EPISODIO N. 4
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CAPITOLO VII

“Maledetta guerriera! Mi sta procurando più problemi di quanto avessi pensato…ma ha finito di mettermi i bastoni tra le ruote: sarà lei il prossimo bersaglio della mia creatura”
Un sorriso di malvagio piacere gli si dipinse sul viso e Teucro presa la cappa nera appoggiata sul suo letto. Dal balcone aperto filtravano i raggi lattei della nulla che illuminavano la stanza ed il giovane stesso, facendo risaltare i suoi lineamenti prima che li coprisse con il cappuccio. Uscì rapido dalla porta e proseguì con passo felpato, ben attento a non far nessun rumore. Il palazzo era avvolto da un silenzio assoluto e si dovette muovere con estrema cautela. Non gli fu difficile eludere la sorveglianza delle guardie che controllavano le uscite ed il buio e la loro sonnolenza lo facilitarono. Divenne un’ombra e nessuno si accorse della sua sortita notturna.


Xena si rigirò tra le coperte inquieta. Aprì gli occhi fissando il soffitto. Poteva sentire il respiro regolare di Olimpia che dormiva. Provò a respirare lentamente, nel tentativo di controllare la tensione che sentiva crescere. Non c’era nessuna minaccia apparente, ma il suo istinto la metteva in guarda. La sua mente cominciò a ripeterle le parole che l’arconte le aveva detto riguardo la famiglia di Teucro e ciò, insieme al ricordo della visione di Olimpia, la rese ancora più inquieta.
“Figlio di una sacerdotessa di Ecate morta nel tentativo di riportare in vita il marito ucciso ingiustamente…stento a credere che sia estraneo a tutto questo. Il suo sguardo non mi piace affatto: troppo freddo per un ragazzo della sua età. Devo tenerlo d’occhio: sono più che certa che mi condurrà alla soluzione”
Un sottile alito di vento scostò il panneggio ed un raggio latteo di luna le illuminò il viso, costringendola a chiudere gli occhi. Il bardo, invece, continuò a dormire tranquilla, non toccata dalla sua inquietudine. La sua guerriera si alzò, facendo attenzione a non far rumore per non svegliarla. Indossò il sotto armatura e si avvicinò alla balconata, respirando l’aria fredda della notte e lasciando che questa le carezzasse la pelle. Scostò la stoffa ed uscì a piedi nudi sulla balconata, appoggiandosi al davanzale che dava sul cortile interno. Guardò distrattamente sotto di sé e la sua attenzione fu attirata da un movimento inconsueto. Sforzò gli occhi e vide una sagoma nera muoversi felina e circospetta, diretta verso l’uscita. Non ebbe dubbi sulla sua identità e ringraziò il suo istinto che l’aveva tenuta sveglia. Rientrò ed indossò rapidamente l’armatura e le armi, avvicinandosi all’amazzone.
<<Olimpia? Forza, svegliati>> le disse con poca gentilezza, scuotendola senza troppo riguardo. Il bardo aprì gli occhi, allarmata dall’urgenza che si percepiva dalla voce della guerriera.
<<Xena, che succede?>> le chiese mentre scendeva dal letto e si rivestiva velocemente. In poco tempo fu pronta e Xena infilò la porta senza una parola. Olimpia la seguì a ruota. Attraversarono a passo sostenuto i corridoio del palazzo, dirigendosi verso l’uscita.
<<Ho visto Teucro uscire>> disse la guerriera sottovoce, senza fermarsi ed attraversando il portone esterno mentre le sentinelle poste di guardia si irrigidivano nel saluto militare. L’amazzone assunse un’espressione sorpresa, ma non le chiese nulla: aveva imparato a fidarsi ciecamente dell’istinto di Xena e non ricordava di essersene mai pentita.
<<Leandro mi ha raccontato la sua storia: non è suo figlio>> continuò la mora proseguendo il suo percorso quasi correndo.
<<Il padre era arconte prima di lui e la madre una sacerdotessa di Ecate che aveva rinunciato ai voti per sposarlo. Sono morti entrambi quando Teucro era ancora un bambino>> stette un po’ in silenzio, osservando con attenzione le tracce lasciate dagli stivali sulla terra battuta.
<<Sono le stesse di stamattina….>> disse Olimpia con voce esitante. Xena annuì grave, riprendendo a camminare. Ora non poteva più avere dubbi: Teucro era il responsabile, attendendo che Xena continuasse il suo racconto. La guerriera, invece, proseguì in silenzio mantenendosi sul ciglio della strada che stavano percorrendo.
