EPISODIO N. 8
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di Xandrella

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Deligere oportet quem velis diligere

Bisogna scegliere chi si vuole amare (Cicerone)

 

(Grazie a Nihal e a Dori per le poesie, che leggerete rispettivamente nell’ordine di citazione delle autrici. Con questo racconto penso di prendermi una lunga e meritata pausa dalla scrittura. Preferisco dirvi arrivederci, perché gli addii non mi sono mai piaciuti. Xandrella)

 

Prologo

 

 

Olimpia si sentiva utile, anzi indispensabile nella casa dei Cigni. Con il passare delle settimane, imparava una quantità di cose sulle erbe medicinali, sulle diagnosi delle malattie e sul modo di curarle. L’applicazione di panni bagnati d’acqua tiepida riduceva la febbre, gli infusi di cortecce sminuzzate e polverizzate di certi alberi, lenivano il dolore. Le piaghe infette guarivano, a volte, ai più fortunati, con impacchi di vino e miele. Desiderosa di apprendere di più, seguiva i guaritori volontari più esperti nei loro giri, osservando con dedizione il loro lavoro nella speranza di diventare brava quanto loro e di poter insegnare ad altri dopo di lei.

La bionda poetessa si avvicinò al giaciglio illuminato dal debole sole invernale e guardò Bolgio sperando di scorgere qualche miglioramento. Sembrava ancora molto malato e almeno di venti anni più vecchio rispetto alla sua età. Quella mattina lo aveva aiutato a lavarsi e mentre sostituiva le bende della ferita, si era accorta che un infezione impediva alla carne di rimarginarsi. Durante i giorni successivi all’aggressione, la guarigione dell’uomo era stata lenta e dolorosa a causa di una ferita al torace molto profonda. Sicuramente non avrebbe più ritrovato la forza di un tempo, quando riusciva a vincere contro cinque guerrieri nella furia della battaglia, ma questo nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo. Ripeteva che Odino si era rifiutato di chiamarlo nel Valahalla perché doveva combattere ancora molte battaglie in suo nome.

Un colpo di tosse e il volto di Bolgio si contrasse in una smorfia di dolore. – Ti senti bene? – domandò Olimpia.

L’uomo annuì. Parlava di rado, ma ogni mattina quando la poetessa gli faceva visita, ascoltava con molta attenzione della sua giornata di lavoro con i malati e delle scoperte sulle virtù delle erbe. All’inizio Olimpia pensava che si annoiasse: - Sto parlando a vanvera, Bolgio? – gli aveva chiesto una mattina. – Una mia amica mi diceva che parlo troppo. Vuoi che vada via? – L’uomo le aveva risposto con uno dei suoi rari sorrisi. – Aveva ragione la tua amica ma parla pure. Se mi annoierò te lo dirò. –

- Oh grazie. Allora non devo preoccuparmi – ironizzò, riprendendo il suo racconto di Xena contro le arpie mentre l’uomo socchiudeva gli occhi in un’espressione di pace profonda. A lui e a molti altri, il bardo regalava avvincenti storie di sconosciuti dei e coraggiosi eroi. Ognuno di loro, presto o tardi, le avrebbe chiesto chi era Xena, protagonista di quasi tutte le sue storie e allora Olimpia avrebbe narrato della sua forza e del suo coraggio. Ogni volta in modo diverso, ogni volta con la gioia di far rivivere i suoi ricordi…

 

 

Le dita affusolate correvano veloci sulle parole della ruvida pergamena completamente srotolata sul letto. Era stata Olimpia stessa a insegnarle a leggere il greco e adesso Brunilde, profanava i suoi segreti custoditi malamente tra le pieghe gialle di quel foglio nascosto tra i vestiti dell’armadio.

“Tu sei il mio silenzio, il peccato di ogni ora a cui so, di non poter rinunciare…” tre violenti colpi al massiccio legno della porta interruppero la lettura nel modo peggiore. Brunilde scattò in piedi e diede istintivamente le spalle alla porta mentre cercava inutilmente di avvolgere in tempo il lungo papiro.

Dall’ingresso fece capolino la giunonica Fulla che quasi inciampando nel lungo grembiule, richiuse di corsa la porta alle sue spalle.

