EPISODIO N. 11
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di GXP

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L’insostenibile leggerezza dell’essere - parte I

 

Capitolo 8 - Una notte insieme

 

Il tramonto si stava ormai spegnendo e l’aria si raffreddava con notevole velocità. Senza dire una parola, Xena si dedicò ad animare il fuoco. Olimpia sedeva nella solita sedia. Il nitrire dei cavalli era l’unica colonna sonora di quel momento di imbarazzo. Erano sole, ma qualcosa era cambiato rispetto a quando erano in viaggio. Grazie a Fillide erano riuscite ad allentare la tensione, sebbene per poco, ma dopo quanto era accaduto la sera prima, ogni momento era buono per esplodere. Entrambe sapevano cosa era successo, ma Olimpia ignorava che Xena avesse finto di dormire e che avesse anche letto le sue poesie, poesie che stavano creando nella principessa guerriera un vortice di domande.

Devo stare calma, devo stare calma… si ripeteva mentre con forza colpiva le braci.

- A chi hai dedicato i tuoi ultimi scritti? – sbottò, maledicendosi da sola.

Olimpia ebbe un sussulto. Xena le dava le spalle eppure sentiva il suo sguardo gelido addosso.

- Li hai letti di nascosto, Xena? -

- Li ho letti perché li ho trovati esposti - ormai aveva parlato. Tanto valeva affrontare l’argomento.

- Ti sei intrufolata nella mia stanza? – chiese, incredula, la poetessa, che sentiva violata la propria intimità.

- Ero lì solo per tastare il tipo di pelle. Dato che andavo alla polis, volevo portarti delle pergamene su cui scrivere, pensavo che ne avessi bisogno - mentì

- Potevi chiederlo a me, almeno avremmo avuto qualcosa su cui disquisire Xena - replicò Olimpia infastidita.

- Avremmo tante cose su cui disquisire Olimpia, a cominciare dal soggetto delle tue poesie -

- Non hai il diritto di leggere i miei cartigli privati -

- Eviterei di lasciarli così in vista allora. Ed adesso rispondimi - finalmente si voltò a guardarla negli occhi algidamente.

Olimpia scattò dalla sedia, parandosi davanti a quegli occhi vuoti. Si inginocchiò e le prese le spalle stringendole

- Io non lo so, Xena - lo disse scandendo ogni parola.

- Per gli dei Olimpia! - esclamò infastidita la guerriera, afferrando i polsi della barda per liberarsi dalla sua stretta

- Non sto mentendo, la mia mente è confusa: io vedo scene del mio passato e vedo il presente. Vedo noi e ricordo cosa ho fatto e sto male e l’immagine di voi si mescola e mentre scrivo di una mi appare l’altra, come posso risponderti Xena? Come posso? - la scrollava mentre gli occhi le si inumidivano.

- Olimpia io credevo che il nostro sarebbe stato un legame eterno- le rispose con voce tremante la guerriera stringendole ancora di più i polsi.

Si osservarono negli occhi. L’amazzone non sapeva rispondere. Lo aveva pensato anche lei per anni, ma poi era bastato un breve stordimento totale per rovinare tutto, per dimenticare tutto.

Si osservarono ancora mentre percepivano la reciproca forza fisica farsi incerta. Con il pollice più vicino Olimpia sfiorò la pelle dell’amica. Un brivido colse entrambe. Si guardarono stupite. Ripeté il gesto. Un altro brivido. Xena allentò la presa e permise più mobilità al bardo che, ancora in ginocchio davanti a lei, si avvicinò posandole una mano sulla guancia. La principessa guerriera chiuse gli occhi e, anche lei in ginocchio, si erse col busto baciando la mano che la stava accarezzando. Il fiato si spezzò in gola alla poetessa.

- Olimpia, chiudi gli occhi ti prego - sussurrò la mora. Olimpia eseguì.

- Avvicinati a me - bisbigliò con le labbra nuovamente appoggiate alla mano di lei. E così Olimpia fece.

