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DISCLAMER: I personaggi di Janice, Melinda, Xena, ed alcuni che possono “vagamente” ricordare Ares, Aphrodite ed Eli, sono copyright della MCA/Universal Renassiance Pictures. I personaggi sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e per rendere omaggio a quegli splendidi personaggi, il che significa: non c’è alcun fine di lucro.

EPISODIO DI RIFERIMENTO: Xena e le antiche pergamene (The Xena Scrolls) – Stagione 2, Episodio 10.

RIFERIMENTI STORICI: ho cercato di fare del mio meglio per non incappare in errori storici, ma se ne trovate fatemi sapere. Gli unici personaggi storici reali citati sono Rita Hayworth e Seton Lloyd, ai quali va tutto il mio rispetto e spero nessuno si senta offeso dal vederli citati in questo contesto (di nuovo, se qualcuno ha qualcosa da dire, beh, me lo dica pure).

VIOLENZA/SESSO: scene violente o a sfondo sessuale, sì, sono presenti, ma non sono gratuite e neppure eccessive (almeno… credo), comunque a qualsiasi ora in TV ed in internet trovate di peggio! Viene di seguito rappresentata una storia romantica (in tutti i suoi aspetti) tra individui dello stesso sesso, quindi, se la cosa vi disturba, o per qualche motivo vi è proibito leggere cose di questo tipo… basta chiudere la pagina.

Per qualsiasi commento (sempre bene accetti), nota, o altro che non mi viene in mente adesso, potete scrivermi all’indirizzo email:

lesta.mancina@gmail.com

Oppure potete passare a farmi un saluto su Facebook …vi basterà chiedere di Lesta Mancina.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

 

CHI RITROVA UN'AMICA, TROVA UN TESORO

di LESTA MANCINA

 

PARTE III (ULTIMA PUNTATA)

Auto, aereo, nave, treno, calesse. Melinda aveva creduto che non sarebbero mai arrivate a Nassiriya, in Iraq. Ma quando infine il facchino le depositò i bagagli nella camera del piccolo albergo e la lasciò sola a contemplare il panorama di case in mattoni color sabbia e dai tetti piatti, con sullo sfondo lo scorrere lento dell’Eufrate, Mel, appoggiandosi al parapetto del terrazzino, poté esclamare soddisfatta: <<Finalmente giunte a destinazione!>>


<<Già>> convenne Janice dal terrazzino della stanza accanto a quella di Mel, sedendosi sul parapetto, mentre si accendeva un sigaro per farsi una rilassante fumata.

Janice si era già messa comoda, si era tolta gli stivali rimanendo a piedi scalzi con i pantaloni arrotolati fino al ginocchio, si era legata i lunghi capelli biondo rame in una coda alta e, tolta la camicia dai pantaloni, ne aveva slacciato tutti i bottoni tranne quello sul seno. A quel punto il panorama non era poi più così interessante per Melinda e il caldo già intenso del clima mediorientale divenne improvvisamente insostenibile.


<<A che ora abbiamo appuntamento con l’amico di Althea, Helmi El Mandhur?>>

<<Eh? …Ah, sì, scusa… per cena, alle otto. Ha chiesto di poter essere ospite qui da noi in albergo ed io ho pensato che fosse una buona idea.>>


Mel non si era accorta di essersi incantata ed ora Janice la stava fissando con una strana luce negli occhi. Melinda arrossì violentemente e per nasconderlo abbassò la testa e rientrò alla svelta nella stanza mugugnando qualcosa su fatto che era tardi e che dovevano prepararsi in fretta.

Janice rimase un secondo interdetta dal comportamento dell’amica, ma poi scrollò la testa per scacciare qualsiasi tipo di idea e tornò a rilassarsi fumando il suo sigaro.


Era da Losanna che Mel si comportava in un modo più strano del solito nei suoi confronti. Il pensiero che fosse per via delle rivelazioni sul suo passato ancora angosciava l’archeologa, e non sembrava neppure avere presto un spiegazione, Melinda era diventata nervosa, distaccata. Da quell’ultimo abbraccio, dopo che Janice le aveva raccontato di Annika, Melinda non aveva più cercato il contatto fisico con lei, comportamento strano da parte della donna, che abitualmente univa il contatto fisico alla comunicazione, soprattutto con lei. Benché anche solo essere sfiorata da Mel la mandasse letteralmente fuori di testa, non esserlo più era una maggiore fonte di preoccupazione.


Ed una privazione insostenibile.

Janice prese una grossa boccata di fumo e poi la espirò pesantemente.

“Fa che sia solo stanchezza!”


Non solo era arrossita, ma era anche accaldata! Una forte vampata di calore l’aveva colta all’improvviso. Appena fu al riparo tra le mura della sua stanza, Mel si tolse con foga i guanti e le scarpe, lanciò la giacca su una sedia e slacciandosi i primi bottoni della camicetta si lasciò cadere supina sul letto sospirando frustrata. Da quando avevano lasciato la Svizzera, Mel non riusciva più ad essere normale e a proprio agio accanto a Janice.

Se Janice le era troppo vicina, o se sentiva il suo sguardo carezzarle il corpo, o anche quando lei stessa si soffermava più del dovuto ad osservare l’amica, Mel si sentiva avvampare prima, e rigida come un palo l’istante successivo.

“Stupida, stupida, stupida! Rivoglio la mia amica! …e dell’acqua fredda!”


Infondo aveva sempre sospettato che Janice fosse una di “quelle donne”, ma per Mel, Janice era sempre stata Janice. Un donna straordinaria. Aver avuto conferme sulle preferenze sessuali di Janice in quel sudicio night club, non aveva cambiato la loro amicizia, era passato tutto in secondo piano rispetto ai problemi ben più importanti che le angosciavano in quel momento. Ma ora…

Ora che le loro vite erano riprese, scoprire che Janice nutriva quel tipo di attenzioni proprio per lei, e che la loro amicizia non era esattamente quella che aveva sempre creduto, faceva sentire Melinda inaspettatamente confusa. Tutto quello che avevano vissuto assumeva un altro aspetto. Alle volte si sentiva tradita, perché Janice le aveva nascosto la verità, e provava rabbia, ma non durava molto. Quella rabbia si trasformava subito in tristezza. Sapeva perfettamente che se Janice voleva sopravvivere nella loro società, doveva nascondere la sua natura, o quanto meno negare fino alla morte l'evidenza.


Janice fu la prima ad arrivare al bar dell'albergo, dove si sarebbero incontrati con l'amico di Althea. Per ingannare l'attesa si fece servire una birra. Grazie agli dei, Althea aveva trovato loro un alloggio in un albergo europeo. Per quanto l'archeologa apprezzasse la cucina mediorientale, vivere di solo thè non faceva per lei.

Si stava dissetando con grossi ed avidi sorsi quando vide attraverso la schiuma ed il vetro del suo bicchiere qualcuno avanzare deciso, ma con calma, nella sua direzione.

Era un uomo di media statura, sulla quarantina, dai lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle, con una folta barba curata dello stesso colore che gli avvolgeva il viso, nel mezzo del quale spiccava un caldo e cordiale sorriso.


Janice posò il bicchiere e gli sorrise di rimando, stupendosi di sé stessa per non aver avuto una delle sue tipiche reazioni burbere nei riguardi di chi la fissava per un secondo di troppo.

<<La dottoressa Covington, suppongo>> una mano si tese verso la donna.

Janice rispose al saluto e la sua piccola mano fu avvolta prima in una e poi in due grandi mani calde, che enfatizzarono la sincera gioia che l'uomo stava provando nell'incontrare qualcuno di nuovo.

<<Il suo stile è inconfondibile, ed Althea mi ha parlato così tanto di lei che mi sembra di conoscerla da una vita.>>


Janice ebbe un momento d'imbarazzo, le parole dell'uomo la lusingarono. Il suo tono era profondo, lo sguardo limpido e chiaro, non c'era malizia o ipocrisia nelle sue parole e Janice, abituata a sorrisi fasulli e complimenti dalla lingua biforcuta si trovò per un momento spiazzata.

Ma quel uomo la mise subito a suo agio e la donna prese a conversare con altrettanta piacevolezza.

<<Spero che mia zia non le abbia raccontato troppo, ma visto che sembra già conoscermi, passiamo subito a darci del tu, Helmi?>>

<<Con molto piacere, Janice>> rispose l'uomo sorridendo di nuovo ed enfatizzando l'assenso chinando un poco il capo.


<<Bene, che ne dici allora di accomodarci in sala da pranzo? Tra poco dovrebbe raggiungerci anche la mia amica e collega, la dottoressa Pappas.>>

Janice riprese il suo boccale di birra e fece strada all'uomo verso la sala da pranzo.

<<Sì, Althea mi ha scritto del problema della dottoressa Pappas e credo che ci potremo aiutare a vicenda in questa situazione.>>


Avevano appena preso posto a tavola quando anche Mel fece il suo ingresso in sala. Il sole era al tramonto e dalle finestre arabescate entrava una luce calda ed arancione, che gettava intricate ombre sui tappeti dai complicati motivi geometrici. La luce ed i disegni dei tappeti creavano la quinta essenza dell'atmosfera araba di cui un'occidentale immagina essere fatto l'oriente. Gli albergatori erano stati veramente accorti in questo: tutto l'albergo era un tipico albergo europeo, ma la sala da pranzo era un oriente da sogno e quel atmosfera divenne lo sfondo perfetto per la visione che stava attraversando la sala per arrivare da loro.


Melinda si muoveva con onirica lentezza e fluidità, ma forse era solo un'impressione di Janice. La donna indossava una camicetta bianca di cotone dalle maniche lunghe e morbide, ma dai polsini stretti, così da formare delle pieghe fluttuanti lungo le braccia. Dal colletto in stile orientale partiva una casta scollatura che lasciava intravedere solo le clavicole prominenti. Melinda non indossava una gonna come al solito, ma aveva optato per dei pantaloni, bianchi come la camicetta e come la camicia erano morbidi, ma con un'alta fascia aderente che stringeva il ventre piatto e perfetto della donna, e stretti si chiudevano sulle caviglie, lasciando in mostra i lunghi piedi ed i sandali bassi alla schiava.

I lunghi capelli corvini della donna erano legati in una semplice coda bassa, da cui sfuggivano alcune ciocche che ricadevano lungo il viso di Melinda, che non portava gli occhiali ed i suoi occhi avevano assunto una favolosa tonalità viola per via della luce.


Mentre si avvicinava al tavolo, Mel non poté fare a meno di sentire un'ondata di calore partire dal suo addome e diffondersi per tutto il corpo, Janice la stava fissando adorante.

Ed era bellissima, il volto dell'amica era diventato rosso, sembrava aver preso fuoco, proprio come la sua chioma ramata, che quella luce calda faceva sembrare decisamente fulva.

Quando finalmente fu accanto al tavolo, i loro sguardi erano ancora allacciati e persi in una loro dimensione privata, poi le labbra di Janice si schiusero per lo stupore, e per cercare di riprendere fiato. La piccola azione spostò l'attenzione di Melinda dal verde intenso dello sguardo dell'amica alla piccola bocca umida della bevanda che era rimasta sospesa a mezz'aria. Inconsciamente, Mel si umettò le labbra e Janice deglutì pesantemente. Il dolore riuscì a scuoterla e a riportarla alla realtà.


<<Melinda, questo è il nostro contatto qui a Nassiriya, Helmi El Mandur. Helmi El Mandur, le presento la dottoressa Melinda Pappas.>>

Mentre Janice faceva le presentazioni, Helmi si alzò per stringere la mano alla donna che si era appena unita a loro.

Melinda fu colpita dall'aspetto dell'uomo, tipicamente orientale, ma allo stesso tempo con qualcosa di stravagante.

L'uomo indossava un thobe, la classica veste maschile dei paesi arabi, ma a colpirla fu il colore, insolito per quelle regioni, infatti la veste era verde, con ricami ocra di simboli religiosi, abbinata ad un paio di pantaloni porpora scoloriti.


Mentre l'uomo si presentava, sfoggiando un ottimo inglese, si era anche levato il taqiyah, il basso cappello rotondo caratteristico della tradizione mussulmana, che era dello stesso colore della veste.

L'uomo, constatò Melinda, sembrava conoscere perfettamente sia la lingua che le usanze occidentali, probabilmente aveva trascorso molto tempo con gli con gli archeologi europei, o aveva studiato all'estero.

<<Piacere di conoscerla, dottoressa.>>

<<Piacere mio...>>

<<Helmi, chiamami Helmi. Io e Janice, se anche a lei non dispiace, avevamo già deciso di saltare alcune formalità.>>

<<Sono d'accordo anch'io.>>

<<Benissimo allora, passiamo al dunque, ma prima... - con un cenno della mano Helmi richiamò l'attenzione del cameriere - ceniamo.>>


La cena fu squisita e diede modo ai commensali di fare conoscenza. Gli argomenti spaziarono in molti campi, dal personale al professionale, da come Helmi aveva conosciuto Althea Von Herzel, allo stato dei lavori archeologici in Iraq.


Solo quando furono al caffé, Melinda portò la conversazione sull'argomento che le premeva di più:

<<Helmi, dicci degli scavi che state conducendo con gli inglesi ad Abu Shahereyn, e della statuetta della dea Inanna che avete ritrovato. Come Althea ti avrà fatto sapere, io e Janice stiamo cercando la statua gemella di quella che avete ritrovato nel vostro sito archeologico, e che fu rinvenuta a Warka parecchi anni fa. Quella statua è scomparsa da una collezione a New York di cui ero responsabile. Noi pensiamo che quella stessa statua sia stata riportata qui in Iraq, per essere riunita con quella che avete rinvenuto, con l'intento di aprire le stanze segrete del tempio che state riportando alla luce.>>


Helmi annuì sorridendo comprensivo, Melinda si era ricomposta ed aveva assunto un'aria "professionale" per introdurre l'argomento. Janice la vide toccarsi il naso, come per sistemare gli occhiali che ora non indossava.

<<Non ho ancora avuto modo di aggiornare Althea, pensavo di farlo quando avessimo aperto la stanza del tesoro.>>

Anche Janice si raddrizzò per prestare più attenzione. Helmi iniziò a spiegare:

<<Prima di tutto vorrei precisare che le due statue di cui parli non sono gemelle. Quando ho scritto ad Althea ancora non avevo visto il reperto che avevano recuperato, ne avevo solo sentito parlare e gli archeologi inglesi lo avevano catalogato appunto come una statuetta votiva della dea Inanna.>>


<<E invece di cosa si trattava?>> Janice riconobbe una punta di impazienza nel tono di Melinda. L'amica era ansiosa di risolvere finalmente questo mistero e riscattare il suo nome.

Come biasimarla? Almeno lei poteva ancora farlo.

<<Ereshkigal. Quella che è stata ritrovata qui era una statua della dea Ereshkigal, la dea oscura sorella di Inanna.>>

<<L'ombra di Inanna ed insieme il suo complemento, - lo sguardo di Janice intercettò brevemente quello di Melinda - Ereshkigal è la dea della furia cieca e della distruttività, ma rappresenta anche i mesi invernali e la morte della natura. Mentre Inanna ne è la rinascita.>>

<<Quindi abbiamo un tempio dedicato alle due sorelle ed una stanza misteriosa in cui tutti sembrano voler accedere a causa della leggenda di un tesoro.>>


<<Pare proprio di sì. Quando anche i miei colleghi si accorsero dell'errore fatto, ogni dettaglio andò al suo posto e ci rendemmo conto, in base anche a delle iscrizioni nel tempio, che l'altra metà della chiave doveva essere una statuetta votiva di Inanna. A questo punto sono iniziate le stranezze al campo. Gli inglesi insistevano per concentrare tutti gli sforzi nell'esumazione del tempio, ma nessuno ha mai più nominato ne la statuetta di Ereshkigal, ne quella di Inanna. Gli stessi studenti al seguito dei professori ed anche gli scavatori si chiedevano come mai, invece, non ci si concentrasse nella ricerca della seconda statua, o comunque estendendo gli scavi per delimitare gli edifici legati al tempio. Se una delle due statue era stata rinvenuta ad Abu Shahereyn, non c'era ragione di pensare che non fosse sepolta qui anche l'altra.>>


<<E invece la ragione c'era, - disse Janice - sapevano già dove trovare la statua di Inanna.>>

Helmi annuì.

