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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

(Capitolo XII)

Parte 2

(65) Xena/Jennifer e Sutherland

"Cosa ricordi esattamente?"

Lampi di luce nella notte. Chi sono questi uomini e perché li sto combattendo?

("Xena, sono qui.")

("Olimpia, vattene. Non voglio che ti feriscano o peggio.")

("Ora che ti ho ritrovata, non ti perderò di nuovo. Non permetterò che ci separino ancora. Combatteremo insieme. Come una volta.")

("Sei sicura?")

("Mai stata più sicura di così in vita mia.")

Olimpia. E' lei, ne sono certa. Eppure... il suo volto... non riesco a vederlo bene nella confusione, ma mi sembra diverso... Ma ora gli uomini attaccano... Non c'è tempo per pensare... E poi, lo scoppio, secco come quello provocato dalla polvere nera della terra di Cina e assordante come un'esplosione di fuoco greco... e il suo corpo che scivola tra le mie braccia... i suoi occhi d'un tratto vitrei e privi di vita... e la rabbia, la furia che credevo dimenticate, riposte dentro di me che m'invadono... non vedo niente, non capisco nient'altro che non sia la morte immediata di colui che l'ha uccisa... l'uomo è terrorizzato, sotto di me... balbetta qualcosa... non lo capisco e non mi interessa... l'unica  cosa che voglio sentire è il suo rantolo mortale quando la mia spada gli trafiggerà la gola... e poi altri scoppi... fitte acute che mi attraversano la schiena, il ventre... e tutto si fa confuso... grida mi circondano... il buio riempie i miei occhi... la mia mente...

" Jen... Xena?"

Il suono del suo nome, anche se pronunciato in quella lingua barbara ed aliena, riscuote la guerriera dalla nebbia dei ricordi in cui per qualche momento si era lasciata immergere, riportandola al presente e richiamando la sua attenzione sull'uomo anziano che la sta fissando con un pizzico di apprensione.

"Che c'è? Cosa vuoi?"

"Stai piangendo." L'uomo che ha detto di chiamarsi Sutherland fa per avvicinarsi e Xena si scosta immediatamente, mentre la sua mano corre ad asciugare le tracce di umido che avverte sul viso.

"Non è niente." ribatte bruscamente.

"Lo dicevo per il trucco." risponde Sutherland.

"Cosa?"

"Ti sta colando un po' sotto gli occhi."

Dubbiosa, la guerriera si avvicina al grande specchio alla parete, notando subito lievi tracce scure che le scendono lungo le guance.

"Puoi andarti a ripulire in bagno. E' in fondo al corridoio, a destra." le dice il vecchio.

Ma Xena resta immobile ad osservarsi.

Jennifer.

E' così che il vecchio ha detto che si chiama la donna nel cui corpo, chissà come, si è risvegliata. Un corpo esile rispetto al suo, senza dubbio non allenato e fuori forma, ma un bel corpo. Non può negarlo. Xena apre il soprabito, ammirando l'ampia scollatura che lascia più che intravedere un seno non generoso come il suo, forse, ma ugualmente notevole e ben fatto. La statura è sicuramente inferiore, e non di poco, anche se la Principessa Guerriera non riesce a calcolare ad occhio di quanto, ma le gambe sono snelle e paiono robuste a sufficienza da sopportare qualche intenso allenamento. Lo stesso discorso potrebbe valere per le braccia e la schiena, anche se lo sforzo a cui l'ha sottoposta prima per sottrarsi all'aggressione hanno lasciato un residuo di indolenzimento. Niente comunque su cui non si possa lavorare. Se dovrà rimanere per qualche tempo in quel corpo, sarà meglio cercare di rimetterlo in forma il più possibile.

"Hai degli abiti?"

"Come?"

"Degli abiti per me." Xena si volta verso il professore. "Se mi troverò a dover combattere, non potrò certo farlo travestita da principessina."

"Co... combattere?"

"Chiunque abbia cercato di eliminarmi... o meglio, di eliminare l'originale proprietaria di questo corpo, potrebbe riprovarci. E vorrei, nel caso, muovermi in qualcosa di più adatto."

"Capisco. Avevo quasi dimenticato." mormora Sutherland con rammarico. "Mi dispiace, gli unici abiti femminili in questa casa erano quelli di mia moglie, ma me ne sono disfatto alla sua morte, e comunque non ti sarebbero andati bene. Però..." aggiunge poi "... credo che potresti trovare qualcosa di più pratico a casa tua... cioè, a casa di Jennifer."

"Tu sai dov'è?"

"No, non ci sono mai stato. Si è trasferita di recente e non ricordo l'indirizzo, ma sicuramente nella sua borsa troveremo un documento e le chiavi dell'appartamento."

La guerriera lo fissa, come se non fosse interamente sicura di capire quello che sta dicendo, ma le basta il senso generale, e quello è chiaro.

"D'accordo. Andiamo."

"A... adesso? Ma è tardissimo." Il vecchio la guarda sorpreso. "Ormai a quest'ora sarà quasi impossibile anche trovare un taxi... voglio dire, un mezzo di trasporto per arrivarci." Sutherland prova ad avvicinarsi ancora, con cautela, alla guerriera e con sollievo nota che questa volta Xena non si scosta, lasciando perfino che lui le appoggi una mano sul braccio. "Ascoltami. Perché non riposi qui questa notte? Ci andremo domani mattina, di buon'ora. Intanto" dice, guardandola dalla testa ai piedi "potresti farti un bel bagno, mentre io cercherò di rimettere un po' in ordine i tuoi vestiti. Non mi sembrano strappati e solo il soprabito si è sporcato. Basterà della trielina e una stirata e tornerà come nuovo."

Xena lo fissa, considerando evidentemente le sue parole. Ancora una volta, non tutto le è chiarissimo (trielina?), ma il suo istinto e la stanchezza che sente nei muscoli di quel corpo, le suggeriscono di seguire il consiglio del vecchio. Inoltre, l'idea di un bagno caldo non le è mai apparsa più seducente. E tuttavia...

"No, non posso perdere tempo. Devo tornare nel mio mondo, nel mio corpo. Olimpia..."

Il nome le resta sulle labbra per un momento, mentre chissà per quale ragione le pare che nel sentirlo il volto del vecchio s'illumini sempre un po'.

"Per questa notte" le dice pacatamente "non riusciremmo comunque a fare nulla. Sei una guerriera troppo esperta, Xena, per non sapere il valore che può avere qualche ora di riposo, in certi momenti."

Xena continua a fissarlo dubbiosa, ma questa volta, il buon senso nel discorso di Sutherland sembra filtrare attraverso le sue resistenze. "Adesso vai a rilassarti." prosegue l'uomo. "Fa' il bagno, riposa e cerca di recuperare le forze. Vedrai che la tua Olimpia saprà cavarsela."

La menzione della compagna riaccende l'apprensione nello sguardo della guerriera.

"No, tu non capisci. Non sai cosa dobbiamo affrontare da... dall'altra parte. Non posso lasciarla sola contro quella cosa."

"D'accordo." dice Sutherland lasciando cadere le braccia. "E dimmi, cosa pensi di fare per tornare indietro immediatamente? Conosci qualche magia che ti permetta di farlo? Perché io non ne conosco."

Ma Xena tace, incapace di ribattere alcunché.

"Dammi retta." riprende allora l'anziano docente, approfittando dell'evidente impossibilità da parte delle guerriera di dare una risposta al suo quesito. "Fai come ti ho detto. Domattina con la mente più fresca, penseremo a come procedere. Cercheremo di capire cosa ti ha trascinata di qua e perché proprio nel corpo di Jennifer. Su, adesso dammi il soprabito. Mi passerai il resto dei vestiti dalla porta del bagno."

Senza più provare a protestare, Xena si libera del soprabito e glielo tende.

"Dove hai detto che è, questo bagno?" 

Il vecchio, gentilmente, l'aveva accompagnata nell'ampio locale, aveva acceso le lampade tenui e riposanti appese alle pareti, facendo sobbalzare la guerriera all'improvviso chiarore, aveva aperto i rubinetti e mentre l'acqua alla giusta temperatura scorreva riempiendo rapidamente la vasca, le aveva spiegato in poche parole il funzionamento essenziale dei vari servizi presenti che Xena esaminava perplessa. La doccia, in particolare, sembrava aver colpito la donna, che l'aveva accarezzata con le dita, immersa in qualche sua riflessione.

"Olimpia usa qualcosa del genere." aveva mormorato poi.

"Davvero?" aveva chiesto il vecchio, guardandola incuriosito.

"Sì." aveva risposto Xena, sempre come se pensasse ad altro. "Dice che per lavare il fango e la polvere della strada dalla pelle e dai capelli non c'è di meglio. Di solito, mette un secchio con una serie di fori sul fondo, appeso al ramo di un albero. Poi, ci si mette sotto e..."

"Tu fornisci l'acqua, eh?" aveva sorriso Sutherland. "Una ragazza brillante."