I respiri si fecero più profondi, ora la mano della regina amazzone pesava sul volto di lei, la toccava come a volerne ricostruire i lineamenti, come un cieco che vede col tatto, come uno scultore che anima la creta. Sentiva sotto i polpastrelli la pelle di lei che si accaldava, il suo respiro infrangersi contro l’epidermide, le sue labbra inumidirle il palmo.

- Che cosa vedi Olimpia? - domandò in un sussurrò la principessa guerriera, mantenendo gli occhi chiusi

- … io…Te..- bisbigliò con emozione la poetessa.

Entrambe aprirono gli occhi lentamente e si sorrisero. Quasi incerte sul da farsi, tremanti, si avvicinarono ancora. I busti ormai si lambivano, gli occhi fissi in quelli dell’altra.

Xena liberò i polsi dell’amica dalla sua stretta e le braccia di lei corsero alla schiena per cingerla. Ricambiò il gesto. Si abbracciavano. Dopo mesi, dopo sogni, dopo sospiri si stavano abbracciando. Che meraviglia sentire il suo corpo imprimersi nel proprio.


- Sei ancora dell’idea che ti si concederà caro fratello? - chiese Venere, sorridente, mentre osservava la scena dal suo recipiente di marmo

- C’è il tuo zampino qui? - chiese lui scuro in volto.

- Assolutamente no ed eviterei di intromettermi -

Il Dio, visibilmente, alterato sparì.

Ricomparve poco dopo all’esterno dell’abitazione delle due. Dalla finestra socchiusa riusciva a vedere chiaramente il loro lungo abbraccio. Erano illuminate dalla luce calda del caminetto; di Xena poteva vedere solo le spalle ma si immaginava con che aria beata stringesse l’amica.

Olimpia, con gli occhi stretti, assaporava quel brivido accarezzandole la testa, infilando le dita nei capelli setosi e respirando profondamente la loro fragranza. Era come se cercasse di riscoprirla.

Nel momento di sciogliersi, aperti gli occhi, la donna vide Marte dall’aspetto ostile puntarle un dito contro dall’esterno della casa. Si contenne per non sussultare. Xena difatti non se ne accorse, tuttavia le chiese come stesse.

- Bene…Bene, Xena. È solo che… ho bisogno di prendere un po’ d’aria. Scusami - di fretta la lasciò sola per dirigersi fuori.

Appena mise piede fuori dall’uscio, il tempo si fermò. Nessun rumore, nessun nitrito, nessuna foglia al vento. Nemmeno il fresco della sera era presente. Erano solo lei e Marte in tutta la sua malignità.

- Credi che un abbraccio basti per ricucire la ferita? - le chiese con voce baritonale.

- Lasciaci in pace -

- Ti sei mai chiesta se lei non abbia intenzione di vendicarsi? -

- Tu stai perdendo il senno -

- Io? Oh no, mia cara, quella che ha perso il senno sei solo tu - con un gesto della mano creò un alone bianco in cui si proiettavano i ricordi dei giorni passati con Brunhilde. Olimpia era inorridita.

- Smettila… non puoi farmi questo..SMETTILA!- supplicò lei cingendosi la testa con le mani tentando di scacciare quei ricordi, quei “ti voglio bene” che violentemente le colpivano i timpani.

- Io non sto facendo nulla. Hai fatto tutto tu. Tu sola sei l’artefice della tua rovina! Tu hai deciso tutto questo! TU HAI PORTATO XENA A ME!-

Quelle parole fecero gelare l’amazzone. Un terribile sospetto la avvolse.

- Che intendi? – domandò, facendo trasparire le proprie perpessità

- Intendo che non sarà un brivido a sanare quello che le hai fatto e lei lo sa - alzò entrambe le mani al cielo e, con mossa decisa, protese le braccia con violenza verso l’amazzone. Un fascio bianco la investì e quei suoni e quelle visioni ora erano anche sensazioni.