<<Poi il mese scorso arrivarono agli scavi anche degli americani>>.

Mel e Janice si scambiarono subito un rapido sguardo d'intesa.

<<Che genere di americani?>> chiese Melinda, sempre più eccitata.


Di nuovo Helmi sfoggiò il suo sorriso calmo e comprensivo, poteva vedere l'impazienza negli occhi delle giovani donne.

<<Credo proprio il genere di americani che state cercando.>>

<<C'è tra loro un certo Dottor Frank Wollen?>> Melinda doveva saperlo al più presto, stava per impazzire!

Helmi annuì <<E' lui a capo degli americani, ma neppure loro hanno mai parlato di una statuetta e men che meno hanno accennato al fatto di averne una con loro>>.

<<Per forza,- sbottò infine Melinda – quel oggetto è rubato! Ma se nessuno lo ha mai visto qui, o affermato di averlo con sé, non possiamo neppure denunciarli alle autorità! Cosa facciamo adesso?>>


Melinda serrò la mascella per frenare un'ondata di rancore, quello era un sentimento a cui non era abituata e che temeva. Temeva di perdere il controllo, come capitava a Janice, ma lei non era Janice. Non riuscire a gestire le proprie reazioni, perdere il controllo, quelle erano cose che la spaventavano più del sentimento che ne sarebbe stato la causa.

<<Non lo so, ma va fatto al più presto. Gli inglesi e gli americano hanno intenzione di aprire la sala del tesoro tra due giorni. Dopo di che non so che fine farà il vostro reperto.>>


Melinda si morse un labbro pensierosa, Helmi aveva ragione, dopo l'apertura della sala Frank non poteva certo far ricomparire Inanna a New York, sarebbe stato troppo sospetto. Il Signor Zimmerwald avrebbe sicuramente chiesto altre indagini sul caso ed anche uno sciocco come il direttore Mayer avrebbe avviato un'inchiesta interna al museo. L'unica cosa che Frank Wollen poteva fare era "far sparire per sempre" l'oggetto della contesa. E se lo avesse venduto al mercato nero, o peggio, se lo avesse distrutto (cosa di cui Mel non dubitava potesse essere capace), tutte le loro fatiche sarebbero state inutili e sia lei che Janice sarebbero finite in mezzo alla strada costrette per l'ennesima volta a ripartire da zero. Melinda sentiva di non potercela fare.


<<Siamo arrivate appena in tempo, allora>> asserì Janice.

<<Sì, e di questo vi ringrazio>> l'uomo accennò un inchino col capo al quale Janice rispose rigidamente, non era proprio abituata a tanta cortesia ed onestà da parte di un estraneo. Gli estranei con cui aveva a che fare di solito erano di tutt’altro genere.

<<Ma come faremo a... cosa faremo...>>

<<Non preoccuparti Mel, qualcosa ci verrà in mente>> Janice aveva notato l'improvvisa preoccupazione ed ansia di Melinda e per calmarla, senza che Helmi potesse vedere, allungò una mano per afferrare quella che Melinda teneva abbandonata su una gamba, sotto il tavolo.


Melinda sentì la mano di Janice sopra la propria e trattenne il fiato per l'inaspettato contatto. La mano di Janice era così calda e rassicurante e le ricordava che nulla poteva andare male se restavano insieme, ma quando Janice la strinse più forte, Mel percepì la anche la forza di tutti gli altri sentimenti e per l'ennesima volta si trovò in bilico tra emozioni e ragione.


La mano di Melinda era rimasta impassibile al suo tocco, sembrava morta. Artificiosamente inerte e fredda, mentre il resto del corpo si era irrigidito. La gamba di Melinda aveva avuto un sussulto e poi era diventata di pietra, come il profilo della donna. Melinda era rimasta immobile, non si era neppure voltata a guardarla, anzi, era evidente che si sforzava di non farlo.

Janice ritirò la mano, gelata da un terribile presentimento che, come una morsa, si strinse alla bocca dello stomaco della piccola archeologa:

"Lo sa!"


<<Forse può esservi utile sapere che il Signor Wollen ed il resto dei suoi compagni, sono soliti trascorrere le loro giornate ad un caffè gestito da dei francesi e che si trova non molto distante da qui. La presenza degli americani è prevista agli scavi solo il giorno dell'apertura, quindi credo che questa sera e domani, essendo qui in città, li potrete trovare là. Oppure al loro albergo, ecco questo è l'indirizzo>> Helmi, preso un foglietto di carta ripiegato dalla tasca, lo porse a Melinda.

La donna aprendolo vi lesse l'indirizzo dell'albergo di Frank Wollen.

<<Non sappiamo ancora come, ma credo che ci possa essere utile. Grazie, Helmi>> concluse Melinda.


L'incontro ebbe termine ed Helmi, prima di accomiatarsi, rassicurò ancora le due archeologhe sul buon esito della loro missione. Dovevano avere fiducia, le loro intenzioni erano nobili, ed i loro sforzi sarebbero stati ricompensati, in un modo o nell'altro.


<<Ho bisogno di qualcosa di forte per farmi venire un'idea brillante. Vado al bar dell'albergo a farmi un bicchierino, ti unisci a me?>> chiese Janice all'amica, quando furono sole.

<<No... io non... Sono stanca, vado a riposare. Mi dispiace>> gli occhi di Melinda avevano vagato ovunque per evitare quelli dall'amica ed infine, abbassato il capo se ne andò lasciandola sola.

"Mi dispiace? Mi dispiace! E di cosa ti dispiace, Mel?" Janice serrò i pugni per la rabbia e la frustrazione, mentre la guardava andare via.

Un solo bicchiere non era più sufficiente.


= = = = § = = = = § = = = = § = = = =


Tud! Tud! Tud!


Tud! Tud! Tud!


Qualcuno stava bussando alla sua porta insistentemente, anzi, sembrava che qualcuno stesse cercando di abbatterla quella dannata porta! Ma che diavolo di ore erano?

Janice si rigirò tra le lenzuola biascicando versi che neppure vagamente ricordavano parole di senso compiuto. La donna cercò di aprire gli occhi, la stanza era buia e dalle fessure della portabalcone non sembrava neanche che fosse ancora giorno.


Tud! Tud! Tud!


<<...mmm... argh-nate hiaa...>>

Janice si girò pancia sotto e nascose la testa sotto il cuscino.


Dud! Dud! Dud!

"Janice! Sono io, Melinda. Sei sveglia?"


<<...mmmhelll...>> grugnì la donna contro il materasso.

Con uno sforzo titanico Janice tolse la testa dal suo nascondiglio e cercò il suo orologio sul comodino.

5:10!

<<Ma che Diavolo!>>


"Ah, bene! Ti sento imprecare, allora sei sveglia!"

<<Ghrrrr...>> Janice scese dal letto e barcollò verso la porta ed aprendola vi rimase appoggiata cercando di non riaddormentarcisi contro.

<<No, che non sono sveglia! Diamine nessuno è sveglio a questa ora...>>

Mel entrò come un fulmine, frizzante ed eccitata.

<<...tranne te a quanto pare>> Janice non poté fare a meno di notare che Melinda era già vestita, pettinata e pronta per uscire.


Mel andò dritta filata alla finestra e la spalancò, permettendo alla tenue luce del primo mattino di entrare, insieme all'aria fresca.

Janice di riflesso nascose il viso sul dorso della mano con la quale ancora si reggeva contro la porta.

<<No...>> fu l'unico lamento che riuscì ad emettere prima di darsi lo slancio e barcollare di nuovo verso il letto e lasciarvisi cadere sopra a pancia in sotto.

Quando Mel era tornata a guardare l'amica, Janice stava attraversando la stanza per crollare sul letto. La donna indossava solo una grossa camicia da uomo bianca, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e che lasciava scoperte le gambe per un bel pezzo. Per Melinda era ormai chiaro che camicie da notte e vestaglie non facevano parte del bagaglio dell'amica.


<<Ho avuto l'idea brillante di cui parlavi ieri sera!>> Esclamò Mel, mentre cercava di distogliere lo sguardo dai polpacci tonici e ben modellati, esibiti senza vergogna dalla compagna.

<<Alle cinque del mattino?>> biascicò Janice, rotolando su un fianco e sollevandosi su un gomito per guardare in faccia l'altra.

<<No, in realtà penso fossero le quattro. Mi sono presa un po' di tempo per definire alcuni dettagli e rendermi presentabile in pubblico.>>


Janice fece per ribattere, ma scosse la testa sospirando ed abbassando il capo per celare un sorriso. In fondo erano anche queste le bizzarrie che amava di lei, no? E che facevano si che Janice le perdonasse ogni cosa, involontaria o volontaria che fosse.

<<E quale sarebbe questa brillante idea?>> chiese ormai incuriosita Janice, tornando a guardare l'amica.


Mel batté le mani euforica, quasi saltellando, mentre un incredibile sorriso le illuminava il viso di eccitazione.

<<Restituiremo a quel furfante di Frank pan per focaccia! Gli ruberemo la statuetta che ha rubato!>>

A Janice cadde la mascella per lo sconcerto, doveva aver sentito male:

<<Come, scusa?>>

<<Quel manigoldo, donnaiolo senza un briciolo di coscienza avrà quel che si merita>> Mel stava sventolando un pugno in aria, Janice non si ricordava di averla mai vista in quello stato di entusiastica audacia.


Janice saltò in ginocchio sul letto agitando le mani per riportare l'amica coi piedi per terra.

<<Aspetta, aspetta, aspetta! Frena, Mel! Che accidenti significa che "ruberemo"? Si può sapere cosa cavolo hai in mente di fare?>>


Se possibile, il sorriso di Melinda si fece ancora più ampio, mentre si preparava ad illustrare il suo “piano” all’assonnata ed ancora poco lucida amica.


<<Conosco quel borioso vigliacco di Frank, sono sicura che è lui ad avere la statuetta. Anche perché non si aspetta che noi gli si stia alle calcagna. E so anche che è uno di quelli che si porta dietro la chiave della camera d'albergo.>>

Janice temeva dove Melinda stesse andando a parare.

<<Quindi ci basterà solo andare a quel caffé oggi pomeriggio, verso sera direi, quella è gente convinta che per mantenere un certo decoro sia sufficiente iniziare a bere dopo le cinque e trenta>> Melinda, aveva appoggiato il gomito destro sulla mano del braccio che davanti al corpo e con la mano destra si sosteneva il mento, mentre un broncio pensoso aveva portato i suoi occhi a vagare per la stanza, immaginando le scene che stava descrivendo.


<<Mi basterà avvicinarmi a lui, so anche come fare. Sono stata combattuta a lungo, ma per riscattare tutto il mio onore, dovrò giocarmi quel poco che mi resta. Quando quel viscido verme inizierà a fare il viscido verme, io gli sottrarrò le chiavi della stanza, mi defilerò con una scusa e poi andremo a riprenderci Inanna!>> Melinda concluse il suo discorso soddisfatta, convinta della bontà del proprio "piano".


Janice aveva ascoltato sempre più incredula: <<E questo tu lo chiami un piano? Io lo chiamerei suicidio, piuttosto! Mel, tu non sai derubare le persone>> disse muovendo le dita delle mani per mimare uno scippo.

Melinda la fulminò con uno sguardo di sfida, inarcando il sopracciglio sinistro: <<E tu cosa ne sai di cosa so, o non so fare?- disse Mel punta nel vivo, ripetendo lo stesso gesto con le dita fatto dall'amica - Non mi sottovalutare, ho più talenti di quanto non possa sembrare!>>

Janice rimase a bocca aperta, cercò rapidamente una risposta, ma non le venne in mente niente con cui ribattere. Non era ancora abbastanza sveglia e Melinda aveva sempre il potere di confonderla, facendo sembrare sensate anche le cose più assurde.


La piccola archeologa scosse la testa e si mise a sere sul letto incrociando le gambe ed in segno di resa incrociò anche le braccia davanti al petto.

<<Va bene! Ma in tutto questo magnifico piano, ti sei dimenticata di un piccolo particolare.>>

Melinda guardò Janice con aria interrogativa, a cui Janice ribatté con un broncio offeso.

<<Di me. Ti sei dimenticata di me! Si può sapere quale sarà la mia parte nella tua infallibile impresa?>>

Il viso di Melinda tornò ad illuminarsi del sorriso di eccitazione con cui si era precipitata in camera.

<<Ah, ma non mi sono affatto dimenticata di te, tu avrai un compito importantissimo. Tu sarai la mia fedele spalla!>>


<<Io, la "spalla"?>> quella storia diventava ad ogni istante più assurda.

<<Certo, tu sarai nel locale in incognito pronta a coprirmi le spalle in caso qualcosa dovesse andare storto.>>

Janice non riusciva a credere alle proprie orecchie, "sto sognando, sto sicuramente dormendo e questo è uno di quei sogni assurdi che si fanno mentre si smaltisce una sbronza... non può che essere così".

<<E quindi io ora cosa dovrei fare?>>

<<Nulla, -risposa Melinda - io mi preparerò per questa sera, se vuoi puoi prenderti una giornata libera oggi, te la meriti>> Melinda sorrise calorosamente alla donna, ma in realtà anche lei aveva bisogno di prendersi una pausa da Janice per schiarirsi le idee.


Janice la guardava con aria attonita e con un ghigno irritato.

<<Grazie! Ma allora perché mi hai svegliata a quest'ora assurda?>> la voce di Janice era stridente e scandalizzata, con una sfumatura aggressiva che la bionda non era riuscita a trattenere.

<<Per dirti che avevo trovato una soluzione al nostro problema e che potevi dormire tutto il giorno... visto che... visto che ti piace tanto - Mel si sentì subito mortificata -Scusami, ci vediamo nel pomeriggio. Io vado ad allenarmi...>> la donna fece per uscire, ma ripensandoci, ritornò sui suoi passi, richiuse le imposte della finestra della stanza e nel buio, a capo chino, lasciò l'amica al suo riposo.


Quando la porta si fu richiusa, Janice si lasciò cadere all'indietro sul letto "ecco, ho combinato un altro casino, ora dovrò farmi perdonare un'altra volta! Janice, ammettilo, sei un'emerita idiota!" Le intenzioni di Mel erano state quelle di esser gentile e fare una cosa carina per lei, ma ancora una volta Janice aveva reagito in modo brusco, senza prima riflettere. Subito, i sensi di colpa e le preoccupazioni di Janice divennero le protagoniste di un sonno poco profondo e agitato da terribili incubi, ognuno dei quali aveva lo stesso finale: Melinda abbandonava Janice stanca del suo brutto carattere, ma solo dopo averla derisa e fatto a pezzi i suoi sentimenti.


Dopo l'ennesimo incubo, Janice si svegliò di soprassalto, sudata e ansante, con il cuore che batteva un ritmo sconclusionato e terrorizzato.

La donna fissò il soffitto per cinque minuti buoni prima di riuscire a distinguere esattamente quali avvenimenti appartenessero ai sogni e quali invece al mondo reale.

E con suo grande rammarico, Janice fu costretta ad ammettere che sogno e realtà avevano molti punti in comune. "Accidenti a te, Janice!"


Erano le tre passate del pomeriggio quando finalmente Janice si decise a lasciare il letto. Si rinfrescò, si mise degli abiti puliti e dopo tre... quattro... "...no, aspetta! Ancora uno, cinque" respiri profondi, si decise ad andare a bussare alla stanza accanto.


Quando sentì i leggeri tocchi sulla porta, Mel sorrise internamente. Quello era il "suo" bussare mortificato, la donna ormai aveva imparato a riconoscerlo. "Purtroppo", dovette ammettere a sé stessa.

