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Il ritorno della Principessa

di Aurora

(prima parte)

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- Seconda parte -

Una lacrima le solcò il viso e cadde silenziosa sul ruvido cuscino. Il mare era calmo, silenzioso. La nave vagava quasi senza meta in quella distesa blu, sotto un cielo stellato che sembrava non avere mai fine. Olimpia aprì gli occhi e si asciugò le guance, quindi decise di alzarsi sebbene l’alba fosse ancora lontana. A piedi nudi si avvicinò alle scale che conducevano a poppa e cominciò a salirle lentamente, per non disturbare i marinai. Quando fu fuori una folata di vento la fece rabbrividire, si contrasse in un abbraccio e continuò a camminare con passi leggeri appena percettibili. Si sporse dalla nave, guardò indietro cercando con lo sguardo gli ultimi barlumi dell’incendio causato da lei e Xena giorni prima ma ormai neanche quello era più visibile. Le venne un tuffo al cuore pensando che quella era l’ultima cosa che avevano fatto insieme; si nascose il viso tra le mani e pianse. L’aria salmastra le scompigliava i capelli che si appiccicavano al viso umido di pianto: si sentiva sola davanti all’infinito mare che la circondava, sola al mondo. D’un tratto qualcosa di freddo le urtò ripetutamente la coscia, istintivamente allungò la mano e la serrò su quella cosa fredda: il Chakram. Lo sganciò dall’armatura e lo contemplò con ammirazione, quindi sollevò gli occhi umidi al cielo, l’aria l’accarezzò soavemente e in essa sentì il profumo di Xena, sorrise e la felicità cedè il posto alla tristezza, la felicità di saperla ancora accanto a lei, di non sentirsi più così sola. Si sedette e in poco tempo fu invasa dal sonno e si addormentò. Sognò Xena, i momenti felici passati con lei, il loro primo incontro e tutte le volte che l‘amica l’aveva tirata fuori dei guai, fino ad arrivare all’ultimo tramonto che avevano trascorso insieme, prima della sua scomparsa. Stava ormai per svegliarsi quando una voce forte ma soave la chiamò: si voltò e vide Xena; i suoi occhi blu brillavano nella tiepida luce che la circondava, i capelli scuri le cadevano sulle spalle, i superbi lineamenti del volto erano contratti in un solare sorriso che accentuava la sua divina bellezza, era avvolta in una tunica bianca. Olimpia le si avvicinò e l’abbracciò piangendo di gioia, sentendosi protetta tra le forti mani dell’amica che le accarezzava i capelli. Dopo breve Xena la scostò da sé e la guardò negli occhi, quindi disse
-Olimpia, io sono qui per guidarti: ormai sei all’altezza di occupare il mio posto, conosci tutto ciò che conoscevo io e ne farai sicuramente buon uso. Devo chiederti un favore: ti chiedo di avvertire mia figlia dell’accaduto, preferisco lo sappia da te piuttosto che da qualche signore della guerra senza tatto né scrupoli, raggiungila in Egitto e lì che si trova ora. Ricordati: sarò sempre al tuo fianco, grazie di tutto amica mia.”- Olimpia la guardò svanire poi sorrise
-Lo farò, Xena! Lo farò!”-
Si svegliò dicendo queste ultime parole e si ritrovò sul suo giaciglio, all’interno della nave. La luce che filtrava dalla porta alla sommità delle scale stava a dimostrare che era ormai giorno. Ci mise un attimo a capire dove si trovava e tentò di alzarsi debolmente. D’un tratto mani salde l’afferrarono da dietro e una voce maschile echeggiò tonante nella piccola cabina
- E’ tutto a posto Olimpia?”-
Olimpia si voltò a squadrare il marinaio che l’aveva appena aiutata, un giovane che sembrava essere cresciuto troppo in fretta le stava davanti sorridendo rozzamente; la ragazza lo fissò per un po’ attratta dalla sua bellezza visibilmente rovinata dalle cicatrici e dalle scottature, quindi sorrise a sua volta e fece cenno di sì con la testa
- Sì sto bene, almeno credo” - Il giovane sembrò rallegrato e aggiunse fiero:
- Questa notte mi sono svegliato sentendo dei rumori e ti ho vista la fuori, perciò ti ho riportata dentro e ti ho messa sul tuo giaciglio - Olimpia gli sorrise e lo ringraziò, poi il suo sguardo fu attratto dalla luce ormai forte del giorno e si ricordò la promessa fatta a Xena; si alzò in fretta e corse su per la scala. Uscì all’aperto e respirò l’aria tiepida a pieni polmoni, si tolse la coperta che ancora l’avvolgeva e la lasciò cadere ai suoi piedi quindi salì sul punto più in alto della nave e urlò ai marinai
- Si cambia rotta, andiamo verso l’Egitto! -. Quello che poteva essere il loro capo, un uomo sulla quarantina dai lunghi capelli neri e poderosi muscoli ornati di tatuaggi, le si avvicinò
- Ma non dovevamo andare prima ad Anfipoli, in Grecia per riportare le ceneri di Xena? - Olimpia lo guardò spazientita
- Dobbiamo cambiare rotta, devo parlare con la figlia di Xena -. Il marinaio le fece cenno di sì e si allontanò impartendo i nuovi ordini ai marinai. La ragazza si allontanò verso la sua cabina e si chiuse la porta alle spalle dove indossò vestiti più leggeri; stava preparando una bacinella con dell’acqua per lavarsi, quando una risata virile alle sue spalle la fece trasalire. Prese i Sais dai calzari e si voltò fulminea puntandoli al petto della persona che ora si trovava di fronte di lei. Rimase sorpresa quando si trovò dinnanzi il dio della guerra: Marte. Imponente, con il viso che non lasciava trasparire nessuna emozione se non un po’ di stanchezza disse
- Salve Olimpia”- guardò le armi che lo minacciavano - potresti togliermi i tuoi pugnali dal petto? Sai, non è così che si tratta un vecchio amico…”- la sua voce era calma ma in essa vi era un filo di tristezza ben mascherato. Olimpia sentì la rabbia crescere in lei
- Tu amico mio? Hai una fervida immaginazione, dio della guerra.”-; Marte le fece un sorrisetto ironico che Olimpia ricambiò aggiungendo
- Perché sei qui?- il dio la guardò con falsa sorpresa
- Ma come, sono qui per vedere come stai e tu mi tratti cosi?!- la ragazza lo guardò poi scosse la testa
- Ho imparato a capire che se ti fai vedere in giro non è mai per cortesia ma perché hai bisogno di qualcosa – il dio fece una smorfia
- Mi hai scoperto! – poi cambiò atteggiamento e si fece più cupo - Dammi le ceneri di Xena, sull’Olimpo saranno al sicuro, mentre qui…- Olimpia lo fissò adirata
- Uccidimi e le avrai -, il dio la guardò con aria di sfida e contrasse il volto in un falso sorriso, lei, allora, gli scagliò contro i Sais ma Marte se n’era già andato e questi si conficcarono nella parete con un tonfo sordo. La ragazza sospirò e andò a riprenderli sfilandoli dalla parete con scatti secchi e riponendoli al loro posto con estrema abilità. Si voltò verso l’urna contenente le ceneri della Principessa Guerriera che si trovava ben ferma su un piedistallo d’argento e da esso la staccò delicatamente. La tenne stretta tra le mani mentre le si formava un nodo in gola e parlò con la voce rotta dal pianto
- Come posso fare, Xena, aiutami. Devo dare a Marte le tue ceneri? In fondo ha ragione: sull’Olimpo sarebbero più al sicuro… - Non poté dire altro perché fu interrotta dalla voce dell’amica che le parlò dolcemente
- Olimpia, le mie ceneri non servono più, ormai sono morta. Gettale in mare così non sarai costretta a consegnarle a Marte… credo che abbia delle intenzioni ben precise… -; Olimpia, appena sentì la voce dell’amica si rallegrò ma alla fine di quelle parole sembrò essere ancora più triste e disse con rabbia
- Mai! Non lascerò che le tue ceneri si disperdano in mare! – si interruppe un attimo e pensò a ciò che le aveva detto l’amica – Xena! Che cosa intendi? Che intenzione ha Marte? – ma la Principessa Guerriera si era dissolta nel nulla esattamente com'era arrivata. Le ripose sul piedistallo e chiamò Marte a gran voce. Il dio non tardò a farsi vedere e le chiese semplicemente
- Hai deciso?”- Olimpia lo guardò con aria interrogativa e pensierosa poi chiese - Non penso tu voglia le ceneri di Xena solo per proteggerle, in fondo quanto può importartene delle ceneri di una morta? Secondo me tu stai tramando qualcosa e non prenderò una decisione fino a che non mi avrai messa al corrente dei tuoi piani -. Marte rimase pensieroso per un po’ poi le rispose tentando di essere il più disinvolto possibile
- Tu stai parlando delle ceneri di XENA, NON di quelle di una MORTA QUALSIASI! Sì, le voglio per un altro motivo… ma ho intenzione di non dirti niente -. Olimpia prese l’urna di scatto facendo traballare pericolosamente il piedistallo e la strinse a sé
- Mai! Non le avrai mai! -. Marte sorrise
- Stai proprio diventando come lei: ostinata e cocciuta! Potresti fidarti di me almeno per una volta, in fondo cosa potresti perderci? L’ hai detto tu stessa: sono solo le ceneri di una morta -. Olimpia cercò di mantenersi calma
- Fidarmi di te?! Spero tu stia scherzando. Come ci si può fidare di un lurido verme come te? Non hai fatto altro che perseguitare Xena durante tutta la sua vita con patetici tranelli, e pensi ancora che io possa fidarmi di te -, Marte la guardò, più serio, con un velo di tristezza e sospirò
- In questo hai ragione, sono sempre stato troppo insistente con lei ma me ne sono reso conto tardi…- abbassò lo sguardo e ad Olimpia fece quasi tenerezza: non l’aveva mai visto in quelle condizioni. Ma il volto del dio tornò in breve quello di sempre pieno di superbia e d'arroganza
- Ma ho in mente un piano che non posso rivelarti ed ho bisogno delle ceneri di Xena per metterlo in atto, perciò se mi vuoi dare ascolto, bene, altrimenti conosco un metodo, per averle, molto più veloce…- puntò la mano verso Olimpia cercando di colpirla con una delle sue sfere di fuoco
Ma la ragazza con una capriola laterale la schivò e questa andò ad appiccare fuoco ad un rotolo di pergamena che si trovava appoggiato al muro in un angolo. Olimpia si voltò velocemente verso il piccolo incendio che divampava impaziente di estendersi al resto della stanzetta e prese la bacinella, che aveva preparato poco prima, rovesciandola su di esso e girandosi nuovamente verso Marte. Questo la guardava divertito
- Sapevo che te la saresti cavata: Xena ti ha insegnato molto, non immagini quanto avrei voluto avere anche solo una piccola parte del rispetto che lei aveva per te -.