- NO!- tentò di urlare mentre affondava le unghie nella terra per reggersi

- SME…SMETTILA, NO!- cercava di resistere, ma ogni volta che tentava opposizione le percezioni si facevano più profonde.

Tentò ancora ed ancora di negarsi a quel realistico abbraccio, alla voce calda della valchiria che le sussurrava “ non voglio perderti mai più”. Le ginocchia cedevano e le braccia si facevano molli, eppure la regina amazzone, con gli occhi disperati, guardava al cielo come a cercare la forza di difendersi ancora. Nelle sue orecchie sentiva la derisione per Xena “ Xena chi? Son qui con te ora!”. Visioni diverse si accavallavano a ricordi indistinti. Brunhilde la chiamava dolcemente “ io e te per sempre” e con altrettanta intensità le faceva eco la sua stessa voce ma confuse tra le parole si sentivano le voci di Xena e Marte in atteggiamenti intimi.

Il dio rideva beffardo, guardando la bionda contorcesi. La polvere le sporcava il corpo, le unghie sanguinavano e per tutta risposta lui la perseguitava col fascio di luce bianca per aumentare la sensazione.

Olimpia non aveva più saliva in bocca, respirava affannosamente, protesa verso l’alto. Con notevole sforzo alzò una mano e cadde rovinosamente a terra. Il suo corpo si contorceva. La polvere le inaridiva la gola privandola del respiro. Riuscì ad osservare il Dio dritto negli occhi e con fatica si portò la mano alla faccia. Iniziò a graffiarsi il viso sporcandosi del suo stesso sangue. Cercava di farsi dolore per svegliarsi da quella trance in cui Marte l’aveva trascinata.

- Non ti servirà a nulla, ormai manca poco - disse lentamente lui. Alzò nuovamente le mano al cielo pronto a concludere quella assurda tortura.

- ADESSO BASTA! - tuonò Venere scagliando una sfera di luce dorata contro il fratello che volò addosso alla porta della stalla.

La dea era visibilmente arrabbiata. Tutto intorno a lei c’erano fasci di luce e aloni dorati mentre un aura rosa la avvolgeva. Raggiunse di corsa l’amica che, nel frattempo, interrotto l’incantesimo del fratello, era collassata faccia a terra.

- Olimpia ti prego, alzati - le disse inginocchiandosi accanto a lei e sollevandole il viso. Ne rimase inorridita. Gli occhi dell’amazzone guardavano ancora il cielo, il volto era scavato da escoriazioni e abrasioni che bruciavano bagnati dalle lacrime. Gemeva di dolore singhiozzando.

Marte, ripresosi dall’urto, si spolverò i pantaloni di pelle e, lanciato uno sguardo di disgusto alla sorella, svanì.

La dea dell’amore tornò ad osservare l’amica e, adagiandola con la testa sul suo ventre, le accarezzò il volto, curando all’istante le lesioni: la sua mano emise un bagliore rosa molto intenso che avvolse tutto il corpo dell’amica risanando ogni male. Ciononostante l’amazzone perseverava a piangere.

Venere si morse il labbro incerta sul da farsi

- Perché non mi hai chiamata, Olimpia? -le chiese con voce rattristata.

Nessuna risposta.

La dea l’aiutò ad alzarsi. La osservò: era visibilmente indebolita con gli occhi rossi e lo sguardo spento

- A breve l’ incantesimo sul tempo prodotto da mio fratello sparirà, Olimpia -

Nessuna risposta. Le dea si guardò ancora attorno come a cercare consiglio, vide dalla finestrella, ancora bloccata dal sortilegio, la principessa guerriera che rivolgeva lo sguardo verso l’uscio. Sarebbe certamente comparsa alla porta di lì a poco una volta sciolto l’incantesimo. Trascinò allora l’amica dentro la stalla giusto in tempo per l’annullamento di quella magia.