Poi, era passato a mostrarle il resto, ma era rimasto sorpreso per la velocità con cui Xena aveva afferrato al volo l'uso e le funzioni di tutto, risvegliando il suo interesse di studioso e portandolo a chiedersi se l'epoca da cui proveniva la donna fosse poi così primitiva. Quindi, aveva pensato che la cosa fosse spiegabile sia con il fatto che abitando nel corpo di Jennifer la mente di Xena potesse stare assorbendo parte delle nozioni che questa conosceva per utilizzo quotidiano, sia con i ricordi che forse si stavano risvegliando in lei del tempo in cui era stata Cheryl Cooper. E comunque, non era quello il momento di effettuare indagini in proposito, e Sutherland, dopo averle consigliato di applicarsi dell'acqua fredda sul livido violaceo che aveva intorno al collo, l'aveva lasciata sola, raccogliendo gli abiti gettati fuori dalla porta.

E ora, distesa nella vasca fumante, la guerriera lascia che l'acqua bollente le lavi via l'indolenzimento muscolare che avverte in ogni punto di quel corpo, mentre guarda la superficie lucida e bianca che la circonda. La sua mente dovrebbe essere completamente assorbita dal pensiero di Olimpia e dei pericoli a cui la sua compagna è esposta, eppure Xena non può evitare che tutte le sensazioni che l'hanno assalita fin da quando si è ritrovata in quel posto, si agitino in lei rendendole difficile trovare la giusta concentrazione. Ogni cosa che ha visto, sentito, toccato, le ha rimandato lampi di ricordi, spesso troppo veloci per poterli catturare, ma vividi a sufficienza da comprendere che non erano semplici impressioni. Lei aveva già vissuto in quel mondo, in quel tempo. Ma quando, e perché prima non lo ricordava?

("Mio padre mi disse che il guerriero che Coloro che Sanno avrebbero mandato era qualcuno che aveva superato la Soglia ed aveva visto al di là di essa, ma che non ricordava di averlo fatto.")

Era così che aveva detto Alexi, no? Era tutto già prestabilito? Quelle divinità di cui parlava avevano causato tutto questo? Lei aveva già superato la Soglia, ma non ne conservava alcun ricordo, e questo l'aveva resa idonea per compiere nuovamente il viaggio. Ma ora cosa sarebbe successo? Come avrebbe potuto combattere il dèmone da lì, in quel corpo? E cosa ne era stato del suo?

La domanda le si era accesa all'improvviso in mente, lasciandola sorpresa di non averci pensato fino ad allora. Era rimasto vuoto, come in una specie di stato di animazione sospesa, o forse... ?

Magari in quel momento stesso era proprio questa Jennifer ad abitarlo. Ma quella donna non era una guerriera! Il dèmone ne avrebbe fatto un solo boccone! E uccidendo lei...

Respirando a fondo ripetutamente, Xena attende di riacquistare la calma necessaria, poi, si passa le dita bagnate tra i lunghi capelli castani, quasi più lunghi dei suoi, chiude gli occhi e reclina la testa all'indietro fino ad immergerla completamente sotto il pelo dell'acqua, attendendo che il silenzio assoluto che vi regna l'aiuti a raggiungere il grado di rilassamento di cui ha bisogno. Quindi, lentamente estende il suo pensiero, cercando.

Il professor Sutherland dà un ultimo colpo di spazzola alla gonna di Jennifer, appoggiandola poi con cura sul divano, accanto alla camicetta ed al resto dei vestiti. Anche il soprabito è stato steso ad asciugare degli ultimi residui dello smacchiante, dopo essere stato meticolosamente stirato, ed ora tutti i capi d'abbigliamento della donna sembrano come appena tolti dall'armadio. Sutherland osserva soddisfatto il suo lavoro. Questo era il frutto dei lunghi anni di solitudine. Essere costretto ad imparare ad adempiere ai piccoli lavori domestici da solo, può tornare terribilmente utile, un giorno, se una guerriera proveniente da un passato lontanissimo ti arriva in casa nel corpo vestito di abiti firmati di una tua amica.

L'uomo sorride al proprio patetico tentativo di fare dell'umorismo, ma del resto per alcuni è solo un modo di difendersi in circostanze estreme che potrebbero altrimenti sconvolgere loro la mente. Altri preferiscono negarle e rimuoverle, aggrappandosi all'idea di aver avuto allucinazioni o di aver male interpretato un evento naturale. E' così che la maggior parte delle persone assiste ad avvenimenti che esulano dalle leggi della natura e della scienza così come le conosciamo, senza che tuttavia di queste restino mai testimonianze definitive. Sutherland si chiedeva come avrebbe potuto essere interpretato, secondo le leggi della natura e della scienza riconosciute, il particolare evento che in quello stesso momento stava facendosi un bagno tonificante in casa sua. O come sarebbe stato spiegato da quei suoi illustri ex-colleghi che per anni, durante le sue accese conferenze incentrate sui marchiani errori ed omissioni della Storia, quella con la s maiuscola, lo avevano guardato spesso con aria di commiserazione quando, logica alla mano, cercava di porre dubbi  nei loro cervelli ammuffiti. Probabilmente si sarebbero limitati ad ignorarla, come facevano sempre quando qualche fatto non collimava con la loro visione rigida ed inalterabile del passato. La figura di Xena, ad esempio, era tutt'ora negata dalla gran parte degli storici che affermavano con la più grande prosopopèa che era completamente leggendaria o probabilmente si rifaceva a qualche guerriero che forse per la sua chioma lunga e folta era stato scambiato per una donna. Per le loro menti, avvolte nella bambagia delle proprie certezze, l'idea che una donna potesse aver compiuto ciò di cui si narrava era praticamente inconcepibile. Neanche i frammenti ritrovati delle antiche pergamene che riportavano le sue imprese venivano accreditati più di tanto, e l'insolita natura di alcune di queste, certamente, non aiutava. Si sosteneva infatti che potesse trattarsi di testi composti molto più tardi, se non addirittura di scherzi di dubbio gusto. Niente che valesse la pena di spenderci soldi per costosi esami. E certamente non basandosi sulle fantasiose teorie di Michael Sutherland.

Beh, cari signori, di là c'è una di quelle mie fantasiose teorie che forse vorreste toccare con mano, se aveste voglia di perderla subito dopo, cioè. 

Ma nella sostanza dei fatti, Sutherland per primo non riusciva a soffermarsi a pensare alla stupefacente situazione in cui si trovava immerso. Se non fosse stato testimone solo pochi mesi prima di avvenimenti quasi altrettanto incredibili, avrebbe pensato di essere preda di una forma di demenza senile. Proprio come la prima volta in cui la sua strada si era incrociata con quella della Principessa Guerriera, gli pareva di vivere in una specie di sogno ad occhi aperti, in cui procedeva con tutti i sensi all'erta dello studioso a contatto con una nuova insospettabile scoperta, e contemporaneamente con l'assoluta cautela di chi teme che quel sogno possa improvvisamente infrangersi nel nulla.

La prima volta aveva permesso che gli avvenimenti lo travolgessero, lasciandolo impotente spettatore della loro tragica conclusione, ma questa volta avrebbe fatto tutto il possibile perché le cose andassero diversamente. Non aveva idea di cosa stesse succedendo e quali misteriose ragioni avessero congiurato per far tornare la guerriera in quel tempo, né gli era sembrato il caso di seppellirla sotto il diluvio di domande che lo avevano assalito prepotentemente, non dopo il... viaggio, non avrebbe saputo in che altro modo definirlo, cui era stata sottoposta, anche se si era riservato di cercare di appurarlo l'indomani, ammesso che la donna fosse in grado di rispondere. Ma sentiva che ancora una volta il fato, Dio o chi per esso, gli aveva assegnato un ruolo nel nuovo capitolo di quella storia, e questa volta lo avrebbe svolto con tutte le sue forze fino alla fine, anche se fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. Senza contare che stavolta, c'era anche Jennifer a cui pensare. Anche se a quanto pareva l'arrivo di Xena, fin troppo tempestivo per essere casuale, era valso a salvarla da una morte orribile, adesso l'esponeva ad un doppio rischio, visto il temperamento della guerriera a cui non corrispondeva però più un fisico adeguato, e qualunque cosa fosse successa a Xena, sarebbe accaduta anche a Jennifer.

Buffo a ripensarci. La prima volta era stato quasi sicuro che fosse proprio Jennifer la reincarnazione di Xena, per la sua evidente attrazione per Joyce e la sua incapacità a staccarsi da lei, ma poi aveva capito di essersi sbagliato. E adesso lo spirito della guerriera trovava rifugio proprio nel suo corpo. Doveva esserci una ragione. In che maniera e perché due epoche così lontane tra loro, potevano aver colliso? E quando si entra nel reame dell'impossibile, o di ciò che comunemente viene ritenuto tale, ogni ipotesi diventa concepibile. Quindi era tanto assurdo ipotizzare che se Xena ora si trovava nel corpo di Jennifer, Jennifer in quello stesso momento, ma situato chissà quando nel tempo, potesse essere in quello di Xena, nell'epoca di Xena... e accanto ad Olimpia?

