò Mel scandalizzata -Tenga i suoi commenti per sé e mi porti dove le ho detto!>>
L'uomo ridacchiando divertito si girò verso il volante e partì. Mel si schiacciò contro il sedile e rimase muta nei propri pensieri, mentre osservava la città cambiare. Dai luminosi e frequentati quartieri del centro, verso la periferia buia e spoglia; lungo i marciapiedi le facce erano ombre sfuggenti e pronte a nascondersi dietro il primo angolo.
Il taxi si fermò davanti ad un vicolo, troppo stretto perché l'auto potesse imboccarlo.
<<Siamo arrivati, bellezza>> disse il tassista, sempre stuzzicato dall'idea che un tipo perfettino come Melinda frequentasse i bassifondi.
Mel si guardò attorno prima di scendere:
<<Mi scusi, ma dov'è il locale?>>
<<Proprio là in fondo>> rispose il tassista indicando la fine del vicolo davanti alla quale sostavano.
Mel intravide solo una piccola insegna luminosa rossa e alcune persone che, imboccato il vicolo erano sparite proprio nei pressi della luce colorata.
<<Se vuoi ti riporto a casa, tesoro>>.
Mel respirò a fondo e si decise. Pagò il taxi e scese.
Partendo l'uomo le gridò dal finestrino: <<Farai furore dolcezza e, quando stacco, passerò a trovarti!>>
Mel allibita e scandalizzata si era girata per insultare quel maleducato, ma il taxi era già ripartito di gran carriera, come se neppure lui volesse sostare troppo a lungo in quel luogo losco.
Mel imboccò il vicolo, mentre due tizi che fumavano all'angolo le fischiarono dietro in segno di approvazione, Mel si strinse nella giacca sentendosi comunque nuda sotto quegli sguardi indagatori.
Il locale era pubblicizzato solo dall'insegna luminosa che recitava "The Wild Red", al di sotto della quale delle piccole lampadine rosse componevano il disegno stilizzato di una donna nuda su un cavallo impennato.
Mel arrossì e spinse la porticina scura, quasi dovette abbassare la testa per entrare. Ad accoglierla fu subito una densa nube di fumo, il cui odore acre le prese subito la gola. L'ingresso sovrastava il locale e Mel scese una piccola rampa di scale per addentrarsi in un salone molto ampio e colmo di tavoli. Viste le dimensioni dell'ingresso, la donna non si aspettava certo un locale così grande, e neppure tutta quella gente. Il Wild Red era gremito e la maggior parte della gente era ammassata attorno alla passerella, che dal palco si prolungava in mezzo al salone. Le luci erano tutte puntate sulla cantante che, in un imitazione decisamente osé di Rita Hayworth, tra una nota e l'altra, nei suoi abiti succinti, ammiccava ai clienti. Il resto della sala era in penombra e Mel sperava di non dover mai assistere a quanto stava accadendo negli angoli bui di quel posto.
Scese anche gli ultimi scalini e a quel punto le si parò davanti un energumeno pelato, in un completo gessato che lo faceva sembrare ancora più enorme.
<<Ehi, zucchero, sei sicura di non aver infilato la porta sbagliata?>> le chiese con un forte accento italiano.
<<No, buon uomo, sono certa di essere nel posto giusto e per giunta ho anche l'invito>> rispose stizzita Melinda, che ormai non tollerava più tutti quegli appellativi poco rispettosi. La donna porse anche al buttafuori il volantino del locale, ma egli parve non capire e la guardò con aria interrogativa, chiedendosi se la donna fosse una stupida, o se volesse prenderlo in giro.
Mel lo guardò dritto negli occhi, quando indossava i tacchi non le capitava molto spesso di dover alzare la testa per fissare qualcuno; l'uomo era davvero imponente, ma Mel non si fece intimidire, ormai voleva andare in fondo a quella storia.
Melinda prese il foglio dalle mani del buttafuori, lo girò e glielo rimise in mano per far sì che leggesse la scritta sul retro.
Quando lo sguardo dell'uomo cadde sulla parola "Predatrice", la sua espressione divenne di pietra ed il suo atteggiamento mutò, mostrando a Mel tutto il rispetto che una signorina ed un'ospite di riguardo meritavano.
<<Benvenuta al Wild Red signorina, vada pure al bancone e mostri questo anche al barista, lui saprà come aiutarla>> così dicendo, il buttafuori riconsegnò il volantino a Mel e si fece da parte.
<<Grazie>> si accomiatò la donna andando dritta di filato al bancone del bar, dove dovette farsi largo a gomitate tra gli avventori intenti a bere e a chiacchierare con signorine decisamente molto socievoli.
Il barman era uno smilzo dai baffetti curati ed i capelli neri impomatati e tirati all'indietro, era un uomo sui quaranta dall'aspetto pulito, che indossava con fierezza la divisa da lavoro: panciotto nero, camicia bianca e farfallino in tinta col panciotto.
<<Cosa prende signorina?>> chiese serio il barista, vedendo che Melinda tentennava nel farsi avanti.
<<Una cedrata>> fu la prima cosa che venne in mente a Mel.
Il barista continuò a fissarla senza muoversi.
<<Un punch?>> provò di nuovo la donna, ma ancora l'uomo non si mosse.
<<Una birra>> concluse decisa Melinda.
Il barista andò a spillarle la bevanda e quando la piazzò sul bancone di legno consunto, proprio davanti a Mel, la donna pagò ignorando la bevanda. Melinda non amava bere, l'alcol le dava subito alla testa. Consumava alcolici solo in rare occasioni e li teneva in casa per gli ospiti, ma cercava di evitarli, per evitare di rendersi ridicola, come purtroppo le era accaduto alcune volte in passato.
Il barman stava per allontanarsi e tornare alle sue faccende, ma Mel lo richiamò:
<<Il suo collega all'entrata ha detto che lei poteva aiutarmi>> Melinda gli mostrò subito il retro del volantino, per evitare altri equivoci.
L'uomo parve sorpreso: <<Lei è Mel Pappas?>>
Melinda annuì.
<<Pensavo fosse un uomo e che potesse darmi una mano, ma una donna...>> il barista sembrava davvero dispiaciuto e contrariato.
<<Allora mi ha mandato lei questo volantino, quindi sa dove si trova la signorina Covington!>> Melinda aveva alzato la voce in preda all'eccitazione. Il barista le fece segno con la mano di stare calma e con un cenno del capo la invitò a seguirlo in un luogo più tranquillo.
Mel era così elettrizzata all'idea di essere ormai sulla pista giusta, che non fece più caso a dove fosse o a chi le stesse intorno e seguì il barista senza esitazione, seguendolo nel retro del locale, dove le facce della gente erano anche peggiori di quelle in sala.
Il barista aveva condotto Melinda in una bisca clandestina, quattro gruppi di uomini giocavano in altrettanti tavoli a carte e a dadi, tra il fumo dei sigari e litri di whisky.