- Questo posto è fetido! – esclamò, mentre accompagnava l’amazzone a sedersi su un covone di fieno - Olimpia, amica mia, non credere a quello che ti ha mostrato Marte. Scusami se non sono intervenuta prima… Non sapevo avesse queste intenzioni… io avevo sciolto il collegamento con voi in quel momento. -

- Non devi giustificarti, Venere. Marte ha ragione -

- Non dire sciocchezze, mio fratello è un povero illuso che spera di farla franca, ma mi sentirà, eccome! -

- Mi ha dato quello che mi sono meritata -

- Ma che dici? - la dea era inorridita.

- Ho ferito Xena come mai in vita mia. Le ho spezzato il cuore. Non merito la sua riappacificazione. Marte invece…Marte le è sempre stato fedele -

- Stai scherzando spero! - esclamò Venere semidivertita, poi continuò - Ti devo ricordare la sua relazione con Evi? Quella volta che ha messo gli occhi su di te? E si dice anche che abbia giaciuto con la stessa Irene.. se questa è fedeltà… beh, di certo è un affezionato alla famiglia- rise da sola, ma si zittì subito.

- Anche lei ha avuto molte storie ma è sempre tornata da me. Io invece non so più cosa devo fare. Lei e Marte sono uguali. E c’è sempre stata attrazione tra loro. È inutile negarlo -

- Si, mio fratello ha un certo ascendente su Xena; come lo prende a pugni lei solo Hercules la eguaglia-

- Herlcules - commentò amaramente l’amazzone.

- Senti Olimpia, mio fratello è un grande figlio di meretrice, con tutto rispetto per Giunone, quindi non devi metterti neanche per un secondo in testa che con Xena sia successo qualcosa durante la tua assenza -

- Ho sentito Fillide chiedere a Xena se voleva davvero fare quella cosa con lui. Stanno tramando alle mie spalle -

- Sai di cosa parlavano?- chiese con tono preoccupato la dea.

- No -

- Allora non temere. Lascia scorrere il tempo e vedrai che le cose torneranno a loro posto-

- Tu sai qualcosa?-

- Olimpia dove sei? - la voce di Xena interruppe la conversazione.

- Vai da lei e dimentica mio fratello- le sussurrò velocemente la dea prima di svanire


Ancora dolorante nonostante alcun segno lo rendesse evidente, Olimpia uscì dalla stalla. Xena vedendola si illuminò ma divenne subito scura quando vide non ricambiato il suo sguardo.

- Tutto bene? - le domandò, poggiandole una mano sulla spalla

- Si - disse visibilmente scossa la donna

- Sei congelata, forza entriamo in casa -

- Credo andrò a dormire, ho un po’ di mal di testa - mentì .

- Che cosa è successo, Olimpia? - chiese seriamente la principessa guerriera

- Nulla. Solo… -

- Ancora le tue visioni confuse? -

Olimpia si girò di scatto verso di lei guardandola negli occhi. Le mie visioni confuse..come fai a dirlo cosi? Pensò con fastidio.

- Qualunque cosa tu abbia visto credo che dovresti concentrarti solo sul presente - le disse calma la guerriera.

Erano ormai giunte sull’uscio. La prima ad entrare fu la regina amazzone. A passo lento si diresse verso la sua stanza.

- Non mi rispondi? -

- Sono molto stanca Xena… buona notte - la lasciò chiudendosi la porta alle spalle.


Capitolo 9 – il vento freddo del nord porta consiglio e non solo quello.


Mancavano ormai pochi giorni al suo genetliaco e di Fillide non si era ancora saputo nulla. Era partito solo da un giorno, ma Olimpia sperava che tornasse presto per ristabilire un po’ di quiete. Sentiva di non meritarsi nessun festeggiamento ed anzi, meditava di andarsene appena salutato Virgilio, semmai si fossero visti in quell’occasione.

