Episodio N. 10
di Nihal


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- seconda parte -

di Nihal

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CAPITOLO IV

 

519 d. C., Camelot

<<Il mio regno ha bisogno di un erede>> la voce ed il viso di Artù erano duri e non ammettevano repliche. Ginevra lo guardò con aria di sfida.
<<Cos’è, la tua piccola concubina non riesce a partorirti un figlio?>> il suo sarcasmo fece comparire sul volto del sovrano un’espressione carica d’ira.
<<Non ti permetto di insultare Morgana! Soprattutto ora che ti sto mostrando la mia magnanimità>> La regina scoppiò in una risata fragorosa.
<<Davvero molto magnanimo da parte tua chiedermi, anzi ordinarmi, di essere la tua occasionale prostituta solo perché nessuno accetterebbe un figlio nato da una sacerdotessa qualunque di un culto dimenticato>> gli rispose pacata, sostenendo con assoluta serenità il suo sguardo lampeggiante.
<<Detto così è molto meno nobile, non è vero Artù?>> lo canzonò.
L’uomo si alzò di scatto dal seggio e la prese per il collo, sbattendola violentemente contro la parete.
<<Stammi a sentire, impudica adultera! Tu mi darai l’erede di cui ho bisogno, oppure farò processare te per adulterio ed il tuo amante per alto tradimento! Troveresti nobile morire con lui, vero?>> le sibilò ad un soffio dal viso.
Ginevra vide nei suoi occhi una furia omicida che la sconvolse, facendole temere per la prima volta per la sua vita- quando Artù la lasciò andare, prese un profondo respiro, portandosi le mani alla gola contusa.
<<Ora vattene>> le ordinò il sovrano, dandole le spalle. Ginevra si allontanò, precipitandosi nelle sue stanze con gli occhi colmi di lacrime.

 

519 d. C., Escalot

Seduta sul parapetto, Xena osservava le piane di Escalot: aveva smesso di piovere da poco ed il manto erboso sembrava costellato di tanti piccoli diamanti che sfavillavano sotto i raggi del sole.
<<Sapevo che eri qui>> la voce della cugina Hanna la fece voltare.
Cercò di sorriderle, ma nell’ultimo anno era una facoltà che era riuscita ad esercitare davvero di rado. La fanciulla si avvicinò, porgendole una pergamena sigillata. La guerriera riconobbe immediatamente lo stemma reale impresso nella cera.
<<È arrivata da Camelot>> le disse Hanna. Xena annuì corrucciata.
<<Immagino che tu voglia rimanere da solo>> aggiunse la giovane donna di fronte al suo silenzio.
<<Sì, grazie...>> le rispose la guerriera, riuscendo, questa volta, a sorriderle davvero.
La principessa accennò un piccolo inchino, ritornando all’interno del castello. Xena ruppe il sigillo ed aprì la pergamena, riconoscendo immediatamente la grafia ordinata di Olimpia.
“Avevo giurato a me stessa che non avrei violato il silenzio e l’esilio in cui ti sei confinata, spezzando ogni legame con Camelot, ma non posso più tollerare di non averti accanto. Mi manchi, Xena, più di quanto potessi immaginare, più di quanto ora mi sia possibile controllare.
Morgana ha avvelenato la corte e le mie stesse stanze sono il mio rifugio e la mia prigione, di cui quella donna detiene le chiavi con spietata ferocia. Ha deciso di distruggermi, Xena, e se non tornerai, credo che ci riuscirà. Temo concretamente per la mia vita ed anche la tua sarà in pericolo se non darò ad Artù un erede legittimo. Nessuno accetterebbe che venga designato al trono un figlio bastardo, tra l’altro generato da una sacerdotessa senza rango.
Ho bisogno di te, Xena: sei l’unica che può ancora sperare di far ragionare Artù e riportarlo alla realtà. Se continua ad esibire la sua reale concubina, molto presto si scateneranno rivolte in tutto il regno e sarà l’ennesimo bagno di sangue. Sai bene che non hai nessuna responsabilità della morte di Eilan. Ancora una volta è parte del disegno di Morgana per appropriarsi del potere: poco le importa se questo deve passare per la morte altrui. Non essere schiava, ancora una volta, di un senso di colpa che non ti appartiene e non lasciarmi ancora sola per pagare un debito che non hai mai contratto. Se hai un dovere, lo devi al tuo cuore e so che mi ami almeno quanto io amo te.
Ho riposto in te tutte le mie speranze: andiamo via da Camelot insieme, lasciamo la Britannia! Potremo vivere finalmente libere dai doveri, dalle ipocrisie… Quanto vorrei io stessa credere a queste parole!
Xena, per amor mio, torna!”