Quando se ne accorse Mel iniziò a sentire il panico stringerle lo stomaco, gli sguardi taglienti e torvi che la raggiungevano di sottecchi non ispiravano nulla di buono. Il barman se ne accorse e la tranquillizzò:
<<Non si preoccupi, lei è mia ospite e nessuno la sfiorerà neppure con un dito. L'ho portata qui solo per parlare, ogni parola che si dice in questa stanza in questa stanza resta, è il luogo migliore per affrontare l'argomento... "Predatrice">> l'uomo aveva pronunciato quel soprannome con un sussurro.
<<Oh diamine, si sbrighi a parlare, io ho bisogno di sapere dov'è la mia amica>>
A quell'affermazione così innocente e sincera, l'uomo reagì scandalizzato e fu Mel ad essere sorpresa questa volta.
<<Lei è un'"amica" della Predatrice? Se fossi in lei non lo direi troppo in giro, certe conoscenze mettono in grossi guai. Comunque, se siete... "amiche", allora mi aiuti e io le dovrò un favore, che, si fidi, è un'offerta allettante>>.
<<Ma sì, ma sì, come vuole, ma ora mi parli di... bhé, di Lei>> Mel non stava più nella pelle, quella storia non prometteva nulla di buono e ora voleva sapere a tutti i costi in quali casini si fosse cacciata Janice.
<<Parlare? Io voglio che se la porti via!>>
<<Allora è qui!>> Mel si sentì il cuore in gola.
Il barman condusse Mel su per una rampa di scale, al piano superiore, dove una dozzina di stanze si affacciavano su un corridoio fatiscente.
<<Il Wild Red non è un albergo, le camere ci servono per gli spettacoli privati, per soddisfare anche i clienti importanti, che necessitano di una certa privacy, -iniziò a spiegare l'uomo- ma dopo una notte al massimo, la gente se ne va. Ho fatto un'eccezione per Lei, perché mi ha pagato bene (molto bene) e perché le dovevo un favore, ma ora basta. E' una settimana che è chiusa qui dentro -il barista si era fermato davanti all'ultima porta sulla sinistra- e io voglio che se ne vada, spaventa i clienti e le ragazze del locale; se è sua amica se la porti via, o dovremo sbarazzarcene a modo nostro. Volevo farlo già l'altro giorno, ma poi è giunta voce che una vecchia conoscenza della Predatrice la stava cercando e siccome, nonostante i guai, la ragazza mi ha portato sempre un sacco di soldi, ho pensato di darle un'ultima opportunità. La faccia sparire da qui>> concluse l'uomo porgendo a Melinda il passe-partout.
Rimasta sola nel corridoio, Melinda realizzò solo in quel momento di essere finita in un bordello in piena regola, le grida ed i rumori che provenivano dalle stanze non lasciavano adito a dubbi. Melinda si sentì a disagio e profondamente imbarazzata. Che diavolo stava facendo Janice là dentro? Mel non era sicura di volerlo davvero sapere e neppure di volerlo vedere con i propri occhi, ma ormai non aveva scelta, doveva affrontare Janice e, a quanto pareva, era al momento l'unica persona interessata a salvarle la vita.
Mel infilò la chiave nella toppa, la girò e aprì la porta. Al suo ingresso nella stanza, nessuno si accorse di lei e Mel rimase impietrita ad osservare la scena.
La stanza era illuminata con una luce soffusa e rossa, una radio trasmetteva musica jazz, che serviva da sottofondo per le danze di due procaci ragazze nude, che si strusciavano tra loro nel bel mezzo della stanza.
L'aria era soffocante, puzzava di chiuso, alcool, fumo e sesso; l'unica finestra era chiusa perché rotta e con le ante serrate; il mobilio consisteva in un tavolino che fungeva da bar, ed un divano logoro. Bottiglie vuote, o rovesciate e rotte erano sparse un po' ovunque, in alcuni casi era chiaro che erano state gettate contro le pareti; mozziconi, cenere, avanzi di cibo tappezzavano il pavimento.
L'attenzione di Mel, però, era fissa su Janice e non riusciva a scuotersi da quella vista.
La donna era abbandonata in mezzo al divano, con la camicia aperta e i pantaloni sbottonati, il sigaro che le si trasformava in cenere tra le labbra bianche e secche; in una mano una pistola (una Luger, eppure Mel era sicura che Janice avesse un revolver) e una bottiglia di gin quasi vuota nell'altra, mentre una ragazza stretta al suo fianco la palpeggiava rudemente baciandole il collo.
Janice aveva la testa appoggiata allo schienale e lo sguardo fisso sulle altre due ragazze che ballavano e davano spettacolo nel centro della stanza; quello sguardo però era vuoto, gli occhi  arrossati e lucidi, annebbiati e spenti, rivelavano uno stato catatonico. Com'era magra e pallida, le si vedeva il costato ed il viso era grigio e gli occhi tumefatti, i lunghi capelli biondo ramati erano sciolti, scarmigliati e sporchi.
Mel ebbe il terribile sospetto che l'amica si stesse uccidendo. Volontariamente o inconsciamente non lo sapeva, ora sapeva solo che il furto alla collezione Zimmerwald era stato una fortuna, altrimenti che ne sarebbe stato di Janice?
<<Scusate signorine, il vostro turno qui è finito>> disse severa e imperiosa Melinda, disgusto e disapprovazione erano inequivocabili sul suo volto e nello sguardo ceruleo e tagliente dietro ai grandi occhiali a coda di rondine.
Le ragazze del locale si voltarono tutte e tre a guardarla, Melinda mostrò il passe-partout e le ragazze riconobbero il portachiavi del loro capo e compresero.
La ragazza che era avvinghiata a Janice saltò subito in piedi, si ricompose gli abiti e lasciò la stanza come un fulmine, inveendo contro la sua cliente:
<<Grazie per il cambio, mio dio che schifo, non ne potevo più di quella stronza maniaca!>>
Le ballerine si erano rivestite anch'esse e tenendo d'occhio Janice, impaurite, come se temessero chissà quale reazione, si defilarono lasciando la stanza.
<<Buona fortuna, sorella, con quello scherzo della natura>> aveva augurato a Melinda una delle due, chiudendosi la porta alle spalle.
Janice ebbe un sussulto, il sigaro le era caduto di bocca e le aveva scottato il petto.
<<Cazzo!>>
Janice aveva lasciato cadere la bottiglia, il gin si versò prima sul divano e poi in terra, mentre la donna si puliva il petto scottato.
Ripresasi momentaneamente, si guardò attorno. La musica allegra stonava con quell'ambiente squallido. Janice barcollò ubriaca ed intontita fino al tavolino, dal quale prese un'altra bottiglia di gin e aprendola si lasciò ricadere sul divano, sdraiandosi.
La donna, bevendo sdraiata, si sbrodolò con l'alcolico e poi tossì perché le era andato di traverso.
<<Merda>>  esclamò, con la bocca impastata.
Melinda era ancora impalata davanti alla porta chiusa alle sue spalle, gli occhi erano inondati di lacrime, che le solcavano copiose il viso.
Mel credeva che Janice non si fosse accorta della sua presenza, ma improvvisamente la donna si mise a ridere, di una risata isterica che si trasformò altrettanto irrazionalmente in un ringhio feroce:
<<Che aspetti spilungona, se è il tuo turno di farmi divertire, fallo!>> Janice stava sventolando in aria la sua Luger.