Ma se è così, pensa, quanta voglia avrà di tornare?

Scuotendo la testa, il professore raccoglie gli effetti personali che Jennifer teneva nelle tasche del soprabito e la sua borsetta e va a chiuderli in un cassetto della scrivania nel suo studio, Xena non avrebbe saputo cosa farne e avrebbe rischiato di perderli, infilando invece nella propria tasca il documento d'identità della donna e le chiavi del suo appartamento. Poi, si lascia cadere sulla poltrona con un sospiro soddisfatto.

Tenere la mente occupata, lo ha aiutato a non pensare alla sua sciatica e il doloroso disturbo sembra quasi essersi attenuato. Il suono del pendolo nell'ingresso indica la mezzanotte, e Sutherland appoggia la testa contro lo schienale, chiudendo gli occhi, mentre la sua mente instancabilmente continua a rimuginare.

Dovrei dormire un po', ma non so se ci riuscirò. Tutto quello che sta succedendo... E chi ha aggredito Jennifer e perché? E proprio a casa mia, poi. Che tutto questo abbia a che fare con la storia di quei poveri bambini rapiti e uccisi? Xena è qui per loro? E' tornata per portare a termine un compito che l'altra volta non ha potuto eseguire? Sei tu, Dio, che muovi ancora una volta le nostre vite nei tuoi insondabili disegni?

E su quest'ultimo pensiero, e su una domanda per la quale non si attende risposta, il vecchio professore reclina la testa e si addormenta.

Gli sembra che non sia trascorso più di qualche minuto, quando sente una mano scuoterlo vigorosamente per la spalla.

"Sveglia, vecchio. E' l'alba. Dobbiamo andare."

Alla mente del professore occorre qualche istante per ricollegare i frammenti di ricordi delle ore precedenti all'immagine che nella penombra del primo giorno, gli appare davanti agli occhi, ancora appannati dal sonno interrotto bruscamente. Una donna dai lunghi capelli scarmigliati con un soprabito chiaro gettato sulle spalle e legato con la cintura in vita. Lo sguardo di Sutherland cade su ciò che quel sommario abbigliamento mostra al di sotto, e immediatamente sente affluire tutto il suo sangue al volto.

"Xena! Ma sei... sei... Non puoi uscire così!"

Alzandosi a fatica dalla poltrona nella quale è caduto addormentato, l'uomo osserva quel corpo che fino al giorno prima era quello di Jennifer Rowles, brillante psicologa ed ex-collaboratrice della procura, a malapena coperto dal costoso cappottino chiaro e da nient'altro.

"Quegli abiti mi intralciano nei movimenti. Quando saremo alla casa della tua amica, troverò qualcos'altro da mettere."

"Ma... ma..." balbetta quasi Sutherland, che sta facendo enormi sfozi per tenere gli occhi incollati al volto della donna "... dovremo chiamare un... mezzo pubblico. C'è l'autista... e poi non puoi camminare scalza per la strada."

Xena lo fissa perplessa.

"E cosa dovrei fare, secondo te?"

"Beh, dovrai sopportare un po' di scomodità, per adesso, anche se ti dà fastidio." Sutherland le indica il resto dei vestiti di Jennifer ancora accuratamente disposti sul divano, dove li ha lasciati lui. "Mettiti almeno la gonna, la camicetta e gli stivali. E datti una spazzolata ai capelli. Meglio non dare troppo nell'occhio."

L'anziano professore le aveva dato le sue istruzioni senza riflettere, ritraendosi subito dopo quasi istintivamente, aspettandosi evidentemente che lo spirito indomito della guerriera reagisse male a quelli che avrebbe potuto interpretare come ordini, ma vede invece, con innegabile sollievo, che Xena si avvicina con cautela agli abiti, tirandoli su con due dita e guardandoli con diffidenza.

"Ma a cosa servono?" chiede. "Non certo a tenere caldi. Sembrano così sottili da poterli strappare solo a guardarli."

"Sono tessuti moderni." risponde Sutherland con un sorriso. "Ti ci abituerai. Del resto, ne hai già indossati di simili nella tua... precedente esperienza qui."

E con queste parole, il professore si allontana discretamente, senza voltarsi, con l'orecchio teso però a rilevare il minimo rumore sospetto proveniente dal salotto che gli comunichi che la guerriera ha perso la pazienza lottando vanamente con i bottoni, le zip e tutti gli altri inutili orpelli dell'abbigliamento moderno, ma alle sue spalle non avverte che silenzio. Sorbendo una tazza di liquido nero e bollente, in piedi appoggiato al tavolo della cucina, Sutherland sta cominciando a chiedersi se non sia il caso di andare a controllare, quando finalmente con suo grande sollievo la vede spuntare sulla porta. Aveva fortemente temuto che potesse avere bisogno della sua assistenza, ma se la donna aveva avuto difficoltà niente lo lasciava intuire, da quel che poteva vedere, e adesso ragionevolmente rivestita e con i capelli tirati indietro e annodati sulla nuca come li portava Jennifer solo poche ore prima, la sua figura si stagliava davanti a lui.

"Non ho trovato la spazzola." dice. "Va bene così?"

"Sei... splendida." mormora il professore, fissandola ammirato. Quella che aveva davanti, pur essendo fisicamente Jennifer, possedeva negli occhi e nel portamento qualcosa che non le apparteneva. Qualcosa che aveva visto solo nella donna introdottasi una notte di molti mesi prima in quella stessa casa, il suo modo di muoversi sinuoso, quasi felino e contemporaneamente altero, il suo sguardo morbido e gelido ad un tempo.

"Vuoi... bere qualcosa?" le chiede, tendendole una tazza di caffè caldo, lievemente tremante nella sua mano.

"Cos'è?" La donna guarda con sospetto la bevanda nera fumante.

"E' solo decaffeinato. Un'altra invenzione moderna, e neanche questa serve a molto, ma ti riscalderà lo stomaco."

La guerriera prende la tazza e ne sorseggia appena il contenuto. Poi, si dedica al resto con più decisione, buttandolo giù in due sorsi.

"Ho bevuto di meglio. Non avete altro che insipide imitazioni del reale in questo mondo?" chiede restituendogliela.

"E' un tempo con qualche pregio, e molti difetti." sospira Sutherland riprendendo la tazza. "Dovresti mettere un fazzoletto intorno al collo. Quel livido è ancora troppo visibile."

Xena si passa una mano sulla gola, e solo un lievissimo battere di ciglia testimonia di un dolore che evidentemente ancora prova al contatto.

"Devo avere qualcosa io." prosegue il professore, dirigendosi verso la porta. "Mi sono rimasti dei foulards di mia moglie. A lei piacevano molto e non me la sono sentita di sbarazzarmene."

Rimasta sola, Xena si guarda intorno, senza realmente vedere il luminoso ambiente in cui si trova. Il suo tentativo di collegarsi alla compagna attraverso quel loro misterioso legame,  non ha dato alcun frutto. E' rimasta in quella vasca, immersa nell'acqua, lasciando fuori solo il viso per un tempo non calcolabile, cercando e sondando ovunque dentro di lei, alla ricerca disperata anche soltanto di una debolissima traccia di quel filo inspiegabile che le ha legate anche oltre i confini della morte, ma senza alcun successo. 

("Tu parli della Morte, Xena, ma non è quella la Soglia a cui mi riferisco. Il dominio della Morte, per quanto alieno possa apparire, fa comunque parte di questa dimensione e di questo universo. La Soglia di cui parlavo è assai più difficile da raggiungere e solo pochissimi eletti possono accedervi.")

Le parole di Alexi ancora una volta sembrano rispondere alle domande che la sua mente confusa le pone. La Soglia. Lei aveva attraversato ben altro che il confine tra la vita e la morte. Era passata in un altro universo. Un mondo lontanissimo dal suo, dove perfino il legame che la univa ad Olimpia non poteva seguirla. E d'improvviso aveva sentito addosso il peso della solitudine come mai le era accaduto prima. Quella connessione era divenuta parte di lei, ed ora che non l'avvertiva più si sentiva desolatamente vuota.

Il passo trascinato del vecchio che sta tornando interrompe il flusso di quei pensieri.

"Ecco, metti questo. Dovrebbe intonarsi ai tuoi abiti."

Con un sorriso gentile, l'uomo le tende un tessuto dai colori vivaci che Xena prende quasi meccanicamente avvolgendoselo intorno al collo.

"Aspetta." dice Sutherland, avvicinandole le mani cautamente. "Permetti?"

E con attenzione a non irritare ulteriormente la pelle illividita, le annoda il foulard su un lato, lasciandone cadere i capi su una spalla.

"Ecco, perfetto. Non ti dà fastidio, vero?"

Xena lascia scorrere le dita sulla stoffa morbida.

"E' seta. La mia Martha amava molto la seta." spiega Sutherland, e il suo sguardo si vela per un attimo di malinconia. Poi, raddrizzando le spalle, si schiarisce la gola. "Bene, vado a chiamare un... mezzo pubblico. Ci vorrà un po', credo."

