EPISODIO N. 7
di Xandrella


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di Xandrella

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Capitolo 7 – Vorrei che fosse amore

 

Il giorno seguente le due donne fecero ritorno a casa della valchiria. Olimpia dopo il discorso che c’era stato davanti allo spettacolo dell’aurora boreale, era diventata improvvisamente taciturna e Brunilde ne intuiva il perché. Cercava di distrarla con le sue immancabili attenzioni ma il risultato era stato pressoché deludente. Spesso la sorprendeva immersa nei suoi pensieri, con gli occhi lucidi e l’aria triste e se ne sentiva la causa. Inoltre i tentativi della poetessa di avvicinarsi a lei, erano scomparsi, lasciando il posto a un freddo atteggiamento di cortesia. Brunilde non osava chiederle spiegazioni, né tanto meno poteva dirle che quel calo di confidenza le pesava enormemente.

Per evitare che la situazione potesse protrarsi, organizzò per quella sera, una cena con le valchirie a lei più care. La presenza di sconosciuti per qualche ora le avrebbe distolte dall’accaduto e con un po’ di fortuna, alla fine della serata Olimpia avrebbe ripreso a sorridere anche con lei.

Prima che il bardo si svegliasse, all’alba del quinto giorno che Odino le aveva concesso, scrisse un invito personale ad ognuna delle sue amiche più care e li fece recapitare tramite un messaggero, pregandole di non mancare all’evento, nato per dare il benvenuto alla poetessa nelle terre del nord. 

Raggiunse la cucina dove sua zia accolse la notizia della cena con occhi scintillanti, promettendo che avrebbe messo al lavoro le cuoche e i servitori sin dalla mattina – Sono anni che in questa casa non si danno feste, era ora che ti decidessi a fare un invito! Le tue ospiti ricorderanno questa cena per anni, hai la mia parola! – e quindi prese ad elencare decine di portate con minuzia di particolari che Brunilde ascoltò distrattamente, sorseggiando latte caldo. Dopotutto la schietta Fulla non aveva tutti i torti: dopo la morte dei genitori di Brunilde non c’erano più state feste in quella grande casa. E la valchiria avrebbe sicuramente ricordato quella cena, per la presenza di Olimpia. Chissà se la compagnia delle altre valchirie le sarebbe risultata gradita…

 

Quando Brunilde spalancò le imposte, una timida luce penetrò nella stanza e la poetessa prese a stropicciarsi gli occhi. – Buongiorno cara, oggi ho una novità per te. Ma prima devi aprire questo. Coraggio svegliati! – In piedi davanti al letto, la valchiria le tendeva qualcosa di morbido avvolto in una stoffa color glicine e legata da un nastro di seta verde. Aveva sempre una gran cura dei dettagli oltre a saper stupire. Si sollevò svogliatamente dal letto fino a riuscire a sedersi. I capelli corti avevano assunto direzioni scomposte sulla sua testa e Brunilde sorrise, cercando con una mano di sistemarle almeno la frangia. Ma la donna finse di non accorgersene neppure, dedicandosi completamente a scartare il regalo. Era un vestito lungo, di pesante velluto blu, che lasciava scoperte le spalle. – E’ molto bello grazie. Non dovevi disturbarti, mi hai già fatto scorta di vestiti per dieci anni. –

- Oh, ma questo è speciale. Puoi metterlo solo in occasioni importanti. Per esempio questa sera, dato che ti presenterò le mie amiche valchirie. Ti ho parlato di Grinilde molte volte e questa sera a cena potrai fare la sua conoscenza. Che ne dici? – Il volto della poetessa non s’illuminò come Brunilde si aspettava. Rimase quasi impassibile alla notizia limitandosi a rispondere un poco convinto “Mi fa piacere, grazie”. E prima che il suo atteggiamento potesse costringerla a riaprire il discorso sul loro rapporto, Brunilde si eclissò in camera sua, finchè Olimpia non ebbe finito di far colazione.

Insieme convennero che non era il caso di uscire nuovamente, rimandarono la loro gita alle cascate all’indomani e si dedicarono ai preparativi della cena e alla lettura delle pergamene di Olimpia fino al tardo pomeriggio, davanti al tepore del caminetto.

Quando venne l’ora di cambiarsi, si ritirarono nelle rispettive camere.