- Ti ringrazio per la fiducia, Marte, ma complichi solo le cose: se prima una piccola parte di me diceva di darti le ceneri, adesso te le puoi scordare; e in ogni modo Xena ti avrebbe rispettato se tu fossi stato leale con lei… -. Si allontanò con l’urna ben stretta nella mano sinistra mentre con la destra aprì la porta che conduceva alle scale di prua, la richiuse al suo passaggio e si avvicinò con decisione alla balaustra. Si sporse a guardare le onde che si infrangevano con forza contro la nave, quasi volessero penetrare al suo interno. I suoi occhi si inumidirono di lacrime e dentro di sé continuava a ripetersi” Non posso, non posso!”. Aprì l’urna, fece per versare il suo contenuto molto lentamente, quasi sperando che qualcuno la fermasse finché non sentì una mano, forte, che la tratteneva. Si voltò e vide Marte dietro di lei, che ancora le stringeva la mano con forza mentre le sussurrava:
- Non farlo, queste ceneri sono l’unica maniera per riaverla, non lo fare, ti prego-, con queste parole allentò delicatamente la presa. Olimpia non fece in tempo a chiedergli spiegazioni perché il dio se n’era andato portando con sé l’urna.

CAPITOLO 2
Si svegliò di scatto; tutto quello che ricordava era Olimpia e quel meraviglioso tramonto che aveva segnato la fine della loro amicizia terrena. Si mise a sedere e in poco tempo ricordò tutto il resto: era morta… ma… dove si trovava? Guardandosi intorno contemplò con ammirazione il salone che la circondava: era sola e tutto, attorno a lei, sembrava fatto di ghiaccio. In un angolo scorse una porta, era chiusa. Posò i piedi a terra e rabbrividì al contatto con quel lucido pavimento: era molto freddo. Alzandosi avvolse il corpo nudo in una tunica bianca trovata ai piedi del letto e a piccoli passi si avvicinò all’uscio. Strinse la mano attorno alla maniglia e la porta si schiuse con un leggero cigolio. Fu invasa da una luce fortissima che la obbligò a proteggersi gli occhi con la mano. Quando si fu abituata alla luce dinnanzi a sé si stagliò uno spettacolo meraviglioso: un immenso giardino con alberi, ruscelli, cascate; bambini, uomini, donne e anziani giocavano, ballavano e ridevano spensierati, al colmo della felicità... era in Paradiso! Era appena riuscita a capire dove si trovava quando sentì una voce familiare alle sue spalle che la chiamava. Si voltò
- Madre! -. Irene le corse incontro e l’abbracciò
- Figlia mia, come sono contenta di rivederti! -; Xena si sentì di nuovo felice: l’aver ritrovato sua madre la riempiva di gioia. Ricambiò teneramente l’abbraccio. Irene le chiese
- Ma come… come mai sei qui, cos’è successo? - Xena si fece nuovamente cupa
- Mi hanno uccisa. Olimpia poteva farmi tornare in vita ma io non ha acconsentito: troppe anime si sarebbero disperse e io non potevo permetterlo! - La madre abbracciò nuovamente la figlia
- Sei sempre stata coraggiosa e con quest'azione hai solo confermato le mie convinzioni! -. Xena le sorrise
- Ti ringrazio madre, ma sai perfettamente che non l’hai sempre pensata così: Linceo… Io… Mi dispiace, madre! -
- Xena, non puoi continuare a tormentarti per questo! Soprattutto adesso che sei qui! -
- Ma non posso dimenticare quello che ho fatto alla mia famiglia, come potrei?! -
- Siamo nei Paradiso, Xena, non puoi continuare a pensare a ciò che hai fatto in vita, non alle cose negative, almeno! -; Xena sentì dei rumori alle sue spalle e si voltò di scatto
- Linceo?!… Fratello mio! - il fratello l’abbracciò
- Xena! Come mi sei mancata! - la scostò da sé - Ho sentito pronunciare il mio nome… spero che non stavate parlando male di me! -, Xena gli sorrise nuovamente
- E come potrei! -. Linceo le accarezzò i capelli
- Come sei diventata bella! Immagino quanti uomini avrai fatto innamorare! - la guerriera lo guardò con tono provocatorio e rise; il fratello le prese la mano e la trascinò tra la folla di gente
- Vieni sorella, noi avremo tutto il tempo per parlare più tardi, adesso ti porto da qualcuno che ha aspettato il tuo arrivo da quando è qui - Xena lo guardò incuriosita e Linceo con la mano le indicò un gruppo di ragazzi che stavano giocando con una palla d’oro
- Va Xena, lì troverai la risposta… - lasciò la mano della sorella che si avvicinò al gruppetto: i ragazzi si passavano con le mani quella palla splendente e il gioco continuò così fino a quando questa non volò in aria e Xena, prontamente, la prese al volo. Un ragazzino si avvicinò per recuperarla ma quando la ringraziò i due si guardarono negli occhi e così rimasero fino a quando...
