episodio n. 12
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Ma di Xena si potevano dire tante cose, tranne che era una stupida.
Ed oltre a non essere ciò, si fidava anche della sua cara amica, la conosceva bene.
La sua Olimpia non pensava tutte quelle cattiverie di lei e non gliele avrebbe sputate contro, così, senza un perché.
Magari Xena le pensava di se stessa, anche se non era consueta condividere i propri pensieri con gli altri.
La prima certezza e conclusione di Xena fu che Olimpia non era se stessa.
Le ricordò quei terribili momenti dopo che Speranza aveva ucciso Seleuco e l’avventura ad Illusia.
Quanto odio c’era stato tra loro… Quanto male e quanta sofferenza. L’amore. L’amore era stata la chiave.
<<Non è vero.>> Rispose quindi la Principessa Guerriera.
Olimpia inarcò le sopracciglia.
<<Non è vero?>> Ripeté.
Non capiva, ancora una volta, dove Xena volesse arrivare.
In qualsiasi altro momento, per tutto quello che le aveva detto, le sarebbe saltata addosso e l’avrebbe riempita di percosse.
<<Sono capace di voler bene… di voler bene a te.>> Rispose Xena.
Col tempo, la Principessa Guerriera, aveva imparato a non aver paura dei propri sentimenti ed in quel momento, non le restava altro da fare che lasciarli venire a galla.
Proprio come la sua Olimpia le aveva insegnato.
Quello che sperò, che aveva previsto, avvenne.
Questa volta era stata ella a colpire, facendo pienamente centro.
La barriera difensiva e gelida d’Olimpia sembrò essere intaccata ed i suoi occhi persero per un istante quella luce rabbiosa che li aveva caratterizzati.
Non avendo parole adatte a replicare, si limitò ad alzare le mani al cielo, in senso d’una quasi stanca arresa a quella situazione, a quella donna che non sapeva più gestire.
Le cose s’erano fatte troppo difficili per lei.
Non le restava altro da fare che andarsene, scappare.
Si voltò e fece per allontanarsi ma la Principessa Guerriera non poteva lasciarla andare così, le corse dietro, l’afferrò con forza ad un braccio e la fece voltare verso se ma Olimpia non voleva restare, continuare ancora quel discorso, troppo difficile e compromettente e non voleva neanche avvicinarsi troppo a quella che credeva la sua pericolosa nemica, in quel momento, più pericolosa che mai.
Quindi optò per tornarsene sulla difensiva e, prima che Xena potesse aprire bocca, le rifilò un possente pugno rovescio che la Principessa Guerriera incassò.
Fece per colpirla ancora ma, questa volta, Xena parò.
Olimpia attaccò ancora, balzando alle spalle della Principessa Guerriera, per colpirla dietro alle ginocchia e facendole, così, perdere l’equilibrio.
Xena non voleva usare troppa violenza sulla sua cara amica, qualsiasi cosa stesse le accadendo.
Ma Olimpia non aveva intenzione di cedere, voleva solo andarsene di lì.
Fece per colpire ancora ma Xena la precedette e, calciandola alle caviglie, fece perdere anche ad ella l’equilibrio.
Erano entrambe a terra.
La Principessa Guerriera scattò ed afferrò il braccio d’Olimpia, facendola alzare e bloccandola a se.
<<Non so cosa ti sia successo ma non ho intenzione di farti andare così!>> Esclamò Xena.
Olimpia emise un mugugno affaticato, sofferto, poi, con velocità, senza che Xena potesse accorgersene, estrasse un pugnale dal calzare e colpì la Principessa Guerriera all’altezza della vita.
Poi, per assicurarsi la possibilità di fuggire, colpì Xena anche con una gomitata e con un “perdonami” nella mente, scappò via.

Olimpia sedeva con le gambe incrociate sulla pezza posata a terra.
Si tastava con delicatezza la ferita sulla testa.
Faceva male, sì, ma non era grave. Non sanguinava neanche più. C’era stata solo qualche goccia.