-    Sei tu? Mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo che Olimpia fosse tornata a casa all’improvviso! –

-         Sciocca di una nipote! Cosa credi di fare china su quelle carte tutte la mattina! Te l’ho già detto: le devi parlare! – Il tono di Fulla era sempre più alto e Brunilde scuoteva nervosamente la testa color oro, sperando che questo potesse bastare a fermare la sua predica. – Non farmi pentire di averti detto che scrive di nascosto! –

-    Per favore! – La nordica agitò le mani in aria come a volerle picchiare a palmo aperto su un tavolo e finalmente l’incontenibile Fulla si fermò. – Abbassa la voce per favore, o vuoi che tutti i servi di questa casa sappiano che la loro padrona fruga nelle cose della compagna in sua assenza? – Fulla alzò gli occhi al cielo, chissà quale preghiera stava rivolgendo ad Odino…

-    Se i miei sospetti corrispondono a verità, l’ultima cosa da fare è precipitarmi a parlarne con Olimpia. Voglio dominare da sola le mie paure e sapere cosa è giusto fare per entrambe. – Riprese ad arrotolare la pergamena, questa volta con cura e precisione in modo che la proprietaria non si accorgesse del misfatto. Stava sudando, nonostante la neve fuori dalla finestra cadesse fitta e leggera. Cosa avrebbe pensato di lei Olimpia, se l’avesse scoperta?

- Cos’hai trovato lì dentro? – azzardò a domandare Fulla. Fino a pochi giorni prima chiusa nel dignitoso ruolo di governante modello di quella grande casa.

- Poesie… la mia Olimpia è sempre bravissima a comporre versi. – Lo sguardo interrogativo di Fulla elemosinava dettagli più rilevanti.

-    Niente che possa confermarmi che ha recuperato la memoria. Sono solo poesie… torna alla tua tranquilla cucina, qui non c’è niente per due donne sospettose come noi. – mentì l’ex valchiria evitando lo sguardo indagatore della zia.

-    In ogni caso, hai fatto bene a dare un’occhiata. Meglio qualche piccola bugia che distruggere il vostro bellissimo rapporto per colpa dei segreti taciuti troppo a lungo. – Fulla riaprì la porta e uscì dopo aver verificato che il corridoio fosse libero da occhi e orecchie indiscrete.

Brunilde rigirò nervosamente tra le dita una delle bionde treccine che le acconciavano la lunga chioma bionda sulle spalle. Segreti taciuti aveva nominato Fulla pochi attimi prima di uscire. E Brunilde ebbe un sorriso amaro per la sua perspicacia, ricollegando quelle parole ai silenzi della poesia.

 

 

Quando raggiunsero la riva del fiume il buio della notte aveva lasciato spazio ai tiepidi raggi del sole. Si voltarono per l’ultima volta a salutare un gruppo di ragazzi in cima alla collina. Dietro di loro, la grande costruzione circolare di pietra ricordava il lungo periodo trascorso insieme. Tra allenamenti, liti e lezioni di vita, Xena e Fillide erano riusciti a sentirsi a casa per un po’.

- Peccato che anche questa impresa sia conclusa. Mi divertivo in mezzo a tutti quei ragazzi. – disse il figlio di Corilo con aria mesta.

-    Ah si? - Il sorriso beffardo della guerriera gli dimostrò quanto fosse equivoca la sua frase.

-    Certo! Voglio dire, non capita tutti i giorni di riportare sulla buona strada dei giovani delinquenti come quelli. – e dicendo questo riportò con un buffo gesto le braghe larghe e cascanti, al posto giusto.

-    Non erano veri delinquenti. –

-    Lo so, ma quando hai certi genitori è facile seguire una cattiva strada. Oh guarda… - Il giovane interruppe la marcia con lo sguardo rivolto a ovest: il sole ancora celato tra grosse nuvole dietro le montagne, appariva prigioniero di chissà quali armate nascoste tra nebbie e cerri rossi. - Quando il cielo diventa di fuoco, tutto può accadere, dicevano le amazzoni –

-    Cosa ancora potrebbe accadere Fillide? Cerca di essere più preciso se vuoi stupirmi con certe frasi. – Lo afferrò per un braccio e lo tirò in avanti costringendolo a riprendere il cammino.