Olimpia rimase a lungo seduta davanti alla piccola specchiera a spazzolarsi i capelli. Mentre si preparava, voleva sentirsi bella e desiderata per quella sera. Solo per Brunilde. Cosa avrebbe pensato nel posare lo sguardo su di lei? Immaginò i suoi occhi pensierosi che indugiavano sul suo corpo senza accorgersi di essere scoperti. Voleva sentirli su di sé, perché sapeva quale effetto producevano. Se vuole respingermi, allora che soffra! Pensò d’un tratto, mentre si spogliava guardandosi allo specchio. Ma era lei la prima a star male. Soffrivano insieme di quella situazione paradossale, in cui volevano entrambe amarsi e sentirsi riamate, senza riuscirci. Era arrabbiata per quel rifiuto così inutile e ingiusto. Dopotutto, aveva lasciato in Grecia una donna che per lei avrebbe dato l’anima pur di averla accanto e adesso Brunilde si divertiva a portarla in giro per le terre del nord come un’amica che si ha la fortuna di incontrare raramente. Che fine avevano fatto le sue promesse d’amore? La passione crescente, repressa a fatica i giorni precedenti? Iniziava ad avere dei dubbi sull’amore che Brunilde diceva di provare per lei. Come poteva rinunciare alla felicità, ora che l’aveva a portata di mano? Il vestito le scivolò morbidamente addosso fino ai piedi. Non si era mai sentita così bella.

 

Bussò alla porta di Brunilde ed entrò senza attendere il permesso. L’intenzione di carpire nello sguardo della valchiria ammirazione e desiderio mentre entrava nella camera fingendo noncuranza, si disperse sul suo stesso volto, quando vide l’eleganza della donna davanti a lei. Il vestito color panna che indossava, era molto simile al suo e aveva raccolto quasi tutti i capelli sulla nuca, lasciando libera solo qualche ciocca dei biondi capelli. Avevano entrambe davanti, la miglior visione dei loro sogni.

-         Stai benissimo… - disse impacciata la poetessa, non trovando parole migliori.

-         Anche tu. – Brunilde aveva molto più autocontrollo di lei. Si avvicinò per sistemarle il bordo del vestito della spalla destra, apparentemente senza battere ciglio – Adesso è perfetto. – disse guardandola negli occhi, prima che tra le due piombasse un silenzio carico di disagio.

-         Staranno per arrivare. Forse è il caso di avviarci. –

-         Aspetta. Volevo parlarti. – Il bardo chiuse la porta, come avrebbe reagito Brunilde a quello che stava per dirle? …

-         Ti ascolto. –

-         In questi giorni ho riflettuto molto e credo che non sia giusto che continui ad approfittare della tua ospitalità per molto tempo. In fondo quando sono arrivata qui credevo che le cose tra noi sarebbero andate diversamente e… non credo sia giusto continuare a vivere sotto lo stesso tetto. –

-         Mi stai dicendo che vuoi andartene? – Brunilde era sorpresa e piuttosto contrariata dalla sua decisione. Si sedette sul letto e aspettò la spiegazione di Olimpia con occhi bassi.

-         Credo sia meglio per tutte e due. Mi aspettavo qualcosa di diverso da te, ma mi sbagliavo. – Quella frase suonò così dura alla stessa Olimpia che si pentì subito dopo di averla pronunciata.

-         Vuoi punirmi? –Ascoltare la verità e affrontare le conseguenze del suo rifiuto come una sentenza. Brunilde attese in silenzio.

-         No… - Quanto era poco convincente in quel momento. Sentiva che la valchiria conosceva esattamente la sua rabbia e non voleva rassicurarla. Non era quello il modo giusto per dimostrarle che soffriva per lei, a rimanerle accanto senza poterla avere. Ma non aggiunse altro. Non riusciva a restarle accanto in quel modo.

-         Non posso obbligarti a rimanere. Ma in questo modo mi stai dando conferma che la mia scelta è giusta. Il tuo è solo un capriccio Olimpia. – Lo aveva detto. Non le credeva, non lo aveva mai fatto in quei giorni. La considerava solo una splendida illusione. E dirglielo in quel modo poteva costarle caro.

-         Non puoi giudicare il modo in cui ti amo! – sbottò Olimpia con occhi lucidi.

-         Non puoi farlo nemmeno tu con me! – stavano gridando. Brunilde era scattata in piedi e si guardavano con profonda delusione. -  Io ti voglio accanto solo se mi ami davvero e adesso non sei in grado di domandare a te stessa se quello che provi è reale o un’illusione. Volevo aspettare che tu recuperassi la memoria. Ma adesso non ne ho più bisogno. Se non ti dispiace vado ad accogliere i miei ospiti. – furiosa, cercò di allontanarsi ma la poetessa si frappose tra lei e la porta.

-         Non puoi andartene in questo modo. –

-         Non abbiamo altro da dirci. Metterò il mio cavallo a tua disposizione per farti tornare dalla tua Xena. –

-         Non è la mia Xena, e non voglio tornare in Grecia. Saprò cavarmela da sola. Grazie, ma farò a meno del tuo aiuto. – In quel momento Fulla bussò alla porta avvertendo dell’arrivo delle valchirie con tono dimesso. Le grida erano giunte fino ai suoi orecchi.