- Seleuco, ti decidi a venire?! - a parlare era stato un ragazzetto sui quindici anni con capelli rossi e lentiggini disseminate per tutto il volto. Xena non disse altro, abbracciò suo figlio e lui ricambiò con affetto lasciando cadere a terra la palla che rimbalzò con tonfi sordi fino a cozzare contro i piedi del ragazzo che aveva parlato poco prima. I due rimasero a lungo stretti in quell’abbraccio e i ragazzi cominciarono a farsi domande; poi uno disse a gran voce
- Seleuco, ti muovi?! Vieni a giocare! - Seleuco si divincolò dall’abbraccio, guardò la madre negli occhi poi si voltò verso gli amici
- Continuate voi, io devo parlare con mia madre! -, la prese per mano e passò tra le facce incredule dei suoi amici che molte volte avevano sentito
parlare della “Principessa Guerriera” e delle sue gesta. Seleuco la condusse vicino ad un meraviglioso salice piangente; vi si sedettero sotto e parlarono a lungo, scherzando e rimpiangendo tutto il tempo che avevano perso. Era ormai sera quando, dopo ore di ricordi, a Seleuco s'illuminò il viso e sorrise pensieroso. Xena se ne accorse immediatamente
- Cos’è quella faccia! Cos’ hai in mente? - La risposta del figlio fu breve
- Vieni con me e lo scoprirai! - le prese nuovamente la mano e la tirò, correndo, finchè non arrivarono in un grande spiazzo, sulla cima di una collina, dove un gruppo di uomini, presumibilmente guerrieri nella loro vita terrena, stavano ridendo e scherzando davanti ad un falò. Uno di loro riconobbe immediatamente il figlio di Xena
- Seleuco! Che ci fai qui a quest’ora: non è ancora il momento della gara! - poi si fece cupo - Chi è quella donna?! Mi sembra di conoscerla! -. L’ombra di questa si avvicinò al gruppo e fu illuminata dal fuoco; quando cominciarono a vedersi i tratti di Xena gli uomini ne rimasero stupefatti. Appena si furono ripresi dalla sorpresa uno di loro si alzò
- Xena? Sei proprio tu?! Ma non dovresti essere nell’Averno a quest’ora? - Xena si volse verso la persona che aveva parlato e disse con aria di sfida
- Sai Attilio, le persone a volte cambiano nella vita. - Un uomo che fino a quel momento era stato in disparte, con il volto nell’ombra si alzò e si allontanò con passi lenti. Questo gesto attirò subito l’attenzione di Xena che gli corse dietro. Aveva già compreso di chi si trattasse e, quando lo raggiunse, gli camminò a fianco. Stava cercando delle parole con le quali formulare una frase ma inaspettatamente senza riuscirci; l’uomo si sedette sull’erba e invitò Xena a fare altrettanto con un secco gesto della mano. Era umida e profumata, in lontananza si sentivano le voci dei guerrieri che parlavano e ridevano ancora stupefatti per la vista della guerriera. I due rimasero in silenzio per un po’ poi Xena alzando il viso vide il volto della persona che le stava accanto e disse:
- Aristarco… mi dispiace! Tutto questo è colpa mia! - l’uomo rimase immobile, senza dir nulla allora Xena continuò - Nei Paradiso dovrebbe esserci solo la felicità ma con il mio arrivo molte cose sono cambiate: tutto il rancore delle persone che ho ucciso grava su di me e a nulla è valso riscattarmi, in vita, con buone azioni; questi uomini, sulla terra, soffrivano per causa mia e adesso che sono qui hanno ricominciato ad odiarmi. -. Aristarco rimase in silenzio e Xena studiò il suo viso con gli occhi pieni di tristezza, nell'attesa di una risposta: questo aveva lo sguardo fisso nel vuoto, il volto inespressivo. Xena, abbassò il viso e si mise a giocherellare con l’erba; una folata di vento le scompigliò i capelli e un brivido, le percorse la schiena. L’uomo sospirò e parlò sommessamente, con disprezzo
- Hai distrutto la mia vita, la mia famiglia! - A queste parole Xena smise di strappare l’erbetta e sollevò gli occhi da terra fissando lo sguardo sul suo viso. - Ero un uomo felice prima di incontrarti: avevo uno splendido figlio, Berghen e sua madre mi voleva bene e tu, tu hai rovinato tutto questo, mi hai stravolto la vita. Non te lo potrò mai perdonare! - poi il suo tono di voce cambiò leggermente - Ma ho anche visto come hai cercato di cambiare, di aiutare nostro figlio e per questo…- Si fermò, sembrava che facesse fatica ad esternare ciò che pensava, sospirò poi continuò - ti ringrazio. - Xena a queste parole si sentì molto più sollevata, gli sorrise
- Sono io quella che deve ringraziarti... -. Aristarco, con fatica, le sorrise a sua volta, mise la mano su quella di lei
- Torniamo indietro, Seleuco ci sta aspettando per la gara - Xena chiese
- Quale gara? - l’uomo le indicò il cielo
- Dopo il crepuscolo, quando vengono le tenebre noi guerrieri ci sfidiamo con vari esercizi e combattimenti. Il vincitore della serata avrà il diritto di scegliere le squadre per il giorno successivo. - Xena sorrise a sentire che anche gli adulti facevano simili giochi in quel posto incantato; guardò il tramonto e le venne in mente il viso di Olimpia, la sentì vicina a sé, chiuse gli occhi e respirò l’aria a pieni polmoni; si sentiva liberata da un gran peso: Aristarco l’aveva perdonata.
Le gare durarono a lungo e Xena rimase a guardarli fino alla fine rifiutando le varie offerte di quelli che la invitavano ad unirsi a loro. Il vincitore di quella sera fu un giovane uomo, molto abile ed astuto, Xena non si ricordava di averlo mai visto e neanche quello pareva conoscerla. Con la fine dell’ultima gara, un brusio di lamenti si alzò nell’aria e un uomo disse
- Sempre tu! Ma come fai a vincere sempre! - poi rivolto ai compagni - Vi sembra possibile a voi? Da quando sono arrivato qua non ho mai visto vincere qualcun altro! Così non c’è neanche più divertimento! – dette queste ultime parole gettò a terra lo straccio con il quale si stava asciugando il sudore e si allontanò; molti risero e si congratularono con il vincitore battendogli manate sulle spalle. Questo si avvicinò a Xena
- Come mai non hai partecipato? E’ un modo per divertirci tutti insieme! - Xena era stanca, ma cercò di non apparire scortese
- Non mi sono mai interessati i giochi di gruppo, non fanno per me! – lo guardò cercando di ricordare il suo volto - Sei molto bravo; come ti chiami? - l’uomo rispose senza tener nemmeno conto delle lodi fattegli da Xena
- Il mio nome è Aurelio, sono romano – Xena rimase sorpresa
- Sei ancora giovane… - il ragazzo la guardò
- E’ stata Livia ad uccidermi… - Xena abbassò lo sguardo
- Livia?! La comandante delle legioni di Ottaviano? -
- Detta anche “la protetta di Ottaviano”… L’hai conosciuta? -
- E’ mia figlia -. L’uomo si fece buio in viso e la guardò con occhi pieni di rabbia; proprio in quel momento Seleuco, si avvicinò ai due contento
- Che te ne pare madre? - Xena, che fino a quel momento era rimasta a guardare Aurelio, distolse lo sguardo e lo pose sul figlio
- Bravo! Sei migliorato molto! Non posso che essere fiera di te! - gli scompigliò i capelli - Adesso vado a riposarmi un po’, ci vediamo domani ok? Buona notte figlio mio - Seleuco l’abbracciò
- Ti voglio bene madre! -. Xena si voltò per cercare Aurelio e spiegargli tutto ma il vincitore era sparito perciò scosse la testa e si allontanò verso una buia foresta. Quando vi fu all’interno venne avvolta dalle tenebre ma riuscì ben presto ad orientarsi; decise di trovare una caverna nella quale poter dormire e procedette lentamente tra le spettrali sagome degli alberi. Ad un tratto qualcuno la urtò da dietro, si girò di scatto e si trovò tra le braccia di un uomo. Questo la scostò da sé tenendola per le spalle
- Scusa, non l’ ho fatto apposta! - Xena lo guardò cercando di ricordare: conosceva quella voce ma nell’oscurità non aveva riconosciuto il suo possessore.
- Marcus?! - disse con voce incredula - Sei proprio tu?! -. L’uomo le accarezzò delicatamente il viso
- Xena! - i due si abbracciarono - Quanto mi sei mancata! -. Cercò di baciarla ma lei scostò il viso e il bacio si posò sulla sua guancia. Per un attimo rimasero in silenzio e si creò un po’ d'imbarazzo poi lui cambiò discorso
- Xena, come mai sei qui? - lei sospirò e abbassò lo sguardo
- Mi hanno ucciso. Io e Olimpia eravamo nelle terre del lontano Giappone, un tempo a Higuchi avevo portato solo morte e distruzione e il mio sacrificio è servito a riscattare le quarantamila anime delle persone che avevano lì perso la vita per un incendio da me causato. - Marcus la guardò
- Olimpia; penso che per lei perderti sia stata una gran disgrazia! -
- Il dolore è indescrivibile, l’aver perso la persona che si ha più cara al mondo porta a trovare la vita totalmente priva di significato, non si prova più niente di bello in essa… - Lui le sorrise
- Sai Xena, conosco bene quello che si prova: quando sono morto ho perso la persona alla quale tenevo di più... te; da quel momento non ho fatto altro che aspettarti e quando ti ho rincontrato, quella notte, non avrei voluto perderti di nuovo; adesso che sei qui mi accorgo di quante cose sono cambiate… - poi la guardò: era sfinita. Le fece cenno con la mano in una direzione
- Penso che tu sia stanca: da quella parte troverai un posto per riposare: al bivio gira a sinistra; dopo aver percorso un pezzo di strada ti ritroverai dinnanzi ad una cascata, vacci sotto, lì c’è una caverna: è illuminata e ci sono dei giacigli. - Xena gli sorrise
- Ti ringrazio. Allora ci vediamo domani -. Gli sorrise poi si voltò e si allontanò, questa volta, a passi più svelti; lui la guardò con ammirazione fino a che non scomparve dietro una fila d'alberi.