-    Non lo so… Mia madre non aggiungeva mai niente quando me lo diceva! –

-    Lo so Fillide, dicevo per dire. Sai dove ce ne andiamo adesso, in barba a quei nuvoloni? – lo prese sottobraccio convinta che avrebbe approvato la sua proposta.

-    Sulla cima della montagna ad aspettare che cadano i fulmini? –

-    No… andremo a cercare una taverna sperando che servano della birra fresca. Che ne dici? –

-         Fantastico! Speriamo che abbiano anche del pollo. Stanotte ho sognato di rincorrerne  uno per i prati e adesso ne ho proprio voglia! – Xena rimase senza parole: come poteva essere così innocente e … idiota? Le ricordava tanto Corilo e nonostante spesso si mettesse nei guai, le piaceva averlo come compagno d’avventure. Le sue trovate la mettevano di buonumore ma non sempre era facile portare pazienza. Specie per una donna come Xena… - Avrai il tuo pollo, guerriero! Coraggio, da questa parte, conosco la strada. -

 

 

Capitolo 1 Il passato ritorna

 

-         Perché non me lo hai detto? – Le sue mani tremavano mentre la ruvida pergamena si piegava malamente, stritolata dall’incontrollabile violenza dei palmi serrati intorno ad essa. Olimpia dischiuse le labbra ma non ne uscì nessuna parola. Solo uno sconnesso singulto, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo, rigandole il viso. Si voltò di spalle e trovò come unico sostegno il pesante drappo di velluto che faceva da tenda alla piccola finestra.

-    Mi avevi promesso sincerità Olimpia. Era l’unica cosa che ti avevo chiesto. – Attese. Ancora e ancora… voleva sentirla negare a gran voce che si stava sbagliando. Quei versi potevano non essere ciò che tanto temeva: il ritorno di Xena nel cuore e nella mente della sua Olimpia. Non era più disposta a dividerla con nessuna. Aveva ottenuto il suo lieto fine e non intendeva cambiarlo.

– Perché non mi rispondi Olimpia… - strinse più forte quella maledetta pergamena poi la lanciò sul letto in segno di resa. Sconfitta. Perché Olimpia non sapeva mentire? Avrebbe accettato qualunque scusante pur di riavere la loro vita identica a pochi attimi prima.

-    Ti prego, non voglio litigare con te. Non lo abbiamo mai fatto… spiegami cosa sta succedendo perché io non lo so più. C’è qualcosa che non mi hai detto? … Ti va… ti va di parlarne adesso? – Non sapeva se Olimpia aveva paura quanto lei in quel momento, ma di sicuro sentiva il cuore andarle in pezzi. Il suo innato autocontrollo le impediva di aggredirla con mille domande. Doveva avere pazienza e saper ascoltare ciò che mai avrebbe voluto sentire.

Olimpia sembrava implodere, china su sé stessa a fissare un punto indefinito del pavimento grezzo. Non un movimento, né una parola. Nemmeno di fronte a tanta disponibilità al dialogo. Fu in quel momento che Brunilde si arrese all’evidenza: Xena era tornata tra di loro e nulla sarebbe più stato come prima.

Lasciò silenziosamente la stanza e si diresse con passo affrettato alle stalle, in cerca del suo cavallo più veloce. Voleva correre lontano e rimanere da sola per un po’.

Olimpia la vide attraverso la finestra mentre si lanciava al galoppo tra la neve e pianse amaramente per sé stessa e per il dolore che stava infliggendo alla persona più buona che avesse mai conosciuto. Doveva amarla. Xena non esisteva più e l’avrebbe rimossa, messa da parte in qualche modo. Un modo che ancora non conosceva…

 

Il vento sollevava microscopici cristalli di ghiaccio e prendeva colore nel vuoto del dirupo innevato. Sentiva il freddo attraversarle la pelle e bloccarle lo stomaco. Era dritta davanti al precipizio senza timore e questo era la prova che nemmeno la morte le importava al pensiero di perderla. Se il vento l’avesse sollevata in quel momento… poteva dimenticare tutto. Anche Olimpia. E questo pensiero diventava sempre più allettante.