Quella notte aveva dormito profondamente e stranamente senza sogni. Era stato cosi travolgente ciò che le aveva fatto passare Marte che non aveva neanche la forza di sognare. Ancora stretta tra le coperte osservava lo scrittoio. La pergamena letta da Xena era ancora li. Ripensò alla sera precedente, a quell’abbraccio. Quanto lo aveva desiderato negli ultimi mesi. Certo, litigavano e si parlavano poco, ma quando il ricordo di Brunhilde non interferiva nelle sue azioni, sentiva di volere ancora Xena per sé. Eppure Marte le aveva aperto gli occhi: non doveva essere lei a scegliere se stare con Xena o Brunhilde. Era Xena che doveva scegliere se voleva ancora stare con lei. In caso contrario, si sarebbero dette addio e lei sarebbe tornata come un cane zoppo alla casa del padrone da cui era stato cacciato, supplicando di essere ancora il fedele segugio dei tempi migliori. Ma Brunhilde l’avrebbe voluta con sé? Non si era fatta più vedere. E come poteva? Si trovava nelle gelide terre scandinave a combattere per far risorgere il suo mondo, a proteggere i propri dei, così diversi dai suoi... Ma Brunhilde aveva dei poteri, era una valchiria, possibile che non potesse mettersi in contatto con lei? Forse semplicemente l’aveva lasciata andare e non voleva che tornasse indietro. Infondo si era sempre detta restia a cominciare una vera relazione perche lei sapeva che il legame con Xena era ancora vivo. Lei sapeva.

Si fece forza per uscire dal letto. Si sciacquò il viso e andò nella sala vuota. Esattamente come il giorno prima era sola in casa. Si sarebbe aspettata Xena lì ad attenderla, dopo il modo in cui si erano lasciate la sera precedente, per chiarire o per sapere se il “mal di testa” fosse migliorato, ma di lei nessuna traccia e nessun indizio che suggerisse dove avrebbe potuto essere. Andò alla stalla, anche Argo non c’era.

Se ne è andata?

Montò sul suo cavallo e partì al galoppo verso la polis, girando a vuoto per ore. Di lei nessuna traccia. Nessuno l’aveva vista. Sconfortata tornò a casa, aspettando di vederla tornare.

Xena quella mattina si era alzata decisamente presto. Aveva lustrato il pelo ad Argo e affilato la spada mentre la cavalla si nutriva per a colazione. Con il sole ancora basso, era partita al galoppo verso il villaggio di Edos, una località non molto distante in cui Marte le aveva assicurato che avrebbe trovato ciò che cercava. L’esperienza della notte prima l’aveva segnata. Si erano abbracciate e aveva percepito che c’era ancora del sentimento tra loro. Doveva quindi tentare anche questa missione che se fosse fallita l’avrebbe condotta tra le braccia e nel letto del dio della guerra. Il solo pensiero la disgustava, non poteva davvero credere di aver stipulato un altro accordo con lui. Ma già una volta lo aveva gabbato. Ci sarebbe riuscita anche stavolta.

Cavalcò spronando l’animale a dare del suo meglio: voleva sfogarsi sentendo le carezze del vento sul corpo, voleva cancellare l’odore della notte prima e i cattivi pensieri del suo futuro qualora avesse mancato l’obiettivo.

Arrivata al villaggio, smontò da cavallo con fare spavaldo. Erano circa le 10 del mattino. Il sole non era troppo caldo e nel centro i mercanti stavano già facendo affari con viandanti ingenui e con abili truffatori. Legò mollemente le redini al passamano di una locanda, vicino ad un abbeveratoio, e si diresse all’interno della locanda stessa.

- Ho sentito dire che qui c’è qualcuno che vanta di avermi ferita. Posso avere l’onore di conoscerlo? - disse con disinvoltura mostrando un ghigno beffardo.

- Dipende da chi sei donna - le rispose un uomo di spalle appoggiato al bancone

- Saresti? - chiese con fare snob la guerriera.