Arrivata al bivio, Xena, si voltò verso sinistra ma un uomo le sbarrò la strada; la guardava con occhi pieni di rabbia e di lacrime; per un po’ continuò a fissarla poi disse sprezzante
- Sciagurata! Hai ucciso me, mia moglie e la mia povera bambina! Come osi presentarti in questo posto di pace! Vattene, torna nell’Averno! -; Xena aprì la bocca ma non riuscì a pronunciar parole perché l’uomo davanti a lei era scomparso; si guardò intorno perplessa “Cosa mi sta succedendo?”, pensò, ma subito vide arrivare verso di lei una bambina con delle lunghe trecce bionde che le sorrideva: questa le porse un fiore rosso ma prima che la guerriera allungasse la mano per prenderlo comparve una donna che prese per il braccio la piccola e la tirò via
- Non parlare con quella guerriera, è lei che ha ucciso tuo padre e tuo fratello - Xena fissò negli occhi la piccola che stava per scoppiare in lacrime ma dopo poco anch’esse scomparvero; la Principessa Guerriera si mise una mano sulla fronte e cominciò a massaggiarsela; era assorta dai pensieri che le riempivano la mente quando, d’un tratto, venne circondata da persone che avevano sui visi e negli occhi solo odio e disperazione; li guardò uno ad uno senza comprendere il significato di tutto quello che le stava accadendo fino a quando non sentì una voce proveniente dal centro del gruppo
- Sciagurata torna nell’Averno! - e a lui molto presto si unì un coro di voci che ripetevano incessantemente la stessa frase. La guerriera rimase tra di loro voltandosi velocemente da una parte all’altra del cerchio che la chiudeva per cercare una via di fuga. Si fece coraggio e corse verso la strada di sinistra indicatale da Marcus; al contatto con il suo corpo, tutta la gente che aveva intorno scomparve e la foresta ripiombò in un pesante silenzio. Xena si voltò indietro e rimase stupita nel vedere che erano tutti scomparsi, con gli occhi cercò anche una minima traccia che confermasse ciò che fino a poco prima le stava intorno ma non trovò altro che le sue impronte, sospirò preoccupata quindi decise di continuare la strada; camminò a passo svelto fino ad arrivare davanti alla cascata, bella, imponente; qui si fermò ansimando; cercò l’entrata della grotta: scorse una fessura nella roccia e si avvicinò a lei; quando entrò si trovò in una stanza scarsamente illuminata da due torce sfrigolanti; in essa vi erano due giacigli ed una buia galleria sul lato sinistro della grotta alla quale non diede molta importanza; si lasciò cadere su uno di questi che, sotto pressione, scricchiolò sommessamente. Per un po’ rimase seduta a pensare: chi erano quegli uomini? Perché la tormentavano anche lì, nei Paradiso! Scosse la testa per distoglierla da quei tristi pensieri e decise di alzarsi per dare un’occhiata intorno, dato che l’agitazione aveva preso il posto della stanchezza che fino a poco prima l’opprimeva. Uscì e si trovò sotto la cascata, vi girò intorno e si avvicinò al lago; dopo essersi seduta mise la mano nell’acqua e per un po’ la fece scorrere tra le dita: era fredda e limpidissima. Si portò la mano alla bocca e la bevve. Stranamente il senso di tristezza che cominciava a sentire svanì e con esso tutti i ricordi.
Al suo risveglio capì immediatamente di trovarsi nella grotta, su un giaciglio, ma non su uno di quelli che aveva visto al suo arrivo. Di scatto si alzò e guardò quello che la circondava: non era la stessa stanza di prima… scorse una galleria: presumibilmente la stessa che aveva notato quando era entrata nella grotta per la prima volta ma proveniva da un’altra direzione… scese dal letto: una parte della stanza era totalmente in ombra; prese la torcia che era appesa ad un muro e vi si addentrò facendosi luce con essa. D’un tratto venne risucchiata da questa densa oscurità e poco dopo si trovò in uno spettrale giardino, simile a quello dei Paradiso ma buio, tenebroso e freddo. Teneva in mano la torcia ma era spenta. Sentì degli impercettibili rumori alle sue spalle e si voltò giusto in tempo per non ricevere una botta in testa; davanti a lei vide una distesa d'anime; anime in pena che si lamentavano sommessamente chiedendo aiuto. Xena rimase immobile a guardarli mentre sul suo viso si diffondeva l’orrore; spostò lo sguardo davanti a sé: un uomo dai lunghi capelli increspati e dalle profonde occhiaie la minacciava con un bastone. Xena con un semplice calcio se lo levò di torno ma subito dopo un altro le arrivò addosso cercando di colpirla con quella che si sarebbe potuta definire una vecchia spada arrugginita e mal affilata. La Principessa Guerriera parò il colpo con la torcia spenta e lo respinse con un altro calcio. Poi corse via, nella direzione dalla quale era venuta e fu nuovamente risucchiata dal vortice che la ricondusse nella sua grotta. Si sedette sul giaciglio e sospirò incredula costatando che la torcia era nuovamente accesa. Rimase lì, seduta per un po’ a fissare la fiamma poi decise di riappendere la torcia al muro. Mentre era girata verso la parete sentì dei passi alle sue spalle. Una mano le circondò il fianco e si posò sulla veste che la ricopriva, all’altezza della pancia e un brivido caldo la percorse. La persona che le stava dietro l’attirò a sé, le scostò i capelli dalla guancia e le sussurrò all’orecchio con voce profonda
- Salve Principessa -. Xena chiuse gli occhi e assaporò quei pochi secondi di piacere che era solita concedersi prima di allontanarsi da lui; parlò lentamente e sommessamente
- Salve Marte… Principessa? Non sono la tua principessa… – si voltò verso il dio e si allontanò un poco da lui. Marte la guardò negli occhi e contemplò la bellezza della sua principessa, o così almeno gli piaceva definirla
- La morte non ti ha di certo privato della bellezza, Xena. -
- Sai Marte, se non ti conoscessi bene direi che sei qui solo per vedere come sto. Allora: di cosa hai bisogno? -. Marte le si avvicinò nuovamente e a Xena diede quasi fastidio: la sua presenza fisica accanto a sé la faceva sentire insicura, fragile e il risultato era che si chiudeva sempre più in se stessa, per essere più forte.
- Xena, ti sto osservando da quando sei arrivata qua e mi sono reso conto di quello che stai passando: nei Paradiso bisognerebbe essere felici ma tu non ci riesci…-
- E come potrei dopo tutto quello che ho fatto! -
- Ecco: è proprio questo che sto cercando di dirti; tu non apparterrai a questo posto finché non avrai perdonato le tue colpe. - ; Xena si sedette nuovamente sul giaciglio e sospirò. Il dio continuò camminando avanti e indietro, con passo lento
- L’acqua che hai bevuto, nel lago, è un’acqua purificatrice: nel tuo caso dovrebbe alleviare il dolore ma ti sei opposta al suo effetto e hai perso i sensi: tu non vuoi dimenticare le sofferenze perché hai paura che a cancellarsi siano anche i ricordi belli, il tempo passato con Olimpia…-. Xena lo guardò e dai suoi occhi scivolò una lacrima. Questa le solcò il viso e andò a cadere sulla sua candida veste. Il dio si avvicinò e con tocco delicato le sfiorò la guancia asciugandola. Xena chiuse nuovamente gli occhi e si lasciò trasportare da quel piccolo gesto. Poi guardò il dio
- Se ho ben capito un attimo fa mi trovavo nell’Averno. Perché ero lì, c’è un motivo?
- Ti ho fatto passare “dall’altra parte” perché tu vedessi le anime dei dannati, di quelli che patiranno in eterno atroci sofferenze…
- Un po’ come me? -
- No, Xena. Non esattamente: tu qui puoi trovare la gioia perché ci sono tutte le persone a te care… tranne Olimpia, s'intende, ma se continuerai a tormentarti, a soffrire è possibile che tu non possa più rimanere in questo posto… che tu sia costretta… -
- Ad andare nell’Averno? In fondo è lì che tutti quelli che mi vedono vorrebbero che finissi! – un angolo della bocca di Xena si contrasse in un freddo sorriso; il dio scosse la testa; sembrava che avesse qualcos’altro da dire ma che quasi non osasse. Xena se ne accorse, aggrottò la fronte
- Ma tu hai studiato una soluzione: qualcosa che eviti tutto questo, qualcosa che cambi il mio destino… anche se credo che non mi piacerà…- Marte la fissò negli occhi e sorrise orgoglioso
- Vedo che sai essere molto intuitiva…-
- Ebbene? -
- Ebbene: tra le pergamene che sono in possesso di mia sorella Venere, ce n’è una che le fu donata da Morte, molto tempo fa…- il dio si fermò e Xena lo incitò con lo sguardo ad andare avanti
- Sopra vi è scritta un’antica pratica con la quale far tornare in vita un mortale… questo è quello che mi ha detto mia sorella…-.