<<Maestà, Lady Morgana ha detto che non vuole straccioni nel castello>> si giustifico il ciambellano, cercando di misurare ogni parola.
<<E da quando siete agli ordini di Lady Morgana? È forse la regina?>> chiese adirata Ginevra, cercando di evitare reazioni peggiori.
<<No, maestà, siete voi la regina… Ma credevo che il re…>> la donna lo interruppe con un gesto imperioso della mano.
<<Ora il re non è a corte e dovete obbedienza ai miei ordini. Non mi importa cosa abbia detto Lady Morgana, chiaro? Ordinate che i cittadini scacciati questa mattina vengano richiamati: darò loro udienza oggi stesso>> il suo tono e la fermezza del suo sguardo bruciarono qualsiasi tentennamento del ciambellano.
<<Sì, maestà>> disse, inchinandosi ed uscendo dalla sala.
Ginevra si massaggiò le tempie con le mani. “A questo siamo arrivati? Xena, perché non sei qui?” pensò, poi decise che sarebbe stato meglio se si fosse riposata un po’: era certa che avrebbe avuto da fare ben oltre il tramonto. I suoi passi leggeri riecheggiavano nel silenzio di pietra della reggia di Camelot pressoché deserta: una rivolta a sud aveva costretto il sovrano a precipitarsi lì con le sue truppe per spegnere quel pericoloso focolaio di guerra.
Erano partiti da due lune, mentre lei era rimasta a corte, a subire le angherie di quella donna che ormai si comportava come se fosse la legittima sovrana.
Entrò nella stanza avvolta dai suoi pensieri e si chiuse la porta alle spalle. Nell’angolo, tra la parete e lo stipite una figura incappucciata di nero la osservava, immobile. Ginevra ebbe la sensazione che qualcosa fosse fuori posto e si voltò, sobbalzando alla vista della sagoma nera. Rimasero immobili, l’una di fronte all’altra per un tempo indefinito. Lentamente dalla cappa nera emerse una mano. Ginevra la osservò avvicinarsi al cappuccio e gettarlo indietro. Sgranò gli occhi, stentando a credere ai suoi stessi occhi.
Xena la osservava con un leggero sorriso.
<<Ti sembro un fantasma?>> la canzonò la guerriera.
La regina le si gettò di slancio tra le braccia, stringendosi all’altra quasi come se volesse davvero accertarsi che fosse lì, davanti a lei, in carne ed ossa. Xena le accarezzò i capelli, lasciando che fosse lei a decidere quando separarsi.
<<Temevo che non saresti venuta>> le disse poi Olimpia, allontanandosi un po’.
Xena assunse un’espressione cupa e seria.
<<Nono potevo lasciarti sola. Non mi fido di Morgana ed Artù deve ritornare a ragionare come un sovrano>> rispose.
La regina si sedette sul bordo del letto. <<Sei arrivata tardi: il re è partito per sedare una rivolta a sud..>>
La guerriera le si sedette accanto. <<Prima o poi dovrà tornare… Nel frattempo parlerò con Morgana>> il suo sguardo si era fatto duro. Tra le due calò un denso silenzio, ognuna presa dai suoi pensieri. Olimpia fu la prima ad alzare gli occhi e, sorridendo, le strinse le mani tra le sue.
<<Sono felice che tu sia qui>>
La guerriera le sfiorò il viso con una mano. Le era mancata, più di quanto avrebbe mai ammesso.
Il rumore di passi in rapido avvicinamento fecero irrigidire la guerriera, che balzò immediatamente nel nascondiglio in cui aveva atteso l’arrivo di Olimpia.
<<Maestà!>> la porta si spalancò e Dorilea entrò affannata e con il viso paonazzo. <<Sono qui! Stanno per attaccare!>> la sua voce era stridula ed isterica.
<<Dorilea, calmati! Chi sta per attaccare?>> chiese la regina, preoccupata.
<<Stanno arrivando da nord: sono guerrieri della Cornovaglia, la sentinella ha riconosciuto le loro insegne! Dobbiamo fuggire immediatamente!>> continuò l’anziana donna, gesticolando freneticamente. Olimpia si voltò verso Xena, trovando sul viso della guerriera la stessa apprensione che incupiva il suo.
<<Cosa facciamo?>> le chiese, ignorando la sorpresa di Dorilea quando vide la donna uscire dall’ombra.
<<Possiamo fare una sola cosa: combattere>> rispose secca Xena con gli occhi freddi del condottiero.