"Un ta-xi?" chiede Xena.

Il volto del vecchio s'illumina di un sorriso.

"Sì, brava. Esatto. Cominci ad imparare, vedo." dice, allontanandosi.

Man mano che passavano le ore, Xena stava scoprendo che sempre più concetti ed elementi di quel mondo assumevano un senso ed un significato per lei, come se stesse ritrovando ricordi riposti in qualche angolo della sua mente, ma non dimenticati. L'oggetto che Sutherland, ad esempio, stava usando in quel momento, nel suo cervello rispondeva al nome di telefono. Era questa la parola che vi aveva letto, senza neanche sapere da dove fosse originata. Era cosciente vagamente che il suo scopo era quello di mettersi in contatto con gente che si trovava altrove, ma saperlo non le serviva. Nessun telefono poteva bastare a raggiungere Olimpia. E la guerriera rimuove subito quel pensiero molesto.

Dopo aver parlato, ed atteso in silenzio per alcuni momenti, Sutherland posa la strana appendice ricurva (ricevitore, le suggerisce la mente) e si volta verso di lei.

"Ci vorrà un po' di tempo, prima che arrivi." dice. "Mentre aspettiamo, che ne diresti di parlarmi un po' di te, e del tuo mondo?"

Ancora una volta, Sutherland ha quasi sentito l'irresistibile impulso di ritrarsi davanti all'improvvisa luce minacciosa che si è accesa negli occhi della guerriera, ma è riuscito a mantenere almeno in apparenza un certo contegno ed il sorriso, che spera possa parere abbastanza rassicurante. E come in risposta a questa sua speranza, dopo qualche istante, vede l'espressione sul viso della donna distendersi lievemente, lo sguardo minaccioso attenuarsi, e incrociando le braccia sul petto, Xena rimane a fissarlo.

"Che cosa vorresti sapere?" chiede, e Sutherland giurerebbe quasi di leggere adesso un pizzico di divertimento nella sua voce.

"Beh, almeno se hai capito come e perché sei giunta qua, e cos'è quella... cosa di cui mi parlavi stanotte."

Xena resta in silenzio ancora per qualche momento, forse indecisa su fino a che punto possa fidarsi di quello strano vecchio, poi tutto il suo corpo perde rigidità e Sutherland si rilassa a sua volta, in attesa della risposta che adesso sa che sta per arrivare.

Da principio aveva provato difficoltà a mettere in parole un resoconto attraverso quel linguaggio che ancora suonava alieno alle sue stesse orecchie. Talvolta aveva scelto di non utilizzare alcune espressioni che la sua mente richiamava, quando cercava di esprimere idèe e sensazioni di cui non riusciva più a trovare un equivalente in una lingua che era stata la sua solo fino al giorno prima, perché il significato non le appariva chiaro. Ma presto aveva scoperto di stare procedendo nel suo racconto con sempre maggiore fluidità e lo sguardo concentrato di Sutherland che seguiva ogni sua parola con la massima attenzione ne costituiva la conferma. Si era attenuta ai punti essenziali della vicenda, sia pur partendo dal momento dello scontro con Antinea per giungere fino ai suoi ultimi ricordi, piuttosto confusi per la verità, che avevano immediatamente preceduto il suo arrivo in quel luogo ed in quel corpo, lasciando che fosse Sutherland con le sue domande ad integrare la narrazione, senza chiedersi quanto di ciò che stava raccontando fosse credibile per il suo ascoltatore. Dal canto suo il vecchio aveva cercato di limitare i suoi interventi a quando lo aveva ritenuto indispensabile, per timore di spezzare quel filo di ricordi che legava due mondi e due epoche distanti forse più delle migliaia di anni che i libri di storia registravano, ed al tempo stesso separati solo da una sottile membrana in cui per caso o con intento era stata provocata una lacerazione.

Quando infine Xena aveva smesso di parlare, Sutherland che era rimasto a sedere fino ad allora sul bordo della sua poltrona teso nell'ascolto, si era quasi accasciato contro lo schienale con gli occhi ancora fissi sulla donna e contemporaneamente persi nel mondo fantastico che quel racconto aveva evocato. Era rimasto a sua volta in silenzio per qualche istante, poi si era nuovamente tirato su, e il suo sguardo si era riacceso.

"Mondi paralleli? Il tuo tempo esisterebbe contemporaneamente al nostro, in una realtà alternativa? Era questo che cercava di dire quell'uomo?"

In realtà, Xena aveva utilizzato quei vocaboli, che aveva trovato nel caos linguistico che era attualmente la sua testa, non riuscendo a coglierne in pieno il significato, ma solo intuendo che potessero in qualche modo rendere l'idea di ciò che le pareva di aver capito dai discorsi astrusi di Alexi, ma sentendoli pronunciare nel tono di voce eccitato del suo interlocutore, ora le sembrava che cominciassero ad avere un senso.

"Credo." dice. "Ma in quel momento non avevo capito molto. Riuscivo solo a pensare alla situazione assurda in cui ci trovavamo, e non mi fidavo interamente di quel tipo."

"Temi che Olimpia possa non essere al sicuro con lui?"

Le parti del racconto che riguardavano la sua compagna avevano riscosso un particolare successo con il vecchio, il cui viso si illuminava sempre un po' di più quando sentiva menzionare il suo nome.

"Olimpia non è più una ragazzina ingenua." risponde Xena. "E' diventata una donna forte e un'abile guerriera, ma non riuscire più a sentirla dentro di me non è una sensazione piacevole. E' come se mi mancasse una parte del corpo. Devo tornare da lei al più presto." 

"Ti capisco." mormora Sutherland. "Ma ci deve essere una ragione se tu sei arrivata fin qui. Hai detto che quell'Alexi affermava che solo qualcuno che aveva già superato la porta poteva varcarla ancora."

"Esatto." dice la guerriera. "Anche se lui usava un'altra parola che non riesco a trovare."

"Portale? Entrata? Soglia?" azzarda il professore, e lo sguardo di Xena si ravviva al suono dell'ultima parola.

"Sì." conferma. "Mi sembra che soglia si adatti meglio. E' strano come le parole della tua lingua assumano significato soprattutto nel sentirle pronunciare."

"Quindi" prosegue Sutherland riprendendo il filo del suo discorso "non credo che sia un caso se le cose sono andate in questo modo."

"Che vorresti dire?" Adesso anche l'espressione di Xena appare più concentrata.

"Se dobbiamo credere ad Alexi, e a ciò che suo padre gli ha detto, e io penso che dovremmo" spiega il professore "c'è qualcosa o qualcuno che dirige le azioni di tutti noi, fin dal principio, Xena. Fin da quando quella maga ha precipitato la tua Olimpia in questo mondo. Da allora, ogni singola azione dei protagonisti, principali e secondari, me compreso, di questa storia è stata accuratamente studiata perché ad un dato momento tutte le pedine si trovassero esattamente in queste posizioni. E questo lo dico" aggiunge, fissando lo sguardo in quello della guerriera "non perché credo ciecamente in quello che dice Alexi, ma perché quello che lui afferma corrisponde alla sensazione che mi perseguita a partire dal giorno in cui Jennifer mi portò una registrazione..." Sutherland s'interrompe accorgendosi della perplessità negli occhi della donna. "Capisci di che parlo?" chiede.

"Un congegno che... conserva le parole?" risponde quasi interrogativamente Xena.

"Sì." Sutherland appare quasi entusiasta, come fosse tornato ad essere un professore davanti ad un'allieva particolarmente brillante. "Esattamente. La tua memoria sta facendo passi da gigante. Beh, fin da allora" prosegue "ho provato questa sensazione, che va contro ogni razionalità, lo ammetto, ma d'altronde cosa c'è di razionale in questa storia incredibile? Bene, se è così, allora c'è sicuramente una ragione per cui tu sei qui adesso, Xena, e deve trattarsi di qualcosa che sei chiamata a risolvere. Solo in questo modo potrai tornare nel tuo mondo e nel tuo tempo e da Olimpia."

La guerriera, senza parlare, continua ad ascoltarlo.

"La tua venuta ha già avuto un risultato positivo. Se non fossi arrivata, probabilmente a quest'ora Jennifer sarebbe morta, e questa per me è già una ragione più che sufficiente, ma non credo che basti a coloro che dirigono la partita. No, non lo credo affatto."

Dimentico di ogni cautela per il carattere imprevedibile di Xena, Sutherland si china verso di lei posandole una mano sul braccio, ma questa non reagisce e i loro sguardi continuano a rimanere incollati l'uno nell'altro.

"Se è vero" sussurra il professore, ad una distanza pericolosamente ridotta dal viso della guerriera "che l'incubo che tu e Olimpia stavate affrontando è legato a ciò che sta accadendo qui, e le coincidenze secondo me sono troppe perché non lo sia, penso che l'obiettivo della missione che devi assolvere in questo mondo sia l'uomo che chiamano The Ogre, l'infanticida cannibale che sta terrorizzando questa città."