<<La madre è morta mentre tentava di riportare in vita il padre, morto giustiziato>>
<<Giustiziato?>> Olimpia era molto sorpresa.
<<Sì, fu accusato di aver violato ed ucciso una sacerdotessa, ma era solo una falsa accusa. Aveva colpito gli interessi di alcuni pezzi grossi del Consiglio che, così, hanno eliminato il problema>>
Continuarono in silenzio fino al luogo dove quella mattina avevano ritrovato il corpo del giovane Demonico. L’erba portava ancora i segni dell’orribile crimine che si era consumato senza che nessuno potesse far nulla per evitarlo. Xena osservò con attenzione le tracce e non le sfuggì che una nuova serie di impronte si affiancava alla prima nella stessa direzione. Si scambiarono uno sguardo d’intesa e proseguirono, superando il punto dove si erano fermate quella mattina. La guerriera si muoveva cauta, facendo attenzione a non produrre alcun rumore: Teucro e la bestia con cui aveva ucciso tutti quegli uomini potevano essere in agguato dietro ogni cespuglio. Olimpia la seguiva, i sensi tesi fino allo spasimo ed i sais in mano. La boscaglia si era infittita e risultava difficile seguire le tracce lasciate dal giovane, ma Xena non si arrese e riuscì ugualmente a mantenersi nella giusta direzione. Il silenzio che le circondava era assordante: neppure un fruscio rompeva la cappa di quiete che era calata su di loro.
<<Non mi piace affatto>> sussurrò la mora con un tono di voce appena percettibile. Anche l’amazzone era altrettanto tesa e pronta a scattare.
Il loro percorso s’interruppe bruscamente quando si trovarono di fronte ad una parete rocciosa dove s’apriva un architrave, ostruito da un’enorme lastra di pietra. La guerriera ripose la spada nel fodero e si avvicinò, osservandolo più da vicino. Passò le dita sulla giuntura tra le due parti della roccia, cercando una fessura che le potesse permettere di far presa e spostarle, ma non riuscì a trovare nessun appiglio. Il rumore di un ramo spezzato la fece voltare di scatto, la spada già in pugno. Olimpia era in posizione di difesa, guardandosi intorno nell’oscurità.
<<Aspetta qui>> le disse la guerriera <<Vado a controllare>>
L’amazzone annuì senza abbassare la guardia. Xena si inoltrò di alcuni passi nella boscaglia. Fu questione di un attimo. Il bardo non si rese neppure conto di cosa l’aveva colpita. Sentì un lancinante dolore alla testa e cadde tramortita.
<<Xena….>> riuscì a dire con voce stentata.
Teucro sorrise e la prese in braccio, premendo sulla lastra la combinazione che aprì l’ingresso. Entrò con rapidità. La guerriera fece in tempo solo a vedere la pietra tornare al suo posto sbuffando una sottile nuvola di polvere.
<<OLIMPIA!>> urlò, scaraventandosi contro la lastra e colpendola con la spalla. Continuò fino a quando non sentì un rivolo caldo di sangue colarle lungo il braccio e vide una ferita dai bordi irregolari che si apriva orizzontalmente. Si fermò, cercando di trovare un modo che le permettesse di aprire quella maledetta porta.
“Non ci sono fessure su cui possa fare presa, maledizione!”
Un rumore di passi alle sue spalle la fece voltare. Si sforzò di capire da dove provenissero e quando incrociò lo sguardo della bestia che si stava avvicinando con gelida calma si preparò ad una lotta che non sarebbe stata facile.


Olimpia sentì il calore di una mano carezzarle il viso ed aprì gli occhi. Il colpo alla testa era stato forte e le ci vollero alcuni secondi prima che riuscisse a ricordare quello che era accaduto. Teucro era inginocchiato davanti a lei, avvolto in un mantello nero, e la guardava sorridente. L’amazzone fece per alzarsi e si rese conto di avere polsi e caviglie legati.
<<Liberami>> gli disse con determinazione ed il giovane scoppiò in una risata.
<<Per permetterti di correre da Xena ed aiutarla con la bestia? No, Olimpia. Per noi due ho altri progetti>> le sorrise ancora, continuando a guardarla negli occhi con un’espressione inquietante.
