EPISODIO N. 5
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NdA: In questo episodio ambientato nell’antica Roma ho ritenuto opportuno indicare gli orari come usavano fare i romani per cui riporto brevemente la suddivisione delle ore del giorno:
Il giorno iniziava col diluculum (6.00 del mattino) e si suddivideva in 12 ore di luce che venivano indicate con hora prima, hora seconda, e così via fino all’hora duodecima, dopo la quale cominciava a calare il sole. Le ore notturne prima di mezzanotte erano vespera, prima fax, concubia, intempesta; quelle dopo la mezzanotte erano: inclinatio, gallicinum, conticinum
Dopodiché sorgeva un altro giorno con un nuovo diluculum.

PROLOGO

La luce fioca di un grande candelabro d’argento appoggiato al centro di un grosso tavolo di legno rotondo, avvolgeva una camera, la cui finestra era aperta sull’oscurità di un’ umida e fresca notte di inizio autunno. Il pallido albore all’interno della stanza comoda e raffinata, le cui pareti erano interamente affrescate ed il pavimento completamente mosaicato, era appena sufficiente a far scorgere su un enorme letto a baldacchino cremisi, ornato di borchie dorate, due figure che si tenevano strette fra loro.
Uno dei due era un uomo di mezza età, molto alto e possente, dalla carnagione olivastra, con folti capelli ricci e brizzolati che incorniciavano assieme alla barba curata, i suoi profondi occhi verdi. Data la sua classe, la fierezza, la lunga sequenza di cicatrici sul suo corpo non più giovane, eppure ancora molto affascinante, si intuiva facilmente che quello doveva essere un nobile condottiero.
L’altro era un giovinetto la cui età si aggirava intorno ai quattro lustri.
Era alto nella media, ma aveva un fisico molto asciutto e tonico, i capelli castani crespi, ed il contorno degli occhi che delineava i tratti tipici di chi proveniva dalla terra dei faraoni.
Adriano ed Antinoo, questi erano i loro nomi, si erano conosciuti circa sei anni prima, nella piccola città egiziana di Bitinia, durante un viaggio in cui l’imperatore dovette supervisionare ai lavori di costruzione della città di Adrianopoli. Dal giorno del loro incontro, nessuno dei due aveva più vissuto senza l’altro instaurando così un legame sincero e profondo che li univa indissolubilmente, a dispetto delle calunnie che circolavano a corte entro le quali si ridicolizzavano i sentimenti che l’imperatore nutriva per il giovinetto.
D’altronde che l’imperatore Adriano fosse un uomo colto e raffinato, amante delle belle arti e della cultura, profondamente filoellenico, era risaputo, meno risaputo era però il suo perpetuo struggimento interiore, il tormento scaturito da situazioni a lui poco avvezze che lo avevano portato ad andare spesso contro se stesso; il suo matrimonio con Vibia Sabina non dette i frutti sperati, così, paradossalmente si trovò più in stretti rapporti con Plotina, moglie del suo predecessore Traiano, che non con la stessa imperatrice; era inoltre alla perpetua ricerca di un mutamento politico entro le province del suo impero, mutamento che tardò ad arrivare, anche a causa dell’opposizione di alcuni membri del senato, perciò, nonostante egli avesse praticato a lungo una politica di pace con tutte le popolazioni barbare ai confini del suo impero, spesso per cause di forza maggiore dovette combatterle. Il suo malessere interiore lo spingeva spesso ad isolarsi, così con i proventi della battaglia contro i Daci, si poté scegliere un luogo tranquillo dove erigere la sua monumentale villa e poter passare lì tutto il tempo che aveva a sua disposizione. Il caos di Roma, le strade sempre affollate, sudice e cariche di ogni olezzo possibile, i disordini dei mercati e delle osterie della capitale dell’impero lo infastidivano; inoltre la nuova religione cristiana lo impensieriva perché considerava i seguaci di Cristo dei fanatici che facevano presa sulle masse popolari; egli era un uomo tranquillo e nella tranquillità voleva vivere. Scelse perciò una collina a nord di Roma, presso la città di Tibur e qui vi fece costruire Villa Adriana. In quel luogo si circondò di tutte le persone a lui più care, compreso Antinoo, e fu proprio lì che quella notte stessa i due amanti consumarono ancora una volta la loro passione.