- No! E’ inutile che sprechi il tuo tempo nello studio di quel sortilegio: la mia risposta è NO e tale rimarrà. - . Xena si alzò dal giaciglio e si allontanò, nella galleria; era buia e tutta uguale, dalle pareti colava dell’acqua che si ricongiungeva in un rivolo laterale. Ad un tratto si trovò ad un bivio e sul suo volto si impresse un’aria di disappunto: non voleva tornare indietro; se lo avesse fatto il dio avrebbe pensato che avesse bisogno del suo aiuto… aguzzò l’orecchio per sentire lo scrosciare dell’acqua quindi decise di prendere la galleria di destra. La strada era quella giusta; in breve tempo si ritrovò nella stanza iniziale. Si coricò su uno dei due giacigli e rimase così, nella stessa posizione per qualche minuto, senza prender sonno. Stava ripensando al discorso di Marte “In fondo Marte ha ragione… se mi facesse tornare indietro, io e Olimpia potremmo vivere accanto il resto della nostra vita, potrei smettere di combattere… Ma cosa sto dicendo!” si voltò dall’altra parte, il nome dell’amica le aveva fatto tornare in mente tanti ricordi… gli occhi le si riempirono di lacrime “Olimpia! Quanto mi manchi! Con te al mio fianco sarebbe tutto più semplice…” . Senza la sua amica non si sentiva più così forte… Sospirò e in breve si addormentò.
Fu svegliata da un rumore improvviso: era notte. Si alzò di scatto e camminò lentamente attenta a qualsiasi movimento. C’era qualcuno alle sue spalle… senza neanche girarsi, sferrò un poderoso calcio al suo assalitore e fu la voce del dio della guerra a lamentarsi per il dolore
- Ti ringrazio Xena! – disse premendosi una mano sulla coscia
- Devi ringraziare che non ti ho beccato poco più su…- e il suo sguardo si posò all’altezza del cavallo dei pantaloni di Marte. Poi sorrise e il dio sembrò esserne contento
- Finalmente ti vedo sorridere! –
- Già. Adesso mi sento un po’ meglio…- a passi lenti si diresse verso l’uscita della grotta; quando fu fuori respirò la fresca aria; incrociò le braccia all’altezza dei fianchi e guardò la luna; brillava, nonostante tutto attorno a lei fosse orribilmente buio, continuava a risplendere, era un punto di riferimento per chi avesse perso la strada durante il buio della notte… Olimpia aveva fatto lo stesso per Xena: l’aveva aiutata a venire fuori da quell’oscurità che le riempiva il cuore… la guerriera sospirò nuovamente mentre sentì Marte alle sue spalle
- A cosa pensi? -
- A niente, stavo solo guardando la luna…- girò la testa verso di lui: sembrava che fosse preoccupato – Cosa c’è? – chiese.
- Non voglio perderti Xena. Non posso pensare ad una vita senza di te… -
- Marte basta; ne abbiamo già discusso! –. Ma che senso aveva continuare a mentire a se stessa: che senso aveva continuare a rimanere fredda? - Io… - No. Non ce la faceva. Non riusciva a parlare dei suoi sentimenti… - Di sicuro avrai qualche altra guerriera da tormentare…- il dio la guardò
- Ma non avrò più te. Sai bene che la mia per te è più di una semplice attrazione… non riesco più a scacciarti dai miei pensieri…-
- Allora vattene… Penso che sia la cosa migliore… per entrambi - il suo sguardo si posò a terra. La tristezza si rimpadronì di lei ma cercò di sopprimerla, di tenerla dentro, come le era solito fare, cercando di sembrare meno triste di quello che in realtà era:
- Questo è un addio, Xena? – il suo sguardo squadrò dal basso all’alto il corpo del dio e si fermò negli occhi belli, profondi, di lui; aprì la bocca cercando di dire qualcosa poi la richiuse e sospirò scuotendo in senso affermativo la testa.
- Temo di sì - Marte chiuse un attimo gli occhi mentre chiamava a sé tutte le forza che aveva in corpo.
- Allora… ADDIO XENA! – la guardò un’ultima volta, la superò e continuò a camminare per la strada che portava alla foresta. Xena chiuse gli occhi e una lacrima le scivolò giù dal viso; respirò profondamente mentre lo guardava allontanarsi… si voltò per tornare nella grotta mentre un nodo le strinse lo stomaco. La testa le girava: per la prima volta in vita sua non aveva la più pallida idea di cosa dovesse fare. Si sentiva sola ed estranea al luogo nel quale si trovava “Addio Marte”. Si lasciò cadere sul giaciglio senza riuscire a prender sonno per un po’.

CAPITOLO 3
-Tonf- un colpo sordo, e uno dei due Sai di Olimpia s'incastrò nell’albero maestro della nave facendo alzare una breve nuvola di polvere. Un urlo disperato della poetessa riecheggiò lì, dove nessuno, a parte i marinai, la poteva sentire. Una lama affilatissima sibilò nell’aria fino a fendere una parte del legno dove poco prima era penetrato il Sai. Olimpia si avvicinò ad esso ed estrasse il pugnale e la Katana: il suo viso era inespressivo e pallido, gli occhi senza più una lacrima. La rabbia e la disperazione si erano totalmente impadronite di colei che un tempo aveva creduto solo nell’amore e nella salvezza: Un marinaio, visibilmente preoccupato, le si avvicinò
- Olimpia, tra due giorni saremo in Egitto… - non aggiunse altro perché una sola occhiata della ragazza bastò a fargli capire che non era il momento adatto per parlarne. Rimasta nuovamente sola scaraventò contro il povero albero tutto ciò che le era a portata di mano urlando disperatamente.
Di colpo si fermò, si mise le mani tra i capelli ansimando pesantemente e guardando tutto quello che la circondava: aveva distrutto ogni cosa: secchi capovolti, acqua che ne usciva, corde srotolate a terra tagliate in vari punti e brandelli di svariate stoffe si stavano imbevendo dell’acqua che fino a poco prima era contenuta nei secchi.
D’un tratto sentì un battito di mani alle sue spalle; sferrò un colpo con la Katana ma la lama fu prontamente bloccata tra le mani di Marte
- Ah, ah, ah . No, Olimpia – la ragazza urlò disperata e tirò un calcio nella pancia del dio che non riuscì a pararlo poichè entrambe le mani erano occupate a tenere la lama della spada. Contrasse il viso in una smorfia ma non disse altro in proposito:
- Olimpia, mi meraviglio di te! Cosa ti sta succedendo?- per tutta risposta la ragazza gli sputò in faccia:
- Sciagurato bastardo! Se potessi ucciderti… - Il dio si passò una mano sul volto assai stupito del comportamento della “dolce fanciulla”; Olimpia lo guardò sprezzante e liberò con uno scatto secco la spada dalle braccia di Marte mettendosi a sferrare colpi a destra e a sinistra, urlando. Il dio li schivò tutti e lasciò che la poetessa continuasse, fino a che non si fosse stancata, non passando mai all’attacco ma rimanendo in difesa. Ad un certo punto la ragazza cadde a terra piangendo, la spada rimbalzò di punta e cadde vicino a lei con suono metallico. Il dio le si chinò accanto, le pose due dita sotto il mento e le sollevò il viso
- La rabbia sta crescendo in te, forse… forse faccio male a tormentarmi ancora con il ricordo di Xena: in fondo tu sei stata la protagonista di questa vicenda… era sempre Xena che risolveva ogni cosa ma tu, tu in silenzio imparavi ogni sua mossa, ogni suo stratagemma e sei cresciuta come donna e come guerriera; forse sei tu la mia prediletta, quella che dovrebbe diventare la mia regina… - lo sguardo di Olimpia non aveva in sé più nulla di buono, i suoi occhi erano di ghiaccio, il suo cuore una pietra. Marte le si avvicinò e le sussurrò ad un orecchio
- Ti interessa? – la ragazza lo guardò seria
- Preferirei la tortura eterna –
- E quella avrai se continui di questo passo…- quindi scomparve. Olimpia rimase così, seduta con lo sguardo fisso nel vuoto e le mani immerse nell’acqua che dilagava per la nave.