<<Avanti.>>

Janice entrò lentamente, con il cappello in mano, già pronta per uscire.

<<Ciao...>>

<<Ciao!>> il sorriso di Melinda per poco non accecò la piccola archeologa. Mel non era arrabbiata? "Che me lo sia davvero sognato di averla trattata male?"

<<Scusa, Jan, per questa mattina. E' che non stavo più nella pelle dalla voglia di dirti che avevo trovato un modo per...>>

Janice fermò subito l'amica con un cenno deciso della mano, "No, non me lo sono sognato...".

<<Mel, sono io che ti devo chiedere per l'ennesima volta scusa, è che la mattina presto... io...>> Ma quanto erano patetiche quelle scuse?

<<Hai fame?>>

Janice fu presa alla sprovvista <<Sì...>>

<<Perfetto! Neppure io ho ancora mangiato oggi. Abbiamo giusto il tempo di rifocillarci prima di partire per la nostra missione!>> Mel, cercando di sembrare più entusiasta ed ottimista di quanto non fosse in realtà, prese dal comodino la sua pochette ed il cappellino, in tutta fretta prese Janice sotto braccio e la trascinò fuori dalla camera.

Neanche Mel aveva voglia di ricadere in quel circolo vizioso di scuse ed incomprensioni, che finivano col scivolare ogni volta in litigi inutili.

Le due donne avevano una missione da compiere, dal cui risultato dipendeva non solo il futuro di Melinda come archeologa, ma la donna sentiva che anche il suo futuro con Janice era legato alle sorti di quell'avventura.

Janice accettò più che volentieri l'intenzione di Mel di soprassedere al loro piccolo battibecco e si lasciò trascinare via. Anche molto volentieri, dovette ammettere. In effetti si era svegliata con un grande appetito e il desiderio di un po' di sana azione per scaricare le tensioni accumulate negli ultimi giorni.


Davanti ad un pranzo abbondante, ma leggero, Melinda illustrò nel dettaglio all'amica cosa aveva intenzione di fare.

Janice sarebbe entrata nel caffé prima di Melinda e, senza farsi notare, si sarebbe posizionata da qualche parte per tenere sott'occhio la situazione.

Dopo un po' di tempo anche Melinda avrebbe fatto il suo ingresso nel locale, incappando "per caso" in Frank e i suoi amici.

<<Come giustificherai il fatto che ti trovi qui in Iraq? Il tuo amico lo giudicherà quanto meno sospetto, se non è un completo imbecille.>>

Melinda sorrise compiaciuta di sé sessa, aveva pensato a tutto, anche a quello.

<<Ah, ma gli dirò che sono qui grazie all'aiuto di una vecchia amica, una professoressa svizzera di mia conoscenza, che mi ha trovato un lavoro come supplente presso la British School of Archaeology qui in Iraq. Aggiungerò che sono appena arrivata, che non conosco nessuno, che questo strano mondo mi spaventa e che averlo incontrato era un segno del destino, perché l'appoggio di un uomo come lui rappresenta sicuramente la salvezza di una donna ingenua ed indifesa come me.>>

Janice era rimasta incantata e stupita dall'imitazione del tono esageratamente e parodisticamente civettuolo che Mel aveva utilizzato per rappresentarle la scenetta, unitamente ad occhi languidi, ciglia sbattenti e mossette frivole.


E Janice rimase ancora più stupita nel vedere che:

"Se la sono bevuta davvero!"

Janice era entrata nel locale senza farsi notare, proprio come Mel le aveva chiesto di fare. Aveva ordinato una birra e si era messa al bancone dando le spalle alla sala. La donna era all'erta, non si faceva sfuggire neppure il più piccolo movimento nel locale, pur apparendo quasi immobile ed assorta nei propri pensieri agli occhi di tutti gli altri avventori.

In realtà era anche tesa. Janice non aveva avuto il coraggio di dire di nuovo a Melinda che il suo piano era assurdo e rischioso, i pessimi risultati del primo tentativo le erano bastati.


Eppure fino a quel momento stava andando tutto secondo i piani. Anche troppo, pensò l'archeologa. Quel Frank era davvero più viscido di quanto Mel non lo avesse descritto.


Non si era certo fatto pregare troppo nel concedere il proprio "aiuto" alla collega in difficoltà. Le sudice mani di quel tipo sembravano essere ovunque sul corpo di Melinda e Janice sentiva che la gelosia ed il nervoso iniziavano a farle perdere la calma e la concentrazione.

"Calma Janice, glielo hai promesso".

Prima di entrare nel locale, Melinda aveva bloccato Janice per le spalle e guardandola fissa negli occhi le aveva fatto promettere che:

<<Qualunque cosa stupida dica, o faccia Frank Wollen, giurami che non perderai il controllo e non interverrai a meno che non sia io darti il segnale!>> Melinda era seriamente preoccupata a riguardo, Janice glielo aveva letto negli occhi.

<<Certo, hai la mia parola.>>

Promettere era stato facile, ma solo perché Janice non era conscia di ciò l'aspettava. Ora quella promessa le ingarbugliava lo stomaco per la rabbia e le bruciava sulle labbra.

"Le hai dato la tua parola, rilassati cazzo!"


Janice tracannò d'un fiato metà della sua birra per calmare i nervi.

"Mel sa cosa sta facendo! ...almeno spero."

Melinda era sola in mezzo a cinque uomini sghignazzanti e Frank era quello col sorriso più famelico e sprezzante. Alto quanto Melinda, dai corti capelli scuri impomatati e tirati all'indietro. Aveva un fisico asciutto e tratti del viso piacevoli, ma occhi beffardi come quei baffetti sottili. Janice doveva ammetterlo, era il tipo che poteva incantare molte ragazze.

"...e ci è già riuscito una volta anche con Mel..."


Inizialmente Melinda era accanto a lui, Frank l'aveva introdotta a tutti gli altri presenti. La donna era stata abile, Janice doveva ammetterlo, non aveva dato scampo agli uomini e, senza che se ne accorgessero, aveva guidato la conversazione in tutte le direzioni che aveva desiderato.

Janice provò anche dolore ed amarezza, Melinda si stava umiliando recitando la parte dell'oca, tra smorfie e risposte di un'ingenuità ridicola. Una di quelle cose che facevano gonfiare il petto ai galletti e li faceva gongolare di essere maschi.

Janice strinse i pugni e poi ridistese le mani, stirandole sul liscio e umido legno del bancone, "Mel non ha bisogno di nessuno di voi, idioti!" Come era possibile che non vedessero quanto in realtà fosse in gamba quella donna?


Ma era proprio quello il punto. Melinda era così abile, che nessuno avrebbe mai sospettato che li stesse prendendo in giro tutti, dal primo all'ultimo.

E visto che la gara per accaparrarsi le attenzioni della donna più bella del locale era iniziata, Frank non perse tempo e marcò subito il territorio.

L'uomo si era avvicinato sempre di più a Melinda ed aveva iniziato a rivangare il passato per mettere in chiaro le cose e far sapere a tutti che la preda portava già il suo marchio.


Così, pavoneggiandosi davanti ai compagni, Frank si vantò della propria conquista senza farsi remore ad umiliare la collega. E per rendere ben chiaro a tutti che, a suo avviso, ancora deteneva dei diritti su di lei, con disinvoltura e sicurezza cinse Mel per la vita e la strinse al suo fianco.

<<Adesso che ha bisogno, la fanciulla fa tanto la gattina, - iniziò Frank beffardo, mentre Mel arrossiva fino alle orecchie, già sapendo dove sarebbe andato a parare l'uomo -ma io so che quando vuole sa anche graffiare. Anzi, di più, è una puledra selvaggia che mi sono riservato il piacere di domare>>.

Frank e i suoi amici si misero a ridere sguaiatamente ed alzarono i bicchieri per fare i complimenti all'amico, i fischi di approvazione si sprecavano. Mel aveva pregato Janice di stare calma, di non dare nell'occhio e di lasciare fare tutto a lei per una volta. Ma ancora appoggiata al bancone del bar, dando le spalle al gruppo, Janice aveva sentito ogni cosa e osservato quegli schifosi dal riflesso nella specchiera dietro i liquori. La donna strinse di nuovo il suo boccale di birra nervosamente, sentiva la rabbia montarle dalle viscere e darle alla testa, mentre osservava Frank palpare il sedere dell'amica.


<<Scommetto che la mia “compagnia” le è piaciuta così tanto, che è venuta a pregarmi di darle un'altra bella ripassata, eh?>>

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, il sangue le andò dritto al cervello e Janice non controllò più la rabbia:

<<Lurido porco!>> gridò Janice voltandosi e partendo all'attacco.

Utilizzando una delle sedie tra lei e Frank come trampolino, saltò su di essa e dandosi lo slanciò si scagliò contro l'uomo. Mel fece appena in tempo a spostarsi, mentre i due rovinavano a terra.

Janice, seduta a cavalcioni su Frank, lo aveva immobilizzato piantandogli le ginocchia sulle spalle e, riversandogli addosso una fiumana di insulti, gli stava riempiendo la faccia di pugni.

<<JANICE, NO!>> aveva gridato Melinda, ma ormai era tardi, la rissa era scoppiata.


Gli amici di Frank non si fecero pregare e si lanciarono immediatamente addosso a Janice, in due la presero per le spalle e la trascinarono via, mentre si dibatteva come una furia e scalciava a qualsiasi cosa si muovesse attorno a lei senza lesinare in imprecazioni.

Riuscita a divincolarsi, Janice sferrò prima un gancio destro al mento di uno degli aggressori e poi, voltandosi di scatto tirò una ginocchiata all'altro, scagliandolo poi a terra.

Frank si era rialzato e si stava facendo sotto, mentre altri avventori si erano messi in mezzo per sedare la zuffa, peggiorando la situazione. Il caos divenne incontrollabile, le sedie iniziavano a volare. Frank aveva centrato Janice con un pugno in faccia mandandola a sbattere contro il bancone, dove la donna afferrò la sua caraffa e la sbatté sulla testa di Frank mandandolo ko. Uno dei suoi amici aveva rotto una bottiglia su uno dei tavoli e le si era fatto sotto.

<<Voglio vedere quanto ti dona uno squarcio sul tuo bel pancino, Predatrice!>>

Janice sorrise eccitata, non c'era nulla come uno scontro a mani nude per renderla felice; aprendo le braccia invitò l'uomo ad attaccare:

<<Non sto nella pelle, dai amico>>.

L'uomo sventolò un po' la bottiglia tracciando delle X in aria davanti a lei, avanzando per costringerla con le spalle al bancone. Quando Janice non poté più scappare e lui credette di averla in suo potere, affondò il colpo diretto al petto, ma Janice, rapida, schivò di lato, anche se fu presa di striscio al braccio ed il taglio iniziò subito a sanguinare.


Mel in tutto quel delirio cercò a modo suo di dare una mano, un altro degli amici di Frank aveva preso una sedia e stava per attaccare Janice alle spalle.

"Vigliacco!" pensò Mel e lanciando un urlo gli saltò sulla schiena prendendolo al collo, la forza che ci mise li fece ribaltare entrambi su un tavolo, occupato da tre tizi poco raccomandabili, e che si rovesciò a terra insieme a loro. Fortunatamente quegli uomini se la presero con l'amico di Frank e Mel sgattaiolò via.

In tutta la sala volavano pugni, bicchieri e sedie.

Roteando una gamba, con un calcio, Janice fece cadere di mano la bottiglia al suo avversario.

<<Di nuovo ad armi pari, vediamo come te la cavi adesso.>>

L'uomo partì con una serie di pugni, ma Janice riuscì a schivarli quasi tutti, ne aveva accusato uno allo stomaco che l'aveva fatta piegare in due, ma riuscì a mandare a vuoto il successivo al volto, che l'avrebbe mandata sicuramente al tappeto. Approfittando del suo sbilanciamento e della sua guardia abbassata, Janice riuscì a colpire l'avversario con un calcio alla testa ponendo fine allo scontro.

A quel punto si sentì afferrare per un braccio, d'istinto si voltò con il pugno già carico e per poco non lo piazzò in faccia a Mel, Janice si era fermata ad un soffio dal naso di lei.

<<Sei pazza! Non farlo mai più>> inveì Janice.

<<Sì, credo che lo non farò mai più>> rispose Mel pallida in viso per lo spavento, mentre Janice ritirava il pugno.

<<Però ora andiamocene!>> la pregò Mel, guardandosi intorno preoccupata.

Janice, invece, era eccitata da quella confusione. Adorava menare le mani, ma, anche se a malincuore, non oppose resistenza quando Mel l'afferrò di nuovo per il braccio e la trascinò fuori dal locale.


Per ripararsi da occhi indiscreti, le due donne imboccarono un vicolo poco trafficato.

<<Perdonami, ho mandato all'aria il nostro piano, ma quel tizio... Davvero è stato più forte di me. Ora dovremmo escogitare qualcos'altro>> le scuse di Janice erano sincere, aver perso il controllo rovinando il loro proposito le rincresceva davvero, ma... Dio, quanto aveva goduto nello spaccare il naso a quel bastardo!

<<Apprezzo molto che tu abbia voluto difendere il mio onore, anche se ti avevo espressamente chiesto di non intrometterti. Sapevo come si sarebbe comportato Frank, ma il nostro fine era più importante delle parole di un pallone gonfiato.>>

Janice stava per scusarsi nuovamente, ma Mel la interruppe:

<<Comunque, hai solo "quasi" mandato all'aria il nostro piano.>>

Janice si voltò di scatto verso Mel con aria interrogativa e di sorpresa; Melinda aveva stampato in viso un sorriso compiaciuto e furbo:

<<Mentre il nostro amico Frank si prendeva certe libertà con il mio... posteriore, sono riuscita a sfilargli dalla tasca della giacca la chiave della sua stanza d'albergo. Quindi ora è meglio che ci sbrighiamo, prima che se ne accorga, così poi potrò anche medicarti quelle brutte ferite.>>

Mentre Mel parlava, Janice si era accesa il sigaro e presa una boccata di fumo, togliendosi l'Havana dalla bocca, non poté che approvare l'operato di Mel:

<<E brava la mia ladruncola spilungona, dovrò tenermi ben stretto il portafoglio quando siamo insieme.>>

Mel arrossì e sorrise divertita ed insieme si affrettarono verso l'alloggio di Frank Wollen.


All'ingresso dell'albergo in cui alloggiavano Frank e la sua combriccola, Mel si fece passare per un'"amica" di Frank, mostrando le chiavi al concierge e spiegandogli, civettuola, che Frank le aveva chiesto di aspettarlo in camera. L'uomo annuì invidiando il cliente per la bella compagnia che si era trovato e diede a Mel il permesso di salire. Una volta raggiunta la stanza, Mel si affacciò ad una delle due finestre ed attese di vedere Janice fare il giro attorno all'albergo. Quando Mel vide l'inconfondibile fedora di Janice, le fece un fischio e la donna, con incredibile agilità si arrampicò, prima su una tettoia in legno, poi, sciolse la propria frusta e con un colpo preciso ne fece avvolgere l'estremità attorno alla ringhiera del piccolo balconcino della finestra di Frank.


Quando Janice saltò dentro dalla finestra, Mel era già intenta a rovistare tra le cose dell'uomo. Anche Janice non perse tempo, dovevano trovare Inanna e darsela a gambe il prima possibile. Frank sarebbe sicuramente rientrato da un momento all'altro.

Melinda aveva iniziato dalla cassettiera, ma tra calzini, canottiere, mutande e gilè, nessuno dei tre cassetti nascondeva la statuetta; allora passò subito al comodino, mentre Janice si occupava dell'armadio facendo passare gli appendiabiti uno ad uno, per poi controllare l'interno di scarpe e stivali, deposti con cura sul fondo del mobile.

<<Deve aver la coda di paglia quel verme, per aver nascosto così bene la nostra dea>> disse Janice.