- A che cosa pensi? - gli chiese docilmente Antinoo, che prese a carezzare il petto villoso dell’imperatore. - A nulla Antinoo, nulla! - rispose premuroso l’uomo sospirando, rivolgendo per qualche istante lo sguardo verso la finestra, per respirare a pieni polmoni una boccata d’aria ricca di fragranza di terra bagnata.
- Hai un’aria corrucciata, possibile che neanche io sia riuscito a farti passare questa espressione afflitta che hai ormai da qualche giorno? - incalzò il giovane interrompendo il contatto che aveva creato. - Sbagli Antinoo, quando sto con te mi sento l’uomo migliore dell’universo, ed è una cosa molto importante per me questa, perché spesso sono costretto a fare cose contro la mia volontà, ma con te non ho mai avuto bisogno di fingere o forzarmi neppure una volta! - gli sussurrò l’imperatore voltandosi verso di lui e carezzandogli lievemente il viso col palmo semiaperto della mano. Poi continuò: - E’ grazie a te che nonostante i miei numerosi problemi riesco a guardare al futuro con serenità, tu sei per me la garanzia che almeno un po’ di me stesso sono riuscito a conservare quando mi pongo con gli altri. Sei tutto quello che di più caro ho al mondo, credimi! - Antinoo gli sorrise poi rispose: - E tu sei stato la mia salvezza! Se non mi avessi preso con te sei anni fa, dubito che a quest’ora potrei… - ma fu interrotto dal suo sovrano che gli mise un dito sulle labbra e lo invitò a non proferire più parola, poi gli sfiorò le labbra con un velocissimo bacio. L’effusione fu però drasticamente interrotta da un’improvvisa ed insistente bussata alla porta della camera imperiale.
I due fulmineamente tirarono sui loro corpi nudi una coperta di raso rosso, quindi Adriano, allertato da un eventuale pericolo, afferrò rapidamente uno stiletto nascosto sotto al letto, che poi celò con cura tra il lenzuolo e il suo braccio, mentre esortò Antinoo ad avvicinarsi a lui cingendolo col braccio che ancora gli restava libero. Invitarono in seguito l’ospite molesto a farsi avanti: - Avanti… - fu la risposta quasi timorosa dell’imperatore ai colpi di nocche sempre più invadenti sull’uscio; egli accarezzava nervosamente il pugnale che possedeva, pronto all’evenienza che avrebbe dovuto utilizzarlo.
La pesante porta in noce si aprì lentamente lasciando intravedere oltre essa, un uomo bassino e smilzo con una tunica verde scuro indosso. L’imperatore data la semioscurità, aguzzò qualche istante la vista per carpire chi fosse l’uomo, ma appena scorse dei tratti a lui familiari, sembrò rilassarsi e con un sorriso disteso, rassicurante guardò il suo favorito, per poi dire: - Cosa c’è di tanto importante da disturbarmi a notte fonda Cabria? - parlò seccato Adriano, intuendo che colui che si era affrettato a raggiungerlo altri non era che un suo fedele consigliere.
L’uomo varcò la soglia incurante dei due, che a petto nudo, lo fissavano avvolti nelle lenzuola; chiuse dunque la porta dietro di se e bisbigliò sottovoce: - Adriano, Adriano! Ho un terribile sospetto! - - Scusa Cabria, non afferro bene il tuo discorso; sarà che è tardi, o che ho appena finito di ehm… - obiettò Adriano schiarendosi rumorosamente la voce spezzando il corso della frase volutamente, una volta notato il volto pallido di Antinoo diventare improvvisamente di un rosso acceso a causa dell’imbarazzo. - Ma si Adriano il mio sospetto…. - continuò imperterrito l’amico fedele. - Ma a cosa ti riferisci? - lo interrogò Antinoo cominciando finalmente a prestare maggiore attenzione al discorso. - Credo che ci sia qualcuno che trama alle spalle dell’imperatore! - parlò secco Cabria fissando compiaciuto il petto liscio e scultoreo del giovane . Antinoo lo fissò con serietà, poi guardò l’imperatore che ammiccò burlandosi delle paranoie di Cabria, poi scoppiando in una sonora risata disse: - Ma non farmi ridere, la gente adora il suo imperatore, come può passarti anche solo lontanamente per la testa l’idea che qualcuno stia complottando alle sue spalle? - - Non sarebbe la prima volta caro il mio inesperto giovanotto! - lo ammonì serio l’anziano amico del re. - Si, è vero; ma ti ricordo che i miei nemici sono per la maggior parte morti, e quelli che ancora sono in vita li ho spediti in esilio molto, molto tempo fa! Non credo avrebbero il coraggio di ritornare ora che sono l’uomo più potente ed influente del mondo! - rispose compiaciuto di se Adriano. - Ma se stavolta i congiuranti fossero all’interno della tua corte? - questionò ancora Cabria. - Oh, andiamo Cabria, perché non abbandoni le tue mire da investigatore e torni a fare il filosofo? Ti preferisco quando mi parli di Socrate, Platone, epicureismo e gnosticismo, piuttosto che di complotti! - sorrise bonario Adriano stringendo nuovamente il giovane a se, per poi continuare: - Lasciatelo dire vecchio mio, la strategia non fa per te, perciò, torna nella tua stanza e dormici sopra, ne riparleremo con calma domattina! - lo liquidò Adriano. - E va bene! Ma quando ti accorgerai che avevo ragione sarà ormai troppo tardi! - sbottò il consigliere, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta dietro di se, continuando a bofonchiare: - E quel giorno ti pentirai di non avermi dato ascolto! - Si allontanò quindi a passi lenti e pesanti.