Mel si avvicinò al divano, cercando di mantenere la calma; i sentimenti di cui era pervasa erano forti e contrastanti, il suo animo era scosso, provava pena e dolore per le condizioni dell'amica, ma anche rabbia perché si era ridotta così.
"Perché se stavi male non sei tornata da me?"
<<Allora?>> chiese spazientita Janice mettendosi a sedere.
<<Janice, Janice sono Melinda.>>
<<Non mi interessa chi sei spilungona, inizia a ballare, a spogliarti e a fare il mestiere per cui ti pago!>> Janice reclinò la testa indietro e si portò di nuovo alle labbra la bottiglia, ma Melinda non si tratte più. Strappò di mano all'amica quella maledetta bottiglia e la gettò a terra insieme alle altre, quindi fece partire un sonoro schiaffo che lasciò Janice interdetta ed immobile con la testa girata di lato.
<<Janice, sono Melinda>> ripeté Mel con la voce rotta dal pianto.
Janice smise di respirare e sentì lo stomaco contrarsi dall'emozione e dal dolore, mentre girando lentamente la testa e alzando lo sguardo realizzò che quella donna era Melinda Pappas.
<<Mel...?>> anche gli occhi di Janice si colmarono di lacrime, l'emozione e la vergogna la sconvolsero dal profondo.
Janice cercò di alzarsi per correre al bagno, ma inciampò nei propri piedi finendo ginocchioni e vomitando lì dove si trovava. Melinda si prodigò subito per darle una mano e la fece alzare aiutandola a raggiungere il bagno, dove il puzzo di quel luogo per poco non fece vomitare anche lei.
Janice rimetté più e più volte nella tazza, mentre Mel le teneva la fronte sudata e febbricitante e tirava la catena dello sciacquone.
Lo sforzo fece quasi svenire Janice, che Melinda dovette riportare sul divano praticamente di peso; cercò qualcosa con cui rinfrescare il viso dell'amica, ma non volle toccare gli asciugamani del bagno, il cui aspetto non prometteva nulla di buono. Trovò nella stanza un bicchiere che sembrava pulito, del resto Janice, come aveva potuto notare, beveva a collo.
Riempì il bicchiere di acqua e tornata accanto all'amica le schizzò il liquido fresco sul viso con le dita.
Janice sembrò riaversi un poco, cercò di tenere gli occhi aperti e mugugnò parole incomprensibili.
<<Ti porto via da qui, Janice>> le disse Melinda, riabbottonandole premurosa i pantaloni e la camicia.
Cercò per la stanza gli effetti personali dell'amica, ma non trovò nulla, molto probabilmente le sue  "ragazze" si erano portate via qualche ricordino.
Non poteva farla uscire così, il clima era ancora troppo freddo per stare in camicia in piena notte e non prendersi un raffreddore, in più il fisico di Janice era già debole e provato.
Mel decise allora di nascondere la pistola di Janice nella propria giacca e di farla indossare all'amica.
Quando furono pronte, Mel cinse Janice per la vita e si fece passare un suo braccio attorno alle spalle; la considerevole differenza di altezza rendeva scomoda quella posizione per camminare, Janice arrivava appena al metro e sessanta, per di più la donna faticava a reggersi sulle sue gambe, ma era dimagrita così tanto che Mel riusciva a sostenerne tranquillamente il peso.
Lasciarono la stanza e percorsero il corridoio, nelle altre camere, le feste erano chiaramente ancora in corso, Melinda non vedeva l'ora di abbandonare quel luogo.
Le due donne incespicarono e quasi caddero per le scale, ma appoggiandosi con una spalla al muro, Mel riuscì a restare in piedi e sorreggere Janice, che ormai aveva perso del tutto conoscenza.
Ad attenderle in fondo alle scale c'era un giovane garzone, avrà avuto a malapena sedici anni.
<<Il capo mi ha detto di accompagnarvi fuori dalla porta sul retro, ad attendervi c'è un taxi>>
Mel cercò di sorridere, evidentemente per quella gente si trattava di una un grande gentilezza.
Mel mise Janice sul taxi, nessuno si era offerto di darle una mano, ma la donna ormai non si stupiva più di nulla. Dopo quella sera, non ci sarebbe più stato molto in grado di scandalizzarla.
Mel prese posto accanto a Janice e diede il proprio indirizzo all'autista, poi si sistemò sul sedile e strinse a sé l'amica con la tristezza che le attanagliava il cuore.
Quando furono finalmente tranquille e al sicuro nell'appartamento di Melinda, la prima cosa che la donna fece fu preparare un bagno caldo per l'amica.
Janice era ridotta come la stanza da cui l'aveva portata via, era altrettanto sudicia ed aveva anche lo stesso lezzo di sudore vecchio, alcool misto a fumo e sesso da quattro soldi.
L'odore della disperazione... Mel trattenne ulteriori lacrime e si fece forza, si tolse le scarpe, gli occhiali e la giacca del tailleur, avvolgendosi le maniche della camicetta fino ai gomiti; fece alzare Janice dalla poltrona in salotto e la condusse in bagno. Ora era completamente addormentata e rilassata, Mel ebbe l'impressione che Janice sapesse di essere ormai al sicuro e tra le braccia di qualcuno di cui potesse fidarsi ciecamente.
Mel svestì completamente l'amica, notando graffi e lividi sparsi un po' su tutto il corpo magro e trascurato, tremando al pensiero di come se li fosse procurati.
Quando fu immersa nell'acqua calda, Janice si svegliò un poco, ma era evidente che non connetteva, dallo sguardo perso era chiaro che non sapeva dove si trovasse, guardando Mel prima sorrise, poi scoppiò in lacrime. Mel cercò di rassicurarla, mentre la lavava come fosse una bambina, e tentò di tenerla sveglia raccontandole di cosa aveva fatto da quando non si erano più viste. Mel sapeva che Janice non l'ascoltava e che non se lo sarebbe mai ricordato, ma non era un problema. Quando Janice fosse stata di nuovo in forma avrebbero parlato di molte cose.
Mel asciugò Janice e le fece indossare una delle sue camice da notte, quindi la sistemò nel proprio letto; non volendo lasciarla neppure per un istante, Mel si mise anch'ella una camicia da notte e si infilò sotto le coperte accanto all'amica, abbracciandola stretta. In quel momento pianse di nuovo, realizzando quanto vuoto ci fosse stato senza di lei nella sua vita e di quanto fosse stata dura andare avanti l'una senza il sostegno dell'altra.
In breve le due donne caddero in un sonno profondo, senza sogni, ma tranquillo come non accadeva loro da molto, molto tempo.

Janice si svegliò di soprassalto, colta in pieno sonno dalla terribile sensazione di cadere nel vuoto. Aprì gli occhi e vide filtrare dalle persiane il chiarore dell'alba, richiuse gli occhi colpita dal dolore alla testa di una sbronza ancora da smaltire. La donna rimase immobile cercando di ricordare dove fosse; di certo quelle lenzuola così pulite e profumate non erano quelle del Wild Red. L'ultimo ricordo che aveva era di essere andata al locale, aver occupato una stanza e poi... e poi solo brutte sensazioni.