Una creatura malvagia... una pura essenza di malvagità risvegliata da qualcosa di affine in una qualche altra dimensione vicina alla nostra. Così, Alexi aveva descritto la cosa, per quanto Xena riusciva a ricordare, attraverso le parole di suo padre. Più qualche altra confusa profezia catastrofica di cui non aveva tenuto granché conto. Ma ora le argomentazioni di Sutherland stavano dando ancora una volta un nuovo senso al tutto.

"Credo che ora sia il tuo turno di narrare, vecchio." dice.

 E Sutherland aveva narrato. Anche lui, cercando di restare all'essenziale, evitando tutte le divagazioni per cui andava famoso nei suoi anni di insegnamento, e utilizzando per lo più termini semplici che la mente della guerriera potesse comprendere senza eccessivi sforzi, anche se di minuto in minuto pareva che si stesse acclimatando a quel mondo e fosse in grado di seguirlo con sempre minore difficoltà. Così Xena aveva appreso della minaccia che gravava su quel luogo, dei rapimenti di bambini, di cui si erano poi ritrovati solo miseri resti, delle indagini ancora senza sbocchi apparenti da parte della polizia, che il professore era stato indeciso su come definire, scoprendo infine che la parola era una di quelle che la guerriera aveva cominciato a capire.

Xena aveva ascoltato senza interromperlo, non lasciando trasparire dallo sguardo alcuna emozione, e solo quando Sutherland termina, la guerriera rompe il suo prolungato silenzio.

"Che c'entra questa Jennifer nella vicenda e perché mai qualcuno la vuole morta?" chiede.

La risposta del professore attende forse un attimo di troppo a giungere.

"Ehm... è... lei è una... una studiosa della psiche umana... collabora con la polizia alle indagini... Ma non è detto che la sua aggressione abbia a che vedere con questa storia."

La donna si alza e si avvicina nuovamente al grande specchio ovale sulla parete, accostando il viso alla superficie lucida.

"Io e lei ci siamo conosciute, vero?"

"Tu... la ricordi?"

Xena si sta passando una mano sul volto esaminandone con attenzione i tratti riflessi.

"All'inizio no... ma ora... "

Il suono di un clacson proveniente dall'esterno toglie dall'imbarazzo Sutherland che si solleva dalla sua poltrona con un sospiro di sollievo.

"Deve essere il taxi." dice. "Vieni. Dobbiamo sbrigarci."

 

(66) Jennifer/Xena e Olimpia

La luce della luna non riusciva a penetrare molto l'oscurità della foresta, e tuttavia Jennifer si muoveva attraverso la vegetazione con più disinvoltura di quanto avesse immaginato. Le pareva quasi che quel corpo possedesse una sorta di... guida interiore (l'incapacità di trovare in quella lingua i termini corrispondenti ai concetti che avrebbe voluto esprimere stava diventando irritante). La sua mente non doveva concentrarsi più di tanto sui movimenti da fare. Il suo corpo reagiva quasi autonomamente e con sorprendente rapidità, evitando sassi, radici sporgenti dal suolo ed altri ostacoli che le si parassero davanti all'improvviso. La cosa le stava restituendo quel leggero stato di ebrezza che l'inaspettata reazione di Olimpia le aveva gelato sul nascere e le permetteva, inoltre, di indulgere piacevolmente nell'ammirazione delle movenze della sua giovane compagna che la precedeva di qualche passo, spostandosi di albero in albero con una tale grazia naturale da sembrare che in foreste come quella ci fosse nata e cresciuta. Di tanto in tanto aveva colto un suo sguardo ad assicurarsi evidentemente che là dietro andasse tutto bene, ma accorgendosi che la sua scorta mostrava un atteggiamento abbastanza disinvolto, aveva diradato i controlli, concentrandosi sul sentiero da percorrere. Le volte che i loro occhi si erano incontrati, Jennifer aveva cercato di impedirle di capire dove fosse puntato fino ad un attimo prima il suo sguardo, ma non avrebbe saputo dire se c'era sempre riuscita.

Ed ora, provando a distogliere il pensiero dalla vista di fronte a lei, ripercorreva con la mente i momenti della giornata che avevano preceduto quella loro gita notturna. A partire dal brusco rimbrotto che le aveva rivolto la ragazza dopo quella sua stupida affermazione. Stupida? Mille volte stupida! Avrebbe dovuto immaginare quella reazione. Olimpia era angosciata per Xena. Era naturale. Lo spirito della sua... sposa  (perché questa idea faticava tanto a entrarle nella testa?) era smarrito chissà dove e il suo corpo improvvisamente occupato da una sconosciuta. Ce n'era più che a sufficienza per far perdere la calma a chiunque, perfino ad una persona abituata evidentemente ad affrontare crisi fuori dal comune, e lei andava a parlarle di gioia! Probabilmente se quello non fosse stato il corpo di Xena, niente le avrebbe risparmiato un pugno in mezzo agli occhi. E se lo sarebbe meritato, anche se non avrebbe potuto farle più male della stilettata di ghiaccio che l'aveva improvvisamente colpita nel suo sguardo.

Non so cosa ti sei messa in testa, le aveva detto, e neanche Jennifer stessa avrebbe saputo dirlo. Cosa si era immaginata? Di cosa si era illusa, lasciandosi andare a quelle infantili esibizioni?

Se era l'idea folle di aver ritrovato Joyce e magari di potersi costruire una vita insieme a lei, sia pure in quel tempo ed in quei corpi, allora era ancora più pazza di quanto avesse temuto. Olimpia non era Joyce, non più, se mai lo era stata, e sopratutto, lei non era Xena. E anche se quel misterioso sortilegio non avesse potuto essere annullato, questo non sarebbe cambiato mai. Anzi, se quella situazione pazzesca non si fosse risolta, quello sguardo gelido, che l'aveva ghiacciata fino in fondo al cuore, si sarebbe rivelato un inquietante assaggio dell'odio che, ne era certa, la ragazza avrebbe finito per provare per lei. E questo non sarebbe mai riuscita a sopportarlo.     

Questo pensiero aveva fatto scorrere una specie di grata metallica tra se stessa e qualunque sogno assurdo avesse mai potuto nutrire. Quello non era il suo posto. Se c'era mai stato un posto per lei era stato accanto a Joyce, alla sua Joyce, e nel momento in cui era morta, la sua anima, qualunque fosse stata la sua destinazione, aveva smesso di appartenerle. Non sapeva e non osava neanche immaginare come quello che stava accadendo fosse mai stato possibile (una piccola porzione della sua mente ancora riteneva che da un momento all'altro si sarebbe risvegliata nel suo letto) e quale meschino gioco diabolico o punizione divina l'avesse provocato, ma certamente non avrebbe permesso che Olimpia potesse anche solo minimamente sospettare che ne facesse parte. E avrebbe fatto tutto quello che poteva per aiutarla a riportare indietro Xena, non importa cosa sarebbe stato di lei.

Così, quando la giovane aveva manifestato il suo proposito di recarsi al vicino villaggio che aveva chiamato Kyros, lei si era offerta di seguirla. Non le era ben chiaro cosa avesse in mente di fare, ma non aveva comunque intenzione di tirarsi indietro.

"No. Non se ne parla nemmeno." aveva risposto Olimpia, mentre si assicurava la lunga spada, che doveva essere di Xena, sulla schiena, e il curioso cerchio dorato (chakram!) alla cintola. "Non posso preoccuparmi anche per te."

"Non mi esporrò stupidamente, te lo prometto." aveva ribattuto lei. "So bene che anche se questo è il corpo di una guerriera, io non lo sono di certo. Ma se hai detto che quell'uomo è un amico di Xena, non credi che in qualche modo sia meglio che ci sia anche lei?"

A quel che le era parso di capire, Xena aveva un amico in quel villaggio in cui però si celava una qualche minaccia per loro (chi era questo Acros?), ma Olimpia non lo conosceva e Xena non aveva potuto o voluto neanche fargliene il nome. Quello strano personaggio insieme a loro, Alexi, del quale Jennifer non aveva ancora ben capito il ruolo, nonostante fosse evidentemente del posto, sosteneva di non conoscere quasi nessuno e di non avere idea di chi potesse essere l'amico di Xena a cui questa aveva, a quanto pareva, affidato il suo cavallo, ma che non c'erano molti posti in cui un animale simile potesse essere nascosto all'insaputa di quel tale Acros, e il modo migliore per trovarli era forse informarsi discretamente alle stalle del paese.

Jennifer era rimasta in attesa della risposta, quasi trattenendo il fiato, mentre Olimpia rifletteva sulle sue parole. Ma alla fine doveva aver riconosciuto che aveva ragione.

"D'accordo." aveva risposto infine la ragazza. "Ma dovremo andarci di notte. Mostrarsi di giorno sarebbe troppo pericoloso. Alexi, puoi procurarci due mantelli?"