- Oh, tremo di paura! - lo sberleffò Adriano.
- Ma che ha? - chiese Antinoo quando finalmente furono soli. - Fanciullo mio, non lo so, ma non mi stupisce: Cabria è sempre stato un tipo un tipo strano. D’altronde è un filosofo… è noto a tutti che i filosofi perdendosi nelle loro congetture a volte finiscono col perdere anche un po’ il senno! - disse giocoso Adriano, prima di fare un grosso sbadiglio.
- Adriano, mio imperatore, credo sia ora di dormire! - gli disse dolcemente e con fare protettivo il ragazzo. - Solo se tu mi stringi. Domani sarà una giornata lunga e faticosa! - parlò Adriano con fare capriccioso. - Si, ma ci sarò io al tuo fianco! - - E’ l’unica certezza della mia vita! Buonanotte! - rispose sorridendogli il sovrano. - Buonanotte. - rispose Antinoo accoccolandosi tra le braccia del suo imperatore.

CAPITOLO 1

Dopo aver percorso moltissima strada, finalmente Xena ed Olimpia giunsero a metà del loro tragitto; esse infatti furono chiamate in Bretagna, per sedare una rivolta di contadini tra due villaggi rivali.
Era da poco passata l’alba, l’aria era molto pungente, anche se il cielo era sgombro di nuvole; d’altronde si stava approssimando la stagione autunnale e ben presto anche gli alberi avrebbero perso le loro foglie, preannunciando così l’ingresso del gelido inverno. Mentre le due donne cavalcavano l’una accanto all’altra, a Xena si chiusero per un istante gli occhi dalla stanchezza. In quel momento dunque, avvertì il bisogno di riposare dopo la lunga notte di viaggio appena trascorsa, quindi decelerando il passo del proprio cavallo, si rivolse premurosa come sempre ad Olimpia: - Ehi, come va? Sei stanca? - non appena pronunciata questa frase si voltò per guardare la sua interlocutrice negli occhi, ma vide l’amica appisolata dondolante sulla sua cavalcatura, avvolta in una pesante coltre di lana, quindi aggiunse ironica con voce più sommessa: - Vedo che hai risolto da sola il problema del riposo! - Sorrise tra se e se, per poi realizzare che in effetti era il caso di fermarsi per rifocillarsi, dato anche che da un paio di giorni Olimpia era febbricitante a causa di una brusca caduta nel lago gelido. - Si, è proprio il caso di fermarsi per un po’… non posso permettermi di farti ammalare ancora di più; se non fosse stato per il tiro mancino che ti ho giocato non saresti caduta nel lago! - sorrise bonaria la principessa guerriera, ripensando allo scherzo che condusse la sua amica a ruzzolare pesantemente nel lago. Scovò quindi a pochi passi di distanza da loro, una taverna presso la quale potersi ristorare, e svegliata Olimpia, la aiutò a smontare da cavallo, per poi sistemare nella stalla attigua alla bettola la loro cavalcatura. - Scusami, devo essermi addormentata… - fu la prima cosa che disse Olimpia appena in grado di connettere. - Eri stanca e febbricitante, non preoccuparti, anzi scusami tu se ho preferito proseguire durante la notte piuttosto che fermarci, ma ora rimedio subito! - le rispose premurosa Xena. - Sei sicura che possiamo permetterci di fermarci? - rispose la ragazza apprendendo della sosta. - Oh tesoro, cosa vuoi che possa accadere di così catastrofico se anche facciamo qualche giorno di ritardo! Quei contadini rozzi e zotici potrebbero solo darsi battaglia a suon di uova e sterco di cavallo! - osservò