-         Posso uscire adesso se non ti dispiace? – Olimpia diede un passo, liberandole il passaggio. Prima di uscire dalla stanza Brunilde si voltò per parlare ancora – Non posso credere che stia finendo tutto ancor prima di cominciare. Me ne sento responsabile. Forse Grinilde aveva ragione… - Più che al bardo, Brunilde parlava a se stessa, ripensando agli avvertimenti dell’amica. Poteva essere felice e si stava negando questa possibilità. Possibilità, che poteva non ripresentarsi mai più.

-         A proposito di cosa? – domandò, rinunciando a commentare il suo senso di sconfitta.

-         Niente, non è importante. – mentì, riaprendo la porta - Se ti va ancora, la cena comincerà a minuti. – Uscì dalla stanza e si rifugiò per qualche momento nella penombra del corridoio appoggiandosi al muro. Stava accadendo di nuovo: Olimpia sarebbe ripartita lasciandola da sola. Avrebbe di nuovo perso la sua ragione di vita. Ma stavolta non aveva alcuna voglia di arrendersi. Sentiva il bisogno di provare a farle cambiare idea, insistere e magari dimostrarle che poteva essere accanto a lei il suo posto. In quel momento capì che non aveva bisogno di essere una valchiria. Solo Olimpia poteva renderla veramente felice. Odino e il Valalla non contavano nulla se non poteva averla accanto. Non avrebbe avuto rimorsi per quella rinuncia e in quel momento ne fu sicura. Ma doveva rimediare al suo enorme errore finchè ne aveva il tempo. Olimpia l’amava... Se provava a pensarci, il cuore le batteva più forte all’improvviso. Ed era stanca di pensare che fosse solo un’illusione.

 

Capitolo 8 – Divampa l’incendio

 

-         E’ molto bella stasera. Continui a fissarla da quando è iniziata la cena. Hai proprio perso la testa. –

-         Ssh! Abbassa la voce Grinilde per favore, potrebbe sentirti. –  Le due amiche avevano colto l’occasione per parlare in privato a cena finita, allontanandosi dal resto della compagnia con la scusa di verificare la fattura di una nuova spada che Brunilde aveva acquistato durante il suo viaggio in Grecia.

-         Che problema hai? Tanto lo sa che la ami, no? –

-         Si ma abbiamo litigato prima del vostro arrivo. – Uno sguardo di rimprovero colpì Brunilde.

-         Ancora insisti con i buoni propositi? Non farle perdere la pazienza, potresti rovinare tutto. Dammi retta per una volta. – Il silenzio dell’amica confermò la sua teoria. – Forse ti sei talmente abituata a guardarla da lontano che adesso hai paura di essere felice. Non ti biasimo. Ma è ora che ti decida a far cambiare le cose. – Una risata della poetessa attirò la loro attenzione verso il tavolo dove le valchirie raccontavano con minuzia di dettagli una clamorosa caduta da cavallo di Brunilde.

-         Stanotte ho sognato che Xena veniva a riprenderla per riportarla in Grecia. – Aveva una tremenda paura di perderla e Grinilde non poteva rassicurarla in alcun modo.

-         Potrebbe anche succedere. – disse con involontaria cattiveria -  L’importante è che trovi Olimpia decisa a rimanere con te. Sono amica di Xena e mi dispiace per quello che le è successo, ma preferisco vederti felice. –

-         Sarebbe terribile. E’ già stato fin troppo straziante dover… - cercò il termine giusto per definire la loro dipartita osservando accuratamente il contenuto del calice che aveva in mano. Come se potesse leggerci la risposta - …“Scappare” in quel modo. Preferisco non pensarci. – Svuotò il bicchiere e si appoggiò allo stipite della porta. Olimpia la stava guardando. – Poco fa mi ha detto che vuole andarsene. Credo si sia arresa al fatto che non voglio stare con lei. –

-         Non puoi permetterlo. Spero che almeno questo ti faccia rinsavire. – Olimpia si era alzata dal tavolo e si stava avvicinando.

-         Sono pentita, questo si. Spero di avere ancora la possibilità di farle cambiare idea. –

-         Il dolce è in tavola, vi stiamo aspettando. – Olimpia afferrò il bicchiere vuoto dalla mano di Brunilde e tornò al tavolo per riempirle nuovamente la coppa di vino. A sorpresa, l’avvicinò alle labbra e ne bevve un sorso.

-         Ti provoca. Come puoi vedere, hai ancora modo di rimediare – commentò Grinilde maliziosa.