"Di notte?" aveva chiesto Alexi, mostrando per la prima volta da quando Jennifer l'aveva visto, una parvenza di coinvolgimento negli avvenimenti. "Ti sembra prudente?"

"Non temere." aveva replicato Olimpia. "Non sono così sciocca da tentare di attraversare la foresta al buio. Non dopo quello che è successo. Ci muoveremo nel pomeriggio, in modo da essere in vista del villaggio alle prime ombre della sera, quando gli abitanti saranno nelle loro case. Ora trovaci quei mantelli."

E l'uomo, con un'espressione non molto convinta, si era apprestato a soddisfare la richiesta.

Più tardi, sedute sui gradini del portico, affacciato sul grande prato davanti alla casa, mentre attendevano il momento giusto per partire, Olimpia le aveva dato un'ultima occhiata alle ferite, rimuovendo con uno sguardo soddisfatto le fasciature.

"Sto molto meglio." le aveva detto Jennifer. "Non sento più dolore."

"Chiunque abbia colpito Xena" e Olimpia aveva sorriso dicendolo "non sapeva quanto la sua testa sia dura. Ha sempre avuto incredibili capacità di recupero. A volte" aveva aggiunto pensosa "ho pensato perfino che potesse essere una semidèa."

Jennifer non aveva detto nulla. E cosa avrebbe mai potuto ribattere ad una affermazione simile? La sua mente, quella parte almeno che accettava la situazione permettendole di non lasciarsi andare al panico più totale, cercava di assimilare il più possibile di quel mondo in cui si parlava di mostri e dèmoni con la massima disinvoltura, sperando che alla fine l'atteggiamento casuale e privo di enfasi con cui Olimpia trattava quegli argomenti si comunicasse anche a lei, rendendoglieli forse non meno temibili, ma comunque più naturali, come avrebbero potuto essere dei normali criminali nel suo mondo.

Si era voltata verso Olimpia che la stava guardando.

"Devi sentirti un po' confusa, eh?" aveva detto lei.

"A dir poco." aveva sorriso a sua volta Jennifer, sollevata che quel velo di gelo che si era frapposto tra loro si stesse sciogliendo. "Tu invece sembri abituata a queste cose."

"Sono la nostra vita." aveva risposto semplicemente Olimpia. Quindi si era sporta verso un paniere appoggiato a poca distanza e ne aveva estratto dei frutti di colore rosso scuro, infilandosene una manciata in bocca e tendendone un paio a lei. "Prendi. Avrai fame."

Jennifer, che fino a quel momento non ci aveva neanche pensato, alla vista di quei frutti dall'aspetto gustoso, il cui succo scarlatto scendeva in rivoli da un angolo delle labbra di Olimpia, aveva immediatamente sentito il suo stomaco invocare ruggendo del cibo e si era affrettata ad afferrarli e ad ingoiarli, masticandoli avidamente.

Il gusto dolce, anche troppo forse, l'aveva subito colpita singolarmente. Non avrebbe saputo dire se le piaceva o no, ma l'aria estasiata di Olimpia non lasciava dubbi su quale fosse il giudizio della ragazza in proposito, e tenendo conto di come il suo ventre solleticato dal primo cibo solido che incontrava dal giorno prima (possibile?) continuava ad invocarne, aveva deciso di soprassedere e servirsi in abbondanza.

Olimpia l'aveva fissata, spartendo il resto del contenuto del paniere con lei.

"Vedo che ti piacciono. A Xena invece non piacciono molto. Non riesco a capire perchè. A me sembrano deliziosi."

Jennifer aveva sorriso, evitando i commenti, e aveva ingoiato gli ultimi frutti che teneva in mano.

"Hai ricordato nulla dei momenti che hanno preceduto il tuo arrivo qui?" le aveva chiesto la ragazza, improvvisamente, strappandola ai suoi pensieri, e il ricordo che Jennifer aveva fino a quel momento tenuto a distanza in un angolo della sua mente, le era riapparso davanti agli occhi nitido e concreto e lei si era ritrovata automaticamente per un attimo su un altro prato al buio, mentre un laccio la stringeva spietatamente alla gola. Istintivamente si era portata una mano al collo, mentre sentiva la sua trachea chiudersi e l'ultimo boccone le tornava su con un terribile rigurgito acido.

"Ehi! Che hai? Che ti succede?" si era subito allarmata Olimpia, afferrandola per le braccia. Con il respiro rotto, Jennifer aveva chiuso gli occhi, aspettando che il suo cuore riprendesse un battito regolare e che quell'orribile sapore svanisse dalla bocca, e quando li aveva riaperti, aveva visto quelli preoccupati della ragazza fissi su di lei. E non era riuscita per diversi momenti a spiccicare parola. E non per la sgradevole esperienza che aveva appena avuta, ma perché adesso vedeva chiaramente lo sguardo di Joyce negli occhi di Olimpia. Ora l'atteggiamento da guerriera era scomparso e quella luce di ansia nei suoi occhi era la stessa che un giorno di mesi (millenni) prima (o dopo?), aveva visto su un altro viso.

("Io non lo so cosa mi sta succedendo, Jen. Ho fatto un sogno, credo, e ho sentito quella voce. Ma era così reale, Jen, così reale.")

Le lacrime ad un tratto le avevano appannato la vista e la voglia di scoppiare in singhiozzi era stata così forte che Jennifer aveva proprio temuto di cedere. Poi, non sapeva neanche come, l'enorme groppo che sentiva in gola le era scivolato nuovamente giù fino allo stomaco, e lei aveva abbassato lo sguardo al suolo.

"Non... non è niente." aveva balbettato. "Credo solo di aver ricordato tutto in una volta quello che mi è successo prima di arrivare qui."

E aveva cominciato a raccontare. I ricordi le tornavano alla mente uno dopo l'altro, quasi senza doverci pensare, e se per molti di questi non riusciva a trovare le parole che esprimessero adeguatamente quello che voleva dire, era comunque riuscita a dare un quadro sufficientemente chiaro degli avvenimenti che l'avevano portata a passeggiare in quel giardino, rievocando a se stessa momenti che la straziavano dentro con la stessa intensità di quando li aveva vissuti, ma sforzandosi, neanche sapeva come, di concentrare il suo racconto sui fatti, trascurando volutamente tutti i dettagli che includessero il suo stato d'animo e i suoi sentimenti di quei giorni, cercando di evitare che Olimpia potesse intuire quel che aveva attraversato e quale ne fosse la causa. Ma alla fine non aveva potuto impedire al pianto di sgorgare liberamente, e in qualche modo l'aveva accolto con piacere, sentendo che le sgravava il petto da parte della tensione accumulata.

Ascoltandola in silenzio, Olimpia, forse senza neanche rendersene conto, le aveva passato un braccio intorno alle spalle, tenendola stretta a sé, e il calore di quel contatto le comunicava brividi lungo la schiena, che non riusciva a placare.

"Vuoi dire che un momento prima di ritrovarti qui, qualcuno stava cercando di ucciderti?"

"Si." La sua voce sembrava uscirle di bocca in un sospiro, come se la sua gola avesse aperto uno spiraglio per farne filtrare appena un soffio.

"Stai tremando." La mano della ragazza le massaggiava il braccio come per scaldarla. "Sei sicura di sentirtela di venire con me?"

"Mi riprenderò subito. E' stato solo il ricordo improvviso..."

Ma ti prego, smettila di toccarmi o impazzirò! aveva praticamente urlato la sua mente e lei facendo quasi violenza su se stessa si era staccata dalla ragazza con un sorriso tirato.

"Ti capisco." aveva detto Olimpia con un ultimo buffetto sulla sua schiena. "Certo che è strano." aveva aggiunto poi, riflettendo. "Ci sono sicuramente delle sinistre analogie tra la storia che mi hai raccontato e quello che sta succedendo qui... E poi, tu che... vieni strappata dal tuo corpo e dal tuo mondo proprio mentre stanno tentando di ucciderti, per risvegliarti subito dopo nel corpo di una donna che sta subendo praticamente la tua stessa sorte..."

"Strano, sì." aveva confermato Jennifer, mentre cercava lentamente di ritrovare un po' di calma. "Pensi che ci possa essere una relazione?"

Olimpia era rimasta per qualche momento in silenzio, lo sguardo puntato sulla fitta boscaglia che sembrava incombere intorno a loro, tanto che Jennifer aveva pensato che non l'avesse sentita.

"Non lo so... E' possibile." aveva invece risposto alla fine, guardando il cielo e rimettendosi in piedi. "Ma è ora di muoverci."

E la ragazza era rientrata in casa, uscendone subito dopo con due pesanti mantelli e gettandone uno a Jennifer. Poi, senza dire altro, si era incamminata verso la foresta. Nel seguirla, Jennifer aveva colto con la coda dell'occhio un movimento e si era girata. Alexi era uscito sulla soglia e, appoggiato alla porta, le stava osservando allontanarsi con sguardo imperscrutabile. Prima di voltarsi e accellerare il passo per raggiungere Olimpia, Jennifer si era chiesta quanto di ciò che si erano dette avesse ascoltato.

