Episodio N. 10
di Nihal


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seconda parte

di Nihal

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CAPITOLO VII

Un vociare confuso fu la prima sensazione che riuscì a riportarla alla realtà. Si sforzò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano così pesanti… Prese un profondo respiro e si concentrò, riuscendo finalmente a mettere a fuoco la stanza e le persone attorno a sé. Le finestre erano sbarrate e si respirava un’arsia densa di fumi di decotti e di un calore quasi soffocante.
Lentamente cominciò ad avvertire un dolore sordo nel profondo del ventre, che fece tornare a galla, anche se a frammentati, i ricordi di quanto era accaduto: la coppa ed il suo contenuto dolciastro, la fitta profonda nell’addome, il senso di vuoto e poi il buio…
<<Ginevra, sei sveglia?>> la voce di Dorilea le giunse come da un universo lontanissimo. La fissò, quasi assente, per alcuni istanti, senza riuscire a risponderle.
La donna le si sedette accanto e le carezzò il capo con fare materno, attendendo che riuscisse a ritrovare appieno le proprie facoltà.
<<Cos’è…successo?>> chiese alla fine la regina.
La balia la guardò con occhi colmi di tristezza.
<<Hai perso il bambino>>
Quelle parole scavarono in lei ancora più profondamente del dolore fisico. Scosse il capo, cercando di negare a se stessa l’evidenza dei fatti.
<<Ho trovato una coppa. Era un abortivo… Perché l’hai bevuto?>> insistette Dorilea, volendo ottenere quante più informazioni possibile prima che il dolore le impedisse di pensare razionalmente.
<<Chi ti ha detto questo?>>
<<Non lo so… Un’ancella, non ricordo>> i singhiozzi le bloccarono la voce, facendosi via via più forti, fin quando si lasciò andare ad un pianto disperato.
La balia la strinse al petto, consapevole che ulteriori domande non avrebbero fatto altro che aggravare il trauma che stava subendo. Dal canto suo Ginevra le si aggrappò alle vesti, piangendo con tutta la forza che le era rimasta.
<<Fai uscire tutti>> le sussurrò tra le lacrime.
Dorilea, senza lasciarla neppure per un attimo, diede ordine alle ancelle di lasciare immediatamente la stanza della regina. Riprendendo un po’ di calma, Ginevra sciolse l’abbraccio, asciugandosi il viso con il dorso della mano.
<<Il re sa qualcosa?>> chiese, recuperando anche un tono di voce sufficientemente saldo. Dorilea le sorrise, accarezzandole i capelli.
<<Non è a Camelot. È stato mandato un messaggero che lo avvertisse di un tuo malessere, ma non sa cos’è accaduto nel dettaglio>> le rispose. La regina annuì, pensosa.
<<Dov’è ora?>> la voce cominciò ad incrinarsi nuovamente.
<<Era in viaggio per la Cornovaglia. Se il messaggero l’ha già raggiunto, entro domattina dovrebbe essere di ritorno>>
<<E sir Lancillotto?>> cominciò a percepire una sensazione di dolore liquido partirle dal centro del ventre e diffondersi lentamente in tutto il corpo…
<<Vuoi che lo mandi a chiamare?>>
La vista le si annebbiò nel giro di pochi attimi: i contorni del viso di Dorilea si fecero immateriali e la sua voce ritornò a provenire da un universo così lontano…