pungente Xena. - Vedo che non sei riuscita a mandar giù il fatto che a chiamarci stavolta siano stati dei semplici contadini! - la ammonì Olimpia fissandola, mentre carezzava il muso del suo cavallo. - La questione non è questa! - rimbrottò Xena; - Ah si? E qual è? - incalzò l’altra, per poi continuare immaginando che la sua compagna avesse una sorta di complesso inferiorità: - Ammettilo: ti rode non imbarcarti in un’ altra avventura epica, ma stavolta va così! Non si può… - ma a causa della febbre fu colta da un improvviso capogiro. Xena fu prontamente dietro di lei per sorreggerla, quindi le bisbigliò nell’orecchio: - Ora però stai calma, hai la febbre, ed hai bisogno di mangiare, sono due giorni che mangi solo formaggio e mele. Ti occorre qualcosa di caldo e sostanzioso. Vieni dentro amore! - e la prese per la mano. Senza fare troppe storie, la bionda si lasciò condurre nella taverna, finché non si sedettero ad un tavolo di legno grezzo e nodoso, con le panche sgangherate. La taverna era situata lungo la periferica via Tiburtina, poco distante dalla caotica Roma imperiale; le luci delle candele all’interno della bettola erano fioche ed illuminavano a malapena i primi mattinieri avventori, che ancora assonnati, consumavano il loro pasto svogliatamente; si respirava nell’aria un odore pungente di sidro posto nelle botti dietro al bancone, misto al fetore delle urine, riversate nella latrina appena fuori la taverna; quel posto era assolutamente malsano; occorreva quindi consumare il pasto e scappare via.
La principessa guerriera si avviò verso il bancone per prendere un po’ di stufato ed un bicchiere di latte di capra caldo per rimettere in sesto Olimpia; dopo una breve fila, ottenne quel che voleva e in cambio del rancio posò sul banco due monete d’argento.
Appena si allontanò da questo, un uomo incappucciato, che aveva seguito tutta la scena da poco lontano, si avventò sulle due monete con sommo stupore dell’oste: - Ma che cosa stai facendo? - borbottò l’uomo con ancora in mano un grande mestolo, vedendosi depredato del suo compenso.
- Shhht! Chiudi il becco Arius! - parlò l’uomo togliendosi il cappuccio. - Cabria! Vecchio volpone, sei così a secco da dovermi prelevare i soldi dei clienti? Si, è vero, ti sono ancora debitore di due o forse tre… ehm no, quattro favori... Ma lasciami stare almeno quelle due monete d’argento! - disse Arius riconoscendo il vecchio amico.
- Questi li prendo io! Quelle donne non devono pagare! Tu non hai neppure idea di quanto utili mi siano in questo momento! - parlò nuovamente Cabria, stringendo tra le mani i due soldi d’argento mentre fissava ogni loro singolo movimento; poi cercò nella scarsella che aveva appesa alla vita una moneta d’oro. - Ecco il tuo compenso! Amico mio, nel cambio ne hai tratto grande beneficio! - ultimò l’uomo allontanandosi sotto gli occhi avari del taverniere, che incredulo gettò ripetutamente uno sguardo al tavolo di Xena ed Olimpia, che avevano rappresentato per lui “la gallina dalle uova d’oro”, ed un altro alla moneta luccicante con l’effige dell’imperatore che gli era stata donata. - Che le Erinni possano completare il lavoro di demenza che già ha iniziato la filosofia sul cervello di quell’uomo! - concluse malevolo tra se e se l’oste prima di tornare alle sue faccende.