- Brunilde… - Sembrava la sua voce… si voltò e vide una donna in armi con i capelli d’oro agitati dal vento che le tendeva una mano. – Che cosa fai lì? Vieni con me…- Il viso familiare e la voce di Olimpia…

-  Vieni Brunilde… - Allungò lentamente una mano e non appena l’ebbe afferrata, venne attirata tra le sue braccia. – Che cosa volevi fare? Ti senti bene? – Le immagini divennero all’improvviso sfuocate, poi la neve avvolse tutto quanto. Compresi i suoni. Sentì le forze mancare e non riuscì più a tenere gli occhi aperti.

 

Strinse la mano calda che le massaggiava delicatamente il polso e quando il bianco ovattato si diradò, donandole nuovamente i colori tenui e sbiaditi del paesaggio innevato, vide Grinilde china su di sé.

- Per fortuna hai ripreso conoscenza. – I boccoli biondi sulle sue spalle ondeggiavano al vento. Prese a fissarli per non fare troppo caso all’armatura e all’elmo scintillante, che un tempo non lontano aveva portato anche lei con orgoglio. La valchiria sembrava piuttosto preoccupata e ne aveva ogni ragione. Brunilde si vergognava di aver anche solo pensato di saltare nel vuoto. Si vergognava di essere svenuta e di restare ancora distesa per terra, immobile e in cerca di protezione. Come si era ridotta in quel modo? Dove erano finiti i tempi in cui combattevano fianco a fianco per l’eroe prescelto da Odino? Aveva sempre pensato di essere una guerriera migliore delle altre: leale, coraggiosa e forte. Più della stessa Grinilde. In poche lune aveva perso se stessa insieme con l’armatura e un posto d’onore ad Asgard. Davvero dunque, non meritava di rimanere nelle schiere del re degli Asi. Sapeva che l’amore per Olimpia avrebbe significato rinuncia, ma non ne aveva compreso il vero significato. Odino non l’aveva punita costringendola a scegliere tra l’amore e il suo incarico di valchiria. La sofferenza di quella scelta obbligata era di poco conto rispetto al cambiamento che era avvenuto in lei e che non l’avrebbe più resa la stessa guerriera del passato. Una volta l’onore occupava il primo posto nella mente e nel suo cuore. Con Olimpia aveva dato altre priorità alla sua esistenza. E adesso senza l’amore del bardo…

- Cosa sta succedendo? – domandò l’amica mentre Brunilde si rimetteva in piedi riluttante a farsi aiutare.

- Io… sto bene. Non so come sono finita fin quassù. – un sorriso forzato le mutò il viso in una maschera poco convincente per chi la conosceva bene.

- Dovresti tornare a casa. Credo che sia in arrivo una forte nevicata e il tuo cavallo potrebbe non farcela. –

- Già… il mio cavallo non può volare come il tuo e le mie vesti per quanto pesanti non mi scalderanno mai a sufficienza quanto i tuoi. –

- Non volevo fare paragoni. –

- Non sono più una valchiria, lo so bene. Ho avuto la sfortuna di innamorarmi. Per di più della persona sbagliata. – Il tono aspro di Brunilde rivelò quale fosse il vero problema.

- E’ per Olimpia dunque… -

- Già. Ho avuto il mio momento di gloria ma è durato poco. Come tutte le belle cose del resto. –

- Vuole tornare in Grecia perché ha recuperato la memoria? – chiese, dopo aver inutilmente aspettato una spiegazione.

- Non lo so… - Grinilde annuì al pensiero che con tutta probabilità si trattava di una notizia recente e questo spiegava l’atteggiamento aggressivo di Brunilde nei suoi confronti. Aveva avuto la sua parte in quella scelta inneggiando alla felicità e al coraggio di amare. Forte dell’esperienza personale e delle sue convinzioni. Possibile che avesse preso un abbaglio? - Spero tanto per voi che le cose si sistemino. –

- Credo che questa sera ne riparleremo. – disse avvicinandosi al suo cavallo piuttosto riluttante a farsi montare. L’amica la seguì, incerta su cosa dirle.