Cosa di routine, ormai.
Quello che la faceva più male era il fatto che era stata colei che credeva la sua Xena, a ferirla.
Doveva concentrarsi, doveva pensare e cercare di capire.
Continuava ad impegnarsi mentalmente ma tutto ciò le sembrava inutile, i suoi pensieri non la portavano da nessuna parte ed i ragionamenti sembravano sbucare in un vicolo cieco.
Xena, camminava a passo sostenuto, diretta al punto ove, la sera prima, s’era accampata con Olimpia.
La ferita che riportava sulla vita, non era grave ma doveva comunque medicarla.
Se la toccò, piano.
Sanguinava ancora.
Ma, in compenso, era quasi arrivava.
S’arrestò di colpo.
Le era sembrato di scorgere dei rumori… Si fece silenziosa più che poté e s’avvicinò con passo felino, d’ancora un po’.
Olimpia sentì dei rumori, dei passi, tra le foglie, vicino, dietro lei.
Xena notò immediatamente che Olimpia, a sua volta, l’aveva notata.
L’amazzone estrasse all’istante i sais dai calzari, alzandosi contemporaneamente.
Xena estrasse la spada, avvicinandosi subito.
Si ritrovarono faccia a faccia, con le armi puntate l’una contro l’altra, in posizione di difesa.
Entrambe notarono nell’altra la stessa espressione che sapevano star esprimendo i loro occhi: sospettosi, sull’attenti, ma velati d’una gran tristezza, per l’accaduto.
Quelle due paia d’iridi chiare si scrutavano tra loro, cercando quelle risposte che, da sole, non sapevano darsi.
Sia Xena che Olimpia erano attraversate dagli stessi pensieri e si trovavano nella stessa situazione, pur non sapendolo.
La Principessa Guerriera fece scorrere il proprio sguardo lungo Olimpia: non era vestita come la sera precedente. Indossava il suo completo bordeaux e non quella veste verdognola.
Ed i capelli… non erano pettinati all’indietro.
Olimpia notò lo sguardo inquisitore della compagna e la osservò meglio anche lei.
Prima, era vestita di nero… nero e rosso, con una tunica. Mentre in quel momento, indossava la sua armatura.
Notò la ferita al fianco della Principessa Guerriera. Lei non l’aveva ferita!
Non aveva usato armi contro Xena.
Ed i capelli! La donna contro la quale aveva combattuto prima, aveva i capelli raccolti.
Xena non li raccoglieva quasi mai.
Tornarono a guardarsi negli occhi.
Sembravano cercarvi la verità. E la trovarono.
Gli sguardi delle donne contro le quali avevano combattuto prima, non erano i loro… Quella donne, non erano loro!
Lo capirono entrambe, nello stesso momento.
La Xena che aveva attaccato l’amazzone, non era la Principessa Guerriera e l’Olimpia che aveva attaccato la Principessa Guerriera, non era l’amazzone.
<<Xena…>> Sussurrò Olimpia, con quasi una punta di timore nella voce.
<<Olimpia!>> Esclamò la guerriera mora.
Lasciarono cadere a terra le armi e s’abbracciarono.
Olimpia strinse Xena con forza, voleva sentirsi protetta ed amata tra le braccia di colei che tanto adorava.
E Xena la strinse.
Ancora una volta, aveva avuto paura di perderla ma, fortunatamente, non era successo.
La sua Olimpia era lì, per lei e con lei.
Sentiva dal suo abbraccio l’affetto di sempre.
Pensò automaticamente a quanto fosse stata fortunata ad averla incontrata ed ad averla con sé, in quel momento e durante tutti gli anni passati.
Forse troppo di rado si soffermava a pensare al dono che la vita le aveva dato ed a ciò che l’amazzone significava per lei, alle sensazioni che le dava, alla gioia che provava stando al suo fianco.