-         Ha solo bevuto un po’ troppo. E’ meglio che la smetta o si sentirà male. –

 

 

Il tempo trascorse piacevolmente così come Brunilde aveva sperato. Quando i servitori ebbero terminato il loro andirivieni con piatti e stoviglie da riportare in cucina e l’attenzione cominciò a calare per l’ora tarda e la cena abbondante appena consumata, le amiche iniziarono a dirigersi verso l’uscita tra complimenti e saluti. Spero di rivederti presto con buone notizie Brunilde. – disse Flossinde - Mi dispiacerebbe venire a sapere che rinunci al tuo incarico di valchiria per vivere una vita normale. Credo che sentiremmo tutte la tua mancanza. Anche Ortlinde, che in genere è così scontrosa con te. – le altre valchirie annuirono dispiaciute. Nessuna di loro voleva che la compagna le abbandonasse.

-         Perché dovresti lasciare il tuo posto? – chiese Olimpia, ignara della scelta a cui l’aveva posta Odino. La donna non le aveva detto nulla volutamente, per non influenzare la sua scelta di restare con lei. Ma Flossinde aveva parlato troppo e nessuno ebbe il coraggio di rispondere alla domanda.

-         Dopo ti spiegherò con calma. – La poetessa sembrava preoccupata: tornare ad una vita normale, non era certo una decisione che una valchiria poteva prendere con gioia. 

-         Perdonami Brunilde, spero di non aver combinato un guaio. – aggiunse rammaricata Flossinde prima di uscire di casa.

-         Non preoccuparti, prima o poi avrei dovuto parlarle. – Sperava di farlo il più tardi possibile o almeno, non quella sera. Quando la porta si richiuse e furono rimaste da sole, Olimpia continuò a seguire ogni suo passo con lo sguardo, in attesa di ascoltare una spiegazione.

-         Non guardarmi in quel modo, non è niente di grave. – Brunilde si lasciò seguire fino in camera sua, dove iniziò a liberare i lunghi capelli ondulati dalle forcine davanti allo specchio. Doveva liquidare quel discorso velocemente prima che la poetessa potesse avvertire il peso dei suoi veri sentimenti nella scelta che stava per affrontare.

-         Hai avuto problemi con Odino vero? –

-         No, non ci sono veri problemi. E’ solo che, … negli ultimi tempi ho preso molte pause e non posso continuare così. –

-         Ma la tua amica ha detto che è stato Odino a chiederti di scegliere cosa vuoi fare. – Era poco dietro di lei e vedeva l’apprensione nei suoi occhi riflessi allo specchio.

-         Si e sono d’accordo con lui. Ho bisogno di mettere ordine nella mia vita e capire cosa è veramente importante per me. – Cos’era davvero importante per lei? Olimpia intuì la risposta…

-         Credo di essere stata troppo precipitosa prima. Forse dovrei restare ancora un po’… - Resa e poi di nuovo speranza.  Il messaggio era eloquente abbastanza da lasciare Brunilde senza parole col cuore in gola. – Sempre che tu mi voglia ancora qui, dopo quello che ti ho detto. –

-         Ma certo che ti voglio qui. – Si affrettò a risponderle, voltandosi. – Non ho mai voluto che te ne andassi. Io… - chiuse gli occhi e sospirò, come in cerca del coraggio per parlare - non riesco a dominare il desiderio di averti accanto. – Doveva dirle la verità, non era più disposta a perdere la possibilità di essere felice. – Probabilmente è tutto sbagliato ma, ho intenzione di recuperare il tempo perso con te. – Qual era stato il vero errore? Amare in silenzio la donna di un’altra? O non aver avuto in quei giorni il coraggio di lottare per ciò che si ama? Iniziava a non avere più molta importanza… Brunilde non riuscì ad aggiungere altro, il silenzio si prolungò fino a diventare imbarazzante.

-         Dimmi di cosa hai bisogno per farlo e te lo concederò – Fu come esprimere un desiderio. Vide il sorriso di Olimpia nascere da un suo sguardo d’intesa e poi sognò ad occhi aperti di giornate trascorse insieme in quell’accogliente casa, cavalcate, nuotate, esperimenti in cucina, il tepore del camino e del suo corpo accanto al suo, il pianto e le risa, la gioia e il dolore che avrebbero condiviso in una vita intera… tutto le passò davanti agli occhi velocemente e per la prima volta desiderò invecchiare, purchè le fosse rimasta accanto.

-         Resta. – disse con un dolce impeto. – Non mi serve altro che il tuo cuore. Ma se non mi ami, esci adesso da quella porta e non tornare. – Gli occhi le divennero lucidi e Olimpia le accarezzò amorevolmente la guancia d’ebano - Voglio vederti felice. E te lo ripeterò all’infinito se sarà necessario. –

-         Sarai tu a rendermi felice. – Olimpia si sollevò in punta di piedi e le diede un solo bacio: l’attimo racchiuso nel cuore che vale l’eternità perché contiene le emozioni di una vita. Quella che stava per iniziare.