- Brunilde… -

- Mi dispiace per prima. Non ho mai accettato di buon grado l’idea di non essere più una valchiria. Mi è stata tolta la parte migliore di me. Credevo che l’amore per Olimpia potesse colmare quel vuoto e per quanto l’idea mi piacesse, non ci sono riuscita. Ti invidio Grinilde. Sei una donna fortunata. Amare Odino ed essere una valchiria si sono concretizzati per te, in una cosa sola. –

- Hai ragione. Pregherò le Norne di esserti benevole amica mia. Meriti di essere felice. Non hai mai conosciuto invidia ed è ingiusto che tu debba cominciare ora. Eri una delle migliori di noi. –

- Già... ero. – Sottolineò Brunilde, interrompendo il suo discorso e issandosi in groppa al cavallo. L’animale avanzò di pochi passi, poi la donna si voltò indietro, mossa da un dubbio – Cosa ci facevi qui? –

- Sono venuta a portarti un messaggio di Odino… -

 

 

- Salve Xena – Il dio della guerra fece la sua comparsa in modo inusuale entrando dalla porta. Prese posto sullo sgabello accanto alla Principessa Guerriera e si lasciò servire della birra fredda.

- Marte. Qual buon vento? – chiese accavallando le gambe sullo sgabello traballante.

- Di tempesta! Ho sentito delle voci poco rassicuranti che riguardano le terre di Odino. – disse con disinvoltura, fingendo di non vedere l’espressione del viso di Xena che mutava completamente.

- E perché vieni a dirlo a me? – sbottò la guerriera, in attesa di spiegazioni che ben immaginava…

- Ho pensato che poteva interessanti. So che di Olimpia ormai non te ne importa niente ma, sei stata una valchiria giusto? –

- E con questo? – chiese lei, ignorando completamente la prima parte della frase.

- Allora potresti ricevere qualche visita nei prossimi giorni. Il vecchio straccione ha bisogno di aiuto e sta radunando tutti i suoi guerrieri migliori. – disse riferendosi a Odino, re degli Asi. Anche stavolta, Marte riusciva a confondere la mente più attenta, con le spiegazioni a metà e i discorsi contorti. Xena iniziava già a domandarsi dove andare a cercare in quel discorso, il tornaconto personale dell’ambizioso dio della guerra…

- Aspetta un momento. Odino sta richiamando ai suoi ordini tutte le valchirie, per fare cosa? –

La risposta fu un largo sorriso compiaciuto. – E’ una questione piuttosto seria per il vecchio. – commentò a bassa voce avvicinandosi all’orecchio della principessa guerriera. – Pare che abbia avuto in una delle sue visioni una brutta premonizione e da tempo non si occupa di nient’altro. – ghignò con un sorriso beffardo stampato in volto.

-    Che tipo di visione? –

-    Mi chiedi troppo. Non mi occupo delle terre del Nord fino a questo punto. Ho già fin troppo da fare per conto mio per interessarmi dei pettegolezzi! – La frase sembrò divertente come una barzelletta ascoltata tra i fumi del vino ma Xena trovò molto più conveniente evitare di ridere in faccia a Marte, prima della fine del discorso. Di sicuro conosceva molto di più di quel che sembrava…

-         Andiamo Marte, vuoi farmi credere che non ne sai nulla? Se ti scomodi per venire sin qui a dirmelo avrai le tue buone ragioni, dico bene? – Improvvisamente ad entrambi quel posto sembrò troppo affollato per parlare. Dopo una rapida intesa pagarono i bicchieri ancora pieni e uscirono in strada diretti nel posto migliore che potessero trovare a portata di gambe: un vicolo angusto e maleodorante, lontano da occhi e orecchie indiscrete.

-    La profezia sta per avverarsi Xena e se ho davvero una valchiria davanti a me, non puoi non sapere di cosa sto parlando. – Marte la guardò dritto negli occhi afferrandola per le spalle. – Odino teme il caos e il nuovo mondo che ne nascerà. Potrebbe non esserci alla fine di tutto. Esattamente come è successo a Giove… Si dice che la testa di Mimir abbia ripreso a parlare ad Odino. – La principessa guerriera avvertì un brivido lungo la schiena a sentir pronunciare quel nome.