Prima d’incontrare la poetessa di Potidea, la sua vita era stata così vuota… Ma a Xena, allora, piaceva.
Stava bene in quel mondo ovattato di male e stava bene con la se stessa anestetizzata ai sentimenti.
Poi aveva incontrato Olimpia e quella giovane e chiacchierona ragazza, così diversa da lei, s’era insinuata subito nel suo cuore, senza neanche chiederle il permesso.
Pose un bacio sulla fronte d’Olimpia, che sorrise.

La donna che era praticamente il clone della Principessa Guerriera, camminava per il boschetto, confusa e stranita.
Era abituata alla confusione, vi viveva immersa.
Proseguiva l’avanscoperta, guardando verso il basso. Non prestava particolar attenzione al luogo o a possibili pericoli.
La sua mente era in un altro, di luogo, s’era addentrata nel meandri dei quesiti, scossa dall’accaduto.
Il non sapere dove si trovava e come v’era arrivata, non la preoccupava.
Non le importava di se stessa, della propria vita.
Era sempre stata così: persa in se stessa, noncurante e terribilmente tormentata.
E sempre aveva nona amato la vita, eccetto che in un breve periodo ma, quella, era una storia che cercava di ricordare il meno possibile.
Ora si trovava lì, con i suoi compagni postumi di sbornia, dispera chissà dove, con quel pensiero fisso che le martellava nella mente: Olimpia.
Quella dannata donna la mandava in paranoia da troppo tempo, ormai.
Il sentimento d’odio che provava per lei, era talmente intenso che andava sopra ogni altra sensazione o pensiero entro colei che era Xena, sì, ma non la Principessa Guerriera.
C’era solo un altro sentimento tanto ardente da poter competere con il sopra elencato… ma questa Xena disequilibrata lo odiava più dell’odio stesso.
Quel sentimento ch’ella considerava una maledizione, era la causa di molti dei suoi male ed avrebbe tanto voluto cancellarlo dalla faccia della terra.
Pensava d’aver, da ubriaca, dato confidenza e dormito pure, con l’Olimpia che tanto odiava.
Ma sbagliava.
L’Olimpia vicino la quale s’era svegliata, quella mattina, era la poetessa di Potidea e non la sua acerrima nemica.
E, di certo, la Xena squilibrata non aveva passato la notte con l’amazzone, vi s’era solamente svegliata accanto, quando la Principessa Guerriera se n’era andata a caccia.
Ma, questo, doveva ancora scoprirlo.
E ferma era anche nell’incredulità rispetto al comportamento che quella che credeva la “sua Olimpia” aveva avuto.

Stessi pensieri d’incredulità erano nella mente dell’Olimpia non avvezza a penna e calamaio.
Ella camminava prestando più attenzione, rispetto alla sua nemesi, a ciò che la circondava.
La situazione non le quadrava e neanch’ella sapeva come faceva a trovarsi in quel luogo sconosciuto.
La scusa della sbornia ad Olimpia non reggeva, oltre che alla penna, non era un gran che avvezza neanche all’alcool.
Tese gli orecchi: aveva sentito uno spiacevole rumore di passi.
Sicuramente era Xena e, quindi, aveva due possibilità: cercare di non farsi notare oppure affrontare colei che tanto le mandava le certezze in vacanza.
Non era una codarda o, meglio, non amava esserlo e, quindi, optò per la seconda possibilità.
Sbucò, balzando davanti alla Xena giusta, questa volta, che rimase non poco sorpresa.
Ella guardò Olimpia coi suoi grandi occhi azzurri.
Quanto li aveva visti diversi e guardati diversamente, Olimpia.
E quanto diversi erano, effettivamente.
Solo prima, parlando con la Principessa Guerriera, li aveva visti come una volta.
Ed aveva quasi creduto le fossero mancati.
Stesso pensiero era nella mente della donna dai capelli corvini, che, scrutando gli occhi della donna che si trovava di fronte, cercava di capire come questa si sarebbe posta, questa volta.