<<La…bestia?>> il ricordo del corpo di Demonico si fece strada prepotentemente nella mente della ragazza e stentò a parlare, la gola attanagliata dalla paura. Gli occhi di Teucro assunsero una sfumatura di sadico piacere. La sua paura lo rendeva felice e spavaldo.
<<Tranquilla, morirà subito. La mia creatura è molto brava nell’uccidere: è nata per questo e non sbaglia mai>>
<<Tu sei pazzo>> gli disse Olimpia, facendo forza sulle corde che la tenevano legata alla parete ma senza risultato. Il giovane continuava a guardarla con un leggero divertimento dipinto sul volto.
<<Mia cara non puoi liberarti da sola. Ma stai tranquilla: la rivedrai. Ho bisogno del suo sangue per ridare vita ad i miei genitori>>
Una luce maligna gli illuminò gli occhi ed alla luce delle torce il suo viso le parve ancor più folle.
<<Perché stai facendo tutto questo?>>
Di nuovo la risata di Teucro riempì la sala, riecheggiando sinistra.
<<Perché? Perché dovevo riportare la giustizia in questa città e ridare ai miei genitori quello che spetta loro di diritto. Conosci la mia storia, vero?>>
L’amazzone annuì, ricordando quello che Xena le aveva raccontato poco tempo prima.
<<Lo immaginavo: non eri sorpresa quando mi hai visto. Sicuramente quella guerriera ha insinuato il sospetto che fossi io il responsabile. Sai, un po’ mi spiace che muoia: è stata l’unica a capire. Ma non importa, devono tornare a vivere!>>
Si alzò e solo allora Olimpia riuscì ad avere una visuale completa della sala. Era a perimetro circolare ed al centro sorgeva un altare di pietra nera su cui erano adagiati due corpi perfettamente conservati. Si sforzò di guardare meglio il viso dell’uomo e riconobbe il prigioniero che aveva visto davanti al palazzo del Consiglio. Un brivido le attraversò la schiena quando sentì un ruggito provenire dall’esterno. Xena si stava battendo con quella bestia! Si dimenò tentando ancora di liberarsi, ma non riuscì neppure ad allargare i nodi. Era in trappola ed alla mercè di Teucro.
Nel frattempo il giovane stava predisponendo tutto per il rituale. In ginocchio davanti all’altare, mise in una fila ordinata una serie di ampolle piene di sangue vermiglio ed un pugnale a doppio taglio dalla lama molto sottile. Il bardo si sforzò di ascoltare le sue parole, ma si rese conto che stava usando una lingua che non conosceva. Quando ebbe finito, prese un’ampolla vuota e la ripose tra le pieghe del mantello, calandosi sul capo il cappuccio. Si avvicinò ad Olimpia.
<<Mia cara, vado a prendere quel che resta di Xena. Ti porterò il suo cadavere>>
L’amazzone non si trattenne e lo colpì violentemente sul naso con la testa, sentendo chiaramente il rumore della cartilagine che s’infrangeva. Un rivolo di sangue gli corse lungo il viso dalle narici, ma non emise neppure un suono. La guardò ancora negli occhi con una freddezza che la spiazzò. Nel suo sguardo non c’era né dolore né rabbia: erano due pozze verdi completamente inespressive. Le sorrise e la colpì al volto con un manrovescio violento. Olimpia accusò il colpo, ma non abbassò la testa. Lo vide alzare ancora la mano e si preparò a riceverne un secondo, ma questa volta una carezza delicata le sfiorò la gota arrossata.
<<Lo hai voluto tu, mia cara. Non ti avrei mai colpita. Non ti farò più del male se non me ne darai motivo>>
L’amazzone provò a colpirlo nuovamente, ma Teucro fu più veloce e si scansò appena in tempo. Si alzò ed andò verso un corridoio che doveva condurre verso l’uscita.
<<Ho deciso di farti un regalo. Lascerò il passaggio aperto, così potrai sentire le sue urla mentre la mia creatura le affonda le zanne nel collo>>
Olimpia si dibatté furiosamente per liberarsi, ma fu tutto inutile. Ottenne solo una nuova risata di scherno mentre il giovane usciva dalla sala, lasciandola sola con i due cadaveri deposti sull’altare che la magia di quel luogo aveva conservato perfettamente. Si poggiò alla pietra e solo allora si rese conto che i sais erano ancora al loro posto. Sorrise.