L’uomo poggio il suo calice e si voltò lentamente ergendosi in tutto il suo metro e novantasette. Vestiva di pelle con stivali al ginocchio neri dalle punte lucide. Alla cinta reggeva una enorme spada, la cui elsa era cosi lunga da toccargli il petto. Su un fianco teneva una sacchetta e la grossa fibbia scintillava per via della pietra rossa incastonata al centro. Si sistemò i polsini di cuoio in cui erano incastonate altre pietre rosse mentre gli orli erano di pelo sudicio. Al petto portava delle cinghie intrecciate con catene che si incrociavano sia di fronte che sulla schiena. La maglia che indossava sotto le catene era visibilmente sudata e la barba bionda con lunghe trecce accompagnava un viso ovale dagli occhi stretti e azzurri, circondati da folte sopracciglia e da una chioma semilunga raccolta con un laccetto.

- Sono Krug il nordico, ovviamente! - disse trionfante

Un nordico. Tsè ... Maledetto Marte!

- Krug? Mai sentito - commentò stizzita la guerriera - Credo che non sia tu l’uomo che sto cercando-

- Forse perché ti ho ferita così duramente che non rammenti di me per la paura... Ma dimmi tu chi sei-

- Beh, un tempo mi chiamavano la “distruttrice di nazioni” -

- Xena?! -

- Vedo che mi conosci, ma non rammenti di avermi ferita: forse sei tu che per lo shock hai scordato tutto. Parecchie volte sono stata ospite nel vostro paese e anche di recente ne ho sistemati parecchi-

- Non ho mai avuto il piacere di sconfiggerti prima d’ora, ma non mancherò l’occasione, principessa guerriera – disse, allungandosi minaccioso verso di lei.

- Non nella mia locanda vi prego - piagnucolò l’oste.

- È questo il ringraziamento per aver salvato le tue terre dal Ragnarok? – disse Xena voltandosi e uscendo dalla taverna.

- Xena, codarda, non mi affronti? -ruggì lui seguendola a passi pesanti.

- Certo che lo farò - rispose lei con fare sicuro di sé apredo la porta ed uscendo - Evito inutili danni ad un onesto lavoratore - concluse voltandosi nuovamente per osservalo negli occhi

- COMBATTI, DONNA!- ringhiò l’avversario, lanciandosi su di lei che nel frattempo aveva raggiunto lo spiazzo esterno.

Iniziò un facile duello per la principessa guerriera: Krug era molto alto e robusto, ma altrettanto lento. Evitare i suoi colpi era fin troppo semplice.

- Vuoi provare con la spada?- suggerì delicatamente la guerriera

Il vichingo ruggì estraendo la sua arma dall’elsa dorata e decorata con pietre rosse. Anche Xena sfoderò la sua e la fece roteare tre volte invitando il combattente a farsi sotto. Alzata la lama al cielo, un ennesimo ruggito preannunciò l’attacco. Il nordico era decisamente più abile di spada, stimolando Xena a dare il meglio di sé. Lo scontro iniziava a farsi interessante per lei. I fendenti vibravano dell’aria scintillando ad ogni incrocio, i colpi si susseguivano rapidamente nonostante la potenza con cui venivano inferti e i piedi strisciavano nella polvere alzandola. Tutto intorno era incitamenti e tifo senza parte. I più coraggiosi stavano sul ciglio della strada scappando solo quando vedevano i duellanti troppo vicino. Nessuno dei contendenti badava al pubblico. Quando lo scontro tra le lame si prolungava in un gioco di resistenza sotto la spinta dell’altro, Krug si avvaleva anche di calci nei fianchi per destabilizzare Xena, la quale a sua volta non gli risparmiava colpi ai reni con le ginocchia. Durante uno di questi contenziosi il vichingo estrasse da sotto l’elsa della sua enorme spada un coltello lungo e sottile dalla piccola impugnatura intarsiata delle stesse pietre rosse, ma di taglio più piccolo. Tentò più volte di mirare con decisione al petto dell’avversaria, ma sempre con scarso successo, a causa dei pugni dritti al naso che lei gli serviva senza sosta.