Xena ed Olimpia cercarono di mangiare quanto più velocemente possibile, sebbene quella sbobba non fosse di loro gradimento; inoltre qualcosa in quel posto rendeva Xena molto nervosa, tanto da alzare lo sguardo dal piatto ad ogni cucchiaio di stufato che ingurgitava. La cosa non passò inosservata agli occhi dell’attenta Olimpia che ad un certo punto, seriamente preoccupata le chiese: - Xena, cosa ti innervosisce? E’ la decima volta che alzi lo sguardo dal piatto e scruti intorno circospetta… qualcosa non va? - - A parte questa lurida brodaglia che mi è costata due argenti… nulla! - disse sorridente Xena tentando di evadere il discorso, per non rendere partecipe la già provata Olimpia del suo turbamento interiore. - Nella nostra vita abbiamo mangiato migliaia di altre brodaglie, ma non ti ho mai vista nervosa in questo modo - constatò Olimpia. - Si sente troppo di cipolla! - esclamò Xena con un sorriso poco convincente, cercando di fuorviarla. - Non credo assolutamente che si tratti della zuppa che non ti piace; cosa c’è che non va? - Incalzò seria Olimpia sfiorandole teneramente per un istante la mano poggiata sul tavolo. Come un effetto placebo, quel gesto sortì in Xena un rasserenamento, così vuotando il sacco le confessò: - E’ la vicinanza con Roma che mi procura questo nervosismo… Sai, dopo i trascorsi con Giulio Cesare, Ottaviano Augusto e Caligola vorrei stare definitivamente lontana dalla grande fonte di guai che è stata per me Roma… -
- Capisco cosa tu voglia dire, ma ormai è passato moltissimo tempo da quando sono accaduti questi eventi, e molti altri imperatori si sono succeduti… - parlò cercando di essere obbiettiva Olimpia, pur sapendo che in cuor suo Xena aveva ragione. - Non mi interessa neppure sapere i loro nomi; gli imperatori sono tutti smidollati e vigliacchi allo stesso modo: prima commettono crimini assurdi poi fanno ricadere la colpa sul popolo… Sono dei tiranni, degli oppressori della libertà, e non voglio che esseri del genere si pongano nuovamente sul mio cammino; perciò sbrighiamoci a mangiare e andiamo via di qua, prima di fare brutti incontri! - disse duramente Xena che nell’impeto gettò via il cucchiaio di legno, rinunciando definitivamente a mangiare lo stufato.
- Posso farle un’appunto signora guerriera? - una voce proveniente dalle spalle della principessa guerriera ruppe il silenzio appena creatosi tra lei e l’amica. Xena si voltò di scatto per vedere chi fosse il suo interlocutore: - E tu cosa vuoi? - rispose irritata Xena avendolo visto, e lasciò che anche Olimpia potesse intravedere l’uomo basso e smilzo. - Mi permetto di dirle che ha perfettamente ragione, ma l’impero romano oggi sta vivendo giorni migliori! E questo in gran parte lo deve alla carismatica figura del nostro nuovo imperatore… Come vede non tutti sono smidollati e vigliacchi! - parlò infervorato l’uomo. - Nessuno ha chiesto la tua opinione, tantomeno se hai spiato i nostri discorsi! - rispose inviperita Xena, che si alzò di scatto sfoderando con altrettanta velocità la spada, per poi puntargliela alla gola. - Principessa guerriera, stia calma, non ho intenzione di farle del male: come lei ben vede non sono un guerriero, non porto armi con me… la mia unica arma è la parola: sono un filosofo! - detto ciò spostò da se la lama della spada incurante della minaccia che aveva ricevuto, e si andò a sedere con calma nel posto vuoto accanto a Xena. Olimpia guardò da seduta la scena senza scomporsi neanche per un attimo; se l’uomo era veramente inerme come diceva, Xena sicuramente non lo avrebbe colpito; difatti subito dopo anche la guerriera tornò a sedersi.
- Siete Xena di Anfipoli e Olimpia di Potidea, vero? Riconoscerei i vostri volti nel bel mezzo di un affollato spettacolo al Circo Massimo! - parlò Cabria. - Si, siamo proprio noi… - disse annuendo Olimpia, prima di fare un grosso starnuto .