Xena era immobile, la spada in pugno mentre la bestia le girava intorno guardandola con i suoi occhi gialli che sfavillavano nel buio che le circondava. Aveva la fisionomia di una pantera, ma la sua struttura muscolare era più imponente e massiccia. Digrignò le fauci e la guerriera si rese conto che anche quelle erano ben più grandi di quelle di qualsiasi felino avesse mai visto. La seguì con lo sguardo, i nervi tesi fino allo spasimo per percepire anche il più piccolo dei movimenti. L’animale continuava a camminare lentamente, raschiando il terreno con gli artigli delle zanne. Si muoveva con lentezza, quasi la stesse studiando. Sulla lama della sua spada si riflettevano i raggi della luna che riusciva a stento a perforare la cappa che formavano le fronde degli alberi.
Fu questione di un attimo. L’animale si lanciò su di lei con un unico balzo. La forza muscolare che le dava la sua struttura possente le toglievano agilità e Xena non ebbe difficoltà ad evitare l’assalto rotolando di lato. Sentì un bruciore irradiarsi dalla spalla ferita e sperò che non prendesse infezione. La bestia riprese a girarle intorno con la calma del predatore che si accinge ad attaccare una preda che è certo di catturare. La guerriera roteò la spada che lanciò un riflesso argenteo. Di nuovo l’animale le si gettò contro, ma questa volta Xena non si fece trovare impreparata: scartò di lato ed affondò un fendente, riuscendo però solo a colpirla di striscio. Un ruggito di rabbia più che di dolore si alzò nell’aria ed un paio di artigli le lacerarono il braccio verticalmente. La guerriera strinse i denti per il dolore senza però distrarsi per guardare la ferita. Sentiva il sangue colarle addosso, ma notò con soddisfazione che, camminando, anche la sua avversaria perdeva sangue, macchiando di rosso il terreno. Stufa di aspettare un attacco della bestia, Xena provò ad attaccarla sul fianco destro. L’animale fu rapido ad evitare il colpo, ma non vide la lama di un pugnale che la guerriera riuscì a far penetrare nella zampa. Un altro colpo di artigli ed una ferita si aprì sulla coscia della guerriera. Il dolore era terribile e stentò a mantenere il giusto sangue freddo per scansare le fauci che puntavano direttamente al suo collo. Scostandosi all’indietro, una pietra la tradì e cadde, ritrovandosi in poco tempo con la bestia che le premeva addosso. I suoi occhi gialli lampeggiavano di soddisfazione e le ruggì a poca distanza dal viso. Xena poteva sentire un rivolo di sudore freddo correrle lungo la schiena mentre la pressione di quegli artigli le stava lacerando la pelle delle braccia. Non poteva colpirla con la spada e lasciò lentamente la presa sull’arma. Per sua fortuna l’animale sembrava voler gustare la sua vittoria osservando la sua preda sconfitta sotto di sé. Si prese il tempo di annusarle il viso, confidando nella sua superiorità
Lentamente Xena tolse il chakram dal gancio e lo posò a terra. Cercava di muoversi il meno possibile per non distrarre la sua assalitrice e costringerla ad ucciderla. Dei passi fecero voltare l’animale verso l’entrata in cui erano spariti Olimpia e Teucro. La guerriera vide il giovane uscire avvolto nella stessa cappa con cui l’aveva visto allontanarsi dal palazzo. Si avvicinò a lei con un sorriso stampato sul viso. Ostentava la stessa sicurezza della bestia.
<<Salve, Xena>> le disse con una voce gentile che stonava terribilmente con la situazione. La mora non gli rispose, guardandolo con aria di sfida dritto negli occhi, mentre con un mano separava il chakram in due parti e ne impugnava una, la punta rivolta verso il ventre dell’animale che ancora la schiacciava a terra con il suo peso. Ebbe un attimo di mancamento a causa del sangue che continuava a perdere dalle ferite alle braccia ed alle gambe, ma non perse la concentrazione.
<<Sai, ho promesso ad Olimpia che non avresti sofferto ed io sono una persona di parola. Però ho lasciato il passaggio aperto, così potrà sentirti urlare mentre le mia creatura affonda le zanne nel tuo morbido collo>> Il suo sorriso assunse una piega maligna. Xena strinse con forza la metà del chakram che aveva in mano e colpì l’animale su di lei con tutta la forza che aveva. La lama penetrò facilmente nelle carni della bestia che lanciò un latrato terrificante. La guerriera riuscì a liberarsi dal suo peso e, recuperata la spada, la puntò alla gola di Teucro.