Il dio tornò sull’Olimpo. Entrò nella Sala Grande e si sedette, come suo solito, sul trono. Di fianco a lui c'era era una coppa con l’ambrosia e subito sotto una con dell’acqua. Passò distrattamente una mano su quest’ultima e comparve Xena: stava parlando con Seleuco, sembrava felice… Marte la guardò con ammirazione; “addio Xena” gli balenarono alla mente quelle parole: la ferita era ancora aperta, soffriva enormemente. Sospirò quando una voce alle sue spalle lo riportò in sé:
- Sei proprio sicuro che non possa fare niente per te? In fondo potrei darti tutte le donne del mondo…-
- Non voglio nessuna donna, sorella, se mi vuoi aiutare, rimanda indietro Xena…- un velo di tristezza calò sul viso della splendida dea dell’amore
- Sai che questo non posso farlo…-
- Allora fallo con il bardo, fai innamorare lei di me… potrebbe essermi veramente utile…-
- OLIMPIA NO! E’ la mia migliore amica! – la dea incrociò le braccia intorno alla vita – Non mi chiedere questo…-
- Allora non ho bisogno del tuo aiuto! Vattene, lasciami solo. – la dea lo guardò offesa e si dileguò nell’aria in una cascata di luce. Marte si voltò nuovamente verso la coppa. Xena stava giocando con suo figlio… sentì la passione salire in lui… non poteva restare lì a far niente… doveva tornare nei Paradiso, doveva tornare da lei… ma no; che senso aveva? Xena non lo voleva più vedere, e forse era meglio così… passò nuovamente la mano sulla limpida acqua e comparve Olimpia: era ancora là, seduta nella stessa posizione, lo sguardo altrove. In quel momento Venere ricomparve e di sfuggita vide la figura dell’amica nella coppa quindi si voltò verso Marte:
- Che cosa le hai fatto! – indicò con la mano l’immagine
- Io niente… ho solo preso le ceneri di Xena…-
- Ma Xena ti aveva detto che non voleva tornare tra i vivi! Perché non lo vuoi capire! Se davvero la ami, devi volere il meglio per lei, non per te! Sai bene che anche lei sta soffrendo…- lo sguardo di Marte si illuminò per un attimo
- Ma cosa stai dicendo! Quando ero mortale forse le facevo pena, ma adesso che sono nuovamente una divinità…- abbassò lo sguardo e la sorella gli posò la mano sulla spalla, gli sorrise dolcemente
- Non disperarti, alla fine tornerete insieme… - un forte bagliore e la dea era nuovamente sparita lasciando il fratello assorto nei suoi pensieri.
Ricomparve alle spalle di Olimpia che non si accorse di niente
- Olimpia – la dea la chiamò dolcemente e Olimpia sembrò risvegliarsi da un lungo sonno: trasalì e si voltò. La dea non riuscì a trattenere lo stupore
- Amica mia, hai proprio bisogno di una sistematina… - la ragazza la guardò e contrasse il viso in un pallido sorriso
- Salve Venere. Perché sei qui? Neanche tu puoi far più niente per me. – la dea odiava sentirsi dire che non serviva a nulla ma, vista la gravità del momento, lasciò perdere se stessa e si concentrò sull’amica. Le prese una mano:
- Vieni con me – ma Olimpia ritrasse il braccio.
- Dove mi vuoi portare? Lasciami. – la dea con uno schiocco di dita rese la nave più presentabile e, quando il pavimento fu asciutto, si sedette accanto alla poetessa. Le accarezzò il viso
- Sono qui per aiutarti. Dimmi quello che senti, quello che provi… non sopporto di vederti così! - Olimpia rimase impassibile per un po’ poi i lineamenti del suo volto cominciarono a contrarsi in un’altra espressione, posò la testa sulla spalla di Venere e scoppiò in lacrime. La dea esitò, visibilmente in imbarazzo; la circuì con una mano mentre con l’altra le accarezzò i capelli sussurrandole tenui parole. Dopo un lungo pianto Olimpia si scostò da lei e l’abbracciò
- Venere, ti ringrazio. Marte… ah, lasciamo stare! – poi si sciolse dall’abbraccio e rimase pensierosa; parlò quasi lo stesse facendo a se stessa
- Era quasi riuscito a raggiungere il suo intento… stavo diventando malvagia, come lui vuole, incapace di dare o provare amore – alzò gli occhi verso la dea
- per fortuna sei arrivata tu… non so cos’avrei fatto da sola… un tempo c’era Xena ma senza di lei…-
- Olimpia, sei una ragazza forte e conosci abbastanza bene Marte, puoi farcela anche senza Xena… lei ti ha presa per mano e ti ha portato dove sei adesso, indirizzandoti verso il futuro… e non vorrebbe vederti così… sai quanto tiene a te! – la dea le sorrise – Dai, vieni: voglio farti vedere una cosa. – la prese per mano e questa volta Olimpia si fidò. Si teletrasportarono sull’Olimpo e Venere condusse Olimpia nella Sala Grande. La ragazza rimase stupita dalla bellezza di quel luogo che un tempo era stato teatro dell’ultima battaglia, quella che aveva segnato la fine degli dei… le imponenti colonne, distruttesi durante lo scontro, erano nuovamente in piedi e una enorme tavolata imbandita la percorreva fino a terminare ai piedi del trono sul quale era seduto Marte. Questo la stava guardando ma dopo breve rivolse lo sguardo alla sorella
- Ti sembra il caso di condurre qui una mortale? -
- Sii buono, fratello – disse – voglio mostrarle la visione… penso che ne abbia tutto il diritto! – Il dio sembrò contrariato ma acconsentì
- Ma che non diventi un’abitudine – Olimpia si avvicinò condotta da Venere e Marte passò sprezzante la mano sulla coppa. Gli occhi della poetessa si riempirono di lacrime mentre l’immagine di Xena si materializzava sulla superficie dell’acqua. Questa stava felicemente discorrendo con suo fratello Linceo ed entrambi ridevano
- XENA! – nascose il viso tra le mani piangendo a dirotto mentre Venere la circondava con un abbraccio. “Cosa Xena ci trovasse in lei, non lo capirò mai!”
Il dio della guerra scosse la testa e rimase a guardare Xena provando invidia verso suo fratello “Con quanta confidenza scherzano, si abbracciano, ridono…” intanto anche Olimpia era tornata a guardare la sua amica “E’ felice! Devo esserlo anch’io, per lei e per me!” guardò per un attimo Marte poi si fece coraggio e cercò di parlare senza che la rabbia riprendesse il suo controllo
- Marte… - il dio alzò lo sguardo, sorpreso di sentirsi ancora rivolgere la parola da lei – Hai le ceneri di Xena, la puoi vedere quando vuoi… posso sapere qual è il tuo piano? Te lo chiedo per favore, se devo rinunciare a vedere l’amica con la quale volevo vivere il resto dei miei giorni… almeno spiegami PERCHE’, perché hai bisogno delle sue ceneri? – non riuscì a trattenere le lacrime che scesero nuovamente copiose dal suo volto. Il dio roteò gli occhi al cielo e sospirò “Come ho potuto pensare che lei prenda il posto di Xena!”
- Olimpia, non ti ho mai detto niente perché non voglio illuderti… c’è un modo per farla tornare in vita ed è collegato alle sue ceneri…- lo sguardo della poetessa s’illuminò
- Cosa?! -
- Lasciami finire prima…- Marte abbassò lo sguardo a terra poi guardò Olimpia che lo stava fissando speranzosa – Ma lei non vuole, Olimpia; non vuole tornare… ho già provato a convincerla ma… non è servito a niente: quando si mette in testa una cosa… quella è, e quella rimarrà. – Olimpia chiuse gli occhi e si morsicò il labbro.
- Posso riavere le sue ceneri? – sollevò nuovamente il viso – tanto non ci farai più nulla… e poi… dopodomani arriverò in Egitto: devo avvisare Evi e penso che voglia le ceneri di sua madre per darle un posto nella tomba di famiglia… Conosco Xena: se ti ha già detto di no è inutile riprovarci e poi, mi sembra felice… – queste parole furono molto dure da pronunciare e altrettanto lo furono per il dio che sentiva spezzarsi l’ultimo filo che ancora lo legava a Xena… si alzò di malavoglia dal trono e si incamminò verso un corridoio voltando le spalle alle altre due. Si fermò davanti ad una altissima porta rivestita d’oro. Schioccò le dita e questa si aprì senza fare alcun rumore. La stanza nella quale entrò era semibuia. Su un lato, appeso al muro, vi era un grande tendone che voleva nascondere qualcosa, ma il dio prese un’altra direzione e si avvicinò ad un piccolo tavolo, intarsiato, sul quale era posata l’urna. Vi mise attorno le mani e la sollevò delicatamente. Nel momento in cui questa si staccò dal tavolino un nodo gli chiuse lo stomaco. La ripose per un attimo e si portò una mano al cuore: non era abituato a provare dolore, aveva sempre avuto tutto quello che voleva, eccetto Xena, e non era abituato ad un rifiuto… soprattutto se di mezzo c’era l’amore; sospirò, riprese l’urna e si incamminò per tornare da Olimpia. Prima di consegnarle l’urna la ripose in un bauletto che chiuse con una chiave. Consegnò il tutto alla poetessa e scomparve. Olimpia guardò Venere mentre strinse tra le mani il cofanetto. La dea le passò una mano intorno alla vita:
- Andiamo. Torniamo alla nave, posiamo le ceneri e poi… ti porto in un posto dove ci potremo rilassare un po’-
- Non so se me la sento…-
- Olimpia, non puoi stare tutto il giorno a pensare a lei! Hai una vita tua, non permettere che il suo ricordo la colmi del tutto -
- Forse hai ragione… Andiamo! -
Posato il cofanetto, non con tristezza, Olimpia raggiunse Venere che l’aspettava a poppa e si teletrasportarono in un luogo bellissimo: immense piscine, terme e bei massaggiatori tutto a loro disposizione.