Olimpia si guarda intorno per l'ennesima volta, aguzzando la vista alla ricerca di tracce che le permettano di riconoscere quei tratti di foresta che lei e Xena avevano percorso quella prima volta, in fuga da Kyros. Quello non era probabilmente il sentiero più breve per arrivare al villaggio, ma era l'unico che avesse qualche probabilità di riconoscere ed era abbastanza lontano dalla zona in cui si trovava quella maledetta caverna sotterranea, la buca in cui abitava quella cosa innominabile che aveva dannato quegli ultimi giorni della loro vita. Non che questo fosse una garanzia assoluta, perché proprio su quel sentiero per poco non avevano incrociato la Bestia, ma non c'erano molte alternative. Istintivamente, di tanto in tanto si voltava verso... Ja... Jon-nif-er, ma l'andatura sicura con cui la vedeva procedere, l'aveva presto convinta che non avesse bisogno del suo aiuto. E allora con un certo sollievo, si era concentrata sulla strada da seguire.

Perché era piuttosto difficile guardare quel corpo e pensare che non ci fosse più Xena là dentro, ma una perfetta sconosciuta il cui nome non riusciva neanche a pronunciare. Poco prima, quando l'aveva vista crollare in lacrime, l'odore dei suoi capelli, della sua pelle, glielo avevano quasi fatto dimenticare e si era ritrovata a stringerla a sé, senza rendersene conto. In quel momento, innegabilmente, il legame fisico tra loro che funzionava a livello epidermico e, cieco e sordo ad ogni altra cosa, rispondeva soltanto al contatto dei loro corpi, aveva rischiato di rompere gli argini, costringendola a compiere uno sforzo notevole per ritrovare abbastanza sangue freddo da riprendere il controllo, cercando di spostare l'attenzione sulla strana storia che la donna le aveva raccontato.

E strana lo era davvero. Se non ricordava male, Alexi aveva detto qualcosa sul fatto che il dèmone era rimasto bloccato nel loro mondo, mentre stava seguendo il richiamo di qualcosa di simile a lui in una dimensione vicina. Ora il racconto di Jo... Jen-nif-er ("Per gli dèi, pensa, dovrò trovarle un nome più semplice.") sembrava confermare quelle parole. A quanto diceva, anche nel mondo, o nella dimensione, da cui proveniva... Jenna ("Sì, così va meglio."), c'era un mostro, ma probabilmente sotto spoglie umane, che uccideva e divorava bambini e lei, che era in qualche modo tra coloro che erano incaricati di catturarlo, si era ritrovata nel corpo di Xena nello stesso momento in cui entrambe stavano rischiando la morte. Già queste da sole erano una serie di coincidenze troppo grosse per poterle considerare tali. Ma se a questo si aggiungeva che, a sentire lei, Jenna stessa le aveva incontrate entrambe nelle identità che avevano avuto in quel periodo della loro vita di cui avevano misteriosamente perso ogni memoria e che avrebbero trascorso nel suo mondo... beh, continuare a parlare di coincidenze diventava assurdo.

Naturalmente tutto questo poteva anche essere una menzogna, un elaborato inganno attuato dall'ignoto dèmone che stavano combattendo per confonderla, e lei lo aveva messo in conto, ma in qualche modo, per ragioni che probabilmente Xena avrebbe accolto con una perplessa alzata di sopracciglio (quanto le mancavano gli atteggiamenti familiari della sua compagna!), Olimpia non ci credeva. La voce di Jenna vibrava di sincerità quando le parlava, e di qualcos'altro su cui non voleva fermarsi a riflettere. Stando a quello che le aveva sommariamente raccontato, lei ed un suo amico l'avevano aiutata nella sua altra incarnazione, quella che chiamava Jo-yss, a sottrarsi al suo folle marito (?) che la perseguitava ed a ricongiungersi a Xena, anche se era stata un po' vaga sull'epilogo di quella vicenda. La storia non le aveva  risvegliato memorie e non ricordava affatto cosa ci fosse stato tra loro in quell'altro mondo, ma dentro di sé sentiva in un modo che non sarebbe mai riuscita a spiegare che poteva fidarsi di lei, e questo non solo perché quando la guardava lo faceva attraverso gli occhi di Xena, ma anche e soprattutto, perché nel suo sguardo aveva riconosciuto qualcosa che all'inizio non era riuscita a collocare esattamente, ma che ora la sua mente (o forse la sua immaginazione) aveva cominciato ad associare al volto triste della donna che vedeva nei suoi sogni, e quei sogni erano iniziati molto tempo prima e molto lontano da quella foresta maledetta e dal suo sinistro abitante.

Dunque, era più che possibile che niente di tutto questo fosse successo casualmente, che facesse parte di un piano di Coloro che Sanno, come li chiamava Alexi. Un piano teso alla sconfitta ed alla distruzione del dèmone. Se Coloro che Sanno hanno deciso di usare Xena ai loro scopi, non c'è niente che io o te o chiunque altro possiamo fare, aveva detto il giovane. Allora, probabilmente, per quanto lei avesse cercato di non crederci, di ribellarsi all'ennesimo scherzo del destino, alla fine era Alexi ad avere ragione. Non c'era niente che potesse fare, se non seguire la strada che qualcuno aveva già tracciato per lei, una strada che non riusciva neanche ad immaginare, ma che era anche l'unica via per poter sperare di riavere Xena.

E Xena? Dov'era in quel momento? Stava pensando le stesse cose, dibattendosi in un mondo sconosciuto, in un corpo non suo?

No! Non devo farmi prendere dallo sconforto, dalla paura. Ci ritroveremo, amore mio, ancora una volta. Come ci siamo sempre ritrovate. Io ho fiducia in te e so che riuscirai a ritornare. Forse questo mio pensiero non raggiungerà la tua mente, ma so che con il cuore lo sentirai, dovunque tu sia.

La vista le si stava pericolosamente appannando e Olimpia si ferma passandosi una mano sugli occhi. Il rumore dei passi dell'altra alle sue spalle si avvicina.

"Che c'è? Tutto bene?" chiede una voce dolorosamente familiare, ma in un tono che non è quello che dovrebbe.

"Sì." risponde lei, asciugandosi velocemente una lacrima che le stava scendendo sulla guancia. "Stiamo per uscire dal folto. Fra non molto dovremmo scorgere le prime case del villaggio. Ah, a proposito, d'ora in poi ti chiamerò Jenna."

"Jenna? Perché?" Jennifer la guarda incerta.

Jenna... Joyce mi chiamava Jen.

"Il tuo è un nome che suona male in questa lingua. Credo che te ne sia accorta anche da sola. Sembra alieno e strano, attirerebbe l'attenzione, e sicuramente non posso chiamarti Xena in pubblico, sarebbe anche peggio. Naturalmente, se non ti va, posso sempre chiamarti Ehi, tu." aggiunge la ragazza con un leggero sorriso ad un angolo delle labbra.

"No, Jenna va benissimo. Mi piace." risponde Jennifer. "Però per l'amico di Xena..."

"Per lui ovviamente, tu dovrai essere Xena. Ma cerca di parlare il meno possibile."

"Ma come faremo a riconoscerlo? Tu hai detto che lei non ti ha rivelato chi sia."

"No."

"E questo non è un problema?" chiede Jennifer perplessa.

"Enorme." conferma Olimpia, con un sospiro. "Ma appena sarà buio ci dirigeremo alle stalle e speriamo in bene. Se avremo molta fortuna potrebbe essere lui a riconoscere te."

"Quindi è un bene che ti abbia seguita, eh?"

Olimpia che è intenta a scrutare davanti a sé per individuare il punto migliore per uscire dalla boscaglia non può vedere l'espressione di Jennifer, ma riesce quasi ad immaginare dal tono della voce, un sorriso.

"Già." risponde. "Ma dovremo essere doppiamente prudenti. All'interno dell'abitato, indossa sempre il mantello con il cappuccio ben calato sul volto. E' meglio se non sospettano nemmeno che siamo due donne."

Stringendo ognuna al petto i loro mantelli, che non avevano ancora messo per evitare che s'impigliassero nella fitta vegetazione, ostacolandole nel cammino, Olimpia e Jennifer percorrono in silenzio la distanza che ancora le separa dalla fine degli alberi, per emergere finalmente all'aperto e in vista di alcune case di cui in lontananza già si possono distinguere le finestre illuminate dai fuochi accesi per la notte imminente.

"Ci siamo." mormora Olimpia. "Infila il mantello e copriti il viso. Le stalle sono un po' sulla destra, entrando nel villaggio. Il sole è quasi calato. Aspettiamo ancora qualche momento e poi ci muoveremo."

Completamente coperte dalle ampie cappe, le due donne si appoggiano a dei tronchi abbattuti sul ciglio della strada sterrata che porta verso l'ingresso del villaggio.

"Non ci vedranno?" chiede a bassa voce Jennifer.

"Improbabile. A quest'ora, cominciano già tutti a chiudersi in casa, al tepore dei loro fuochi. E anche se passasse qualcuno ci scambierebbe solo per due viandanti stanchi che si riposano prima di riprendere il cammino."