Ormai non sapeva più assolutamente cosa aspettarsi.
Nessuna delle due sembrava accennare a parlare, erano entrambe troppo prese ad osservarsi, sospettose e mal fidenti.
E facevano bene… Come dar loro torto.
Le due donne notarono le stesso cose che, poco prima, vicino lì, avevano notato le altre due Xena ed Olimpia.
<<Tu…Io… - Esclamò finalmente la mora. –Non capisco niente.>>
Quindi si strinse la testa tra le mani
Olimpia alzò gli occhi al cielo, rassegnata nel riconoscere i noti comportamenti instabili in Xena.
<<Non capisco niente neanch’io, solo che tu non stai bene, ma questa non è una novità.>> Disse, quasi scherzandoci un po’ su.
Ma Xena aveva già i nervi praticamente a pezzi e non prese al meglio quell’esclamazione.
<<Tu non sei normale! La differenza è che almeno io ho il coraggio di non esserlo, mentre tu ti nascondi dietro questa protezione di normalità…ma dove ti porterà?!>>
Mossa sbagliata… Toccare Olimpia nei punti deboli la faceva ancor più andare sulla difensiva.
<<Da che pulpito viene questa predica? Ma guardati! Al posto di voler rovinare me, pensa a rimettere a posto te stessa!>>
<<Da quando t’importa di me?>> Inveì Xena, provocando volutamente.
<<Non farmi certe domande, è inutile.>>
<<Volevo mandarti una missiva, oggi, ma visto che c’incontriamo di persona in questo posto che Plutone sa dov’è, te lo dico volentieri io stessa: Joanz…>>
<<Cosa centra Joanz?!>> Chiese, aggressiva, Olimpia.
Xena aveva toccato un altro argomento sbagliato: l’amante della bionda.
Certi argomenti, con Xena, Olimpia li considerava dei gran tabù.
<<Joanz ormai centra ben poco…>> Alluse la mora.
Ora si sentiva bene. Aveva finalmente ella la spada dalla parte del manico.
Olimpia era furente.
<<Per Giove, Xena, che hai fatto questa volta?>>
<<Sedotto e distrutto!>> Rispose, Xena, pomposa e soddisfatta.
Olimpia cercò di reprimere tutta la rabbia che provava.
Probabilmente Joanz era morto… Ma ciò che la bionda provava non era sofferenza…
Infondo non era certo affezionata a quell’uomo, ciò che provava era solo rabbia perché Xena continuava ad intromettersi nella sua vita.
Quello era il quarto amante o presunto tale che le faceva fuori ed ogni volta l’unica cosa che così le dimostrava era di avere molte rotelle fuori posto.
La bionda decise che le parole non serviva no più.
Ci volevano i fatti, l’azione. Ed azione fu.
Olimpia indirizzò un calcio laterale, che andò pienamente a segno, colpendo la mora nel mezzo del ventre, causandone, così, l’automatico indietreggiamento di qualche passo.
Xena, dopo qualche istante di smarrimento, fu subito pronta al nuovo scontro che s’apprestava a compiersi.
Si mise in posizione di difesa, gambe leggermente flesse, come le braccia, poste a scudo, davanti al busto.
Si preparò subito ad attaccare ma Olimpia non le diede questa possibilità e partì ella con un altro attacco e, saltando, cercò di falciare l’avversaria con un calcio ma questa parò con le braccia, spingendo la forza del colpo verso il basso. Quindi, rotandosi su se stessa, si spostò in modo da trovarsi accanto e non più davanti alla bionda, per colpirla, così, alle caviglie con un calcio.
Il colpo, però, non fu così preciso ed Olimpia non perse l’equilibrio riuscì, anzi, ad afferrare l’avversaria stringendole il braccio intorno alla gola.
Xena si dimenò, cercando di liberarsi ma invano.
Riuscì però ad afferrare i capelli della bionda e li tirò con forza.
Olimpia mollò la presa e la mora cercò di buttarla a terra, tenendola salda per la chioma.