L’uomo poggiò le due monete d’argento sul tavolo e disse: - Queste sono vostre… Un posto così, con del cibo altrettanto disgustoso, non vale certamente i denari che avete pagato! - - Ma tu chi sei? - esclamò meravigliata dal gesto Olimpia. - Mi presento: il mio nome è Cabria, filosofo, nonché consigliere ed amico fraterno dell’imperatore! - rispose prontamente l’uomo. - Se davvero sei amico fraterno dell’imperatore sai benissimo come la penso a riguardo visto che hai origliato la nostra conversazione, perciò qualsiasi cosa tu ci debba dire, ti dico fin da ora che non ci interessa! - intervenne secca ed infastidita Xena. - Ma io ho bisogno del vostro aiuto! - replicò Cabria. - Ci spiace, porteremo il nostro aiuto altrove, dove veramente occorre! - continuò risoluta Xena. - Ti supplico, cerca di farla ragionare… - si rivolse poi l’uomo ad Olimpia. - Vedi, il problema è che ora proprio non possiamo, siamo dirette in Bretagna per adempiere ad una missione…- si giustificò la barda. - Olimpia, almeno tu ascoltami: faccio leva sul tuo buon senso e sulla tua responsabilità: ho bisogno di qualcuno di assolutamente affidabile, discreto e imbattibile per scongiurare il pericolo di una congiura ai danni dell’imperatore Adriano! - insistette Cabria, cercando non più l’appoggio diretto di Xena ma l’intercessione presso questa da parte di Olimpia. - Adriano... le sue gesta sono declamate come grandissime in Grecia, oltretutto è molto filoellenico, ed ha fatto tanto per l’arte greca… un vero e proprio greco acquisito lo definiscono in Attica. - pensò ad alta voce Olimpia.
- “Ora ne ho abbastanza: prima il filosofo, poi Olimpia che si mette a fare apprezzamenti su una persona che io detesto a morte!”- pensò tra se e se Xena, per poi interrompere il chiacchiericcio tra i due: - Io ne ho abbastanza: Vado a sellare i cavalli, tu preparati che la Bretagna ci aspetta! - disse rivolta a Olimpia; poi uscì dalla taverna. - Non voglio essere causa di litigio tra te e la tua compagna, ma se mi sono rivolto a voi è perché la vostra fama qui a Roma è ben più nota di quella che Adriano nutre dalle vostre parti… I contadini in Bretagna litigano perché non sono in grado di accordarsi su quanti sacchi di grano siano di una tribù e quanti di un’altra, e mentre voi correte ad aiutarli, Roma potrebbe rimanere senza un uomo che si sta impegnando tanto per cambiarla… Detto ciò, suppongo che non sia necessario insistere più di tanto; chiedo scusa per avervi importunate. - Cabria si alzò deluso dal tavolo e si avviò verso l’uscita dalla taverna. - Ehi, aspetta un attimo per favore, aspetta! - gli urlò contro Olimpia riflettendo sulle sue parole. - “Se il destino ha voluto che intraprendessimo ancora una volta un’avventura romana ci sarà un perché…” - meditò tra se e se la barda, per poi rivolgersi ancora a Cabria: - Nel caso dovessi convincere Xena a…. ehm.. ad accettare questo incarico, dove posso trovarti? - L’uomo arrestò il passo, si voltò e dischiuse un sorriso colmo di gratitudine dicendo: - Se decidete di aiutarmi vi basterà percorrere tutta la via Tiburtina, svoltare per Tibur e da qui chiedere della residenza imperiale: in due ore di cammino sarete lì; quando varcate il portone di ingresso chiedete di parlare urgentemente con me ed io vi riceverò immantinente! - Olimpia fece un cenno di assenso con la testa. - Ora vado… un giovane amico mi aspetta a Sabaudia! - Olimpia lo salutò con un cenno di mano, poi lo vide sparire all’orizzonte, stretto nel mantello smeraldino della sua tunica.

La sera calava ormai su Villa Adriana; il giovane Antinoo appena tornato dall’avventura romana con il suo precettore Cabria, era seduto sul trono dell’imperatore nella sala reale, ed aspettava impaziente l’arrivo di Adriano, per mostrargli qualcosa che lo avrebbe sicuramente sbalordito. Mentre attendeva si guardava intorno, stupefatto dal buon gusto che aveva avuto l’imperatore nell’arredare quella sala. La sala del trono era anche detta sala dei pilastri dorici, perché entro essa vi era un porticato fatto di pilastri scanalati con trabeazione a metope e triglifi dorica; tutt’attorno era rivestita di marmo rosso e il pavimento era interamente mosaicato.
- “Quanto lusso, Adriano ha classe anche nel progettare edifici! Dubito che avrei mai potuto permettermi tutto ciò che posso avere adesso, se avessi continuato a stare in Bitinia… Anche per questo mi sento profondamente grato al mio imperatore!” - pensò tra se e se Antinoo nascondendo accuratamente la sorpresa per Adriano sotto il trono. Il ragazzo era nervoso, incerto della reazione del sovrano alla sua sorpresa, per questo accarezzava nervosamente i braccioli di pelle dello scranno reale.