Lancillotto osservava il comandante delle truppe che avevano assaltato Camelot, in attesa di una risposta. Addosso aveva ancora la corazza con la quale aveva guidato la difesa, ampiamente sporca di sangue e terra. La spada, riposta nel fodero, tintinnava sinistra ad ogni suo passo. Fissò con freddezza l’uomo di fronte a lui, legato saldamente ad una sedia, il cui viso era impassibile quasi quanto il suo.
<<Immagino che tu sia consapevole che i tuoi uomini sono morti, oppure nelle prigioni e che la tua ostinazione non ha senso>> gli disse, guardandolo dall’alto della sua statura solida, resa ancora più imponente dall’armatura che indossava.
Ancora silenzio. Lancillotto si voltò di spalle, fingendo di ignorare il prigioniero, di scatto lo colpì in pieno viso con la mano ancora coperta dal guanto ferrato. Il setto nasale dell’uomo si sgretolò per la violenza del colpo e prese a sanguinare copiosamente.
<<Questo è solo l’inizio>> disse il cavaliere ad un soffio dal viso contratto per il dolore del comandante. Poteva sentire l’odore ferrigno del sangue che gli si riversava lungo il collo. Il prigioniero lo guardò con aria di sfida, sprezzante del pericolo di morte cui andava incontro. Lancillotto non si scoraggiò e rise di fronte alla sua caparbietà.
<<Bene, la tua resistenza è ammirevole, ma puoi giurare che neppure i tuoi uomini parleranno?>> questa volta fu il cavaliere a sorridere con aria di sfida, che divenne poi soddisfazione quando vide comparire il dubbio negli occhi dell’avversario. Per render poi ancora più reale le sue parole, si voltò e fece per andarsene, certo che l’avrebbe fermato.
<<Aspetta…>> sorrise nel sentire la voce dell’uomo. Con estrema calma tornò a guardarlo negli occhi, in attesa che fosse l’altro a parlare per primo.
<<Avrò salva la vita se ti racconterò ciò che so?>> chiese, ancora incerto se fidarsi del cavaliere. Lancillotto pose la mano sulla propria spada.
<<Te lo giuro sulla mia spada>> gli rispose. L’altro annuì e cominciò a parlare.

<<Una mossa davvero astuta…>> commentò Artù che, tornato dalla campagna nel sud, si era trovato Lancillotto ad attenderlo.
<<Sì, maestà… Neppure io avrei pensato che la rivolta fosse solo un’esca per scagliare un attacco direttamente su Camelot>> rispose il cavaliere, ancora rispettosamente in ginocchio.
“Ha salvato la mia roccaforte, ha combattuto da valoroso qual è… Possibile che sia davvero il traditore che credevo?”
Un silenzio cupo calò tra i due mentre Lancillotto osservava di sottecchi le espressioni che attraversavano il viso del sovrano.
<<Alzati, Lancillotto. Il mio luogotenente non deve ossequiarmi a quel modo>> gli disse poi, sorridendo come se finalmente avesse liberato il suo animo da un peso troppo gravoso.
<<Credo di doverti delle scuse, amico mio>> gli disse poi Artù quando l’altro si fu alzato.
<<Prima che a me, credo che tu debba chiedere perdono alla tua sposa: è del suo onore che hai dubitato>> gli rispose, guardandolo negli occhi. Il sovrano annuì,mesto, abbassando lo sguardo. Con un inchino Lancillotto prese congedo, lasciando ad Artù la giusta solitudine.
<<Non pensavo di rivederti qui>> la voce sarcastica di Morgana fece voltare il cavaliere, che la fissò in silenzio mentre si avvicinava.
<<Hai riconquistato il favore del re… Me ne rallegro>>
<<Smettila di mentire: non sono Artù ed i tuoi trucchi non mi ingannano>> le disse crudo, il viso una maschera di furia latente.
<<Certo, tu non sei Artù>> la sacerdotessa sorrise maligna. <<Ma non sei neppure chi dici di essere>> sussurrò ad un soffio dal suo orecchio.
Il cavaliere si irrigidì, trattenendo la tentazione di squarciarle la gola con la spada. Morgana rimase immobile, soddisfatta.
<<Non è forse così, Selene?>> chiese, rincarando la dose. Gli occhi di ghiaccio della guerriera la inchiodarono con un solo sguardo.
<<Stammi a sentire, Morgana. Non so cosa avesse in mente Viviana quando ti ha mandata qui, ma sappi che non esiterò un solo istante se i tuoi disegni perversi colpiranno ancora Ginevra>> mentre la fissava, nella sua mente presero a scorrere le immagini della sacerdotessa, bardata di pelle di leopardo, che inseguiva Olimpia lungo un pendio erboso. Per quanto si sforzasse, però, non riuscì a collocare la donna nei ricordi della sua vita passata.
<<Spero di essere stata chiara>> le disse poi, lasciando che suonasse ben più di un semplice avvertimento. Tuttavia Morgana non sembrava affatto impressionata.
<<Hai paura che la tua dolce regina soffra, cavaliere?>> il suo tono beffardo fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il cavaliere la spinse in una rientranza della parete, puntandole il filo di un pugnale alla gola scoperta.
<<Non mi importa che Artù ti accolga nel suo letto come sua sgualdrina, chiaro? Una sola mossa falsa, anche la più piccola, e la tua testa sarà esposta sulle mura>> premette leggermente la lama sulla pelle olivastra, lasciando che stillassero alcune gocce di sangue.
Lancillotto sentì dei passi in lontananza e lasciò la presa, permettendole di respirare. Ripose l’arma e si inginocchiò con falsa cortesia, lasciandola sanguinante e furente.
“Devo stare attenta… Molto attenta” pensò la guerriera allontanandosi, senza voltarsi. Morgana portò le dita alla piccola lacerazione sul collo e rimase ad osservare immobile il liquido rosso che le sporcava i polpastrelli. Aveva osato troppo. Questa volta avrebbe punito la sua impudenza distruggendo lei e la sua tanto cara Olimpia. Ora, però, doveva attendere. Si avviò verso le sue stanze, assorta nei suoi pensieri, senza curarsi del sangue che ora era arrivato ad imbrattarle la veste. <<Se io cadrò, tu precipiterai con me…>> sibilò la donna tra i denti mentre si allontanava <<E questa volta per sempre>>