Janice cercò di riaprire gli occhi, ma li richiuse di nuovo, non riusciva a capire se il mondo vorticasse più velocemente davanti alla sua vista o dentro la sua testa. Quando cercò di cambiare posizione realizzò di non essere sola. Janice era coricata su un fianco e qualcuno alle sue spalle era abbracciato a lei nella medesima posizione.
La donna tentò di nuovo di ricordare, ma niente! Esasperata inspirò ed espirò a fondo per concentrarsi meglio. In quel preciso istante una rivelazione esplose nella sua mente ed il suo cuore prese a battere all'impazzata. Come aveva fatto a non riconoscere immediatamente quella fragranza, così ben nota, così a lungo amata e desiderata?
Le mani di Janice corsero al braccio allacciato alla propria vita e se lo strinse al petto baciandone la mano; quindi la donna diede fondo al proprio coraggio e si girò su sé stessa il più lentamente possibile per non svegliare l'amica.
Trovandosi di fronte a Mel, così vicina, dopo tanto tempo ed in un'intimità che non avevano mai condiviso, ma che la donna aveva sempre desiderato, Janice fu pervasa da emozioni che non era in grado di spiegare, la cui forza le faceva scorrere brividi per tutto il corpo, come fosse avvolta da elettricità statica, il cuore le batteva folle e quel groppo in gola stava per esplodere.
Janice rimase incantata ad osservare Melinda che dormiva, così vicina poteva sentirne il caldo respiro regolare; la donna prese tra le dita una ciocca corvina di Melinda, tastandone la morbidezza ed assaporandone il profumo silvestre. Janice, oltre quegli occhiali da maestrina, dietro i modi timidi, insicuri e compiti, sotto gli abiti e le acconciature severi e castigati, aveva sempre saputo nascondersi qualcosa di selvaggio ed indomito, di cui Melinda stessa si vergognava e teneva ben nascosto, ma che Janice amava tanto. Poteva vederla anche ora quella parte di Mel: tra i lunghi capelli sciolti e scarmigliati dal sonno, lungo i lineamenti marcati del viso, dalla forza di un corpo atletico, imponente, ma elegante. Una pantera sopita, ingabbiata dalle sue stesse paure.
Janice però sapeva chi poteva essere Melinda in realtà, ne aveva avuta la prova quando Mel, durante il loro primo incontro, era stata posseduta dallo spirito della leggendaria Xena, la principessa guerriera, di cui era una diretta discendente. Quello spirito ribelle e guerriero era parte di Mel, che lei lo volesse o no.
Com'era bella mentre dormiva: rilassata e felice, con le labbra socchiuse in un sorriso pago. Doveva esserle successo qualcosa di bello, o forse stava sognando.
Le due donne erano così vicine, che a Janice sarebbe bastato un nulla per assaporare quelle splendide labbra morbide e calde. Non c'era nulla al mondo che desiderasse di più, ma non le avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai approfittato della sua Mel e l'unica libertà che Janice si prese fu quella di darle un casto bacio sulla clavicola lasciata nuda dal pizzo della camicia da notte, quindi nascose il viso nell'incavo della spalla di Mel e si riaddormentò sperando che quel paradiso non finisse mai.

Quando Janice aprì di nuovo gli occhi, la luce dell'alba era diventata quella del tramonto, aveva dormito tutto il giorno e più che riposata si sentiva intontita dal lungo sonno. Si distese nel letto e non si stupì di essere sola. Era troppo bello sperare che Melinda fosse accanto a lei, doveva averla sognata per l'ennesima volta, però... era stato così reale...
Con uno sforzo si mise a sedere ed un sorriso di soddisfazione le si aprì in viso. Non aveva sognato, quella era la stanza di Mel, quelle erano le sue cose.
"Devo vederla!"
Janice si alzò e ciondolò frastornata fino al soggiorno, dove la tavola era già apparecchiata per la cena, ma non c'era nessuno. Poi, con un'insalatiera colma in mano, Mel sbucò dalla cucina e si bloccò quando vide lo spettro di Janice in mezzo alla sala, che la guardava con altrettanto stupore.
Le due donne rimasero immobili a fissarsi per un interminabile minuto, senza trovare le parole. Alla fine fu Mel la prima a scuotersi e poggiando in tavola l'insalata disse:
<<Buonasera, dormito bene? Siediti a tavola, ti servo subito>> la donna non lasciò all'amica il tempo di replicare e sparì di nuovo in cucina.
Janice, indecisa su come comportarsi, si sedette comunque a capotavola, l'unico posto apparecchiato in realtà.
Mel tornò un attimo dopo e le mise davanti un piatto di brodo fumante. Janice abbassò lo sguardo sul piatto ed iniziò a mescolare il brodo con il cucchiaio per raffreddarlo, ma i suoi modi erano rigidi, gli occhi di Mel puntati su di lei in attesa che dicesse qualcosa la innervosivano. Sapeva che sarebbe bastato un nulla, anche una frase stupida e fuori luogo, del tipo: "Ciao, come stai?"; "Da quanto tempo, che fine avevi fatto, Mel?"; "Ce la siamo spassata insieme 'sta notte, eh?"
Una qualsiasi frase avrebbe rotto il ghiaccio ed il resto sarebbe venuto da sé, Janice ne era certa, ma quanto era difficile il primo passo!
Mel sapeva che l'amica non la stava ignorando, mentre soffiava sul cucchiaio e poi ingeriva il brodo, ma la donna non stava più nella pelle. Dovevano pur iniziare a parlarsi, a chiarirsi!
<<Janice>> iniziò timorosa Melinda.
La posata di Janice si bloccò a mezz'aria, del liquido ricadde nel piatto, la ragazza attese.
<<E' buono?>> chiese Mel.
I nervi di Janice si sciolsero, mentre il calore dell'amicizia le invadeva lo spirito rilassandola. Un sorriso le ammorbidì il volto e, quando finalmente alzò lo sguardo per incontrare quello azzurro e lucido di Melinda, finalmente il ghiaccio sublimò.
<<Sì, è molto buono. Grazie, Mel.>>
Il volto di Mel si illuminò, mentre la sensazione di familiarità che avevano condiviso si stava dischiudendo.
Mel, fu invasa dalla gioia: Janice era tornata!
La donna alzandosi strinse la mano di Janice che era appoggiata sul tavolo.
<<Spero che dirai altrettanto del pollo, temo di aver esagerato con le spezie, vado subito a prendertelo>> Mel corse via eccitata e Janice strinse il pugno nervosamente, non era più abituata al contatto con lei e quel tocco imprevisto aveva fatto scorrere uno sciame di brividi lungo la sua schiena. Mel l'aveva colta alla sprovvista e Janice aveva resistito a malapena all'istinto di contraccambiare quella stretta e trattenerla per non lasciarla più andare.
"Calma Janice, calma" ripeté tra sé la donna, come un mantra.
Mel tornò con una pirofila contenete il pollo arrosto che si era premurata di fare a pezzi in cucina, mentre Janice finiva il primo.
<<Ti servo la coscia?>> aveva chiesto Mel già inforchettando il pezzo del volatile, che sapeva essere il preferito dell'amica.