<<Ha bevuto, certo. Ora è svenuta tra le sue ancelle>>
Morgana ascoltava con soddisfazione.
<<Non potranno ugualmente fare nulla. L’erede è morto prima ancora di nascere>> la sua risata riecheggiò nella stanza e la serva sentì un brivido di paura correrle lungo la schiena.
<<In ogni caso assicurati che sia realmente così. Non voglio correre nessun rischio>> disse poi la sacerdotessa, tornando presente a se stessa.
<<Ma ora ha fatto uscire tutti…>> cominciò a dire, ma lo sguardo di Morgana le bloccò le parole in gola.
<<Chi c’è con lei?>> gli occhi le si illuminarono.
<<La sua balia… Donna Dorilea>> riuscì a rispondere.
<<Nessun altro?>> insistette la sacerdotessa.
<<No, nessun altro>>
Scese nella stanza un silenzio vibrante. La serva, ancora inchinata, osservava di sottecchi l’altra donna, attendendo impaurita un suo nuovo ordine, che non tardò ad arrivare.
<<Fai in modo di trovarti nei pressi della stanza della regina e non appena entrerà qualcuno che non sia Dorilea, vieni immediatamente qui. È chiaro?>> il suo tono minaccioso non ammetteva alcun tipo di obiezione.
<<Sì, mia signora>>

Lancillotto sbatté le palpebre mentre la sua mente cercava di razionalizzare quanto Dorilea le stava dicendo.
<<Un abortivo? Ne sei sicura?>> chiese, mentre un sospetto si faceva sempre più spazio nei suoi pensieri.
<<Conosco il mio lavoro, cavaliere! Non posso sbagliarmi su una cosa tanto evidente>> sbottò Dorilea, infastidita dalla gelida incredulità del cavaliere. Lancillotto corrugò la fronte ancora di più e serrò la mascella.
<<Non volevo mettere in dubbio le tue capacità. Se le è stato somministrato un abortivo, c’è solo una persona che può aver osato tanto>> si sforzò di non lasciar trasparire la rabbia che sentiva crescere a dismisura. Ma doveva controllarsi: avrebbe avuto tempo per fargliela pagare.
<<Hai già un sospetto?>> la voce della balia la sottrasse ai suoi pensieri.
<<No, ho una certezza. Solo Morgana potrebbe aver architettato una cosa del genere, ma di lei mi occuperò a tempo debito. Oli…Ginevra come sta?>> chiese, non potendo contenere anche la sua apprensione.
<<Ora dorme, ma è particolarmente debole. Ha chiesto di te, penso che voglia vederti>>
Lancillotto annuì, grave.
<<Assicurati che dopo il tramonto non ci sia nessuno: la raggiungerò allora. Se lo facessi adesso, con il re assente, sarebbe un’incoscienza>>
I suoi occhi di ghiaccio si fecero distanti, come se il loro sguardo fosse rivolto ad un luogo lontano, ad una persona cui non poteva essere accanto in quel momento. Dorilea la fissò, cercando di capire quali pensieri le attraversassero la mente e quali emozioni le si agitassero nel cuore, oltre quell’aspetto marziale, ma, per quanto provasse, non riuscì a penetrare la corazza dietro la quale si era barricata. Così si limitò a congedarsi, allontanandosi.
Il cavaliere attese che l’eco dei suoi passi si estinguesse in lontananza e scagliò la sua rabbia colpendo con forza lo stipite della porta. Cadde in ginocchio, maledicendo Antinea e la propria incapacità di proteggere Olimpia dalla vendetta e dalla sete di potere della sacerdotessa. Maledisse sir Lancillotto, il dovere che la costringeva a stare lontana dalla sua migliore amica ora che avrebbe dovuto starle accanto più che mai.