Il pesante portone di legno borchiato di bronzo si aprì all’improvviso e lasciò che l’imperatore entrasse nella regale sala.
- Mio imperatore! - esclamò Antinoo saltando giù dal trono ed inchinandosi quando lo vide. - Buonasera a te mio diletto, vedo che stavi divertendoti a rubarmi il posto di comando! - scherzò Adriano. - No, non credo… a volte ancora faccio fatica ad abituarmi a questo lusso! - rispose umilmente Antinoo per poi continuare: - Non mi interessa fare l’imperatore; chi governa non ha mai vita facile! - - E’ il prezzo che si deve pagare quando si tenta di essere giusti! - gli rispose amorevole Adriano, per poi continuare: - Allora, hai trascorso una piacevole giornata? - - Si, ma… non era la stessa cosa senza di te! - rispose il giovane arrossendo dalla vergogna. - Capisco! - gli disse Adriano capendo che talvolta il ragazzo provava imbarazzo ad esternare tutto l’amore che sentiva di provare per lui temendo un rifiuto da parte sua, e lo abbracciò forte a se. - Sono andato in città stamattina e… - - E… - continuò ansioso di sapere Adriano. - Ed ho portato questo! - Antinoo corse presso il trono e tirò dal di sotto di questo ciò che aveva precedentemente nascosto; era un batuffolo peloso, nero con le zampette bianche, ed il musetto vispo, due orecchie enormi ed occhietti dolci; il cane non aveva fatto altro che seguire Antinoo per tutta la giornata, eleggendolo a suo nuovo padrone, tanto che il giovane alla fine non se la sentì di abbandonarlo nuovamente. Lo porse all’imperatore per farglielo carezzare, poi entusiasta lo strinse forte a se. - E dove lo mettiamo un cane Antinoo! Non ti bastava il falcone che ti ho regalato per il tuo genetliaco? - lo ammonì Adriano. - E dai Adriano, la villa è così grande che sicuramente potrebbe ospitare un intero canile! - Osservò Antinoo. - E’anche una femmina per di più! - parlò quasi scandalizzato l’imperatore il cui volto si incupì per un momento, e corrucciato, gettò uno sguardo al di fuori del peristilio della sala del trono; la sua reazione non passò inosservata agli occhi del fedele Antinoo che gli si gettò ai piedi, e lo supplicò di perdonarlo se era andato contro la sua volontà. L’imperatore vinse il suo orgoglio e si inginocchiò a sua volta verso l’ amante: - Alzati Antinoo, non devi chiedere perdono a nessuno! - gli disse, e con forza lo strattonò per farlo rialzare. In seguito gli carezzò il viso che a suo parere possedeva delle fattezze perfette, e riprese a parlare: - Come vogliamo chiamarlo? - - Cosa? - chiese Antinoo incredulo, rendendosi conto che forse non avrebbe più dovuto cedere il suo nuovo amico. - Ogni cane che abbia un padrone ha un nome! Tu come vuoi chiamarlo il nostro cane? - gli parlò sorridente Adriano. Antinoo lo fissò per un attimo negli occhi: lo sguardo serio e maestoso dell’imperatore aveva sempre esercitato un fascino irresistibile su di lui, tanto da farlo innamorare perdutamente dell’uomo maturo che aveva di fronte; in seguito disse: - Lascio a te la scelta! - Adriano fece qualche passo nella stanza, mentre con tono farsesco si burlava di Antinoo: - No caro il mio giovanotto! Tu hai trovato il cane e tu te ne prenderai cura, altrimenti… vediamo che fine posso fargli fare… Mhmm già! Potrei stritolarlo con la mia cinta, oppure darlo in pasto i coccodrilli nel fossato del Teatro Marittimo, o ancora…. - - Basta così Adriano, ho capito: il cane sarà mio compito da oggi in poi! E poi sai benissimo anche tu che nel fossato del teatro non ci sono i coccodrilli! -