<<Sì>> rispose compiaciuta Janice, anche se tutte quelle attenzioni stavano diventando imbarazzanti.
Mel vide l'amica guardarsi attorno in cerca di qualcosa: <<Posso aiutarti, ti serve qualcosa?>>
<<Tranquilla, l'ho già trovato>> rispose Janice alzandosi da tavola e raggiungendo il mobile dei liquori.
Mel come un fulmine interruppe il suo servizio e presa la bottiglia dalle mani dell'amica la rimise a posto ed indignata ricondusse Janice a sedere con la forza, spingendola per le spalle.
<<No, no, no signorina Covington, cosa crede di fare?>>
<<Ehi, ma io ho sete>> protestò Janice.
<<Se hai sete, qui c'è dell'acqua fresca. Acqua che faresti bene a bere subito, visto il tuo stato di disidratazione>> disse severa Mel, versandole dell'acqua nel bicchiere, porgendoglielo ed intimandole di prenderlo.
<<Guarda che non c'è niente di più efficace di un brucia budella per riprendersi da una sbronza... e visto come mi sento doveva essere una di quelle colossali...>>
<<Colossale è dire poco, visto lo stato in cui ti ho trovata ieri sera!>>
Nella sala calò di nuovo il silenzio. Era bastato quel semplice accenno alla realtà della situazione per far ridiscendere l'imbarazzo.
Questa volta però fu Janice ad avere il coraggio di farsi avanti.
<<Perché sono a casa tua, Mel? Come sono arrivata qui?>>
<<Non te lo ricordi? - il tono di Mel era tremante ed alterato -Bene, perché neanch’io so come sei arrivata qui! Ti ho trovata ubriaca, sudicia e semi-svenuta davanti alla mia porta di casa.>>
A Mel pianse il cuore doverle mentire, ma non voleva che Janice si sentisse costretta a raccontarle i guai in cui si era cacciata, voleva che la donna le parlasse spontaneamente dei propri problemi, quando fosse stata pronta; quindi preferì sorvolare e censurare tutto quanto era accaduto la notte precedente.
Janice non dubitò delle sue parole, era del tutto probabile che al Wild Red volessero sbarazzarsi di lei, ma come avevano fatto a sapere di Melinda? Perché non l'avevano semplicemente buttata in mezzo ad una strada, o peggio, in qualche canale, com'era più plausibile?
<<E' probabile che gli amici con cui stavo facendo baldoria si siano stufati di me e mi abbiano scaricata come un pacco, ma, Mel, come facevano ad avere il tuo indirizzo?>> chiese Janice sentendo che in quella storia c'era qualcosa che non quadrava.
Melinda rimase spiazzata, avrebbe voluto essere lei a fare le domande e ad avere delle spiegazioni, ma Janice aveva ribaltato la situazione ed ora la scrutava con uno sguardo indagatore dal quale Mel fu intimidita e non poté fare a meno di spifferare tutto subito.
<<Ecco, io... sì, dunque... No, non è un caso che i tuoi "amici" ti abbiano portata qui...>> Accidenti! Mel non avrebbe voluto toccare subito l'argomento, ma Janice aveva quello sguardo truce e cupo che la spaventava. Il verde degli occhi di Janice sembrava essere diventato più scuro e profondo, Mel poteva vedere la belva iniziare ad agitarsi nell'abisso, perché aveva fiutato qualcosa di anomalo nell'aria.
<<Allora...?>> la spronò Janice con un ringhio profondo e cavernoso che fece venire i brividi alla donna.
Melinda si irrigidì sulla sedia, la sua schiena si mise sull'attenti, ma i suoi occhi si abbassarono, non potendo reggere quelli di Janice.
<<Io ti stavo cercando già da un po' di tempo, ma non riuscivo a trovarti, così ho sparso una voce nel tuo ambiente>> rispose Melinda tutto d'un fiato e trattenendo il respiro in attesa della reazione di Jenice.
<<Quale voce, Mel?>>
<<Ho detto che avevo un pezzo "rubato" dalla collezione di mio padre e che ti stavo cercando per piazzarlo, visto che tu eri interessata ad esso.>>
<<Poco ortodosso, ma a quanto pare ha funzionato... invece il vero motivo per cui mi stavi cercando è...?>>
Mel esitava, non aveva il coraggio di dire la verità a Janice, temeva la sua reazione. Si rendeva conto solo ora di quanto fosse stata meschina nell'aver associato anch'ella a Janice la figura di una contrabbandiera e di una persona poco raccomandabile invischiata naturalmente in traffici illeciti.
<<E' stata rubata una statuetta da una collezione che mi era stata affidata dal museo in cui lavoro e ho pensato che tu potessi saperne qualcosa, o quanto meno sapere come fare per ritrovarla.>>
Janice divenne di pietra per la rabbia, Mel poteva sentire l'aria ribollire della sua collera.
<<Tu non stavi cercando me! Tu avevi bisogno della Predatrice!>>
Janice afferrò il bordo del tavolo stringendo fino a farsi sbiancare le nocche e spinse indietro la sedia.
<<Dove sono i miei vestiti?>> chiese alzandosi e cercando di non lasciarsi sopraffare da una rabbia dolorosa. Melinda non voleva lei, voleva il mostro che l'avevano costretta a diventare, pur sapendo quanto lo odiasse?
Da lei non se lo sarebbe mai aspettato e tanto meno poteva sopportarlo.
<<I tuoi abiti sono in bagno ad asciugare, li ho lavati in mattinata, ma Janice aspetta>> Melinda si era alzata a sua volta, precipitandosi a fermare l’amica.
Voleva spiegarle, Mel voleva che capisse quanto ora, la cosa che le importava veramente, fosse riaverla al suo fianco. Nel momento in cui Mel aveva rivisto Janice, la statuetta rubata non era più stata nei suoi pensieri. Le sue preoccupazioni ora erano tutte per Janice, Janice Covington, la sua vecchia amica. Janice, non la Predatrice!
Janice si era chiusa nel bagno, aveva preso i propri abiti, che Mel aveva lavato e steso sopra la vasca.
Tutte quelle premure ora le facevano solo del male.
Anche indossare i suoi stessi abiti, i quali avevano preso il medesimo profumo di quelli di Melinda, la faceva infuriare di dolore.
Melinda l'aveva cercata solo perché aveva bisogno di lei!
Uscendo dal bagno, Janice trovò la donna davanti alla porta, ma la ignorò e si guardò intorno:
<<Le mie scarpe?>>
Mel indicò un mobile accanto alla porta d'ingresso e seguì Janice che lo raggiungeva.
<<Janice, ti prego, lascia che ti spieghi, io...>>
Janice si voltò di scatto verso di lei e le puntò contro l'indice:
<<No, non voglio sentire una parola!>>
Quando Janice se ne andò sbattendo la porta, Mel rimase interdetta da quanto era appena accaduto. Com'era possibile dagli abissi raggiungere le stelle e poi precipitare agli inferi, tutto in un solo giorno? Mel si lasciò sprofondare nella poltrona della sala e lì rimase senza neppure la forza di pensare. Perché era sempre tutto così difficile con Janice?