- Venere è bellissimo! -
- Sono contenta che ti piaccia. E’ una mia piccola invenzione…-.
Mentre loro si concedevano un po’ di riposo Marte si era materializzato in uno dei suoi templi e stava distruggendo ogni cosa: con potenti scariche e palle di fuoco faceva crollare le malcapitate colonne e cenerizzava le offerte fattegli dai suoi seguaci: stava cercando di sfogarsi…ma l’idea di tornare nei Paradiso era un chiodo fisso; non era stupido, aveva capito che quell’“addio” era davvero un addio ma era più forte di lui. Prese un cesto di frutta e lo scagliò a terra, con tanta violenza, da ridurlo in frantumi; quindi diede un calcio a quello che ne rimaneva. A passi svelti uscì dal tempio e rimase lì fuori con le braccia aperte a respirare l’aria fresca
- Ho deciso – disse a voce alta quindi si dileguò.
Xena si trovava ormai da parecchi giorni in quel luogo incantato e il dolore era lievemente alleviato. Salutò Marcus con il quale aveva passato la serata e s'incamminò verso la sua grotta. Si lasciò cadere sul giaciglio e incrociò le mani dietro la testa. “Olimpia, mi manchi tanto! Vorrei poter condividere queste giornate con te, discuterne a sera, scherzare…” sospirò, questo pensiero affiorava molto spesso nella sua mente, il cuore le faceva male al solo pensiero dell’amica… ma le lacrime, quella sera, non si fecero vedere… era felice e sentiva che anche l’amica si stava riprendendo. Si girò da un lato e in breve si addormentò.
Si svegliò molto presto: il sole non era ancora sorto ma il sonno era svanito del tutto. Si mise a sedere e, dopo essersi stirata, decise di andare a fare un bagno. Uscì. L’aria, nonostante l’ora, era tiepida. La luna era ancora in cielo e l’aurora stava per colorare l’orizzonte di un rosa pallido. Tolse la veste lasciandola cadere ai suoi piedi e s’immerse nella fredda acqua del lago. Rabbrividì al contatto con essa, nuotò per un poco poi si fermò: aveva sentito dei rumori provenienti dalla foresta. Uscì velocemente dall’acqua abbandonando lì la veste e si nascose dietro un cespuglio per vedere cosa stesse accadendo; ben presto si accorse che qualcuno la stava cercando “Marte!” aveva subito riconosciuto la sagoma del dio… il sottile strato di felicità che si era formato sull’accumulo di dolore si spezzò e una terribile angoscia le strinse il cuore.

CAPITOLO 4
- Cosa vuoi? Pensavo di essere stata abbastanza chiara – il dio si voltò di scatto verso il cespuglio e rimase a fissare il corpo di lei, bello, forte. Cercò di rimanere calmo respirando a fatica.
- Lo sei stata, Xena, fin troppo…ma io… non ce la faccio! -
- Io cela stavo facendo ma grazie a te…- non continuò perché si sentì ingiusta. Il dio si avvicinò e la coprì con il suo gilè di pelle rimanendo a torso nudo. Lei alzò il viso e lo fissò nei limpidi occhi; una vampata di calore la invase al contatto con il suo corpo, ma riuscì a ragionare e si scostò velocemente da lui, tenendo ben strette le mani attorno all’indumento che la ricopriva. Raccolse la sua veste ed entrò nella caverna per cambiarsi; in breve tempo fu raggiunta dal dio. Si voltò verso di lui:
- Perché sei qui? – gli sussurrò scocciata. Lui si avvicinò ma venne bloccato dalla mano della guerriera
- Perché ti amo, Xena. Non posso stare senza di te. – lei abbassò il viso e chiuse gli occhi per un momento
- Non hai davvero nessun'intenzione di arrenderti, vero? – quindi lo fissò – così ci facciamo solo del male…-
- Se farci del male significa stare assieme… io sono pronto – Xena si sentì perduta, non aveva più scuse, non sapeva più che fare: tutta la sua astuzia, la sua ragione, quando era alla presenza di Marte l‘abbandonavano; ma non voleva cedere, non voleva soffrire… il dio le prese la mano, l’unica cosa che ancora li divideva, e gliela baciò; Xena la ritrasse di scatto e chiuse il pugno, quasi per non lasciar scappare quel bacio. Raccolse tutte le forze, ripensò a tutto il male che le aveva fatto in passato quindi sussurrò
- Non costringermi a mandarti via in altro modo… vattene. Te lo chiedo per favore… vattene e non tornare più. E’ finita. Sono morta, fattene una ragione. -
Lo sorpassò e si incamminò a passi svelti verso la foresta. Il sole era quasi sorto, i primi uccelli cominciavano a cantare; in giro non c’era ancora nessuno. Camminò spedita, fino ad arrivare ad un grosso albero. Fermatasi vi si appoggiò contro, ansimando sommessamente, e bloccò una lacrima che stava per scenderle in viso. Sentì il dio avvicinarsi
- Allora non sai seguire i consigli – si voltò verso di lui – vattene! -
- Mai! – Xena lo guardò con sguardo di ghiaccio e un lato della sua bocca si contrasse in una smorfia. Con il suo urlo di battaglia saltò in aria fino a raggiungere un ramo dell’albero al quale era appoggiata. Barcollò un attimo ma poi vi rimase in equilibrio. Marte la seguì. Appena trovata la stabilità cercò di raggiungerla; lei gli sferrò un calcio. Il dio cadde ma riuscì ad aggrapparsi al tronco con le mani e in breve fu nuovamente in piedi. Xena lo guardò di traverso; con una serie di colpi lo fece indietreggiare ma Marte recuperò la sua posizione e passò all’attacco; lei si difese bene
- Tutto qui? – gli sorrise con aria di sufficienza: la battaglia la stava divertendo. Marte la guardò con ammirazione
- Vedo che non hai perso il tuo spirito da guerriera: bentornata – aumentò la potenza e la frequenza dei suoi colpi non lasciandole un attimo di respiro. Xena riuscì a difendersi per un po’ poi perse l’equilibrio e cadde; prima di raggiungere il suolo fece una capriola e atterrò sulle mani, a pancia in giù. Riuscì a girarsi nel momento in cui il dio le fu accanto. Con una mossa veloce si alzò in piedi e si ritrovò tra le sue braccia. Prima che lui riuscisse a muoversi lo aveva inchiodato al tronco spingendolo con entrambe le mani. Lui la prese per le braccia e capovolse la situazione: la spinse contro il tronco e la trattenne con forza. Entrambi ansimavano. Xena sorrise
- Bella mossa ma finiamo sempre ad essere nella stessa situazione e… a corto di argomenti – ammirò il suo volto dall’alto al basso inarcando un sopracciglio; lui le si avvicinò
- Un ’argomento ce l’avrei…- delicatamente le sfiorò le labbra con le sue senza che lei opponesse resistenza.
- E’ ora che tu te ne vada: hai esitato anche troppo – disse Xena staccando le sue labbra da quelle del dio prima che il semplice bacio si tramutasse in qualcos’altro. Marte allentò la presa e si allontanò un poco da lei
- Ma ricordarti: non finisce qui, Xena. Te lo posso giurare. Finchè sarò una divinità non ti lascerò in pace… Arrivederci – le baciò una guancia e lei socchiuse gli occhi. S’incamminò verso la foresta. Xena lo guardò ancora per un poco morsicandosi il labbro “Lo ricorderò, Marte,sta pur certo che lo ricorderò ”. Scosse la testa sorridendo e si diresse verso sua madre che stava arrivando da un altro punto della foresta “Sempre mattiniera, madre…”.