<<Olimpia è lì, non è vero?>>
Il giovane non rispose, guardandola con aria di sfida. Xena premette la lama con più forza, facendo fuoriuscire alcune gocce di sangue che andarono ad imporporare la sua arma.
<<Ti ho fatto una domanda: è lì Olimpia?>> la sua voce era imperiosa.
<<Non la potrai mai raggiungere viva>> le rispose con un arroganza tale che la guerriera dovette contenersi dall’affondare completamente il ferro della spada nel suo collo. Sentì un rumore alle sue spalle, ma non fece in tempo a voltarsi che sentì le fauci dell’animale penetrarle nella carne del fianco. Si rotolarono sul terreno entrambi, senza che nessuno riuscisse ad uccidere l’altro. Xena faceva difficoltà a vedere chiaramente per il dolore ed il sangue perso, ma riuscì ugualmente ad accecare la bestia ed a staccarsi da lei. Si rialzò a stento e posò una mano sul fianco ferito: perdeva sangue copiosamente, ma non era così profonda come aveva pensato. Attese che fosse l’animale ad avventarsi di nuovo su di lei e si gettò a terra, colpendolo con la spada nel ventre, che non oppose nessuna resistenza alla lama affilata. Ebbe ancora qualche convulsione, poi la bestia le si spense addosso, mescolando il suo sangue a quello della guerriera. Non senza sforzo, si liberò dal peso dell’animale, ma si accorse che non avrebbe retto molto a lungo: le ferite non erano molto gravi, ma la perdita di sangue doveva essere fermata.
<<Xena, Xena, Xena>> cominciò Teucro avvicinandosi <<Credi che aver ucciso la mia creatura mi fermerà? I poteri di mia madre mi hanno concesso di evocarla una volta: posso farlo di nuovo. Ma guardati! Perdi sangue ed a stento ti reggi in piedi, come pensi di farcela contro di me?>>
Xena scosse la testa cercando di scacciare il velo che le stava appannando gli occhi. Olimpia era ancora lì e lei doveva resistere ad ogni costo.
Lentamente il giovane estrasse una lama sottile dalle pieghe del mantello e la osservò quasi con venerazione.
<<Voglio farti una confidenza: con questa lama mia madre si è tolta la vita ed io l’ho usata per raccogliere il sangue necessario per ridargliela. Non lo trovi poetico?>>
La guerriera lo guardò con disprezzo.
<<Tu sei completamente folle>> gli disse.
<<Folle perché voglio giustizia? No, Xena, non sono folle. Folli sono stati quelli che hanno ucciso mio padre e costretto al suicidio mia madre. Io ora li sto punendo secondo giustizia e non c’è pazzia in questo>>
Prese a girarle intorno, osservandola con i suoi occhi verdi che avevano perso ogni traccia di umanità e si erano trasformati in due pozze scure che bramavano vendetta. Mentre le era alle spalle, Teucro provò a colpirla, ma la guerriera fu più veloce e lo costrinse a piegarsi in due colpendolo con una gomitata appena sotto lo sterno. Approfittando del vantaggio, lo colpì alla nuca con l’elsa della spada. Il ragazzo cadde a terra privo di sensi e Xena si appoggiò ad un albero per riprendere fiato. Sentì correre e vide Olimpia uscire dall’entrata alla cripta con gli occhi carichi di apprensione.
<<Xena, sei viva!>> le corse incontro e l’abbracciò. <<Temevo che quella bestia fosse riuscita ad ucciderti>>
<<No, sono viva. Un po’ ammaccata, ma ancora in piedi>> le sorrise in modo stanco. <<Per ora è innocuo, ma dobbiamo assicurarci che non faccia altri scherzi mentre lo portiamo in città>>
L’amazzone sciolse l’abbraccio e si accorse di essere sporca di sangue. Rivolse lo sguardo alla guerriera e sgranò gli occhi.
<<Xena, ma tu sei ferita! Dobbiamo immediatamente bloccare l’emorragia…>> la guerriera la interruppe con un gesto della mano.
<<Lo so, Olimpia, ma ci penseremo quando sarà dietro le sbarre. Aiutami a legarlo>>
Xena gli legò le mani con la cintura a cui Teucro aveva assicurato alcune ampolle ed il fodero del pugnale, rialzandolo con l’aiuto di Olimpia. Il giovane si riprese appena dal colpo ricevuto, ma non oppose resistenza quando lo condussero lontano da lì.