Melinda era così perplessa da non riuscire a versare neppure una lacrima; fino ad un attimo prima Janice era di nuovo con lei e poi, in pochi secondi se ne era andata infuriata, dalla sua vita, ancora una volta. Ogni volta era sempre più dolorosa della precedente. Quanto ci avrebbe messo questa volta a riprendersi? Perché Janice non riusciva a stare con lei, valeva davvero così poco come amica, per lei? Eppure Melinda con Jenice al proprio fianco si sentiva completa.

La Predatrice si buttò in strada, lo schiaffo di aria fresca della sera placò i suoi bollori, ma accentuò le pene dell'anima.
Senza un soldo in tasca dovette attraversare mezza città a piedi per raggiungere l'appartamento che aveva preso in affitto neanche un mese addietro.
"Appartamento" era un termine esagerato per quell'unica stanza con bagno, spoglia e trascurata. Janice ci aveva dormito poche notti, forse più giorni, che notti, ma non ci si era fermata gran che. Gli ultimi guai la marcavano stretta e l'avevano portata a rintanarsi al Wild Red.
In realtà quella stanza era solo un deposito per gli ormai pochi effetti personali che si portava appresso, come gli abiti di ricambio che anche in quel momento era passata a prendere.
Janice prese il suo borsone da viaggio da sotto il letto e lo riempì con tutte le sue cose, l'unica soluzione ormai era sparire.
I guai che aveva in città non si potevano più sistemare e poi la storia di Mel...
Janice scosse la testa e ricacciò subito il pensiero di lei nella gabbia che gli aveva appositamente costruito in un angolo del suo cuore. Un angolo che volontariamente non avrebbe mai visitato.
La donna chiuse il borsone e se lo mise in spalla decisa ad andare fin dove le poche banconote di cui disponeva erano in grado di portarla.
E non la condussero più in là di due isolati, direttamente in uno dei locali che Janice era solita frequentare. La donna fece un cenno al barista che le diede l'ok per entrare in una sala privata. Una sala messa a disposizione delle donne che condividevano gli stessi gusti di Janice.
Ufficialmente la legge avrebbe riservato loro la galera, ufficiosamente la gente "normale" garantiva solo il peggio, ma in tempi difficili come quelli in cui vivevano, i soldi erano soldi, da qualsiasi mano essi provenissero.
Da che mondo e mondo era sempre la stessa storia, la gente ti sputava in faccia insulti, odio e disgusto, ma l'ipocrisia e i soldi garantivano comunque qualche piccolo, anche se effimero, angolo di paradiso.
La brama di soldi generava attività illecite, che garantivano piaceri illeciti.
"Benedetta sia la natura umana", pensò Janice sedendosi ad un tavolino defilato della sala.
La donna ordinò un whisky liscio, scrutò le facce che la circondavano, alcune note, altre mai viste, ma nessuna di cui doversi preoccupare. Le donne in sala erano tutte prese dalla loro serata, nessuna sembrava essersi accorta di Janice, che decise di ritirarsi nei propri pensieri accendendosi l'ultimo sigaro rimastole e calandosi sulla fronte il proprio fedora per ribadire che voleva essere lasciata in pace.
I soldi erano terminati con l'alcool che si stava rigirando tra le dita, ma non era quello a tormentarla; il giorno seguente avrebbe iniziato a fare la fame, girovagando senza futuro per le strade della città, cercando una via di fuga da sé stessa, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare, anzi, il pensiero che così ardentemente stava cercando di cacciar fuori dalla propria mente era "Melinda". Davvero avrebbe lasciato nei guai un'amica che le aveva chiesto aiuto?
<<Non ti va di offrirmi da bere questa sera?>> squittì una giovane voce civettuola.
Una ragazza dai boccoli biondi aveva preso posto accanto a Janice e le ammiccava sorridente, con occhi lucidi e frivoli.
"Addio pace e tranquillità".
<<Candy, non ho un soldo, ne per pagarti da bere, ne per il resto...>> chiarì subito Janice.
La ragazza si strinse nelle spalle e fece un broncio infantile e lezioso.
<<Davvero non ti va un po' di compagnia, Jan? Non ci credo. Comunque, sai che a me farebbe piacere lo stesso, anche se non...>>
<<Candy, ho detto no. Non farmelo ripetere>> Janice fu spietata.
Candy arrossì di rabbia per lo smacco e guardò con irritazione la piccola figura davanti a lei, che non si era ancora degnata di guardarla e di prestarle attenzione.
<<Potresti almeno toglierti il cappello, quando una signora ti parla>> disse stizzita la ragazza.
Janice la guardò da sotto l'ala del cappello e ghignò annoiata:
<<Quando vedrò una vera signora, allora mi leverò il cappello>>.
Candy afferrò al volo il concetto e ne fu offesa e scandalizzata.
<<Sei brava a fare l'uomo, - la schernì la donna, con astio - riesci ad umiliare una donna proprio come farebbe uno di loro>>.
La giovane si allontanò dal tavolo, ancheggiando nervosa nel suo abito da sera bianco, che ne fasciava le forme evidenziandole, sulle spalle pallide e morbide ricadevano una cascata di riccioli biondi che rimbalzavano al ritmo dei suoi tacchi sul pavimento. Candy si rifugiò tra la braccia di una virago in gessato blu che le stava tenendo d'occhio già da qualche minuto.
Janice vide Candy piagnucolare, mentre l'altra donna la teneva amorevolmente per le spalle, per consolarla, ma allo stesso tempo lanciava a Janice delle occhiate di disapprovazione e sfida.
"Guai in vista" pensò Janice.
Janice aveva già visto quella donna, era la sassofonista del complessino che ogni tanto si esibiva in quella sala, Maria era il suo nome, se non ricordava male; Maria aveva un fisico possente, spalle quadrate, come pure il viso, con corti capelli scuri impomatati e acconciati con una riga di lato.
Un attimo dopo Maria era in piedi accanto al tavolo di Janice, piazzata saldamente su due piedi e con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni in attesa.
<<Sei stata maleducata con la mia donna, voglio che ti scusi e che ti levi quel cappello>> intimò la donna in atteggiamento di sfida.
Janice non resistette alla tentazione e, sfrontata, si mise a canzonarla. Con un gesto teatrale si raddrizzò sulla sedia e si tolse il suo fedora portandoselo al cuore, mentre lanciando occhiate beffarde alla sassofonista le disse:
<<Ecco una vera signora, tanto di cappello!>>
La virago afferrò subito Janice per il bavero della camicia e la sollevò dalla sedia come se niente fosse, caricando un gancio destro pronto a colpirla in viso, ma Janice si divincolò dalla presa ed alzò le braccia in segno di resa.
<<Calma, calma, stasera non ho nemmeno voglia di fare a pugni. Vado subito a porre i miei omaggi alla tua signora.>>
Maria parve soddisfatta ed abbassò la guardia per sistemarsi la giacca e raddrizzarsi i gemelli ai polsini, Janice a quel punto le sferrò un dritto alla mascella che le tagliò il labbro e la face barcollare. Maria guardò Janice incredula e furente, mentre si portava una mano alla bocca per tamponare il sangue.