Riaprendo lentamente gli occhi Ginevra si ritrovò ad osservare la propria stanza avvolta nella semioscurità, intervallata solo dalla luce incerta di poche lampade ad olio. Fece per mettersi seduta sul letto e due braccia immediatamente accorsero a sostenerla. Non ebbe neppure bisogno di voltarsi per riconoscerla.
<<Xena…>>
<<Sono qui>> le rispose la guerriera, uscendo dall’ombra e sedendosi di fronte a lei, prendendole dolcemente le mani tra le sue. Le accarezzò il viso, ancora pallido, e la regina chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel dolce contatto, lasciando che lacrime silenziose prendessero a rigarle le gote.
Xena le si avvicinò, stringendola a sé e permettendole di lasciar fluire via, almeno in parte, il suo dolore. La cullò sottovoce, tenendola stretta come se volesse fare propria la sua sofferenza.
<<Xena, perché?>> le chiese, con occhi lucidi, colmi di lacrime.
<<Olimpia… Pagherà per questo, non dubitarne>> ne rispose, posandole un delicato bacio sulla fronte.
<<Non m’importa, Xena. Il mio bambino non c’è più… L’ho sentito scivolare via da me senza che potessi far nulla!!>>
La guerriera rimase in silenzio, incapace di proferire parola. Le asciugò le lacrime, tenendole il viso tra le mani. Olimpia trovò la forza di sorridere appena.
<<Non lasciarmi sola questa notte>> le disse con un filo di voce, incerta.
La guerriera esitò un momento, consapevole dei rischi che avrebbe potuto comportare se fosse rimasta, ma la forza del legame che le univa ebbe la meglio sulla sua razionalità.
<<Non ti lascerò sola mai più>> le rispose, sorridendole.
Con calma Xena si alzò, spegnendo le lampade ad olio che illuminavano fiocamente la stanza, lasciando come unica fonte di luce la candela che ardeva accanto al letto della regina. Sfilati gli stivali, si mosse silenziosa tra le ombre, raggiungendola tra le coltri. La strinse a sé, cullandola dolcemente. Olimpia lasciò che il tepore delle sue braccia la confortasse. Si abbandonò completamente ad esse, chiudendo gli occhi, rasserenata dalla sua presenza.
<<Xena>>
La guerriera si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.
<<Sono qui…>> disse.
<<Se ti trovassero qui potrebbero ucciderti…>>
<<Vuoi che vada via?>>
<<No!>> rispose la regina. Xena le sorrise di nuovo.
<<Stai tranquilla, non accadrà>> la rassicurò, cercando di ignorare il fatto che lei stessa nutriva le medesime paure.
Olimpia si strinse a lei e Xena le cinse i fianchi, coprendo entrambe con le lenzuola. Le sorrise, scostandole una ciocca bionda dal viso.
<<Andiamo via…>> le disse la regina.
Xena fu sul punto di risponderle di slancio, ma si trattenne, corrugando la fronte.
<<Per andare dove?>> le chiese, quasi brutale.
<<Ad Avalon, in cima al mondo, ovunque! Non posso più sopportare questo posto!!>>
La guerriera esitò ancora alcuni istanti.
<<Non possiamo fuggire così, senza un posto dove andare, senza avere idea di come fare>>
Olimpia fece per parlare, ma Xena le chiuse le labbra con l’indice.
<<Lasciami finire. Tu non sei nelle condizioni di affrontare un lungo viaggio a cavallo ed io non voglio correre rischi. Non mi perdonerei mai se dovesse accaderti qualcosa. Dammi un po’ di tempo, e ti porterò via da qui. Te lo giuro>>
La regina le gettò le braccia al collo.

<<Chi va là?>> urlò la sentinella al cavaliere che si stava avvicinando al galoppo.
<<Aprite le porte!>> gli rispose, frenando la cavalcatura.
<<Chi va là?>> ripeté dall’alto delle mura il soldato.
<<Aprite questo maledetto portone: è il re che ve lo comanda!>>
<<Mostratemi il volto!>> fu la risposta che ottenne.
Il cavaliere si avvicinò ancora. Quando fu certo di essere ben visibile, si tolse l’elmo. La sentinella rimase impietrita: nonostante fosse distante, non avrebbe potuto sbagliarsi.
<<Aprite il portone!>> ordinò nuovamente Artù.
L’uomo si affrettò a diramare l’ordine il più velocemente possibile. In breve le porte si schiusero ed il sovrano spronò la propria cavalcatura attraverso il cortile interno. Mentre i battenti si richiudevano alle sue spalle, il sole fece capolino all’orizzonte, dipingendo di rosa il profilo delle colline. Morgana aveva atteso tutta la notte l’arrivo del sovrano ed ora sorrideva, compiaciuta, nel vedere l’urgenza con cui Artù aveva fatto rientro.
Era arrivato il momento dell’atto finale.