<<Già, anche nel comodino, niente!>>

Le donne si guardarono un po' attorno, poi la loro attenzione fu catturata dal letto ancora disfatto, e si guardarono negli occhi illuminandosi.

<<No... non può essere così facile...>> disse Janice quasi delusa, mentre Melinda già scostava le lenzuola e controllava il materasso. Appena prese in mano il cuscino avvertì qualcosa di strano, con foga ed in preda all’eccitazione aprì la federa ed appena ebbe infilato un mano nelle piume si bloccò.


Janice vide un ampio sorriso colmo di soddisfazione dipingersi sul volto di Mel, che subito esplose:

<<L’abbiamo trovata!>> estraendo di scatto la statuetta dal cuscino, bianche piume volarono ovunque. Le donne in preda all’euforia si accorsero solo all’ultimo momento delle voci che si avvicinavano dal corridoio.

Janice se ne accorse per prima.

<<Dannazione, sono già qui!>>

<<Come?>> Mel si stava ancora rigirando la statuetta tra le mani e non aveva prestato attenzione al trambusto ormai proprio davanti alla porta della stanza di Frank.

<<Andiamocene, presto!>>

Janice afferrò Melinda per un braccio e la trascinò verso la finestra.

<<Cosa vuoi fare?>> Mel ebbe un brutto presentimento.

<<Fidati!>>

Qualcuno stava litigando con la serratura della porta.

Janice guardò fuori dalla finestra cercando rapidamente una soluzione. Soluzione che si presentò nella forma di sottili travi di legno che univano l'albergo all'edificio davanti a loro e di un camioncino dal cassone vuoto che stava per transitare nel vicolo sotto di loro.


<<Possiamo farcela.>>

<<A fare cosa?>> chiese Mel spaventata.

Janice liberò di nuovo la frusta e sporgendosi pericolosamente dal balconcino della finestra, con abilità ne fece arrotolare l'estremità ad una delle travi di legno.

<<Ti fidi di me?>> disse Janice spazientita allungandole una mano e sollecitandola ad afferrarla e a salire sul davanzale.

<<No, se stai per chiedermi di buttarmi dalla finestra!>>

<<Mel, non c'è tempo!>>

"Ehi, chi c'è nella stanza?" la voce alterata ed infuriata di Frank ancora oltre la porta fece decidere Melinda. Meglio buttarsi da una finestra, che incontrare di nuovo quel tizio.

Mel afferrò la mano tesa di Janice, che l'aiutò a salire sulla ringhiera.

<<Aggrappati forte a me e quando dico salta: salta!>>

Melinda si allacciò all'amica passandole un braccio attorno alla vita e l'altro soprala spalla, afferrandosi il polso della mano che impugnava Inanna e stringendosi forte al petto dell'altra.

Janice era già completamente concentrata nel prendere il tempo giusto per saltare, quando la porta della stanza si spalancò:

<<Pappas!>> fu il grido di rabbia di Frank che si era catapultato nella stanza.

<<Adesso, salta!>> gridò Janice.

Le due donne scomparvero dalla finestra lasciando l'uomo ad afferrare l'aria.


Melinda si era buttata con Janice nascondendo il viso nella spalla dell'altra ed invocando gli dei di proteggerle. Janice invece imprecò per la pessima idea avuta. Il peso su di sé era tale che per poco non aveva perso la presa sulla frusta, che le stava bruciando le mani per lo sfregamento e per poco Mel non l'aveva strozzata.

Ma il peggio fu quando lasciò la presa per cadere nel cassone del camioncino. Per evitare che Melinda si facesse del male, con una mezza rotazione Janice era finita di sotto, finendo di petto e sbattendo la testa contro il fondo del cassone, mentre la mole di Melinda le era piombata sopra di peso schiacciandola.

Janice rimase immobile per un bel po’ e, mentre era ancora semisvenuta, avrebbe voluto sputare pesanti insulti a quello scellerato che la stava scuotendo e le stava urlando il suo nome in un orecchio!

L'archeologa apri la bocca pronta a ruggire, quando aprendo le palpebre, il suo sguardo non incrociò due grandi occhi azzurri colmi di terrore e preoccupazione e realizzò di essere sdraiata sulle gambe di Mel che la cullava con angoscia. La sua collera morì all'istante ed in un sussurro affaticato disse solamente:

<<Mel, più piano per favore...>>

Melinda lasciò un sospiro di sollievo nel vedere che l'amica stava bene e le aveva sorriso. Era così sollevata che strinse a sé quel corpicino fin quasi a stritolarlo.

<<Oh, Janice, stai bene! Grazie agli Dei!>>

Le povere ossa di Janice protestarono, ma non riuscirono a liberarsi da quella stretta dolorosamente soffocante ed alla fine la piccola archeologa si arrese e rimase in balia dell'amica. Dovendo poi ammettere che, in fondo, come posizione non era neanche male...


Raggiunto finalmente il loro albergo, Melinda ordinò a Janice di seguirla in camera sua e fattala sedere zitta e buona sul suo letto, iniziò a medicarle tutte le ferite che si era procurata in quelle ultime ore.

Le proteste di Janice, furono inutili. Invano aveva assicurato a Mel di stare bene, ma l'altra non aveva voluto sentire ragioni.

Presa dal proprio lavoro, Mel si era azzittita e Janice decise di lasciarsi medicare.

Osservando l'amica intenta e concentrata, Janice non poté che sentire prima un'ondata di calore generata dalla splendida visione di Mel così assorta ed affettuosa, poi però il pensiero di Frank le ritornò improvvisamente in mente e quel calore divenne gelosia bruciante.


<<Non riesco proprio a capire cosa ti abbia attratto in quel tizio, ahi...!>>

<<Scusa>> disse dispiaciuta Mel per aver fatto male all'amica e riprendendo a medicarle il taglio sopra l'occhio con più delicatezza. Quell’osservazione l’aveva colta alla sprovvista.

<<Dovresti saperlo, - iniziò a spiegare Mel - alle volte ci si sente soli e basta una gentilezza, o l'attenzione di qualcuno per farci capitolare. Frank è stato carino con me, è stato galante e premuroso e io ci sono cascata come una stupida. Mi ha sedotta ed una volta preso ciò che voleva si è sbarazzato di me>>.

Janice ascoltava Mel in silenzio, faceva smorfie di dolore, ma non emetteva lamentele, era curiosa di sentire la confessione dell'amica. Le due donne avevano parlato sempre molto raramente di questo argomento. Janice lo aveva sempre evitato per non esporsi agli occhi di Mel e Mel lo aveva aggirato per eccessivo pudore.


Qualcosa però era cambiato tra loro. Per assurdo, il lungo periodo di separazione e i rispettivi guai affrontati da sole avevano fatto sì che ritrovandosi il loro legame divenisse più profondo.

Ora erano consapevoli che era lo stare insieme a rendere la vita bella anche nelle avversità, perché insieme esse diventavano avventure e non sciagure.

<<Avevo appena iniziato a lavorare al museo, non conoscevo nessuno ed i colleghi non mi vedevano di buon occhio, tutti tranne Frank, o così almeno mi ha fatto credere. Frank mi ha aiutata col lavoro, era comprensivo e sembrava sensibile e lo è stato fino al momento in cui si è infilato nel mio letto. Raggiunto il suo obbiettivo, non mi ha trattato meglio di un oggetto. Come se non bastasse, il giorno seguente se n'è subito vantato con tutti. E con dovizia di particolari, come hai potuto notare>>.

Ascoltando quella storia Janice sentiva andarle di nuovo il sangue alla testa, per gelosia e per rabbia. Ora che conosceva la storia, era meglio per Frank non incrociare più la strada della Predatrice, o non se la sarebbe di certo cavata solo con un occhio nero ed il naso rotto.

<<Comunque, anche se non ho avuto molti uomini, l'esperienza con Frank mi ha fatto capire che il sesso è una cosa molto sopravvalutata. Frank mi ha solo confermato che non è nulla di poi così... emozionante...>>


Janice sorrise maliziosa e compiaciuta, Mel aveva concluso il discorso diventando paonazza. Non le aveva mai parlato apertamente di sesso e Janice, conoscendo l'educazione casta e riservata di Mel, era certa che per lei quello fosse parlarne "molto apertamente". Janice ne fu lusingata.

<<Non sarà mai "emozionante", - le fece il verso Janice -se continui a farlo con qualcuno che da te vuole solo prendere e non ti rispetta. Se fai sesso con chi è convinto che il piacere dell'altro sia superfluo e il cui unico obbiettivo è il proprio sollazzo, è chiaro che non ti piacerà>>.

Mel, seduta sul letto accanto a Janice, se ne stava con le mani giunte sul ventre e la testa bassa, annuendo, ma troppo timida per guardare l'amica mentre le diceva quelle cose.

<<Dovresti provare con qualcuno che ha naturalmente rispetto per te, che veda la splendida persona che sei, senza essere influenzato da vincoli sociali o morali; qualcuno che voglia trarre piacere anche dalla tua gratificazione, perché il piacere, nel sesso, come nella vita, lo si trae anche dal donarlo all'altro>>.


Janice tacque in attesa di commenti, l'espressione di Mel era divenuta seria e pensierosa e quando la donna volse il proprio sguardo a Janice, fu lei questa volta ad esserne imbarazzata.

Nello sguardo di Mel non c'era più ombra di disagio o turbamento, era limpido e schietto e Janice si sentì nuda davanti a quegli occhi così azzurri e illuminati di una nuova consapevolezza.

<<Io lo so cosa sei,>> iniziò Mel, mentre il cuore di Janice aveva smesso di battere <<scusa, dire "cosa" è brutto. So come sei, non ci ho messo molto a capirlo, non ho certo avuto bisogno di vederti al Wild Red per comprenderti>>.

Janice scattò in piedi ed iniziò a camminare nervosamente per la stanza.

<<Sei venuta al Wild Red?>> Janice era sconvolta all'idea di quanto Mel avesse potuto vedere in quel luogo, non aveva mai provato una tale vergogna di sé stessa.

<<Sì, scusa se ti ho mentito. Sono stata io a venire a prenderti al locale e a portarti nel mio appartamento>>.

Mel aveva visto Janice toccare il fondo e non era fuggita? Anzi, era tornata al suo fianco.

<<Io ora so cosa provi, io so cosa provi... per me>> chiarì Mel, riponendo l'ovatta ed il disinfettante nella cassetta del pronto soccorso. Janice era rimasta impietrita, sentiva che era il momento delle rivelazioni e ne era terrorizzata, ma l'argomento andava affrontato prima o poi, ormai era inutile procrastinare.


<<E ti... ripugna?>> chiese Janice incerta, tastando il terreno. Non le era mai importato di essere rifiutata, di ragazze era pieno il mondo, ma di Melinda Pappas ce n'era una sola. L'Amore, quello con la A maiuscola era uno solo e per lei era Mel.

<<All'inizio l’ho trovato strano, innaturale. Avevo la testa piena di quelle mostruosità che dice la gente. Sì, l'illustre scienziata Melinda Pappas aveva gli stessi pregiudizi dell'ultimo degli ignoranti>>.

Janice credeva di non poter reggere al seguito, sentiva già il proprio cuore spezzarsi.

<<Ma ora... ora il tuo amore mi lusinga. Perché tu hai colmato le mie lacune in questo e in molti altri campi, mi hai reso una donna e una persona più consapevole della realtà che la circonda. Alla luce di tutto questo, che una persona straordinaria come te, provi dei sentimenti così profondi, per una come me, mi fa sentire speciale. Tu mi fai sentire la persona magnifica che avrei sempre voluto essere. Tu potresti avere chiunque, uomo o donna, perché sei intelligente, simpatica, indipendente e per di più sei anche molto bella; invece tu...- Mel non trattenne le lacrime -...tu ami proprio me.>>

Janice si mise davanti a Melinda e presole delicatamente il mento con una mano, le fece sollevare la testa fino ad incrociare i loro sguardi. Melinda si tolse gli occhiali e si asciugò gli occhi, mentre Janice, con una dolcezza che solo Mel era in grado di destare in lei, disse:

<<Sei una persona più straordinaria di quanto tu non creda, Melinda Pappas. Sono io quella che si dovrebbe sentire onorata di poterti stare accanto. Tu mi hai salvato la vita in molti modi e più di una volta. Io amo tutto di te, anche quello che non sai di essere, o che ti vergogni di essere.>>

Parlando, Janice si era lasciata vincere dall'attrazione ed il suo viso era ormai a pochi centimetri da quello di Mel; le sue labbra non erano più in grado di resistere, stavano per sfiorare quelle di Mel. Il cuore di Janice era impazzito dall'emozione e dal desiderio, non poteva credere a quanto stava per accadere.


Istintivamente, ma con garbo e delicatezza, Janice prese il volto di Mel per attirarlo definitivamente a sé.

Le labbra di Janice sfiorarono appena quelle vellutate di Melinda, a quel contatto, però, Janice avvertì il corpo dell'amica irrigidirsi, la bocca diventare di pietra e sottrarsi a lei, anche se impercettibilmente.


Janice impallidì, quasi si sentì mancare, mentre il respiro le si bloccava insieme ad un groppo nella gola; ogni singolo muscolo le fece male, dovette impiegare tutta la propria forza di volontà per bloccare quello che il suo corpo, così furiosamente le chiedeva di continuare a lasciargli fare.

Janice fece un passo indietro, cercando di trattenere l'affanno ed un misto di desiderio e tormento.

<<Scusami>> riuscì solamente a proferire Janice accomiatandosi.

Il dolore che traboccava da quell'unica parola, per poco non uccise Melinda, che rimase immobile ad osservare l'amica che con calma forzata e artificiosa, tremando, si era messa in testa il suo cappello di velcro, calandolo sugli occhi per nascondere il viso contrito ed era uscita dalla stanza lasciandola sola.


Melinda sentì aprirsi ed immediatamente richiudersi la porta della stanza accanto. Il silenzio che seguì fu straziante. Tutto era così immobile e pietrificato che Mel iniziò a sentire il sangue ronzarle nelle orecchie, mentre senza accorgersene si stava stringendo le mani fino a farsi male, respirando così lentamente che una fitta prese a pulsarle nel cuore. Non seppe per quanto tempo rimase inchiodata in quella posizione, rigida come legno e fredda come ghiaccio, con le labbra socchiuse e la bocca che le si stava seccando.

Quando per un riflesso incondizionato, Mel si umettò le labbra, la donna fu sconvolta dal sentirvi ancora il sapore Janice. Davanti agli occhi le divenne tutto nero e decine di luccichii le impedivano di vedere, credette di dover svenire e invece si era alzata, prima barcollando e poi con decisione, infine con foga e col cuore che aveva iniziato a battere frenetico.


Mel spalancò di colpo la porta della stanza dell'amica e lei era là, in piedi in mezzo alla camera, che le dava le spalle e con il capo chino. Pietrificata come lo era stata lei fino a pochi secondi prima.

La pena emanata da quella staticità era straziante.

Gli occhi di Mel si riempirono di lacrime, mentre tremante si avvicinava a quel corpicino minuto, che ora le sembrava così fragile. Mel allungò una mano verso una spalla della donna, incerta, fermandosi prima ancora di sfiorarla, come se un solo tocco fosse bastato a mandarla in frantumi come cristallo.

Un singhiozzo di Janice ruppe il silenzio e gli indugi di Melinda.

La donna cinse da dietro la piccola avventuriera, avvolgendola completamente con il proprio corpo e, mentre il suo fedora scivolava al suolo, Janice lasciò che il pianto avesse il sopravvento. Quei singulti spinsero Melinda a stringerla ancora più forte a sé e finalmente a realizzare cos'era quella sensazione che la invadeva quando i loro due corpi erano a così stretto contatto.

<<Non hai capito Janice. Io lo voglio, ma ho paura. Quello che provo è così forte che mi spaventa. Ti prego Janice, aiutami a non avere paura di quello che sento.>>

Melinda, dolcemente, costrinse Janice ad alzare la testa e a ruotarla indietro verso lei che, chinando il capo, aveva sigillato le proprie labbra a quelle fredde ed umide dell'altra.