Tutta la sala si immobilizzò, gli sguardi e la curiosità furono tutte per loro. Chi si aspettava un duello per una fanciulla, o chi voleva divertirsi con una rissa, rimase delusa.
A dar man forte a Maria arrivarono il contrabbasso e la tromba, insieme bloccarono Janice per le braccia e la condussero discretamente fuori dal retro, dove Maria si prese la sua rivincita.
Le compari di Maria non mollarono la morsa su Janice, che strattonando nel tentativo di liberarsi ottenne solo che rinsaldassero la presa stringendole le spalle e le braccia fino a lasciarle netti lividi.
Maria le restituì subito il pugno al volto, condito di sputi ed insulti, poi rincarò la dose con una serie di pugni al corpo, ai fianchi ed un dritto, diretto allo stomaco, che lasciarono Janice senza fiato. Le gambe si fecero molli e scivolò in ginocchio, mentre le donne sciolsero la presa lasciandola a terra a rantolare.
A quel punto si fece avanti Candy con un bicchiere di whisky in mano ed il fedora di Janice in testa. La donna prese delle ciocche ramate e fece sollevare la testa a Janice perché la guardasse nei suoi piccoli occhi azzurri soddisfatti e gratificati dalla rivincita.
<<Volevo solo bere una cosa insieme e fare quattro chiacchiere, piccola stronza!>>
Candy strinse il mento e le guance di Janice per costringerla ad aprire la bocca, e non fu difficile. Le dita di Candy infierirono sulla botta causatale da Maria appena sotto il labbro inferiore e Janice storse la bocca soffocando un grido di dolore, che venne anche affogato da Candy che le vuotò in gola tutto il contenuto del bicchiere.
Janice tossì convulsamente, il liquido le era andato per traverso e le bruciava giù per la gola e su per le narici.
Candy si mise a ridere della patetica figura di Janice e per concludere le schiacciò in testa il suo scuro fedora.
<<Tieniti il tuo fottuto cappello e non farti più rivedere!>>
Janice fu lasciata sola nel vicolo; barcollando raggiunse una parete e vi si appoggiò con una spalla cercando di riaversi.
Tra il dolore al costato ed il bruciore ai polmoni, un sorriso le increspò le labbra, ma subito scomparve sostituito da una repentina smorfia di dolore.
Era solo questo che l'aspettava? La sua vita sarebbe finita in una delle risse che non riusciva ad evitare? Nelle quali voleva autodistruggersi, ma in cui faceva di tutto per sopravvivere?
Non era più niente, non valeva più niente, non aveva più nessuno...
In quel momento il pensiero di Melinda ritornò prepotentemente e non poté fermarlo.
Janice si accasciò a terra singhiozzando e bruciando di lacrime e dolore, rannicchiata contro il muro sudicio, di un quartiere grigio e senza speranze. Proprio come lei.

Quando, nel cuore della notte, distesa insonne sul letto ad osservare il soffitto nel buio, richiamando alla mente la felicità che aveva provato la volta precedente che vi si era sdraiata, Mel fu scossa dal suono del campanello di casa, saltò in piedi e corse incespicando nella camicia da notte ad aprire. Non aveva bisogno di guardare dallo spioncino, o di chiedere chi fosse. Mel lo sapeva, il suo cuore lo sentiva.
Le mani le tremavano mentre armeggiava goffa con la catenella prima e con la serratura poi. Era così agitata che quasi non riusciva a girare quella maledetta chiave!
Mel spalancò la porta e lei era lì, in piedi, con uno sguardo mortificato e rosso di pianto, immobile ad attendere di avere il permesso di entrare.
Janice si tolse mestamente il cappello e chinò il capo, ciocche di lunghi capelli biondo rame le scivolarono davanti al viso:
<<Perdonami>>.
Mel, di scatto, afferrò Janice per un polso, la tirò a sé e con l'altra mano le richiuse la porta alle spalle.
Janice si ritrovò pressata al corpo di Mel, che la stringeva per le spalle appoggiando la testa sulla sua.
Melinda si dondolò un poco, con il piccolo corpo della donna tra le braccia, per meglio restare in equilibrio. Janice si sentì avvampare, quando la preghiera di Mel le sfiorò un orecchio con un caldo sussurro:
<<Non farlo mai più, potrei morire>>.
Janice si rilassò, godendo del calore di quell'abbraccio e, lasciando che la sua fronte bruciasse sul petto di Melinda, ricambiò l'abbraccio. Le mani di Janice si stesero sulla schiena di Melinda, assaporando la tensione dei muscoli attraverso la leggera veste di cotone; lente, lasciò che corressero lungo l'incavo della colonna vertebrale, bloccandosi immediatamente appena avvertirono Mel irrigidirsi.
Melinda, afferrando Janice per le spalle la scostò un poco da sé e la fissò sconcertata con sguardo indagatore. Janice imbarazzata cercò la forza di scusarsi, ma fu interrotta.
Melinda la squadrò da capo a piedi e l'annusò scandalizzata.
<<Tu hai bevuto!>>
Janice, spiazzata, non seppe cosa ribattere, in quel momento si sentiva colpevole di tutto. Ed in effetti lo era. Accennò un sorriso teso e reo confesso, ma il gesto goffo le fece storcere di nuovo il viso per il dolore e Mel ebbe anche un'altra conferma.
<<E hai fatto anche a pugni! Janice Covington sei incorreggibile!>> Melinda si portò indignata e addolorata al centro della stanza, voltandole le spalle.
Janice trasse un profondo respiro e decise che era giunto il momento di una svolta.
<<Mel, non ho intenzione di accampare scuse o di giustificarmi, non ho il diritto di fare ne l'una ne l'altra cosa. Non ti mentirò neanche, le cose, come avrai già capito, non mi vanno molto bene. Anzi, ho toccato il fondo questa volta e se non fossi intervenuta tu, io ora... Ti devo la vita, quindi poco importa come me l'hai salvata e perché. Se è il mio aiuto che ti serve, sono più che felice di dartelo.>> Janice esitò in attesa di commenti, ma Mel non rispose.
<<Sempre che tu lo voglia ancora>> Janice ebbe un tremito nella voce, il panico la colse al pensiero che Mel non volesse più avere a che fare con lei.
Le spalle di Mel si rilassarono e la donna si asciugò le lacrime, mentre tornava a rivolgersi all'amica.
<<Certo che lo voglio>> un ampio sorriso illuminò il volto di Melinda, così sincero da generarne uno altrettanto pieno e grato in Janice.
<<Perfetto, allora come posso esserti utile?>>
Melinda fu presa alla sprovvista, si era così concentrata su Janice e i suoi misteriosi problemi, che aveva scordato i propri.
<<Oh, sì... dunque... accomodati, io intanto...>> Mel sparì dalla stanza per andare a prendere qualcosa dalla camera da letto, continuando a parlare, ma Janice non l'ascoltava. La donna appese il cappello all'appendiabiti accanto alla porta d'ingresso, si tolse gli stivali di cuoio e indossò le ciabatte da camera che Mel le aveva fatto trovare accanto al letto quando si era svegliata. Sorrise con dolce ironia, i piedi di Mel erano davvero enormi e Janice letteralmente navigava dentro a quelle ciabatte di pelo rosa confetto.