CAPITOLO VIII

Xena scostò lievemente una ciocca bionda dal viso di Olimpia, ancora addormentata. Rimase ad osservarla mentre respirava lentamente, come avvolta da un’aura di pace sacrale inviolabile. Un raggio di sole si fece largo nella stanza e la guerriera quasi sobbalzò: l’alba era ormai imminente e le imponeva di allontanarsi in fretta. Non poteva dimenticare di essere sir Lancillotto, il più fedele compagno di Artù, il suo braccio destro…
L’avrebbe portata lontana da quel posto. Aveva sofferto già abbastanza tra quelle mura. Prima, però, Antinea avrebbe dovuto pagare. Si alzò dal giaciglio e si rivestì rapidamente mentre nella sua mente prendevano corpo le varie possibilità che si prospettavano per loro. Fece per uscire da una porta di servizio quando la voce di Olimpia la trattenne.
<<Xena>>
<<Non volevo svegliarti>> si scusò la guerriera, tornando sui suoi passi.
<<L’alba è vicinissima>> le disse poi.
<<No, è la luna piena… Non andare>> le rispose la regina con un sorriso felice che le illuminava il volto ancora segnato dagli eventi dell’ultimo giorno. Xena le accarezzò una guancia.
<<Sai che devo, anche se non vorrei. Io sono un uomo fuori da quella porta: se mi dovessero trovare qui, non sarebbe così semplice da giustificare>> fu quello che riuscì a dirle.
<<Ti porterò via da qui… Te lo giuro>>
La guerriera sentì delle voci concitate provenire dalla porta della stanza, ma ebbe appena il tempo di girarsi verso di esser che il battente si spalancò improvvisamente. Negli istanti che seguirono, il tempo rese a rallentare. Xena guardò il sovrano negli occhi senza riuscire ad articolare alcun pensiero. Solo il contatto con il corpo di Olimpia, che ora si stava stringendo a lei, la riportò alla realtà.
<<Artù, lasciamo spiegare…>> cominciò a dire, ma lo sguardo dell’uomo le impedì di aggiungere altro.
<<Io mi fidavo di te. Mi sono sempre fidato di te…>> poi si rivolse alla regina, che era rimasta immobile. <<Ti ho amata più della mia stessa vita>>
Quella calma surreale cominciò a farsi soffocante. Artù estrasse lentamente la spada dal fodero e se la portò davanti al viso, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta.
<<Prendi la tua spada, Lancillotto. Questa volta le nostre lame non combatteranno fianco a fianco>>
La guerriera lo guardò negli occhi: la rabbia silenziosa e l’amarezza che vi lesse le spezzarono il cuore. Il Fato, però, aveva deciso così ed ora qualsiasi tentativo di rimediare sarebbe stato totalmente privo di senso.
<<E tu vestiti: voglio che veda personalmente come gli strapperò il cuore, così saprai cosa si prova>> Uscì dalla stanza, la spada ancora in mano e le spalle curve, non con l’austerità del sovrano, ma con la mesta consapevolezza di un uomo ferito da chi più amava al mondo.
Xena rimase alcuni secondi in silenzio, poi si rivolse ad Olimpia.
<<Fai preparare a Dorilea il mio cavallo. Avremo pochissimo tempo per allontanarci di qui prima che le guardie ci si scaglino contro. Posso sconfiggere Artù, ma trenta dei suoi uomini sono troppi anche per me>> Provò ad abbozzare un sorriso, ma con scarso successo. Olimpia le strinse le mani.
<<Dimmi che non morirai di nuovo e mi lascerai…>>
<<No, Olimpia. Non questa volta. Presto saremo lontane da qui>> le posò un bacio sulla fronte. <<Ora vai a prepararti>> le disse, alzandosi dal letto all’improvviso.
La guerriera si allontanò alcuni istanti dopo, uscendo dalla stanza in silenzio.  