-    E tu vuoi che io partecipi, per aiutarti a prendere il comando delle terre del Nord, ho indovinato? – Voleva mettere subito le cose in chiaro con lui: non si sarebbe lasciata manovrare mossa dalla vendetta e dal risentimento per Olimpia e Brunilde. Troppe volte negli ultimi tempi l’aveva tentata con promesse di guerra e di gloria nella speranza che la forte delusione d’amore potesse spingerla a cambiare nuovamente sé stessa. Ma aveva sempre fallito. Xena si era ripromessa di reagire all’abbandono del bardo nel modo corretto, per il suo esclusivo bene. Olimpia l’aveva cambiata e la sua assenza non avrebbe decretato un ritorno alla cattiveria. Era una donna nuova, consapevole di sé stessa e per sempre votata al bene. Non aveva bisogno di Olimpia. La traditrice, colei che l’aveva illusa con promesse eterne di amore e fedeltà. Non sarebbe riuscita a portarsi via la parte migliore di sé. Perché ormai Xena aveva compreso il grande potere che portava dentro e aveva intenzione di impiegarlo solo a fin di bene.

-    Mi spiazzi con certe domande! Di sicuro il tuo intervento ci permetterebbe di avere la situazione sotto controllo… - Temeva reazioni aggressive insieme ad un secco no. Per questo continuava a girare intorno al discorso. - I bei tempi per me stanno diventando un ricordo lontano e un’occasione come questa non va sottovalutata. Tu puoi capirmi Xena. –

-    No, non posso più farlo. Da anni ormai non ci riesco più, dovresti saperlo. – Pronunciò quella frase quasi con rammarico. Marte era l’unico che sentiva ancora pulsare dentro di lei il richiamo della guerra, della gloria e del potere. Non poteva accettare che la sua guerriera migliore si fosse ritirata a una vita tranquilla in difesa dei deboli. Era uno spreco!

-         Perché Xena? Io non ti capisco! Credo che dovresti prendere un po’ di tempo per rifletterci su. Prenditi tutto il tempo che ti serve. – concluse allontanandosi verso un antro buio tra due costruzioni di pietra.

-    Non mi serve tempo. Ti ho già dato la mia risposta. Cercati un altro complice per questa sporca faccenda. –

-    Sono sicuro che ci penserai invece. Ma il merito non sarà mio… - Scomparve nell’oscurità mentre il nome di Olimpia le risuonava nella testa. Era in pericolo e lei era troppo lontana per raggiungerla. E in ogni caso non poteva portarla in salvo… non doveva, non lo meritava. Dimenticare quella storia e far finta di niente, questa era la cosa giusta da fare. Lo doveva a sé stessa. Aveva faticato molto per riprendersi dal dolore del tradimento e la delusione per l’abbandono.

 

Si mosse inconsapevole verso la taverna e tornò a sedersi sullo sgabello traballante, sotto lo sguardo preoccupato di Fillide. - Xena? Ti senti bene, perché hai quella faccia? –

Scavava nella sua memoria in cerca di quel nome…Mimir… Erano passati troppi lustri da quando Odino le aveva raccontato della guerra tra Asi e Vani. Con orgoglio le aveva narrato delle lunghe battaglie e della tregua con scambio di ostaggi. I Vani avevano inviato tra i nemici le personalità più importanti che vennero accolte con i massimi onori dagli Asi e da Odino. Ingannati nello scambio, i Vani si vendicarono decapitando uno degli Asi: il saggio Mimir. E inviarono la testa ai nemici chiedendo la pace. Con l’uso delle erbe e dei poteri magici, Odino riuscì a fare in modo che Mimir riottenesse la facoltà di parlare. Xena aveva visto quella testa raccapricciante conservata in una delle stanze dell’Asgard e aveva cercato inutilmente di farla parlare sperando di ottenere informazioni sull’anello del potere. Grinilde accortasi delle sue intenzioni, la seguì cogliendola sul fatto. Dopo una violenta lite, Xena venne cacciata dalla sala con il divieto di rimetterci piede. Grinilde l’aveva dissuasa dal riprovarci, dicendole che Mimir avrebbe parlato solo ad Odino, quando l’ultimo giorno sarebbe stato vicino.

 

di Xandrella

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