La novità di quel bacio, così morbido e dolce, eppure sensuale, fece diventare di burro le gambe di Melinda, sopraffatta delle emozioni che le stavano montando prepotentemente dentro.

Avvertendo il cedimento, Janice ruotò interamente il proprio corpo tra le braccia di Mel e con ritrovata sicurezza la spinse verso la scrivania facendola appoggiare, guadagnando così di essere alte uguali.

Il bacio si interruppe, lasciando entrambe le donne interdette, incapaci di assorbire del tutto l'emozione che ne era scaturita. Troppo intensa, troppo eccitante, troppo carica di desiderio perché potesse essere razionalizzata.

Le due donne rimasero con il viso a poca distanza l'uno dall'altro, ansanti, perse nei loro respiri affannosi, ma incapaci di rivolgersi l'una all'altra.

Nessuna delle due, seppur così vicine, osava alzare gli occhi ed incrociare lo sguardo dell'altra, consapevoli di quello che si sarebbe innescato. L'elettricità nell'aria era palpabile.


<<Mel...?>> la voce era un tremante sussurro.

<<Janice... io...>>

<<Ho paura.>>

Melinda ne fu sorpresa, a Janice potevano sparare addosso e lei ne rideva, ma tra le sue braccia tremava di paura.

<<No, non averne Jan. Tutto quello che vuoi tu, ora lo so, ne sono certa, lo voglio anch'io!>>

A quel punto Melinda non ebbe più dubbi, era certa di cosa voleva e se lo prese.

Sollevò il volto di Janice fino ad incrociare di nuovo quello sguardo il cui verde smeraldo scintillava solo per lei. Dal canto suo, Janice vide solo decisione e desiderio negli occhi che la scrutavano così avidamente. Un fremito le percorse tutto il corpo e l’impeto del bacio che ne seguì venne lasciato libero di esplodere.

Più il loro bacio si intensificava e più Janice vi si perdeva, Mel poteva sentire le membra della donna sciogliersi e cedere al piacere, e più Janice vacillava e più Melinda sentiva il calore del desiderio invaderla.

Mani esploravano corpi. Frenetiche, avide, volevano tutto e tutto insieme.

Le labbra si lasciavano per esplorare nuovi lembi sensibili di pelle, ma presto tornavano a cercarsi, come se avessero paura di perdere quanto avevano appena scoperto.


Sentendo il proprio corpo implorare per avere di più, Melinda seppe di aver sbagliato tutto! Janice la voleva, Janice voleva proprio lei e lei era stata cieca. Ed ancora più cieca era stata con sé stessa! Non aveva mai davvero realizzato come e neppure quando i suoi stessi sentimenti erano mutati. Ma era successo, Mel la desiderava, la desiderava da morire. E Janice era sua, soltanto sua!

Mentre le baciava il collo, la mascella, le labbra con foga come a volerla divorare, mentre la stringeva a sé per sentirla sempre più vicina, il contatto non le bastava mai.


Janice voleva lei!

Janice era sua!

“Sei mia! Mia! Mia!”

Con un unico rapido slancio, Melinda sollevò di peso la donna, che la forza della foga le fece sembrare una piuma, e la gettò sul letto seguendola e riprendendo a baciarla con ancora più brama.

Janice si lasciò andare completamente, sentirsi dominata da Melinda era la cosa più afrodisiaca che avesse mai provato.

Sentire il desiderio di Mel travolgerla era più che appagante, era obnubilante e Janice vi si abbandonò totalmente, senza riserve.

Lacrime di gioia e passione le si raccolsero negli occhi, per troppo tempo aveva represso la propria attrazione ed ora che i suoi sogni avevano preso corpo, le emozioni esplodevano più intense di quanto avesse mai immaginato potessero fare.

Melinda la voleva, Mel la desiderava esattamente come Janice desiderava lei e sentirsi ricambiata le stava dando un piacere accecante ed ansante.


Quando Mel interruppe il bacio per riprendere fiato, Janice tolse i fermagli dalle chiome già completamente scarmigliate della compagna e Mel scosse il capo per districarle e lasciare che ricadessero a cascata attorno al suo volto ed ecco! Janice li vide chiaramente, lo sguardo selvaggio ed il sorriso intrigante del lato animale di Melinda. Così primordiali nella loro essenza da lasciarla senza fiato, mentre l’addome si contrasse per contenere uno spasmo di pura voluttà.

Melinda avvertì fremere e gemere il piccolo corpo sotto di lei e di nuovo si sentì traboccante di passione selvaggia, Janice distruggeva ogni sua inibizione e le piaceva. Non c’era vergogna, non c’era controllo, non c’erano proibizioni, inibizioni o bigotti moralismi.

Solo amore, libertà e rispetto. E Janice!

Mel passò dai baci infuocati sulle labbra a piccoli morsi sul collo. “Ah, il sapore della tua pelle! Sai di Sole, sei il mio Sole!”

Poi, dal collo, giù verso la spalla e lungo la clavicola e a quel punto ogni bottone della camicia di Janice divenne un lontano ricordo.


Janice allungò le mani verso le cosce di Mel e afferrata la stoffa della sua gonna la tirò su, arricciandola per liberare i movimenti della compagna, poi divaricò un poco le gambe per permettere l’ingresso di una delle gambe di Mel, che si trovò così a cavalcioni su una delle cosce di Janice.

Quindi le mani della bionda tracciarono la forma dei glutei fino a posizionarsi sui suoi fianchi che avevano iniziato a muoversi.

Oddio! Sarebbe potuta venire anche solo sentendo Melinda procurarsi piacere su di lei, così calda, eccitata e persa nel ritmo dell’estasi.

Era ora di far sparire quei maledetti vestiti! Ma Janice non osava interrompere Melinda. Tutto quello che voleva lei, quando lo voleva lei.


Come se le avesse letto nel pensiero, Mel si fermò e sollevandosi iniziò a sfilare la camicetta dalla gonna e a slacciare con sadica lentezza i piccoli bottoni. A Janice parve un’eternità la comparsa dell’intimo di Melinda, del suo corpo perfetto e della pelle già imperlata di sudore che iniziava ad intravedersi.

L'attesa la stava uccidendo e per guadagnare tempo Janice raggiunse la cinghia dei sui pantaloni ed iniziò a slacciarla, ma Melinda, repentinamente, la bloccò con una mano. Janice vide un ghigno sadico aprirsi sul volto di Melinda e trattenne il respiro. Non aveva mai visto nulla di più erotico in vita sua, lo sguardo di Melinda era famelico ed il suo volto era rosso di passione.

La donna, in ginocchio, afferrò la compagna per la nuca e la costrinse a sollevarsi quasi a sedere, così mentre la baciava le sfilò la camicia e poi la lasciò ricadere sul letto.

Janice rimase sdraiata, seminuda ed attonita... Quella era davvero la sua Mel?


Poi la mora lasciò scivolare insieme le sua mani sul petto e l'addome contratto di Janice fino a raggiungere la cintura.

Il respiro di Janice divenne irregolare e corto, mentre la compagna armeggiava con i suoi indumenti così vicino ad un basso ventre in fiamme.

Vedere le lunghe dita affusolate di Melinda che le slacciavano la cintura e poi uno ad uno, lentamente, ogni bottone dei pantaloni, la stava facendo impazzire!

Melinda diede un lungo, suadente bacio all'ombelico di una Janice ansante e poi più nulla. Janice sbarrò gli occhi per la frustrazione e vide che Mel era ai piedi del letto e le stava slacciando gli stivali. Janice si coprì la faccia con le mani ed imprecò snervata!

Eliminati stivali e pantaloni, Mel risalì sul letto e si stese sulla compagna, che l'accolse in un disperato abbraccio reclamando le sue labbra.

Quando le due donne si separarono per riprendere fiato, Janice non trattenne un implorante:

<<Oh, Mel...>>


Quel sussurro rovente raggiunse il sensibile orecchio di Melinda con tutta la forza della sua passione e del suo desiderio, mandando scariche di brividi lungo tutto il corpo delirante di Melinda. Ma la forza di quelle due piccole parole era stata tale da far scattare anche altro nella mente di Melinda. Quel sussurro era così carico di brama ed aspettativa, che Melinda ne ebbe paura, e come risvegliandosi da un sogno tornò in sé, in quel guscio di insicurezze ed indecisione che era Melinda Pappas agli occhi del mondo.


Ora che tutta la femminilità di Janice era esposta ai suoi occhi, Melinda non si sentì all'altezza. Mel si sentì in sintonia con quel magnifico corpo e sapendo quali vette poteva raggiungere il desiderio di una donna, ebbe il timore di non essere in grado di fare ogni cosa nel modo giusto.

Se nessun uomo era mai stato in grado di dare a lei tutto ciò di cui aveva bisogno per soddisfare la sua eccitazione, come (cosa?) avrebbe fatto, lei, a far provare a Janice emozioni di cui lei per prima non aveva esperienza?

Mentre Janice, invece, sicuramente...


Prima di sentirlo fisicamente, Janice lo percepì empaticamente. Melinda aveva perso la concentrazione, o meglio, era come se i pensieri di Melinda si stessero allontanando da lei per raccogliersi su qualcos'altro. La donna aveva temuto che sarebbe potuto succedere e quando la mano di Melinda ebbe un tremito d’esitazione sulla sua via per l’intimità di Janice, la piccola archeologa ebbe conferma di ciò che si trattava.

<<Io… non so… come… Scusami>>, ma prima che la mortificazione e l’imbarazzo di Melinda per la propria inesperienza potessero avere il sopravvento su quel momento, Janice zittì dolcemente la compagna posandole due dita sulle labbra, che ricevettero in cambio un piccolo bacio.


Janice, capendo perfettamente lo stato d’animo e i dubbi di Mel, decise di riprendere il controllo e liberarla del fardello dei timori riguardanti le sua inesperienza.

Afferrandola per le spalle, Janice suggerì all’altra donna di mettersi supina, ribaltando le posizioni e permettendo alla piccola archeologa di scivolare su di lei.

<<Ti fidi di me?>>

Mel sollevò un sopraciglio e le sorrise ammiccante: <<Non stiamo per buttarci da una finestra, vero?>>

Janice scosse leggermente il capo e sorrise <<No, peggio…>>, poi la baciò leggermente sulle labbra e cercò nelle iridi lucide ed azzurre la risposta che cercava.

Sentendo l’importanza della domanda, Mel annuì leggermente.

<<Mi permetti di amarti completamente?>>

Melinda annuì di nuovo, <<Completamente>> ripeté in un sussurro, traendo a se l’altra donna per avere un bacio carico di ardore.

Ora che le aveva provate, Janice non si sarebbe mai staccata da quelle labbra e da quella bocca che giocava impertinente con la sua e la stuzzicava prima con piccoli morsi per poi farsi perdonare con la lingua carezzevole.

Janice non riusciva a fermare i brividi che le correvano lungo tutto il corpo ad ogni nuovo slancio della compagna.


Gli uomini con cui era stata erano sempre stati così diretti nei loro intenti, così che solo poche parti del corpo di Melinda avevano ricevuto le dovute attenzioni, ma Janice non ne stava trascurando nessuna.

E mentre ancora la rossa indugiava lentamente e sensualmente con languidi baci a metà strada dal suo obiettivo, Melinda era già sul punto di esplodere.

Tra respiri irregolari e gemiti lascivi, Mel stava già implorando la compagna di dare termine e tregua al proprio tormento e quando finalmente le suadenti labbra di Janice arrivarono dove la donna più le reclamava, il mondo intero scomparve per lasciare spazio ad un nuovo, dirompente paradiso.


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Era cambiato tutto.


Janice era stesa sul letto con un braccio dietro la nuca e l'altro avvolto attorno alle spalle di Mel, che dormiva abbracciata a lei, con la testa tra la sua spalla ed il suo collo, mezza stesa sul torace di Janice. La piccola archeologa fissava il soffitto ascoltando il respiro regolare e pacifico del sonno di Melinda e nel profondo del suo animo sapeva che era cambiato tutto.


Tra loro due nulla sarebbe stato più come prima, il confine emotivo e fisico che avevano varcato era di quelli da cui non si poteva tornare indietro.


Ma come era cambiato?

Quando entro poche ore il sole avrebbe illuminato il nuovo giorno, quella domanda avrebbe trovato di certo una risposta. Quale, Janice non osava ipotizzarlo.

Il suo cuore era pieno di speranza e timore, ma fino a quel momento avrebbe continuato a godere della magnifica sensazione di poter stringere a sé la donna che amava, gloriandosi ad ogni respiro del profumo e del calore del corpo di Melinda, che così bene si adattava al suo.


Janice era ancora assorta in quei pensieri, quando un tonfo ed un urlo collerico giunsero dalla stanza accanto.


<<Maledetta Pappas, dove diavolo sei?>>

La porta della stanza di Melinda era stata aperta con violenza e Frank e i suoi si erano precipitati dentro non trovando nessuno.

Janice e Melinda, ridestate di soprassalto, saltarono subito giù dal letto in preda al panico, iniziando a rivestirsi freneticamente per darsi di nuovo alla fuga, ma questa volta non fecero in tempo ed anche la porta di Janice fu abbattuta a calci.

<<Covington!>> fu il grido di rabbia che seguì e che subito si gelò nel realizzare la scena che aveva così bruscamente interrotto.

Lo sguardo di Frank e dei suoi amici dallo stupore passò ad un misto di scherno e disgusto, mentre Melinda chiudeva il più possibile la sua vestaglia da camera, che era la prima cosa che le era capitata a tiro, mentre Janice, ormai conscia di essere stata sorpresa, stava proseguendo con calma sfacciata ad allacciarsi i pantaloni e la camicia.


<<E io ch ti ho anche scopata, schifosa lesbica!>>

A quelle parole, però, Janice cercò di scagliarsi contro Frank Wollen, per spaccargli quella faccia una volta per tutte, ma Mel la bloccò con il corpo, parandosi davanti a lei, per tenerla indietro, mentre vista la reazione della donna, subito comparvero delle pistole nelle mani degli uomini.

<<Hai paura, eh? Vigliacco!>> ringhiò Janice furente.

<<Tieni a freno quella cagna della tua sgualdrina, o vi faccio saltare le cervella!>>

Janice cercò di nuovo di attaccare, ma Melinda era irremovibile e continuò a tenerla indietro facendole contemporaneamente da scudo con il proprio corpo.

<<Jan, ti prego>> la voce di Mel era decisa e preoccupata e Janice non poté che assecondarla.

<<Rivoglio ciò che è mio!>> intimò Frank.

<<Inanna non è tua, sporco ladro!>> fu la repentina risposta di Melinda.

Frank serrò la mascella irritato: <<Attenta come parli, donna! – poi si rivolse ai suoi scagnozzi – Perquisite le stanze!>>

Non ci volle molto ai due amici di Frank per trovare la statuetta nella stanza di Melinda. Le donne non si erano preoccupate di nasconderla.

<<Eccola –disse uno dei due porgendola a Frank, che quasi gliela strappò di mano.- E ora che ne facciamo di loro?>> chiese indicando le due donne, ancora sotto tiro in mezzo alla stanza.

<<Le portiamo via con noi, non possiamo lasciarle andare in giro a raccontare tutto>> disse Frank avvicinandosi alle due donne, guardando prima Melinda dritta negli occhi e poi chinandosi per fissare Janice.

L'archeologa vide nello sguardo dell'uomo tutta la sua rabbia ed il suo disprezzo. Non una novità per lei.