Il sole era ben alto nel cielo ed illuminava il cortine interno al castello di Camelot, completamente avvolto in un silenzio spettrale: tutte le attività erano bloccate ed il sovrano, in tenuta da combattimento, attendeva immobile. All’altra estremità, Lancillotto lo osservava, l’elmo sotto il braccio, mentre valutava le migliore vie di fuga che quel luogo offriva.
Quando la regina, accompagnata dalla sola Dorilea, fece il suo ingresso nel cortile, un brivido percorse chiunque fosse presente. Chiusa nella sua austerità, non diede peso ai mormorii che accompagnarono il suo passaggio e si sedette sul palco d’onore improvvisato, senza rivolgere lo sguardo a nessuno dei due guerrieri. Lancillotto, invece, cercò gli occhi di Dorilea, che diresse a sua volta lo sguardo verso un angolo appartato a poca distanza da dove si trovava il guerriero, indicandogli doveva aveva lasciato il suo cavallo. Indirizzò alla balia un cenno impercettibile del capo, concentrandosi ora solo sullo scontro che lo attendeva.
Morgana osservava la scacchiera che aveva così accuratamente predisposto pronta a cadere, pezzo dopo pezzo. I suoi occhi si muovevano, quasi voraci, lungo tutta l’area, attendendo solo di vedersi compiere l’atto finale, da quale era certa di uscire unica vincitrice.
La guerriera alzò gli occhi, percependo sulla pelle la sensazione di essere osservata. Dalla posizione in cui si trovava non riusciva a distinguere i tratti della figura sporta da una delle finestre più alte, ma sapeva, oltre ogni dubbio, che gli occhi puntati su di dei erano quelli di Morgana. Di Antinea. Un rancore ed un odio vecchio di secoli le riempirono il petto ed a stento si trattenne dallo scagliarle contro la sua spada. La donna dovette accorgersene perché, pochi istanti, dopo si sottrasse alla sua vista. Xena giurò a se stessa che non avrebbe avuto pace fino a quando non l’avesse uccisa con le sue mani. Poco le importava se ci sarebbero voluti anni, o secoli. La sua non era una vendetta soggetta al tempo.
Artù si avvicinò al centro del cortile, a passi lenti, e puntò i suoi occhi in quelli di Lancillotto. La guerriera calzò l’elmo, avvicinandosi al suo sovrano e nemico. Si fermò alla distata prevista ed abbassò la celata, ponendosi in posizione di guardia. L’uomo di fronte a lei cominciò a muoversi in circolo. Xena si limitò a seguirne i movimenti, la spada ancora abbassata. L’assalto di Artù non la colse impreparata, ma si limitò a difendersi, senza restituire il colpo.
I due ripresero a studiarsi: la guerriera poteva sentire la rabbia montare nell’altro ed era certa che sarebbe presto arrivato a fare un passo falso. Il sovrano tornò ad attaccarla, questa volta con maggiore decisione: Xena trattenne abbastanza facilmente i suoi colpi, rispondendo solo per lo stretto necessari e costringendolo a riversarle addosso una batteria di stoccate ed affondi senza interruzione. La guerriera cominciò ad indietreggiare, avvicinandosi gradatamente al punto in cui si trovava il suo cavallo, tuttavia le difese dell’uomo erano ancora ben salde perché un attacco diretto potesse disorientarlo a sufficienza.
Olimpia guardava il combattimento dalla sua posizione con crescente apprensione. Dorilea le strinse dolcemente le mani, cercando di tranquillizzarla, ma la donna quasi non se ne accorse. Xena cominciò a sentire le braccia farsi più pesanti ad ogni colpo che il sovrano le scagliava contro: doveva trovare una falla il prima possibile. Artù si sbilanciò in un affondo laterale e la guerriera ne approfittò per portare i suoi attacchi. Non si fermò fino a quando non sentì la forza dell’uomo che cominciava a scemare.
Si slanciò in avanti, pronta a colpirlo sul fianco per atterrarlo, ma Artù si mosse di scatto: la spada della guerriera gli si conficcò nell’addome, troppo velocemente perché lei potesse limitare i danni della ferita. Nei secondi che seguirono non ebbe il tempo di pensare: estrasse l’arma mentre l’uomo si accasciava, correndo alla sua cavalcatura. Montò in sella e si fermò solo per far salire Ginevra in groppa. Poi spronò l’animale con tutta la sua forza, sparendo oltre le mura. 