rispose Antinoo, ed i due scoppiarono a ridere insieme; erano quelli i momenti che Adriano tanto amava, momenti fatti di parole e gesti semplici, perchè la semplicità di Antinoo lo rendeva felice, e quando era insieme a lui, dimenticava di essere la persona più potente del mondo, dimenticava di essere l’uomo più discusso dell’impero, quello più vulnerabile agli attacchi dei nemici; con lui era libero di essere solo Adriano: l’uomo malinconico e meditabondo che in realtà egli era, e questo gli rendeva sopportabile anche la sua consorte Sabina, e le pressioni che gli faceva il senato. Antinoo, stretto nell’abbraccio dell’uomo, nel voltarsi verso la finestra del peristilio, fu però attirato da una statua della Lupa che allattava i fratelli Romolo e Remo, posta nel giardino, così si interruppe e disse: - La chiameremo Lupa! - - Lupa? Ma se è uno scricciolo questa bestia! Non ha assolutamente nulla che assomigli ad un lupo! - parlò ancora sorridente Adriano. - E’ vero, non ha nulla che lo faccia somigliare ad un lupo, ma personalmente mi ricorderà perpetuamente questi anni sereni trascorsi insieme a te… - osservò Antinoo diventando di colpo serio e malinconico, quasi come se consapevole di un’oscura profezia, sapesse già che il destino della sua giovane vita si sarebbe potuto spezzare da un momento all’altro. A quelle parole il cuore di Adriano si sciolse di tenerezza ed abbracciò nuovamente sia il giovane che il cane, poi disse: - Benvenuta nella dimora del tuo imperatore Lupa! Beh, sembra proprio che da oggi dovrò dividere Antinoo con te! - e sorrise cercando lo sguardo del giovane, sguardo che trovò perso nel vuoto, completamente estraniato da quella situazione. - Che cosa c’è che non va Antinoo? - chiese allora preoccupato Adriano, prendendo il volto del giovane tra le mani. - Nulla, sono solo molto stanco… - mentì Antinoo. - Stasera volevo portarti all’Odeon, sai, una compagnia giunta dall’ Egitto ed ospite presso di noi per qualche giorno ci voleva allietare con un po’ di musica… ma se sei così stanco eviterò di andarci e ti farò compagnia in camera, che ne pensi? - - No, vai tranquillo… - rispose Antinoo. - Preferisco farti compagnia, e poi i pretoriani ed i senatori, porci che non sono altro, sapranno sicuramente godere a pieno di questo intrattenimento! Senza contare che la mia “adorata” imperatrice Sabina ama la musica egiziana!- concluse Adriano - Certo, tua moglie ama tutto dell’Egitto, tranne me! - parlò sarcastico il giovane; fu in quel momento che il discorso si interruppe, poiché il portone della sala si aprì con un pesante tonfo. - Importantissime visite per te! - esordì entrando scanzonato Cabria, con una lunga veste scura - Visite? In verità non aspettavo nessuno! - rispose l’imperatore, mentre Antinoo, avendo capito che il sovrano avrebbe dovuto assolvere alle sue mansioni regali, si appartò in un angolo a giocare col cane. - Salve Adriano! - una voce maestosa tuonò nella sala, appena dopo che la porta si aprì nuovamente, per lasciare entrare le due guerriere; Cabria quasi diventava un essere insignificante se paragonato all’altezza ed alla possanza di Xena che si posizionò di fianco a lui, seguita a ruota da Olimpia, che ancora spossata dal suo malessere, si appoggiò con una mano sulla spalla della guerriera.
L’imperatore, colto di sorpresa dall’inaspettata visita, squadrò attentamente le due figure che gli si erano parate dinnanzi, ed arrivò all’unica conclusione possibile, e cioè che quelle due donne fossero realmente le due guerriere greche più forti e valorose al mondo, e con molta difficoltà dovette ammettere a se stesso che pur essendo anch’egli un valoroso guerriero, reduce di tante difficili battaglie, a nulla sarebbero valsi i suoi sforzi se si fosse messo contro Xena, poi pensò: - “Per gli Dei, cosa mai possono volere Xena ed Olimpia da me? Strano che dopo tutte le sue disavventure romane Xena si sia spinta nuovamente da queste parti; c’è qualcosa sotto!”- Spinto dunque dalla smania di sapere cosa stesse accadendo, Adriano parlò altezzoso: - Xena! Cosa spinge l’impegnatissima principessa guerriera presso la mia umile corte? - - Umile?? Tanto umile da essere rivestita completamente di marmi? Comunque risparmiami la tua boria per favore, che se non fosse stato per Olimpia a quest’ora sarei già ai confini con la Tuscania! - rispose con arroganza Xena, tanto che tutti i presenti percepirono immediatamente l’astio che si era instaurato tra i due. Antinoo prese in braccio il cane e si avvicinò con prudenza all’imperatore, pronto a difenderlo in caso di pericolo.

di Bard and Warrior

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