Olimpia fu abile e riuscì a tirare una gomitata in pancia all’avversaria che fu costretta a mollarla.
La bionda non si fece attendere e, sempre di spalle, prima di voltarsi, colpì con la mossa di prima, Xena al volto.
Non appena si voltò, la bionda fu colta da un pugno in pieno volto, al quale ne seguirono immediatamente altri due.
Coma dandosi una pausa, le due si fermarono un attimo senza però distogliere lo sguardo l’una dall’altra, tenendosi d’occhio.
Non si fidavano neanche minimamente.
Entrambe ansimavano scompostamente.
I capelli d’Olimpia s’erano sciolti, rivelandosi lunghi fino alle natiche.
Anche quelli di Xena s’erano scomposti ed i ciuffi scappati all’acconciatura si rivelarono arrivare solo fin sotto al mento.
Si sarebbero combattute a morte, eppure si lasciavano riposo.
Non per onore, quanto per altro.

A Xena venne in mente quella volta quando, parecchio tempo addietro, Olimpia la stava talmente riempiendo di botte, da farle credere d’essere vicina alla morte.
Cosa che non le era neanche sembrata tanto brutta, se non fosse stato per il fatto che non voleva soccombere perdendo, così, la sfida.
Altrimenti sarebbe passata volentieri a miglior vita, ancor più per mano d’Olimpia.
Quale boia migliore…
Ricordò il proprio corpo pieno d’ammaccature e la rabbia che sentì quando la bionda aveva pronunciato quella parole… <<Sei la mia rovina, il mio sbaglio più grande…>> … Il dolore fisico era diventato secondario, vinto dall’ira che provava.
Quelle parole dovevano essere sue e non d’Olimpia.
Era stata Xena ed essere rovinata da Olimpia, era stata Xena a subire la debolezza, l’insicurezza e la paura della bionda.
La furia le fu promotrice e Xena riuscì a rialzarsi ed a ribaltare la situazione.
Tra colpi di pugnale ed Olimpia fu a terra.
Sembrò morta ed all’inizio, Xena ne fu esaltata.
Rise, rumorosamente.
Poi vide che Olimpia non accennava a vita e cominciò a rendersi davvero conto.
Perse completamente la ragione o, forse, la ritrovò solo in quell’istante.
Alzò a mezzo busto la sua nemica, sentì che respirava… Ma dovette scappare, gente, soldati di Olimpia stavano arrivando.
Se solo l’avessero vista uccidere il loro comandante, l’avrebbero ammazzata sul colpo.
E lei non voleva, voleva torturarsi da sola per quello che aveva fatto, per aver ridotto in fin di vita colei che era la causa (o, perlomeno, una delle cause) della sua vita da morta.
Scappò e si rifugiò a palazzo.
La era ancora difesa.
Si recise le vene a regola d’arte, ma non prima d’essersi tagliuzzata il braccio sinistro per bene.
Quasi per miracolo, entrambe si salvarono, ancora non lo sapevano ma delle divinità benigne erano con loro.

Xena fece cenno con il capo, come ad indicare che stava per attaccare.
Olimpia sentì quasi un sorriso sfuggire al suo controllo.
Entrambe odiarono loro stesse per quella piccola debolezza e s’attaccarono simultaneamente, senza accenni d’altro che non fosse la loro ormai continua sfida.

CAPITOLO/ATTO SECONDO
I suoni della rissa giunsero alle orecchie della Principessa Guerriera e della poetessa, ritrovatesi da poco.
<<Xena…>> Sussurrò Olimpia di Potidea avendo udito dei suoni a lei sospetti.
<<Sì.>> Confermò Xena d’Anfipoli, qualcuno si stava combattendo.
Il loro istinto le fece accorrere immediatamente, senza neanche pensarci un istante.
Corsero veloci, tra gli alti alberi, schivando cespugli i seguendo i rumori.

di Lisa

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