<<Maledizione>> imprecò Xena quando, all’ennesimo colpo di redini, la sua cavalcatura continuò a rallentare il passo, ben più che stremata.
<<Xena, dobbiamo fermarci: non vedi che non ce la fa più?>> le disse Olimpia, alle sue spalle, nel tentativo di farla ragionare. Gli occhi della guerriera si mossero nervosi: erano in campo aperto, non potevano fermarsi lì. Gli uomini di Artù le avrebbero avvistate con un larghissimo anticipo.
<<No, Olimpia, non possiamo. Siamo spacciate se ci dovessero attaccare qui>> le rispose, cercando di spronare ancora l’animale che ormai avanzava al passo, sebbene a stento.
<<Xena>> insistette <<Se continuiamo così, rischiamo di rimanere senza cavallo ed allora sì che saremmo spacciate>>
La guerriera sbatté le palpebre più volte, combattuta sul da farsi: qualcosa le diceva che fermarsi era una pessima idea. L’animale, però, era effettivamente stremato e non avrebbe retto a lungo. Si guardò intorno, individuando una piccola zona riparata tra due pendii.
<<E sia>> disse smontando da cavallo. Olimpia fece per scendere, ma Xena la trattenne.
<<No, resta in sella>> le disse mentre prendeva alcune bisacce per poggiarsele sulle spalle.
Qualcosa la metteva in allarme, ma non riusciva a capire cosa. Era una sensazione di pericolo che non l’aveva più abbandonata da quando aveva ferito a  morte Artù. Si chiese se fosse già morto. Erano passate almeno due ore da quando Camelot era sparita alle loro spalle, probabilmente il medico stava cercando di fare il possibile per salvargli la vita.
“È un uomo forte” pensò. “Magari riuscirà a sopravvivere” si disse. Poi si diede della sciocca. Con una ferita del genere neppure un dio avrebbe avuto speranze di salvarsi. Scosse la testa per scacciare l’immagine di Artù che si spostava all’improvviso, quasi come se avesse cercato volutamente quel colpo letale.
Arrivate alla piccola conca naturale, Xena aiutò Olimpia a smontare, sforzandosi di sorriderle per non farle intuire i suoi pensieri. Sempre in silenzio, liberò completamente la sella dalle provviste che Dorilea era riuscita ad accomodarvi, poi lasciò l’animale libero di muoversi.
Stese il suo mantello a terra, poi cominciò a ripulire la sua spada, ancora insanguinata. Olimpia le si sedette accanto, poi le fermò le mani, costringendola a guardarla negli occhi.
<<Xena, non avresti potuto fare diversamente>> le disse, quasi come se le avesse letto nella mente.
La guerriera la fissò, sorpresa, sbattendo le palpebre. Olimpia le tolse la spada, posandola alle sue spalle. La guardò negli occhi con dolcezza ed il suo sguardo la rasserenò per un po’.
<<Dove stiamo andando?>> le chiese la regina, deviando volutamente dall’argomento.
<<Verso est, ad Avalon. Viviana è l’unica che può proteggerci>> rispose, con un leggero sorriso. <<Forse dovrei avvisarla…>> aggiunse, più rivolta a se stessa che all’altra donna.
Sotto lo sguardo interrogativo di Olimpia, Xena riempì d’acqua una ciotola. Aspettò che la superficie fosse perfettamente liscia, poi sussurrò alcune parole che l’altra non comprese. L’acqua venne come smossa da una vibrazione, poi tornò immobile. Xena le sorrise, divertita dalla sua espressione sbigottita.
<<Appena raggiungeremo Avalon, ti insegnerò a farlo: promesso>> le disse. Poi le sfiorò appena una mano ed una scossa le attraversò la pelle: era inginocchiata, di fronte ad Olimpia, il naso leggermente sanguinante. Sentì la propria voce dire: “Volevo che sapessi tutto quello che so io”.
Sbatté le palpebre, scossa, e quando mise nuovamente a fuoco il viso di Olimpia vi trovò il suo stesso stupore.
<<Cos’era?>> chiese la regina.
<<La nostra vita passata>> riuscì a risponderle.
Di nuovo quella sensazione di pericolo. Si guardò intorno, senza però vedere nulla.
<<Xena, cosa c’è?>> c’era ansia nella voce di Olimpia.
<<Nulla, è solo…>>
<<Ma che bel quadretto>>