Si staccarono e entrambi indietreggiarono. Respiravano affannosamente e il sudore scivolava sugli occhi fino alla lingua. L’enorme uomo si rimise in posizione d’attacco e, con molta rapidità, finse di partire di corsa verso la principessa guerriera che si mise sulla difensiva. Invece di attaccarla, però, Krug lanciò il piccolo pungnale dritto al collo avversario. Fu un attimo e Xena , sfoderato il chakram, parò il colpo. La lama si fermo proprio sulla pelle, incastrata con l’elsa all’impugnatura del cerchio rotante. Una goccia di sangue comparve tra lo sporco di polvere e sudore.

Krug si stava dimostrando un degno avversario nel combattimento armato, molto più abile di quanto si aspettasse Xena la quale stava iniziando ad esaltarsi. L’adrenalina le saliva dritta al cervello. Si toccò la piccola ferita e fece scomparire il sangue dalle dita strofinando l’indice e il pollice. Quindi guardò elettrizzata il nemico e, stringendo l’elsa della sua spada da una parte e il chakram dall’altra, si scagliò contro di lui.

Lo ingannò con la stessa tecnica: invece di affondare un colpo, assestò un calcio all’impugnatura della spada nemica, disarmando il vichingo che aveva assunto una posizione di difesa. La spada volò alta, dritta sopra di loro. Con un colpo di charkam la guerriera deviò la sua traiettoria facendola cadere qualche metro più indietro. Kurg seguiva la rapida mossa con gli occhi per muoversi velocemente verso la propria arma.

- Hei - lo chiamò Xena a pochi passi da lui, tirandogli un dritto al naso.

Il nordico barcollò all’indietro di pochi passi, urtando un pastore tra i temerari curiosi. Si impossessò del suo bastone, facendolo roteare velocemente da una mano all’altra. Poi, afferratolo con due mani, lo puntò, ruggendo, come una lancia verso la guerriera.

Xena era entusiasta e, rifoderata la sua di spada e riappeso il chakram alla cintola, si sputò sulle mani strofinandole tra loro.

- Bene, inizio a divertirmi - lo incitò.

- Riderai ancora per poco - tuonò l’altro.

In pochi passi fu davanti a lei. Il colpo secco di punta allo stomaco della guerriera fu saldamente parato da quest’ultima che , con sguardo astuto, fece a sua volta roteare il bastone costringendo l’uomo a mantenere il legno parallelo al terreno. Krug cercava di opporle resistenza stringendo tenacemente l’arma, ma l’azione fu cosi rapida che egli faticava a capire come difendersi. Una volta trovatisi faccia a faccia con la sola asta a dividerli, Xena usò il bastone come una parallela, e fatto un balzo, roteò con le gambe al cielo, portandosi perfettamente verticale a testa in giù. L’urlo di battaglia della principessa guerriera riecheggiò. In pochi secondi si slanciò verso l’alto con la forza delle braccia e, spostato il baricentro, fece una capriola in volo sopra la testa di Krug, atterrando esattamente alle sue spalle mantenendo l’equilibrio con le mani salde a terra.. Facendo un'altra capriola raso terra tornò in posizione eretta. Una mossa così incredibile che lo stesso nemico faticava a razionalizzare l’accaduto. Si stava girando quando un sonoro calcio lo colpì al coccige, facendolo cadere all’istante, ma anche lui, con una capriola, si riportò in piedi pronto per un nuovo attacco.

- Uh huhhh, mi piace - esclamò enfatica la guerriera. Si rimise in posizione di difesa.

Il grugnito emesso dall’uomo, sporcandosi la barba di gocce di bava, presagì l’attacco frontale. A pochi secondi dall’impatto il vichingo si abbassò facendo perno sul piede destro e, roteando su se stesso, fece lo sgambetto a Xena colpendola ad una gamba.