Janice non indietreggiò di un millimetro mentre l'uomo cercava di imporre la propria fisicità per minacciarla e a pochi centimetri dal suo volto disse roco:

<<Ti avverto, non provare a fare scherzi, o la nostra comune amica ne pagherà le conseguenze. - il tono di Frank era basso e nervoso, a stento stava trattenendo la collera e poi in un sussurro di odio e sadico ribrezzo diretto solo alle orecchie di Janice, aggiunse: - Quelle come te, dalle mie parti, le impicchiamo con la corda corta. Non aspetto altro che il minimo pretesto per dimostrarti quanto io approvi quella usanza.>>

Appena i loro sguardi tornarono ad incrociarsi, Frank cercò nelle iridi verdi gli effetti delle sue parole, ma quel irritante scintillio spavaldo era ancora là ed era supportato da un sorriso tagliente di sfida:

<<Che gran bell'occhio nero che hai!>>

Lo schiaffo partì violento ed immediato, colpendo Janice al volto con forza tale da farla cadere a terra.


<<Janice!>> Mel si inginocchiò subito a terra accanto all'amica per verificarne le condizioni, ma quando poté guardarla in viso si rese conto che la guancia fortemente arrossata non era l'ingiuria di cui preoccuparsi.

<<Sto bene>> disse, ma il tremore del suo corpo e l'inquietudine nel suo sguardo fecero sapere a Melinda che l'orgoglio della compagna era in subbuglio e che si stava sforzando al limite per mantenere il controllo.

<<Grazie>> gli occhi di Mel si erano velati di lacrime. La mora sapeva perfettamente che era per lei che Janice stava correndo tutti quei rischi, era per lei che si era procurata tutte quelle ferite e non se ne lamentava, era solo per lei che stava ingoiando il proprio orgoglio.

Era per lei che stava rischiando la vita!

Mel accarezzò la guancia sana di Janice, che le sorrise con una smorfia di dolore.

<<Prendetele e andiamocene!>> fu l'ordine secco di Frank, a disagio per l'intimità del momento a cui aveva appena assistito.

Risollevate a forza ed intimato loro di rivestirsi ed assumere un aspetto "decente", le donne furono poi scortate fuori dall'albergo con la canna delle pistole pressate contro le loro schiene, ma tenute nascoste agli occhi degli ignari albergatori per non suscitare sospetti.

Eppure l'orario insolito e l'aspetto teso della compagnia avrebbero dovuto mettere in allarme almeno il concierge, ma Janice vide l'uomo al bancone dell'albergo far finta di nulla e voltarsi volontariamente dall'altra parte mentre i cinque lasciavano l'edificio.

Janice serrò la mascella per il nervoso e la rabbia, quel tizio si era sicuramente lasciato comprare da Frank!


Poco distante dall'albergo, le due donne furono fatte salire su una jeep, che abbandonata la città ed i piccoli paesi attorno, si diresse verso il deserto con destinazione Abu Shahereyn, dove si trovava il tempio di Inanna.


Viaggiare per le strade del deserto, con le mani legate dietro la schiena e pressate tra due tizi che avevano ben poca intenzione di comportarsi da gentiluomini con loro, era sicuramente un'esperienza nuova per Melinda, ed una di quelle che non si sarebbe aspettata di dover fare.

Ma ancora una volta non si perse d'animo, le bastò voltarsi alla sua sinistra e vedere Janice spalla a spalla con lei, che sentendosi osservata le restituì un'occhiata divertita ed un sorriso ammiccante, per tranquillizzare la donna. Se Janice era già tornata di buon umore, era perché la sua testa matta stava già escogitando qualcosa.

Melinda, allora, inspirò profondamente l'aria secca e fresca del deserto all'alba. Non c'era vento, per fortuna, ed il mattino era terso. Le stelle scintillavano sempre più pigramente nel cielo che scolorava e le ombre scure delle formazioni rocciose verso l'orizzonte iniziavano a prendere una colorazione rosa.


Quando la forzata compagnia di archeologi arrivò agli scavi, il giorno era già rovente e gli animi in febbrile fermento.

Janice ringraziò finalmente di aver rimesso piede al suolo. Le sue natiche chiedevano pietà a causa del tragitto sconnesso che li aveva condotti fino lì, e quando, per non suscitare troppi sospetti, le due donne vennero slegate, Janice passò cinque minuti buoni a massaggiarsi il posteriore, fino a quando le canne delle pistole dei loro "colleghi" aguzzini non tornarono a piantarsi nelle loro costole.


Sempre con molta discrezione le due donne furono condotte verso il tempio di Inanna.

Anche se la situazione poco felice Mel non poté comunque evitare di provare una sensazione di gioia. L’atmosfera che si respirava in uno scavo archeologico era unica per lei, non riusciva a trattenersi dal guardarsi attorno: le tende degli scavatori, degli archeologi, il rumore delle pale e della storia. Sì, era un’idea sciocca e romantica, ma Melinda aveva sempre l’impressione che i ruderi, le mura delle città morte, le colonne, parlassero e raccontassero la loro storia a chi avesse avuto l’accortezza di ascoltare.

Janice invece era irritata, possibile che nessuno si rendesse conto di quanto stava accadendo? Tutti nei loro buchi intenti a spennellare! Ma Janice infondo li capiva, e l’amarezza che provava era data dal fatto che era stata anche lei così, e non le sarebbe dispiaciuto se avesse potuto esserlo ancora.


La maggior parte della città di Eridu erano perimetri di edifici corrosi e sepolti sotto le sabbie del tempo, ma il tempio in cui erano state condotte lottava coraggiosamente, mattone dopo mattone, per guadagnarsi l’eternità.

Le donne furono condotte verso una costruzione dal vasto perimetro quadrato, che in origine doveva essere una piramide a gradoni, ma di cui restavano solo due piani.

L’ingresso era posto a sud ed era un’apertura di circa due metri tra due enormi pietre di arenaria scolpita, ma ormai senza ornamenti. L’ingresso conduceva ad un lungo corridoio, già illuminato dalle torce piazzate dagli scavatori.

Infatti, a differenza delle altre costruzioni del sito archeologico, il tempio di Inanna aveva ancora intatte delle stanza sotterranee.


Non era la prima volta che Frank e i suoi amici mettevano piede in quel posto, ed infatti sapevano come muoversi e quali corridoi seguire, guidando la piccola comitiva a quello che Janice e Melinda non faticarono a comprendere essere il cuore del tempio di Inanna ed Ereshkigal e l’ormai tanto famigerata camera per accedere al “tesoro di Inanna”.

Nella stanza quadrata, a cui era stata appesa una torcia ad ogni angolo, i nuovi arrivati incontrarono altri tre uomini: un uomo anziano, magro, di media statura, dal naso aquilino e dalla folta barba grigia sul volto, e altri due uomini sui trent’anni.

Appena si salutarono, fu chiaro dal loro accento che quelli erano gli inglesi con cui Frank era in combutta.

<<Wollen, lei è in ritardo. Chi è tutta questa gente? E che le è successo alla faccia?>> disse l’uomo più anziano, Janice fiutò subito la spocchia da vecchio parruccone accademico.

<<Sono il piccolo contrattempo che ci ha impedito di essere qui all’ora stabilita, il mio viso… bhé e anche questo dovuto a loro, ma non c’è da preoccuparsi, non ci daranno problemi…>>.

<<Questo lo dici tu>> si intromise Janice ricevendo in risposta solo occhiate decisamente poco amichevoli ed una forte punzonatura dalla canna di una pistola irrequieta, ma nelle costole di Melinda, che fece sobbalzare la donna e zittire Janice.

Frank ghignò perfido, il gioco era chiaro. L’uomo stava mantenendo la promessa di far pagare a Melinda ogni sgarro di Janice.


L’attenzione di tutti ritornò ben presto sul motivo per cui stavano affollando quell’antico luogo di culto.

Al centro della stanza c’era una bassa colonna, alta un po’ più di un metro, quadrata e scolpita lungo i lati. Melinda non riusciva a distogliere lo sguardo dalle raffigurazioni in rilievo sulla pietra. Moriva dalla voglia di avvicinarsi ed analizzarle. I simboli chiaramente legati alla natura, come il sole, le spighe di grano, la luna, le stilizzazioni delle due dee ed i caratteri cuneiformi che accompagnavano il tutto. Quel luogo era straordinario, ed anche se la situazione per le due donne era di pericolo, non potevano che evitare di sentirsi anche eccitate dalle affascinanti scoperte da cui erano circondate.


Spazientito dagli imprevisti e dai contrattempi, vecchio professore si fece passare subito da uno dei suoi assistenti una cassetta di legno, dentro cui era contenuta la statua di Ereshkigal che l'uomo iniziò a liberare dal suo imballaggio.

<<Ha almeno con sé la statuetta, Wollen?>>

<<Sì...>> Wollen fece una smorfia d'irritazione mostrando Inanna al professore. Per un secondo Janice si sentì in sintonia con lui, quel vecchio era davvero irritante. L'arroganza ed il senso di superiorità in quella sua voce roca era snervante.

<<Allora procediamo>> il professore depositò Ereshkigal sul ripiano della colonna.

Per assistere all'operazione, a Mel bastò allungare un po' il collo, Janice, imprecando mentalmente contro la sua statura, cercò di spostarsi un po' più di lato per avere una visuale migliore, o quanto meno per riuscire a vedere qualcosa.


Frank, il professore ed i suoi assistenti erano tutti attorno alla colonna, mentre gli amici di Frank si stavano assicurando che le donne non facessero scherzi.

Frank si preparò a posizionare Inanna sul ripiano accanto alla sua sorella oscura, ognuno dei presenti si scambiò occhiate di eccitazione ed incertezza insieme. Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto una volta riunite le due dee, né come le due statuette avrebbero permesso di trovare il tesoro.

Il nervosismo si stava tramutando anche in paura, non sarebbe stata la prima volta che degli studiosi avventati perdessero la vita dando la caccia a dei reperti ed ignorando superstizioni e leggende.

Fortunatamente nel loro caso non c’erano strane storie, o moniti a circondare la leggenda del tesoro, ma questo non escludeva comunque la presenza di possibili trappole ancora in grado di svolgere il loro compito di protezione dei luoghi sacri.


Janice iniziò a guardarsi attorno per la stanza, in cerca di indizi su possibili botole, o porzioni instabili del soffitto, o perché no, fori nelle pareti da cui potevano venire espulsi dardi, o getti di sali acidi sotto pressione. Si sapeva ancora poco della civiltà sumera e delle loro conoscenze chimiche e tecnologiche quindi, meglio andarci con i piedi di piombo.

Frank sudava freddo mentre, lentamente e delicatamente, appoggiò la statuetta accanto alla prima. Tutti rimasero col fiato sospeso e lo sguardo fisso sulle due statuette. I secondi passarono in assoluto silenzio, si poteva udire l’ansimare di qualcuno dei presenti e il pesante deglutire di altri, ma…


Non accadde nulla.


<<Quindi?>> Frank era evidentemente deluso e disorientato.

<<Quindi, cosa? Non si aspettava mica che si aprisse qualche porta segreta rivelando scintillanti manufatti d’oro? - lo schernì il professore – Non sia sciocco e mi dia una mano a studiare la colonna con le statuette votive. Se vogliamo il nostro tesoro ce lo dobbiamo guadagnare!>>

<<Eh-ehm!>> Melinda si schiarì la voce per attirare l’attenzione, Janice la sentiva scalpitare, era chiaro che moriva dalla voglia di dire qualcosa e di unirsi al circolo degli scienziati.

Gli uomini si voltarono verso di lei straniti, sia perché la presenza delle due donne era stata completamente dimenticata, sia perché nessuno si aspettava che una di loro avesse qualcosa da dire.

Mel si sentì subito in imbarazzo ed accennò a sistemarsi gli occhiali, ma si ricordò di non averli, arrossendo violentemente.

<<Diglielo, Mel>> la incoraggiò Janice, sentendo che come al solito la donna aveva avuto una delle sue intuizioni.

Mel sorrise, Janice aveva ragione, non aveva motivo di farsi mettere in soggezione da quegli individui, sapeva di cosa stava parlando e fare ipotesi non era sbagliato, era sbagliato non farle.

<<E’ errata la posizione delle due statue.>>


<<Ah, sì? – chiese sprezzante Frank, - Quando vorremmo la tua opinione te la…>>

<<Stia zitto. La lasci parlare, non si sa mai da dove possa arrivare una buona idea, - lo interruppe il professore, - e francamente mi sembra che lei non ne abbia.>>

Mel, con ritrovata sicurezza, si fece largo tra la cerchia degli altri archeologi e finalmente si poté concentrare sulla colonna al centro del tempio.

<<Inanna deve guardare al sole, – disse già persa nei suoi ragionamenti, - a est, al sole che fa crescere le messi di cui è la protettrice, mentre Ereshkigal le deve dare le spalle, deve guardare alla luna, alla notte… alla morte… all’inverno… Janice?>>

<<Sì, eccomi.>> la compagna si precipitò al suo fianco.

<<Hai una bussola?>>

Janice si frugò nelle tasche dei pantaloni: <<Eccola>> rispose dando l’oggetto a Melinda.

La donna prese la bussola e la depose sulla colonna, lasciando che l’ago magnetico si stabilizzasse segnando il nord. Quindi ruotò Inanna verso est ed Ereshkigal verso ovest.

Si avvertì un “clack” che mise i presenti in allerta. Attesero, ma ancora non accadde nulla.


<<Lo sapevo che era tempo sprecato>> commentò Frank, ma nessuno gli diede retta, tutti erano ancora concentrati sulla colonna.

<<Forse centrano qualcosa anche i cerchi concentrici che sono scolpiti sul ripiano dove poggiano le statue>> suggerì il professore.

Janice osservò meglio e, passando le dita su uno di quei cerchi, si accorse che: <<Non sono cerchi, è una spirale. – quindi fece un passo indietro ed osservò meglio tutta la colonna, notando a circa metà altezza un buco di circa cinque centimetri di diametro che la forava da parte a parte. – La dobbiamo girare!>>

<<Il ciclo delle stagioni, è chiaro. – asserì il professore, - Andate a prendere delle leve.>> Ordinò il vecchio ai suoi due assistenti.


Quando i suoi tornarono con una robusta spranga di metallo, questa fu subito inserita nel foro della colonna e, prima gli assistenti del professore, poi anche gli amici di Frank furono messi a far forza sulla leva per ruotare la colonna.

In un primo momento sembrava che gli sforzi non valessero a nulla, ma all’ennesima spinta un rumore sordo, come un tonfo, proveniente da qualche parte al di sotto dei loro piedi avvenne in concomitanza allo sbloccarsi della colonna.

<<Sì!>>

<<Ci siamo!>> furono le esclamazioni vittoriose che aleggiarono all’unisono tra la compagnia.

<<Continuate a girare!>> ordinò il vecchio professore, che febbrilmente eccitato si asciugò il viso con il fazzoletto del taschino.


Prima si formarono due solchi nella sabbia che ricopriva il pavimento, ed attraversavano la stanza dal centro verso una delle pareti, poi, mentre gli uomini non smettevano di far forza sulla colonna, la porzione di pavimento tra i due solchi iniziò ad abbassarsi. Sempre di più, sempre di più, dimostrando di essere una sorta di passerella in pietra che conduceva ad una camera sottostante.

Quando il varco fu completamente aperto, un forte tanfo di chiuso ed una corrente d’aria asfittica li travolse.

Bisognava vincere la smania di gettarsi a capofitto nella nuova scoperta, era necessario che prima il nuovo locale si aerasse almeno un po’. Molti archeologi avevano trovato la morte precipitandosi in camere che i millenni avevano privato dell’ossigeno.

Tutti erano ansiosi di scendere quella passerella, anche Janice sentiva la febbre dell’oro come gli altri.


Sembrò trascorrere un’eternità quando il professore finalmente accese la sua lampada a olio e disse agli altri: <<Prendete le torce, si scende, la mia scoperta mi aspetta!>>

“La sua scoperta? – pensò Mel scuotendo la testa, - Come, no!” la donna ne fu amareggiata, ma non di certo scandalizzata. Il mondo della scienza era selvaggio e senza scrupoli, pieno di gente pronta a rubare le idee, o le scoperte altrui e disposta a tutto pur di ottenere dei meriti, anche senza esserseli veramente guadagnati.