Le due donne rimasero immobili per un istante, poi Xena balzò in piedi, la spada già in pugno. I suoi occhi si muovevano rapidissimi alla ricerca di Morgana.
<<Esci fuori Antinea>> disse la guerriera, facendo roteare l’arma.
<<Come siamo scortesi, messere… O preferisci che ti chiami Xena?>>
La donna comparve quasi dal nulla. I suoi occhi si fissarono in quelli dell’altra, forse ben più taglienti della sua arma. Si studiavano, in silenzio. Xena sentiva la rabbia martellarle il cervello nel vedere il ghigno soddisfatto e strafottente di Antinea.
<<Siamo dunque alla resa dei conti, mia cara Xena>> la sua voce era tranquilla, come se stessero amabilmente discorrendo del più e del meno.
<<Sai che non vi lascerò andare via vive, vero?>> proseguì. <<Hai rovinato troppe volte i miei piani ed uccidere Artù non è stato certo un gesto di riconciliazione>>
Dunque Artù era morto… La guerriera non poté impedirsi di sentire una fitta di dolore, ma non era quello il momento di pensare al lutto.
Olimpia osservava le due come impietrita: poteva quasi toccare l’energia che sprigionavano i loro corpi e che sembrava chiuderle in un cupola che le separava dal resto del mondo. Uno scintillio attirò, però, la sua attenzione…
Si mossero contemporaneamente: una lama si era materializzata nelle mani della sacerdotessa e non c’erano stati più indugi. La loro era una danza che non avrebbe potuto che essere letale. Corpo e mente si fronteggiavano, senza esclusione di colpi, senza un attimo di respiro. Come due tempeste che si scontrano, le due donne non si risparmiavano nulla: i colpi erano rabbiosi, ma precisi, diretti ad uccidere. Non passò molto tempo perché entrambe le loro armi stillassero sangue, ma era come se non sentissero le ferite. Olimpia continuava ad osservarle, un pugnale stretto tra le mani.
Antinea mise un piede in fallo e Xena ne approfittò: in un istante furono entrambe a terra, allacciate in una lotta che sembrava durare da secoli. La regina non sapeva cosa fare: i loro movimenti erano troppo rapidi ed avrebbe rischiato di colpire Xena se avesse sbagliato anche solo di un istante…
La guerriera mancò un colpo: non ebbe il tempo di battere le palpebre che le mani di Antinea erano strette attorno al suo collo, inesorabili. Poteva vedere la gioia della vittoria illuminare gli occhi della sacerdotessa. Strinse ancora. Xena cercava di divincolarsi ma il peso del corpo dell’altra le impediva di muoversi. La vista cominciò ad annebbiarsi ed i suoi colpi a diventare stanchi.
Il suo corpo chiedeva ossigeno, ma le dita della sacerdotessa sembravano di pietra. La sentì lasciarsi andare ad una risata di trionfo.
“È finita” pensò. “Olimpia, perdonami…”
Aveva cominciato a farsi buio nella sua mente quando la stretta attorno al suo collo si allentò. Tossì più volte mentre l’aria tornava a bruciarle nei polmoni. Ci vollero alcuni istanti prima che potessi riuscire a vedere cosa stava accadendo. Olimpia era a terra ed Antinea incombeva rabbiosa su di lei, la spada in pugno e l’elsa di un pugnale che spuntava dalla sua schiena.
Olimpia l’aveva colpita. Tuttavia la guerriera non ebbe il tempo di rallegrarsi: afferrò la sua spada e si scagliò sulla sacerdotessa, decisa ad ucciderla.
<<Antinea!>> le urlò mentre la sua lama le lacerava l’addome. Xena vide il suo volto contrarsi in un’orribile maschera di dolore quando le estrasse la spada dal corpo. Fu allora che Antinea la colpì. Mentre si accasciava al suolo, le raggiunse la coscia con un fendente. Poi cadde a terra, gli occhi vuoti nella fissità della morte. Xena si inginocchiò come se in quel momento avesse sentito tutto il dolore delle ferite che aveva addosso. Immediatamente Olimpia le fu accanto, cercando di sorreggerla. La abbracciò stretta.
<<È finita amore…. È finita>> sussurrò alla regina sentendo due lacrime che le scorrevano sul viso.