Mel tornò in sala con delle buste marroni che mise sul tavolo, Janice le si accostò per osservare mentre ne estraeva delle foto.
Mel iniziò a spiegare che si trattava delle foto di tutti i reperti della collezione Zimmerwald, Janice ne osservò qualcuno, mentre Mel continuava a far passare gli scatti per trovare quello che le interessava.
<<Ecco>> Mel porse la fotografia a Janice.
<<Inanna...>> constatò, mentre osservava una statuetta votiva di una donna nuda, con in testa un copricapo con una stella ad otto punte e che impugnava una spiga di grano in una mano, mentre con l'altra si toccava il pube.
<<Esatto, Inanna, la dea sumera della guerra e dell'amore fisico, l'indomita regina del cielo, della terra e della fertilità, il cui culto diffondendosi ne fece evolvere la figura in quelle di Ishtar, Iside e molte altre, fino ad Afrodite, anche se col tempo alcune caratteristiche di Inanna sono state rese meno eccessive, come l'ardore e la...>> Mel arrossì ed esitò.
<<...libido?>> concluse Janice sorridendo maliziosa.
Mel si schiarì la voce imbarazzata: <<Sì, esatto di nuovo.>>
<<Perché rubare proprio questa statuetta, ha forse qualcosa di particolare?>>
<<Non che io sappia, speravo potessi aiutarmi tu.>>
Janice scosse lentamente il capo, mentre continuava ad osservare concentrata la fotografia.
<<No, sai che le civiltà mesopotamiche non sono la mia specialità. Non erano neanche la tua una volta.>>
<<Già, ma o questo, o la disoccupazione. Anche se questo mi ci ha portato comunque alla disoccupazione.>>
<<Davvero questa statuetta non ha nulla di caratteristico?>>
Melinda scartabellò velocemente gli indici di due tomi che aveva portato insieme alle buste, le descrizioni e la catalogazione di ogni pezzo.
Sistemandosi gli occhiali sul naso con un rapido gesto ormai inconscio, Mel si mise a scorrere la descrizione. Janice attese osservando l'espressione seria della donna, che a tratti increspava le labbra, o aggrottava la fronte. Infine sollevò un ciglio con un espressione curiosa.
<<Uhm...>>
<<Uhm, cosa?>> chiese Janice.
<<La descrizione fa riferimento ad una leggenda circa questa statuetta, non è molto, ma è l'unica caratteristica particolare del reperto.>>
<<Le leggende portano sempre un sacco di guai.>>
<<E questi sono i guai dai quali dovresti iniziare a stare alla larga; - asserì Melinda continuando a leggere e riassumendo a Janice i dettagli fondamentali - qui dice che la statuetta sarebbe la chiave per ritrovare l'oro di Inanna.>>
<<Un tesoro?>> ripeté enfatica Janice sfoggiando un sorriso eccitato, mentre nei sui occhi si riaccese una scintilla. <<Che tipo di tesoro?>>
Mel guardò Janice con disapprovazione. <<Qui non lo dice e non dice nulla di più.>>
<<Peccato>> sospirò Janice piantandosi le mani sui fianchi ed iniziando a camminare avanti ed indietro per la sala con aria pensierosa.
<<Potrei trovare altre informazioni al museo, ma dubito che mi ci faranno mettere di nuovo piede>> disse sconsolata Melinda, mentre risistemava le foto nelle buste.
<<Ma certo! Perché non ci ho pensato subito. Von Herzel!>> gridò Janice, facendo sobbalzare Melinda.
<<Chi?>>
Janice tornò verso Mel, guardandola con occhi scintillanti ed eccitati, una caccia archeologica le accendevano lo spirito e la riempivano di vita; Melinda adorava vederla così.
<<La moglie del professor Von Herzel, Althea Von Herzel, è stata la mia mentore, ora è in pensione, ma se c'è qualcuno che ancora ci può dare una mano nella comunità archeologica, quella è proprio lei ed in più è una vera esperta dell'argomento>> concluse Janice.
<<Si occupava di civiltà mesopotamiche?>> chiese Mel.
<<No, si occupava di antiche divinità sessuali e amorose.>>
<<Ah...>> Mel distolse lo sguardo imbarazzata e fece finta di risistemare le carte già in ordine.
Janice colse al volo la disapprovazione della donna.
<<Guarda che non è un argomento frivolo come tu possa pensare, gli studi di quella donna sono seri e mettono in luce insospettabili legami tra le diverse civiltà e il diverso modo di trattare l'argomento. E poi, tu conosci qualcun'altro che ci possa aiutare?>>
Mel sospirò per l'ennesima volta, sconsolata, scuotendo la testa.
<<C'è un piccolo problema però>> aggiunse Janice.
<<Quale?>>
<<La Professoressa Von Herzel è tornata nella sua Svizzera alcuni anni fa, sarà un bel viaggetto per una chiacchierata dagli esiti incerti. Cosa ne dici?>>
Mel si guardò attorno, l'appartamento era caldo, la notte fuori era tranquilla e Janice era lì a dividerla con lei, chiacchierando amabilmente di archeologia. Poteva desiderare di più?
Sì, che tutto questo continuasse in futuro. Se per trovare una pista per le sue ricerche era necessario sorvolare l'oceano lo avrebbe fatto, sì, lo avrebbe fatto perché Janice era lì con lei pronta ad imbarcarsi in quell'avventura, forse senza esiti, ma insieme! Proprio come Melinda aveva desiderato.
<<Andiamo!>>
Melinda ricambiò lo sguardo infiammato ed elettrizzato di Janice, provocando un turbamento nella piccola archeologa, che fece un passo in dietro cercando di mascherarlo.
<<Perfetto allora è deciso. Partiamo domani?>>
<<Sì, domani ci muoveremo subito per andare dalla tua vecchia amica, quindi ora a dormire! E' stata una lunga giornata e domani ce ne aspetta una ancora più impegnativa>> Melinda si era già recata in camera da letto, ma Janice era rimasta immobile in salotto. Non vedendola arrivare, Mel si sporse sull'uscio.
<<Che fai, non vieni?>>
<<Io? No, ehm...>> Janice prese a guardarsi attorno nervosamente, <<no, io non voglio disturbarti ancora, dormirò qui, sulla poltrona.>>
<<Sulla poltrona? Non dire sciocchezze, nel letto ci stiamo comodamente in due, sei mia ospite, non posso lasciartelo fare. Se proprio, dormirò io sulla poltrona.>>
<<Mel?>>
<<Cosa?>>
<<E' una poltrona, io ci posso stare, tu no. E poi, te lo chiedo come un favore, vorrei stare un po' da sola per schiarirmi alcune idee.>>
Melinda stava per reiterare la protesta, ma Janice la interruppe subito:
<<Mel, per favore.>>
Janice era decisa e Mel non insistette oltre, non voleva contrariarla e causarne l'ennesima fuga.
<<Come vuoi, ti porto il pigiama.>>
<<Grazie.>>

Fine prima parte




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