- Terra in vista! Terra in vista! -
Olimpia, dalla sua cabina, sentì uno dei marinai che urlava. Scese dal suo giaciglio in tutta fretta e si precipitò all’esterno della nave. Appena fu fuori, rimase incantata a guardare il panorama di deserto e piramidi che si stagliavano davanti a lei. L’aria era calda e il mare calmo; corse verso la balaustra, a prua, per guardare meglio. Il vento le scompigliava i capelli e la delicata veste che aveva indossato per il viaggio aderiva al suo corpo rivelandone tutte le curve. Si passò una mano davanti al viso, in modo da tirare indietro i capelli. Ricordava molto bene quei posti: vi era già stata, con Xena. Pensò all’amica ma non pianse: in quel momento doveva mantenersi forte: Evi aveva bisogno di qualcuno che la sapesse consolare… anche se non sapeva se ce l’avrebbe fatta…Sospirò e tornò in cabina per cambiarsi. Non mise la vecchia armatura, ne indossò un’altra, dello stesso taglio ma di pelle marrone, più dura, puntellata da piccole borchie: ormai era lei la guerriera, il suo abito doveva sottolinearlo. Prese i Sais e li ripose nei calzari poi guardò il Chakram e lo prese tra le mani, lo osservò per un po’ poi lo incastrò nel gancio che aveva all’altezza della vita. Quando fu fuori si rese conto che la nave era ferma al porto e una miriade di persone salivano e scendevano indaffarate.
Scese anch’essa facendosi largo tra la gente e, quando fu a terra, si sentì notevolmente meglio: il lieve senso di nausea che l’aveva accompagnata durante tutto il viaggio era svanito. Si diresse verso una locanda e chiese se c’era posto per dormire. Alla risposta affermativa dell’oste tornò sulla nave e portò giù la sua roba che ripose nella piccola stanza assegnatale. In essa vi era un vecchio specchio, vi si guardò per un attimo contemplando la nuova armatura poi i suoi occhi rimasero increduli a guardare l’immagine che vedeva riflessa dietro di lei
- Xena! – Si voltò sperando che ci fosse davvero e si buttò tra le braccia dell’amica
- Sono qui per augurarti buona fortuna: non potrò farmi vedere alla presenza di Evi… perciò… sappi che sarò con te in ogni momento. – Olimpia le sorrise felice
- Ti ringrazio! Ho paura di non farcela: non so se sarò capace di dirle la verità…-
- Sì che ce la farai. Ne sono sicura. – le baciò la fronte e scomparve.
- Xena… Ti voglio bene! – disse senza sapere se l’amica la stava ancora ascoltando quando una voce dal nulla le rispose
- Anch’io Olimpia ti voglio bene e… a proposito: bell'armatura! – la ragazza sorrise mentre due lacrime le scivolavano dagli occhi. Guardò nuovamente la sua immagine nello specchio e si asciugò il viso, quindi decise di scendere per mangiare qualcosa.
Si sedette al bancone e ordinò una semplice zuppa; chiese all’oste se sapeva qualcosa di Eve, una predicatrice d’amore. L’uomo rimase pensieroso per un po’ poi alzò un dito prendendo fiato
- Ho capito di chi parli: la bella brunetta dagli occhi verdi! Se vuoi trovarla devi percorrere il corso del Nilo per un bel pezzo, ad un certo punto bisogna svoltare a destra… – scosse il capo – …è una strada lunga, non puoi farcela da sola -
- Non si preoccupi: ho affrontato pericoli peggiori -
- Non parlo di pericoli: è facile perdersi, la strada è lunga… aspetta! – velocemente si diresse verso un’altra stanza del locale. Olimpia rimase perplessa dal suo comportamento e sorrise mentre portava alla bocca un cucchiaio di minestra. Dopo breve l’oste si ripresentò muovendosi goffamente
- Ho chiesto ad un giovane, è un ragazzo che mi serve da due o tre lune… ha detto che ti accompagnerebbe volentieri: lui deve andarci proprio domani. -
- Domani? Perfetto! Ringrazialo da parte mia. – posò il cucchiaio nella ciotola vuota e fece per allontanarsi
- Aspetta ragazza! – Olimpia si voltò verso l’oste che con un dito le indicava la stanza nella quale era entrato poco prima – ha detto che vuole vederti, sai, per definire l’ora del viaggio, il posto…-
- Dove lo posso trovare? – tagliò corto Olimpia
- Di là, nelle cucine. E’ solo perciò… lo riconoscerai! – Olimpia gli sorrise
- Ti ringrazio – perciò si voltò ed entrò nella stanza. Il ragazzo la sentì arrivare, stava lavando i piatti e le pentole usate durante la serata. Non si voltò
- E così vuoi andare dalla Predicatrice? Come …- ma fu interrotto da Olimpia
- Virgilio! Sei tu? – il ragazzo smise di lavare le stoviglie
- Olimpia?! – si asciugò le mani e le si avvicinò. L’abbracciò e Olimpia si mise a piangere
- Cosa c’è?… Dov’è Xena? -
- E’ morta, Virgilio, è morta! -
- Cosa?! – strinse a sé ancor più il suo corpo che continuava a piangere e le mise il mento sulla testa - Hey, vieni. Andiamo nella tua stanza – la prese per mano e salirono al piano di sopra dove Olimpia lo condusse alla sua camera. Si sedettero sul giaciglio, lei continuava a piangere e Virgilio cercò di consolarla; passato un po’ di tempo la ragazza si asciugò le ultime lacrime
- Scusami. – Virgilio le passò una mano tra i capelli
- Non c’è niente di cui scusarsi! Vuoi parlarne un po’? –
- No. Dovrò già farlo domani e… vorrei che tu fossi con me -
- Devi parlarne con Evi? – Olimpia annuì poi cambiò discorso
- Come mai sei qui?-
- Xena, prima che voi partiste, mi aveva chiesto di badare ad Evi, mentre lei era lontana e io acconsentii, in fondo avevamo molte cose da scusarci e io da un po’ seguivo i suoi insegnamenti… così siamo venuti qua, in Egitto e lei ha trovato un tempio nel quale si riunisce con i suoi seguaci. Io vado lì una volta a settimana… sei capitata al momento giusto! -
- Strano: una serie di coincidenze… incontro te in Egitto e stai per partire, per andare da Evi alla quale io devo parlare…-
- Hey, hey, hey... COINCIDENZE?! Dopo tutto il lavoro che ho fatto tu… tu parli di coincidenze? – la dea dell’amore incrociò le braccia, offesa poi cambiò espressione – Ma quanto fa caldo qui! – schioccò un dito e comparve una piccola vasca da bagno nella quale non tardò ad infilarsi. I due giovani rimasero per un po’ sconcertati dalla comparsa della dea
- Venere? Che cosa centri in tutto questo?! -
- Come cosa centro: pensavi forse che il mare fosse rimasto calmo per tutti questi giorni da solo?! Che Virgilio non fosse partito questa mattina, come suo solito, perché il cammello era scappato? – Olimpia scosse la testa sospirando e voltandosi verso il ragazzo che era ancora incantato davanti alla bellezza della dea
- Virgilio! – il ragazzo distolse a malincuore gli occhi da quella divina visuale e cominciò a parlare quasi senza badare alle parole che usava
- Questa mattina… il cammello non c’era… io… io sarei dovuto partire ma non ho potuto…- Olimpia aggrottò la fronte ancora incredula voltandosi nuovamente verso la dea.
- Ti ringrazio… c’è altro che devo sapere? -
- Non mi pare ma… se dovesse venirmi in mente qualcosa, te lo farò sapere!… Ma come fate a sopportare queste temperature? Io vi saluto – e la dea scomparve con vasca e fiori.
- Quella era Venere? La dea dell’amore? –
- Si, era proprio lei. E’ una vecchia amica… - Olimpia sbadigliò e Virgilio se ne accorse
- Vuoi che ti lasci? -
- No, se puoi resta -. Rimasero in silenzio, seduti sul letto. Olimpia gli aveva appoggiato la testa sul petto e in breve si era addormentata. Virgilio la coricò delicatamente sul giaciglio poi, posata una coperta accanto a lui, vi si sdraiò sopra.
Un rumore improvviso li fece sobbalzare. Olimpia afferrò i Sai e si mise in ascolto dietro la porta: un urlo terrificante poi, più nulla. Uscì dalla stanza e si diresse da dove lo aveva sentito provenire. Una stanza, infondo al corridoio, era socchiusa e ne filtrava all’esterno una debole luce. I due si avvicinarono di soppiatto. Arrivati davanti ad essa Olimpia strinse la maniglia con una mano. Il silenzio era totale, solo il loro leggero respiro lo rompeva regolarmente. La porta, spinta delicatamente, cominciò ad aprirsi cigolando. Quando si fu spalancata Olimpia rimase incredula a guardare quello che c’era nella stanza.

- Seconda parte -

 





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