La principessa cadde sulla schiena ruotando sui fianchi per evitare i possenti affondi di piede che il nemico le stava sferrando facendo tremare il suolo. Riuscì a parare un colpo deciso a pochi millimetri dal suo naso. Il fetido odore della suola impolverata e vecchia le perforava le narici. Stanca di subire, strinse ancora di più il piede e con mossa decisa lo roteò violentemente in senso orario. Un rumore di ossa e tendini accartocciati si estese per tutta la piazza insieme alle urla disperate dell’uomo che a sua volta roteò in volo e, caduto all’indietro, si contorceva dal dolore.

Xena si alzò da terra, levandosi la polvere di dosso con secche pacche sulla pelle e sull’armatura. Si sistemò i capelli con una passata sotto l’orecchio e, come a deridere il ferito, fece scrocchiare le ossa del collo con lenti movimenti circolari. Raggiunse l’antagonista. Tutti si erano zittiti quando avevo assistito alla scena del piede torto. Paratasi davanti a lui, con una smorfia, gli afferrò il piede sofferente. Chi ancora osava respirare trattenne l’aria in gola temendo che la guerriera volesse finirlo.

Osservata la condizione della caviglia, la principessa guerriera osservò dritto negli occhi Krug e, sfoderato un sorriso beffardo, con mossa decisa, roteò nuovamente il piede ma nella direzione opposta delle precedente torsione.

Io nordico emise un urlo di terrore che si poteva veder anche nei suoi occhi azzurri stanchi e sofferenti, ma si calmò subito: il dolore era sparito. Si mise seduto pronto a risollevarsi. Xela gli tese il braccio ma lui negò il suo con stizza.

- Non è rotto. Ti ho sistemato la caviglia, devi solo farla riposare per qualche giorno - detto ciò gli diede due pacche sui polpacci. Si voltò e si diresse verso Argo.

Un bagliore azzurro le illuminò il lato sinistro del corpo mentre montava a cavallo

- Oh, Marte, non scocciarmi proprio ora! - chiese con tono supplichevole la guerriera

- Anche io sono felice di vederti, Xena - commentò lui. Si voltò a guardare l’uomo ancora seduto.

- Vedo che hai fatto come ti ho detto. Dov’è? - continuò il dio concludendo con una punta di imperiosità.

- Eccolo - rispose lei estraendo dallo stivale il pugnale sottile sottratto a Krug durante il combattimento

- Farai come ti ho chiesto? - domandò seria

- Certamente, ma il successo di questa impresa non dipende da me -

I due si osservarono negli occhi, lui con particolare interesse.

- Non credi che sia il caso di darmi un acconto sulla ricompensa? Sai, per stimolarmi a fare il lavoro nel miglior modo possibile - suggerì lui maliziosamente poggiando una mano sul ginocchio di lei.

Con scatto felino Xena sferrò una ginocchiata in bocca al dio, che barcollò tenendosi il volto tra le mani.

- Ti basta come anticipo? - disse lei stizzita spronando la cavalla.

- NON ERANO QUESTI I PATTI XENA! - tuonò lui iracondo.

- E da quando gli dei rispettano i patti? - ribatté lei, concedendo solo una rapida occhiata furente al dio.

- XENA, COSÌ NON FACILITI IL MIO COMPITO, MI HAI CAPITO? – urlò ancora lui.

La principessa guerriera fermò il cavallo. Si voltò lentamente col busto per guardare meglio negli occhi il dio della guerra.

- Non provare a svolgere male il tuo incarico, Marte. Sai bene che saprò riconoscere se fallisci volutamente ed allora sarò io a mantenere il mio patto – dettò ciò incitò Argo al galoppo, sparendo nella vicina boscaglia non prima di aver afferrato un sacco contenente verdure e lasciato alcune monete in cambio. Il dio a sua volta si dissolse con aria disgustata.

 

di GXP

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