Il dolore alla gamba non le dava tregua. La ferita era poco profonda, ma, nonostante la tenesse pulita, continuava a secernere liquido infetto. Stava sudando copiosamente, nonostante l’aria fosse fresca. Olimpia la guardò preoccupata.
<<Xena, va tutto bene?>> le chiese mentre continuavano a cavalcare.
<<Certo, Olimpia…> la sua risposta risultò tutt’altro che convincente.
<<Xena, tu stai male! Dobbiamo fermarci da qualche parte: hai bisogno di cure!>>
<<Non possiamo! Dobbiamo sfruttare tutto il vantaggio che abbiamo… E poi Avalon è a soli due giorni di distanza>>
Quando ebbe finito di parlare, Xena cominciò a sentire la testa pesante ed il corpo spossato. Sbatté gli occhi, cercando di riprendersi, ma fu inutile e scivolò giù dalla sella, svenuta. Olimpia riuscì a non cadere per puro miracolo.
<<XENA!>> scesa da cavallo, le toccò la fronte, madida di sudore. Bruciava.

Le trovarono il pomeriggio seguente. Viviana, allarmata da una visione, era immediatamente uscita alla ricerca delle due donne, scortata da tre Guardiane della Luna. Quando Olimpia le vide, si lasciò andare alle lacrime. Stringeva la guerriera, priva di conoscenza, tra le braccia e Viviana dovette quasi ricorrere alla forza perché le Guardiane, dopo aver improvvisato una barella, potessero adagiarvela. La regina non disse nulla fino a quando non furono ad Avalon.
<<Vivrà?>> chiese a Viviana. La Dama del Lago la guardò negli occhi e la tristezza che vi lesse le spezzò il cuore.
<<Solo la Dea lo sa>>

 

EPILOGO

 

Rimase priva di conoscenza altre due lune. Tutte le sacerdotesse di Avalon si avvicendavano al suo capezzale perché non le mancasse cura alcuna. Oltre a me, solo Viviana non lasciò mai quella stanza. Non aveva smesso un momento di pregare la Dea o di formulare incantesimi curativi, eppure la ferita non dava segni di miglioramento e Xena non riprendeva conoscenza.
Fino a quella mattina.
Mi ero assopita e fui svegliata dalla sua mano che mi sfiorava i capelli. Mi sorrideva.
Non riuscivo neppure a parlare: piansi di gioia come mai in vita mia. Mi asciugava le lacrime di continuo, dicendo <<Si piange per i morti, io sono ancora qui>>
Viviana le controllò la ferita: la pelle era più rosea ed i margini cauterizzati meno violacei. Volle mangiare.
Verso sera, poi, mi prese le mani.
<<Se dovesse accadermi qualcosa, ricorda che sarò sempre al tuo fianco >>
Poi aggiunse che era stanca e voleva riposare. Non ha più aperto gli occhi. Sono passati molti anni, ma posso ancora sentire il calore della sua pira funebre asciugarmi le lacrime.
Poche notti fa l’ho sognata: mi tendeva le mani, radiosa. Ora che ho consegnato la nostra storia a queste pagine, so che tornerà.
Ed io andrò con lei. Per sempre.