Il vecchio professore poteva anche essere un viscido approfittatore, ma era anche un tipo prudente e davvero senza scrupoli, infatti costrinse a scendere per primi i suoi assistenti. Se c’era qualche trappola, non voleva certo essere lui a cascarci.


I due assistenti sparirono dalla vista, il resto della comitiva osservava trepidante il bagliore tremolante delle torce che proveniva dall’apertura. Passarono altri tesissimi istanti e poi finalmente giunse il via libera.

Con poco garbo, il professore fece scostare tutti quanti e scese la passerella, instabile sulle vecchie gambe dinoccolate.

Incrociando lo sguardo con Frank, che fu subito alle spalle del professore per raggiungere finalmente il suo dannato tesoro, Janice seppe di non essere stata l’unica ad aver sperato che quella mummia accademica incartapecorita inciampasse e rotolasse giù dalla passerella!


Nella stanza del tesoro regnava il silenzio più totale, gli archeologi si guardavano attorno increduli, spostando le luci a destra e a sinistra, percorrendo la stanza in lungo ed in largo.

<<Ma è… vuota!>> Frank era deluso e disorientato.

<<Non è possibile, i testi parlano chiaro: le due statue custodiscono il tesoro di Inanna. Questa è sicuramente la stanza sbagliata>> anche il professore non riusciva a nascondere la delusione per lo smacco subito. I suoi sogni di gloria erano svaniti in una stanza vuota.


Janice e Melinda, lasciate libere dai loro aguzzini intenti a riprendersi dallo stordimento per il fallimento, avevano iniziato anche loro a perlustrare la sala del tesoro.

Melinda stava cercando di capire cosa fossero i disegni che riempivano per intero i muri, da terra fino a circa un metro di altezza, mentre chiaramente, nella parte superiore, vi erano varie rappresentazioni delle dee e di altre divinità del panteon sumero.

Janice, invece, stava studiando la conformazione della sala. Era insolitamente grande ed alta rispetto a quanto aveva visto nel resto del tempio; il pavimento era ricoperto da una strana polvere densa e compatta che si chinò a tastare. Era uno strato spesso ed al tatto era scivolosa come talco, ma conteneva anche dei granuli duri, come dei sassolini. Inoltre, sparsi qua e là per il pavimento c’erano i resti mummificati di piccoli roditori e serpenti.


<<Le ripeto che deve esserci un errore! Questa è la stanza sbagliata!>> Frank si passò una mano tremante nei capelli, iniziava a perdere la calma, realizzando tutte le implicazioni del suo fallimento.

<<Spiacente ma… è proprio la camera del tesoro, vero dottoressa Pappas?>> disse Janice, già godendo internamente per la disfatta dell’uomo e avvicinandosi a Melinda.

<<Confermo, dottoressa Covington>> ribadì Melinda annuendo verso la compagna.

<<O-ho, le signore hanno parlato! Se questa è davvero la stanza del tesoro, di grazia, dove diavolo si trova quel dannatissimo oro!>> Frank aveva alzato la voce in un ringhio aggressivo.

<<Ci stai camminando sopra, idiota>> Janice non si scompose, mantenendo la calma, ma lasciando trapelare tutto il suo godimento per l’ironia della situazione.

Frank fece per lanciarsi verso la donna <<Adesso ti…!>>

<<Wollen! – lo bloccò il professore – la smetta di fare il bambino, non abbiamo tempo per queste sciocchezze, vediamo di trovare qualcosa per cui valga la pena essere arrivati fin qui.>>

<<Non troverete nulla, almeno non in questa stanza. A parte l’inestimabile valore della stanza stessa>> asserì Melinda.

<<Come fate a dirlo?>> Frank era sul punto di esplodere. Se solo ripensava a quanto tempo e denaro aveva messo in quella ricerca, per non parlare dei rischi corsi nel rubare la statuetta e non essere scoperto!


<<Basta guardarsi attorno. I predatori vanno dove ci sono le prede, - iniziò a spiegare Janice, indicando prima i serpenti e poi i topi, - e le prede vanno dove c’è di che sfamarsi.>>

<<Che nel nostro caso è proprio “l’Oro di Inanna”>> proseguì Melinda passando una mano sulla parete alle sue spalle tracciando con le dita le incisioni su essa.

Ma Frank ed i suoi amici non ci arrivarono.

Melinda, sbuffando, indicò di nuovo spazientita il muro.

Nessuna lampadina si accese negli occhi degli uomini.

<<Grano!>> sbottò scandalizzata in un tono acuto per la loro ottusità, indicando con più enfasi le incisioni che rappresentavano le piante.

Frank impallidì.

<<E stai camminando su quel che resta di quel grano, o qualunque fosse il cereale allora coltivato in quest’area. – spiegò meglio Janice – Questa strana polvere, al cui interno ancora si trova qualche chicco mummificato, è l’oro che tanto agognavi e la stanza del tesoro altro non è che un granaio!>> il sorriso di Janice era colmo di scherno.


<<Un granaio? Un granaio! – Frank urlò sconcertato ed irato, -Questo maledettissimo buco sudicio in capo al mondo è solo un fottutissimo granaio?>>

<<Avevi detto che ci sarebbe stata la giusta ricompensa per tutti, - si fece allora avanti uno dei soci di Wollen, - ma se qui non c’è un solo grammo d’oro, con cosa ci pagherai?>>

I due uomini si erano rivolti minacciosi verso quello che fino ad un istante prima era considerato il loro capo, e le pistole che prima tenevano sotto scacco le due donne ora minacciavano chi le aveva ingaggiate.

<<Ehi, calma ragazzi, possiamo sistemare tutto>> alla collera di Frank si unì la paura.

<<I soldi sistemeranno tutto, hai comunque di che pagarci, vero?>>


<<Che sta succedendo qui?>>

Un voce autorevole e sconosciuta gelò la lite degli uomini. Tutti alzarono lo sguardo verso l’ingresso della camera del tesoro e, quando le lampade a olio illuminarono i volti dei nuovi arrivati, gli uomini impallidirono, mentre sul volto delle donne si stagliò un sorriso di sollievo e soddisfazione.

Accanto allo sconosciuto che aveva parlato, c’erano tre scavatori ed anche Helmi, che sorrise loro di rimando, con calma rassicurante.

La cavalleria era arrivata a ristabilire l’equilibrio tra le parti.


<<Ma lei è…>> il vecchio professore tremava d’imbarazzo. Era appena stato scoperto con le mani nel sacco ed i suoi sogni di gloria erano letteralmente finiti in polvere.

<<Sì, sono Seton Lloyd, Consulente Archeologico presso il Ministero delle Antichità e mi è stato riferito da fonti sicure che in questi scavi accadono cose poco chiare.>>

Janice e Melinda si scambiarono degli sguardi interrogativi, come aveva fatto Helmi a raggiungere in così poco tempo un personaggio autorevole come Lloyd? Non aveva mai accennato alle due donne di poterlo fare.

Lo sguardo stupito delle due archeologhe si rivolse allora verso Helmi in cerca di una risposta. L’uomo sempre con il suo calmo sorriso esagerò un lento labiale che non fu difficile da comprendere per le due donne.

“Althea!”


Quella donna era fenomenale, quando aveva scritto ad Helmi, doveva aver scritto anche a Lloyd. Prima di tornare negli Stati Uniti le due donne avrebbero fatto di nuovo un salto in Svizzera per ringraziarla. Senza il suo intervento a dir poco “divino”, non sarebbero mai arrivate fino a quel punto.

<<Allora, cosa sta succedendo qui? Perché nessuno al Ministero è stato avvisato di un evento così importante come l’apertura di una camera del tempio? Esistono delle procedure per queste cose, ed è evidente che non sono state rispettate. E poi chi è tutta questa gente? – disse rivolto agli americani, Mel e Janice comprese – Mi è stato riferito inoltre che a questo episodio di insubordinazione potrebbe essere legato anche un caso di furto avvenuto negli Stati Uniti… - il tono dell’uomo si era fatto sempre più severo e nel pronunciare l’ultima frase il suo sguardo si era serrato su Frank ed i suoi amici.

Era chiaro che gli uomini erano stati scoperti e che non c’era più possibilità per loro di portare a termine il loro piano. Piano che comunque era già andato in fumo, visto che il tesoro di Inanna non era per nulla ciò che si aspettavano.


Non vedendo altra possibilità per salvarsi, Frank diede un forte spintone ad uno dei suoi amici davanti a lui, mandandolo contro l’altro, e partendo a testa bassa, con una spallata riuscì a buttare uno degli scavatori contro la parete e a crearsi un varco per uscire dalla stanza e fuggire a gambe levate.

<<Ehi! Fermati!>>

Senza neanche pensarci, appena lo aveva visto scattare, Janice gli si era messa alle costole, lo aveva rincorso per i corridoi della ziggurat, facendo il percorso a ritroso verso l’uscita.

Quell’uomo era una lepre in tutti i sensi, Janice aveva gli era corsa dietro, ma non era stata in grado di raggiungerlo.


Abbandonati i suoi compagni al loro destino, una volta fuori dalla piramide, Frank corse a rotta di colla verso la sua jeep ed in men che non si dica stava fuggendo in un nuvola di polvere.

<<Vigliacco!>> gli urlò dietro Janice ansante, arrivata fuori dal tempio giusto in tempo per vederlo sgommare via. La donna si guardò freneticamente in torno e, individuata un’altra jeep, non ci pensò due volte a saltarci su. Janice ringraziò la sua buona stella: le chiavi erano inserite. Accese il mezzo sgasando pesantemente e, mentre ingranava la marcia, Mel aprì lo sportello e si gettò sul sedile accanto all’autista. Era stata una fortuna aver deciso di indossare solo dei pantaloni ed una camicetta, con scarpe comode.

<<Che diavolo ci fai qui? – le ruggì subito contro Janice – Scendi subito, o lo perderò. Non vedi che sta scappando?>>

<<E allora cosa aspetti? Parti!>>

<<Mel! Non essere…>> Janice fu interrotta bruscamente da una Melinda mai così determinata:

<<Cosa? Stupida? Testarda? Se stai per rischiare la vita per me, io la voglio rischiare con te. Insieme Janice, insieme!>> il viso accaldato della donna era serio e determinato, il blu dei suoi occhi bruciava di decisione, anche più del sole del deserto. Janice non vi vide alcuna incertezza, era una battaglia che non poteva vincere.

<<Allora reggiti forte!>> la rossa schiacciò improvvisamente l’acceleratore, con la rabbia della frustrazione per non essere mai in grado di rifiutare qualcosa alla donna che aveva accanto.

La furiosa partenza incollò Melinda al sedile, con un grido eccitato di stupore e soddisfazione. Finalmente un po’ d’azione anche per lei!


Il mezzo di Frank era visibile davanti a loro, l’uomo stava tornando verso la città. Le distanza tra loro però, si accorciavano ad ogni momento. Frank non si era ancora accorto di essere inseguito e Janice guidava come una forsennata. Mel cercava ad ogni istante degli appigli più sicuri. Più di una volta aveva rischiato di venire sbalzata fuori dalla jeep che aveva messo alla prova i sui ammortizzatori su una buca.

Janice era concentratissima sulla guida, lo sguardo famelico fisso sulla preda.


Non ci volle molto prima che Janice raggiungesse l’alta nube di polvere del mezzo davanti a lei e che le aveva protette fino a quel momento, ma per evitare problemi di vista e di respirazione si spostò un po’ di lato rispetto a Frank.

Questo però fece sì che le due donne venissero avvistate dal suo specchietto retrovisore. L’uomo spinse il suo mezzo al massimo.

<<Dannazione!>> Janice strinse le mani sul volante e pigiò a tavoletta.


Frank dovette rallentare per affrontare un curva a gomito e non ribaltarsi, Janice ebbe poco tempo per studiare l’ambiente attorno a loro prendere una decisione.


La strada correva in una pianura rocciosa, la carreggiata era polverosa, ma pulita dai numerosi massi e ciottoli che caratterizzavano il panorama.

“O la va, o la spacca!” pensò Janice.

<<Mel!>> fu il grido di avvertimento che si udì appena al di sopra del rombo furioso del motore.

Melinda non ebbe bisogno di altre spiegazioni. Il momento della mossa di Janice era giunto e la donna aveva già intuito di cosa si trattasse.

Mel puntò i piedi per schiacciarsi contro il sedile, mentre con una mano si reggeva alla maniglia dello sportello e con l’altro braccio abbracciava il sedile, ruotata di tre quarti.

Il secondo successivo Janice sterzò di colpo e si buttò fuori strada. Voleva tagliare la curva dall’interno, per superare Frank e bloccargli la strada.

La povera jeep, a rotta di collo su buche e sassi, era continuamente catapultata in aria come le sue occupanti. Più di una volta Janice aveva rischiato di perdere la presa sul volante per una dura scossa. Mel dal canto suo lanciava grida di terrore e dolore ad ogni botta che subiva. Sbattuta sul sedile, scaraventata contro lo sportello, o lanciata addosso al pilota.

Ma Frank era vicino. Sempre più vicino.

Janice lo aveva puntato e non lo mollava.

Pochi secondi e avrebbe inchiodato proprio davanti alla sua jeep. Qualche centinaio di metri e avrebbero fermato quel bastardo!


PAM!


Lo scoppio fu improvviso. La ruota anteriore destra era stata squarciata da una pietra tagliente.

Le donne iniziarono ad urlare a causa dell’adrenalina, della paura e della concitazione.

Il mezzo era impazzito, Janice sterzava freneticamente da una parte e dall’altra per mantenere la direzione e per evitare di sbandare.

E stavano perdendo terreno. Così non avrebbero mai superato Frank!

Ma Janice non era intenzionata a mollare.

<<Aaaaaaarrggh!>>

<<JANIIIIICE!>>


Frank ebbe appena il tempo di voltarsi alla sua destra e vedere il mezzo delle due donne che, come un proiettile impazzito, raggiunse a velocità folle il fianco posteriore della sua jeep.


Lo schianto fu tremendo.


Frank andò in testa coda e le due jeep si fermarono in una tempesta di polvere e ferraglia. Il muso delle due donne contorcendosi era rimasto incastrato nell’altro mezzo, che non poteva più andare da nessuna parte.

L’uomo picchiò più volte il pugno sul volante, lanciando insulti ed imprecazioni. A parte qualche contusione, era del tutto illeso.

Frank saltò giù dalla sua jeep barcollando stordito, ma deciso a dare alle due donne la lezione che si meritavano.

Peggio era andata alle due archeologhe. Janice riaprì lentamente gli occhi e si portò dolorosamente una mano alla testa per ritrovarsela impastata di sabbia e sangue. Cercava di ricordare ma non riusciva a capire dove l’avesse sbattuta e cercando di respirare ebbe una fitta lancinante al torace che le causò una tosse convulsa anche più dolorosa.

Ancora con la vista parzialmente annebbiata ed accecata, controllò il resto del suo corpo.

Il parabrezza era andato in frantumi e pezzi di vetro erano sparsi un po’ ovunque.

C’era del sangue anche sulla manica destra della sua camicia, ma toccando non trovò alcuna ferita.

Una stretta allo stomaco e la nausea del terrore la colsero realizzando che non era suo.

Quel sangue non era suo!


Janice sbarrò gli occhi e cercò di ruotare la testa per vedere che ne era stato di Melinda, ma ebbe appena il tempo di vedere la camicetta azzurra dell’amica intrisa di sangue, le sue lunghe braccia abbandonate senza forza sui fianchi ed i capelli corvini scarmigliati che coprivano il volto reclinato di lato, verso lo sportello della jeep, che fu afferrata violentemente per il bavero e trascinata di peso fuori dal mezzo.

<<Adesso me la paghi, Covington!>>

Frank scaraventò Janice a terra, sul duro rovente della carreggiata, ma il suo unico pensiero era Melinda. Doveva sapere come stava Melinda, se era viva, se era ferita e aveva bisogno d’aiuto, o se era…

No! Non di nuovo, non un’altra volta, non un’altra donna che moriva a causa sua! Non Melinda!