"Cos'è quella casa con la torcia all'entrata?"

Seguendo con lo sguardo il dito di Jennifer, che indica un edificio più grande degli altri illuminato dalla luce ondeggiante di una torcia sull'ingresso e a poca distanza l'ombra riconoscibile di un pozzo con secchio e catena appesi, gli occhi di Olimpia s'incupiscono.

"Quello è un posto da cui dovremo girare accuratamente alla larga, come avremmo dovuto fare io e Xena fin dall'inizio. E' lì che è cominciato tutto, ed è probabile che Acros e i suoi scagnozzi siano proprio là dentro in questo momento."

Dopo qualche attimo di silenzio, Jennifer si decide a chiedere.

"Non mi hai ancora detto quasi niente di questa storia. Non credi che sarebbe meglio se ne sapessi un po' di più?"

Olimpia la guarda, pensando. Lo sguardo limpido che scorge negli occhi a malapena visibili sotto il cappuccio le fa avvertire una punta di senso di colpa. Jenna si è offerta di aiutarla, ingoiando probabilmente tutta la paura che una situazione del genere avrebbe messo a chiunque, stringendo i denti e mostrando un carattere ed un coraggio notevoli. E a parte quella manifestazione di esuberanza, a cui forse aveva reagito in modo esagerato, non aveva discusso nessuno dei suoi ordini e le aveva raccontato praticamente tutto quello che sapeva, riponendo in lei ogni fiducia, e lei l'aveva ripagata con un comportamento di almeno apparente diffidenza. Se invece si fidava di lei, come sosteneva dentro di sé, era il momento di dimostrarglielo.

"Forse hai ragione." dice. "Ma ora non abbiamo molto tempo. Dovrai accontentarti di un rapido riassunto."  

Ascoltando ciò che Olimpia le sta raccontando, con gli occhi che le si dilatano sempre più man mano che la storia procede, Jennifer comincia seriamente a desiderare di non aver mai posto quella domanda. Dai discorsi tra Olimpia ed Alexi aveva già intuito che il mondo in cui si era ritrovata seguiva regole e leggi molto diverse da quello razionale e positivista da cui proveniva lei, ma non era facile abituarsi all'idea che la loro vita fosse messa a repentaglio in una lotta tra bene e male, tra entità divine onniscienti e una... Bestia, come la definiva Olimpia, un dèmone, una cosa giunta da chissà quale universo infernale, che teneva sotto il suo giogo un'intera regione chiedendo in tributo giovani vite a cui succhiava le energie vitali. E tutto in qualche modo, all'apparenza, collegato a quanto stava avvenendo nel mondo che aveva appena lasciato.

"E Alexi pensa che questa Bestia sia stata attirata qui da un suo spirito affine?" chiede, appena Olimpia ha smesso di parlare.

"E' ciò che affermava suo padre." risponde la ragazza. "Secondo quello che ci ha raccontato, quell'essere sarebbe stato risvegliato dal richiamo di qualcuno in una dimensione vicina alla nostra, ma sarebbe rimasto bloccato qui, in attesa di accumulare nuove energie per proseguire il suo viaggio. E se riuscisse a completarlo..." aggiunge poi con una significativa sospensione nel suo discorso, lasciando che sia il suo sguardo a comunicarne la funesta conclusione.

Jennifer esita un attimo prima di formulare la domanda successiva, cercando di assimilare prima quelle informazioni che una volta, non molto tempo fa, non avrebbe esitato a considerare solo un mucchio di fandonie, e che adesso invece assumevano l'aspetto di un'inaudita, ma fin troppo concreta, realtà.

"E tu credi che possa essere il mio mondo la sua vera destinazione? Che quel qualcuno che lo sta chiamando possa essere quel maniaco assassino che chiamano...?"

Ancora una volta una parola che nella sua lingua le era ormai orribilmente familiare non trovava un corrispondente in questa e Jennifer s'interrompe. Ma Olimpia non ha bisogno di sentire completare la frase.

"Direi che è più che possibile, non credi? E questo potrebbe anche spiegare quello che ti è capitato." dice la ragazza, fissandola ma senza realmente vederla, come se in realtà stesse valutando ad alta voce un suo pensiero per sentire quano suonasse verosimile parlandone. "Io credo che le divinità di cui parla Alexi avessero bisogno che Xena entrasse nel tuo mondo velocemente e si siano servite di te."

La testa di Jennifer sta cominciando a girarle. Gli avvenimenti che si sono rincorsi in quelle ultime... tacche? (Ma che razza di parola è mai questa?) stanno schiacciandola sotto un peso sempre più grande che la donna non crede di riuscire più a sopportare.

"Tutto bene?" le chiede Olimpia.

"Sì." risponde, passandosi una mano sul viso, cercando di scacciare quella sensazione di stordimento. "E' solo che... sono troppe cose da digerire tutte insieme. Io vengo da un mondo in cui abbiamo solo un Dio e crediamo poco anche in quello."

"Posso capirti." dice Olimpia sorridendole. "Ma per la verità è meno complicato di quello che pensi. La nostra vita ha messo me e Xena a contatto con molti di quelli che gli uomini definiscono dèi e ti assicuro che in loro abbiamo trovato gli stessi difetti dei comuni mortali, forse peggio. Tra tutte le cose che Alexi ci ha raccontato, ce n'è una che mi ha colpita particolarmente. Lui dice che i cosiddetti dèi, una volta altro non erano che esseri umani, investiti da Coloro che Sanno di poteri divini e incaricati di agire in loro vece in questo mondo. Ma la loro natura umana di fondo, avrebbe fatto perdere loro il senso della misura, provocando la ritorsione delle entità superiori. Quindi, vedi, per quanto superiori alcuni esseri possano sembrare, finiscono per rispondere sempre agli istinti fondamentali della natura. L'avidità, la sete di potere, l'ira, la vendetta, inquinano gli spiriti di uomini e dèi in egual misura. L'unica differenza è data dal raggio d'azione di cui essi godono."

"E tu credi in questi... Coloro che Sanno?"

"Io ho creduto in molte cose. Questa non è più inverosimile di tante altre. Dà qualche risposta e apre tante altre domande. Come un po' tutto nella vita." Olimpia, che ha parlato fino a quel momento, guardando in distanza le finestre illuminate delle case, che risplendono sempre più nell'oscurità che avanza, ora volta lo sguardo verso di lei e lo inchioda nei suoi occhi. "Ma in realtà, io e Xena abbiamo imparato a credere solo l'una nell'altra e ad attraversare la vita con quest'unica fede che non ci tradirà mai, qualunque cosa accada."

La forza e l'intensità di quello sguardo lasciano Jennifer incantata e senza parole, persa in quei due laghi verdi nel fondo degli occhi di Olimpia. In quello sguardo, la parola fede acquistava una profondità che non l'aveva mai neanche sfiorata. E una voce le echeggia nel cervello in un lontano ricordo. Le immagini le tornano sfocate nella mente come se i suoi ricordi stessero via via perdendo consistenza, e questo suo progressivo allontanarsi dalle memorie della sua vita nell'altro mondo stava cominciando a preoccuparla. Il fatto stesso che avesse iniziato a definirlo l'altro mondo era preoccupante. Ma la voce risuona nitida come se la sentisse in quel preciso momento, e anche se non riesce più a ricordare molto bene le circostanze in cui le ha sentite, quelle parole, forse per la prima volta, assumono un significato definito.

("Su quelle pergamene il legame tra Xena e Olimpia è descritto come indissolubile, al di là della vita e della morte, quelle che si dicono anime gemelle.")

Anime gemelle.

Ecco come ad'un tratto, due parole il cui abuso aveva svuotato di efficacia, riguadagnavano tutto il loro valore, attraverso la luce che gli occhi di Olimpia emanavano in quel momento.

E' più che amore. E' più che dedizione. Loro sono

("L'hai detto tu. Noi siamo una cosa sola.")

una cosa sola.

Ecco altre parole provenienti da un passato sempre più vago, e improvvisamente lei capiva anche da dove provenisse tutta la determinazione e la convinzione della ragazza di ritrovare Xena.

Due anime così legate non possono mai perdersi davvero. Niente potrà mai davvero separarle. Né la morte, né demoni o dèi.

"Che c'è? Perché mi stai guardando così?"

Jennifer si risveglia come da un sogno ad occhi aperti, sotto lo sguardo interrogativo di Olimpia.

"Niente." mormora. "Pensavo solo che Xena tornerà da te. Ne sono certa."

Olimpia la fissa per un attimo, senza parlare. Poi il suo volto si distende in un lieve sorriso.

"Ti ringrazio." dice. Quindi la sua espressione torna a farsi concentrata, mentre osserva le ombre della sera che calano sempre più decise su di loro. "Tienti pronta. Ormai ci siamo."

E aggiustandosi i grandi mantelli con i cappucci a coprire il viso, le due donne si muovono verso il villaggio. 

(12 - continua)





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