EPILOGO

<<Ancora non riesco a credere che Teucro si sia avvelenato. Quando ho visto il suo corpo sembrava solo addormentato ed invece era morto….>> la voce di Leandro era roca e gli occhi arrossati di chi aveva pianto a lungo. Xena lo guardò con espressione di comprensione.
<<Queste sono cose cui non riusciremo mai a credere, Leandro. Non possiamo che farcene una ragione>> gli disse la guerriera mentre Olimpia finiva di fissarle alcune bende sul braccio ferito.
<<Già, anche se credo che non riuscirò mai a capacitarmene>>
L’amazzone alzò lo sguardo verso di lui.
<<Leandro, tu non hai alcuna colpa: non devi rimproverarti per le azioni che ha commesso Teucro. Non avresti potuto evitarle che prendesse quel veleno in nessun modo. È stata una sua scelta>>
L’arconte le rivolse un sorriso stanco e tutt’altro che convinto. Accennò un saluto ed uscì dalla sala con il passo strascicato e le spalle curve.
<<Si riprenderà mai?>> chiese alla guerriera che fece spallucce.
<<Lo spero per lui, Olimpia, ma non posso esserne certa>>
La bionda tornò a dedicare la sua attenzione alle ferite. Fortunatamente erano poco profonde, eccezion fatta per quella al fianco che le aveva creato più di un problema.
<<Come va il fianco?>>
<<Sei diventata un’ottima guaritrice: non sento quasi nessun dolore>> le rispose Xena con un ampio sorriso che Olimpia riuscì a ricambiare con un’espressione che sembrava più una smorfia.
<<Hai appena detto a Leandro di non rimproverarsi nulla, perché lo fai tu adesso?>> le disse la guerriera guardandola negli occhi.
<<Non mi sto rimproverando….è solo che nemmeno io riesco a crederci. È un giovane apparentemente così gentile e premuroso. Avrei dovuto darti retta dall’inizio>>
<<Quel che conta è che ora non potrà far più male a nessuno>> L’amazzone annuì.
<<Forza, dammi una mano ad alzarmi: voglio andarmene da qui. Mi hai costretta a rimanere a letto due giorni e non ho intenzione di prolungare il mio soggiorno oltre>>
Un ampio sorriso illuminò il volto di Olimpia e l’aiutò a mettersi in piedi, rendendosi conto con piacere che quella della guerriera era tutta scena.
<<Vedo che ti sei ripresa perfettamente>> le disse.
<<Ne dubitavi forse?>> rispose la guerriera lasciandole il braccio che le aveva offerto e prendendo in spalla le sue cose.
<<Dovremmo passare almeno a salutare Leandro prima di partire>>
<<Sì, hai ragione. Però facciamo in fretta>> le rispose la guerriera
Olimpia annuì e prese anche lei le sue bisacce. Insieme si diressero verso le stanze dell’arconte. La porta che dava alla sala dove le aveva accolte era leggermente socchiusa e Xena aggrottò la fronte e l’aprì. Entrarono e videro il corpo di Leandro riverso sul pavimento, una lettera e la boccetta del veleno ancora strette in pugno. Nessuna delle due ebbe la forza di parlare. La guerriera si chinò sul cadavere e gli chiuse gli occhi con delicatezza. Alzandosi, guardò Olimpia negli occhi.
<<Non c’è nulla da fare. Chiamiamo i servitori che compongano la salma>>
Le due guerriere uscirono, chiudendosi la porta alle spalle e cercando di lasciare dietro di essa anche il dolore che quell’uomo aveva negli occhi.


Davanti alla pira in fiamme, Xena aveva intonato un canto funebre in onore di Leandro. Olimpia era accanto a lei e teneva gli occhi fissi sul fuoco che stava consumando il legno ed il corpo. Quando finì, si voltò verso la guerriera.
<<A cos’è servito tutto questo?>> le chiese. La donna non le rispose subito, guardando un punto indefinito davanti a sé.
<<A nulla, Olimpia. A nulla se non a stroncare vite inutilmente. Me l’hai insegnato tu: la vendetta non serve a nulla e non cancella il dolore>>
Questa volta fu l’amazzone a non rispondere.
“Riposa in pace Leandro, riposa in pace” disse mentalmente mentre si allontanavano dalla pira che continuò ad ardere finché ci fu materiale da bruciare.

FINE

di Nihal

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