<<Ti prego, no…>> Janice sentì gli occhi bruciarle per il raccogliersi delle lacrime sugli occhi accecati dal sole.


Frank si mise a ridere: <<La Predatrice, tsè! In ginocchio a pregarmi ancora prima che l’abbia toccata! Dunque sono tutte stronzate quelle che si raccontano su di te. Non avevo dubbi!>>

Ma Janice non lo stava ascoltando, era come in trance e si alzò da terra tornando verso la jeep. Ormai l’unico dolore e l’unico rumore che sentiva erano quelli del suo cuore.


Frank era tra lei le jeep semidistrutte e, quando fu ad un passo dall’uomo, senza aver mai alzato lo sguardo su di lui, senza mai averlo distolto dal punto dove si trovava veramente il suo cuore, Frank ebbe un altro scatto e spintonò la donna per le spalle con tutta la sua forza, mandandola a terra di nuovo.

Questa volta lo sguardo di Janice colpì l’uomo dritto in volto. Frank ebbe un sussulto, la ferocia di quegli occhi verdi rasentava la follia. L’uomo digrignò i denti.

<<Credi di farmi paura? Non sei un uomo, non sei neanche una donna, sei uno scherzo della natura. Vuoi andare dalla tua puttana? Allora fatti sotto e quando avrò finito con te, mi occuperò anche di lei>>.


Non c’era tempo per divertirsi, questa volta la lotta non era per gratificare il proprio ego, Janice lo sapeva, questa era per la vita. E non le sarebbe importato, se quella vita fosse stata la sua, ma non era così.

Janice saltò in piedi di scatto e si lanciò verso Frank che alzata la guardi era pronto a riceverla. La donna lanciò un urlo potente, rabbioso e lunghissimo e quando fu a portata dei colpi dell’uomo, con un repentino cambio di direzione si buttò di lato facendo una capriola a terra che disorientò l’avversario. Janice riuscì nell’intento di trovarsi alle sue spalle e senza dargli il tempo di voltarsi lo colpì con tutte le sue forze nella parte posteriore del ginocchio.

Frank cadde a terra sulle ginocchia sbalordito, e poi, facendo l’errore di voltare la faccia per vedere dove fosse la donna, un pugno lo raggiunse deciso alla mascella facendogli sputare sangue.

Janice doveva essere veloce e non perdere quel piccolo vantaggio che aveva guadagnato. Non aveva le forze per un lungo scontro.


Entrambi erano in un bagno di sudore ansanti, già provati dall’incidente e dal caldo eccessivo.

<<T’ammazzo. Ti giuro che t’ammazzo>> decretò Frank rialzandosi e voltandosi verso la donna partendo con un gancio. Janice alzò la guardia e cercò di schivare spostandosi un passo indietro. Il pugno la raggiunse al braccio, ma ne risentì anche la testa che quel braccio stava proteggendo. L’uomo ripartì in sequenza con un montante e Janice lo sentì che gli sfilava il mento. Per poco non era stata centrata in pieno. Doveva fare attenzione, nelle condizioni in cui era, anche un solo colpo le sarebbe stato fatale. Ancora si proteggeva e schivava i colpi, quando l’uomo, snervato, la colse di sorpresa afferrandola per il davanti della camicia sollevandola fino ad avere il suo volto proprio davanti a sé.

Pessima mossa. Janice non si lasciò sfuggire l’occasione fornitagli da quello stupido errore di Frank.


La donna, con tutta la forza di cui ancora disponeva, tirò una testata sul naso e sull’occhio che gli aveva ferito il giorno prima.

<<Aaaahhh>> l’uomo non trattenne un urlo di dolore ed istintivamente, portandosi le mani al volto, lasciò ricadere a terra la donna, che ne approfittò immediatamente per colpire le parti del corpo dell’uomo lasciate scoperte in quel momento.

Janice gli piazzò un poderoso calcio alla bocca dello stomaco, che gli tolse il fiato e lo face chinare in avanti. Tanto bastò a Janice per riuscire a sferrare un secondo calcio che lo raggiunse dritto alla testa.

Frank stordito e semisvenuto cadde a terra e Janice, ormai fuori controllo, anche se stremata, continuò a colpirlo con la forza della disperazione. Calci al corpo, calci alla testa, alle gambe, con la punta dei suoi stivali, con il tacco, di piatto; tutti accompagnati da grida di rabbia e dolore da parte della donna.


Frank era ormai steso al suolo, con le braccia e le gambe aperte, il volto tumefatto era una maschera di sangue. Janice era stremata e senza fiato, il caldo stava per farla svenire in un bagno di sudore, ma avrebbe terminato ciò che aveva iniziato.

La donna si lasciò cadere in ginocchio a cavalcioni sul torace di Frank e, raccolta una pietra alzò il braccio per sferrare il colpo mortale.


<<Non lo fare, Jan!>> una mano delicata, ma decisa le aveva bloccato il polso che aveva alzato sopra la testa.

Janice lasciò cadere la pietra, solo una voce riusciva a raggiungere la sua anima così in profondità da salvarla sempre dalla sua follia.

Le lacrime già creavano brucianti solchi sul volto impolverato, mentre stremata e barcollante si rialzava e si voltava pregando di non esser preda di un miraggio, o della pazzia.

E lei era lì, Janice la squadrò dall’alto in basso, il sangue sulla camicetta in parte lacerata si stava già rapprendendo.

Mel la vide fissare apprensiva il sangue e spiegò: <<I vetri del parabrezza mi hanno provocato dei tagli ma sto bene; devo aver perso conoscenza a causa di una botta in testa, - Mel si portò una mano alla fronte e fece una smorfia di dolore, - domani avrò un bernoccolo enorme>> concluse con un sorriso, mentre incrociò finalmente lo sguardo scosso di Janice. La donna non era ancora riuscita a dire nulla.

<<Jan, stai bene?>> Mel era altrettanto preoccupata.

<<Adesso sì.>>

Melinda sentì in quelle due piccole parole e vide nello sguardo di Janice tutto l’amore che una donna poteva desiderare per sé stessa ed attirando a sé l’amica, ignorando il caldo, la strinse in un abbraccio a cui anche Janice si aggrappò disperatamente, ma con gioia.

Quando infine si sciolsero, tranquillizzate reciprocamente dall’abbraccio dell’altra, Mel, indicò a Janice qualcosa in lontananza alle sue spalle. La donna si voltò a guardare lungo la strada e vide altri tre mezzi sopraggiungere.

Era finita finalmente, i soccorsi stavano arrivando a prenderle.

Le due donne si scambiarono un altro sguardo d’intesa e, questa volta, i loro visi furono illuminati da ampi sorrisi di soddisfazione e risero, lasciando che la tensione evaporasse al sole, risero della gioia isterica provocata dalle forti emozioni.

Ce l’avevano fatta! La loro grande avventura si era conclusa e loro ne erano uscite vincitrici!


<<Ah, e… Jan?>> iniziò timida Melinda.

<<Sì?>>

<<Ti dispiace se ci fermiamo qui qualche altro giorno? Vorrei visitare meglio gli scavi… se per te non è un problema.>>

Lo sguardo intenso color smeraldo di Janice scintillò in quello acquamarina e scherzosamente implorante di Melinda e di nuovo le due donne scoppiarono in un’altra fragorosa risata.

<<Te lo avrei chiesto anch’io! Andiamo, chissà quali altri segreti nasconde quel tempio!>>


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E dopo circa tre settimane, eccola nuovamente Melinda lì, a New York, a distanza di un po’ più di due mesi (ma era avvenuto così tanto nella vita della donna, e lei stessa si sentiva così diversa, che quel mese sembravano anni), nell’ufficio del direttore del Museo di Storia Antica, Joseph Mayer. Ma questa volta l’occasione era ben diversa e Melinda voleva godersi ogni istante della sua rivalsa.

Quel luogo ora non le sembrava più così spaventoso come l’ultima volta che vi aveva messo piede, e neppure l’omino dietro la scrivania la impressionava più.

Le era stato chiesto di prendere posto su una delle due poltrone di pelle nera davanti alla scrivania, ma aveva rifiutato. Aveva preferito rimanere in piedi e continuare a guardare dall’alto in basso l’ottusa faccia da topo del direttore, il cui sguardo celato dietro i piccoli occhialini rotondi, nonostante tutto, ancora la guardava con disprezzo.


Ma da buon vigliacco che era, Mayer era attento a non far trasparire i suoi sentimenti, almeno non in quell’occasione, non mentre in piedi, accanto alla sua scrivania, il signor Hans Zimmerwald tesseva sinceramente entusiasta le lodi di Melinda, mentre con soddisfazione si rigirava tra le mani la sua statuetta votiva di Inanna.

<<Dottoressa Pappas ciò che ha fatto è stato davvero ammirevole e coraggioso ed io gliene sarò per sempre grato>> il signor Zimmerwald era un uomo sulla sessantina dai folti capelli bianchi e dagli occhi grigi; la sua considerevole altezza e le spalle larghe, unite a dei tratti squadrati, gli davano un aspetto imponente ed austero. Melinda pensò che avrebbe anche potuto sembrare minaccioso se solo avesse voluto, la rughe sul volto, agli angoli della bocca e degli occhi indicavano però, che era un uomo che preferiva sorridere. Proprio come stava sorridendo ora a Melinda, con un ampio e cordiale sorriso che gli creava due profondi solchi ai lati del viso.


<<La ringrazio, ho fatto solo quello che credevo fosse giusto fare per rimediare ad un mio errore>>.

<<E naturalmente io non affiderò mai più compiti così delicati a personale non qualificato>> aggiunse Mayer mellifluo, ma lanciando un’occhiata tagliente a Melinda.

<<Non qualificato, dice? A me sembra che il museo sia stato tanto fortunato ad avere nel suo staff una persona in gamba, determinata, e così dedita al proprio lavoro e alla propria passione… quanto altrettanto è stato sfortunato a covarsi in seno un ladro.>>

Mayer fu zittito da quelle parole e questa volta fu il turno di Mel di restituirgli un sorriso carico d’orgogliosa superiorità.

<<Naturalmente – aggiunse Zimmerwald – provvederò a ritirare le denuncie nei confronti del museo>>.

<<Ed io provvederò a reintegrare la dottoressa Pappas, come richiesto>> disse con freddezza Mayer in un sibilo.


Mel non trattenne una smorfia ed abbassò per la prima volta lo sguardo, aggiustandosi gli occhiali a disagio e dondolandosi un poco sui tacchi.

<<Non sembra entusiasta, non le piacerebbe riavere il suo lavoro al museo?>>

Melinda fu per alcuni istanti indecisa su cosa rispondere. Era grata di poter riavere il lavoro al museo, aveva rimediato al proprio sbaglio, ma questo non aveva cancellato il suo passato. Trovare un altro impiego in campo archeologico non sarebbe stato comunque facile. Ma guardando l’onesta e semplice curiosità negli occhi di Zimmerwald e poi incrociando l’arrogante sguardo di Mayer, che altro non aspettava che vederla piegata a tessere le sue lodi, Mel non ebbe più dubbi.

<<No, se devo essere sincera>>.

Il sorriso di Mayer scomparve immediatamente, sostituito da scandalizzata collera.

Zimmerwald la osservò interrogativo.

<<Sono un’archeologa, - disse fiera Melinda, - e vorrei fare l’archeologa, non la segretaria. I musei hanno un ruolo importantissimo, ma io vorrei tornare sul campo, là fuori. Lo studio dei testi è fondamentale, ma la nostra storia non possiamo cercarla solo sulla carta. La carta è il punto di partenza per arrivare alla pietra. Alla Storia!>>


Il cuore di Zimmerwal si riscaldò davanti a tanta passione, quello che gli era stato raccontato di questa donna, non solo era vero, ma non le rendeva affatto giustizia.

<<Purtroppo non ho il potere di farla tornare agli scavi, - confessò sinceramente dispiaciuto Zimmerwald, -ma una nostra comune amica mi ha scritto di lei e della sua situazione, ed ora –concluse l’uomo soppesando la sua preziosa statuetta -concordo con Althea sul fatto che le sue abilità, qui, siano sprecate>>.

Melinda fu sorpresa, Althea aveva fatto anche questo per lei? Aveva interceduto per una persona che conosceva appena? Un giorno avrebbe cercato il modo di sdebitarsi.

<<Se le può interessare, io avrei una proposta da farle…>>


Varcando le porte del museo, una luce carica di promesse avvolse Melinda insieme alla visione del cielo sereno contro cui si stagliavano i palazzi.

Un sorriso colmo di soddisfazione le illuminava il viso, ma voleva anche condividere quella soddisfazione con la persona che le aveva reso possibile rimettere insieme i pezzi della sua vita.

Melinda si guardò un po' attorno ed ecco che da una panchina ad una ventina di metri, ombreggiata da un albero, due intensi occhi verdi la fissavano sorridenti.

Mel raggiunse Janice quasi volando, era così entusiasta che le sembrava di camminare ad un metro da terra.


<<Penso sia superfluo chiederti com'è andata>> l'accolse Janice notando la gioia e la soddisfazione che parevano irradiare da ogni poro dell'amica.

<<Mi sento di nuovo un'archeologa, anzi, mi sento un'archeologa completamente nuova! Il Sig. Zimmerwald è stato gentilissimo ed è rimasto impressionato dal nostro lavoro, tanto che me ne ha offerto un altro!>>

<<E’ meraviglioso>> Janice era sinceramente felice per Mel, ma un’ombra fugace offuscò il sorriso. Ora che Melinda poteva riprendere la sua carriera, non ci sarebbe stato posto per lei nella sua vita.

Melinda aveva riavuto tutto, Janice era ancora con niente. Niente casa, niente lavoro, nessuna possibilità di riprendere la sua carriera ed ora… Ora anche niente Melinda!


Janice accusò una fitta al cuore, pur continuando a sorride e a sostenere lo sguardo raggiante della sua… migliore amica? Compagna? Amante di una notte? Anche il rapporto tra loro due aveva assunto un aspetto ambiguo e confuso.

Era incredibile come da Nassiriya a New York non avessero ancora avuto del tempo solo per loro, per mettere in luce la natura dei sentimenti che nutrivano l’una per l’altra.

A Melinda non sfuggì quel contrasto di sentimenti, che non ebbe difficoltà ad interpretare nel modo giusto. Dietro quegli occhi verdi potevano ancora celarsi tristi segreti, ma non potevano più nascondere i sentimenti che provavano per lei.


<<Sei mai stata in Nuova Zelanda?>>

<<Dove?>>

<<E’ là che siamo dirette per il nostro prossimo incarico.>>

<<Come, scusa?>>

Mel sorrise eccitata, mentre Janice la guardava con sospetto, come se fosse impazzita da un momento all’altro.

<<Il Signor Zimmerwald mi ha chiesto se possiamo aiutare un suo amico collezionista a rintracciare dei monili Maya che gli sono stati rubati. Questo stesso collezionista è convinto che i pezzi trafugati siano ancora entro i suoi confini nazionali.>>

<<Fammi indovinare: la nazione in questione è la Nuova Zelanda. Ma perché vuoi sapere se ci sono stata?>> Janice era ancora confusa.

Melinda trasse un profondo respiro e si preparò fiera a fare il proprio annuncio:

<<Perché dare la caccia ai trafficanti e ai ladri di reperti archeologici da oggi sarà il mio nuovo lavoro! Potrei anche mettermi in proprio ed aprire uno studio, ma non posso farcela da sola. Che ne dici, socia?>>

Mel tese la mano destra a Janice, un lampo d’intesa percorse i loro sguardi accesi di nuova speranza per il futuro.

Un futuro insieme.

Janice afferrò saldamente la mano di Melinda, decisa a non lasciarla mai più andare:

<<Affare fatto, SOCIA!>>


Fine… (7-03-2012)

 

 




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