Ginevra si guardava intorno svogliatamente: non aveva desiderio alcuno di essere presente a quel banchetto, ma i suoi doveri di regina la costringevano a recitare la parte della sposa devota e felice. Al suo fianco, Artù si prodigava in ogni modo perché non le mancasse nulla, ma lei continuò a mantenere il suo rigido atteggiamento di distaccata cortesia nei suoi confronti. L’offesa che le aveva arrecato bruciava ancora e certamente non sarebbero bastate poche premure perché lei dimenticasse. Le parole di colui che una volta aveva amato le risuonavano ancora nelle orecchie ogni volta che lui la sfiorava.
“Per la tua arroganza avresti meritato davvero una sposa adultera” pensò mentre Artù le versava dell’altro idromele nella coppa che volutamente evitò di bere.
<<Tutto bene?>> le chiese lo sposo, non mancando di notare il suo gesto.
Ginevra si costrinse a mantenersi calma: c’erano troppe orecchie indiscrete a cui senz’altro era meglio evitare di fornire motivo di pettegolezzo.
<<Non posso dire di essere esattamente lieta>> gli rispose, asciutta.
<<Ora vedrai>> le disse Artù, sorridendo mentre le stringeva la mano. Fece un cenno e dopo pochi attimi entrarono nella sala ben tre musici che presero a suonare antiche ballate druidiche. Ginevra ne rimase molto colpita e seguì le loro parole giocare tra di loro per formare meravigliosi intrecci, ciascuna come una singola tessera di un mosaico che, accompagnandosi alle altre, dà vita a splendide immagini. Il tempo parve volare e troppo presto giunse il momento di abbandonare la sala. La regina si premurò di complimentarsi personalmente con gli artisti, sperando che Artù nel frattempo si allontanasse da solo. Quando poi si voltò per recarsi nelle sue stanze, lo vide accanto alla porta, in attesa. Prese un profondo respiro e si costrinse a continuare per la sua strada. Lui l’affiancò, rispettando il suo silenzio.
<<Sono felice che tu abbia apprezzato quei musici>> le disse poi mentre salivano la stretta scalinata. <<So quanto tu apprezzi la musica>> aggiunse.
<<Ti aspetti che ti ringrazi?>> gli chiese senza neppure fermarsi a guardarlo in viso.
<<Io di solito lo faccio quando ricevo un dono gradito>> fu la risposta irritata del sovrano. Ginevra si fermò, fissandolo negli occhi.
<<Credi che mi basti questo, Artù?>> sentiva le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi.
<<Ho sbagliato, lo so, e non sai quanto mi dispiace. Ma cerca di comprendere anche le mie ragioni>> cercò di giustificarsi.
<<Quali ragioni possono essere sufficienti a comprendere un’accusa ingiusta di adulterio e la morte di una fanciulla?>> insistette lei.
Artù distolse lo sguardo, consapevole di non essere nella posizione di dire alcunché.
<<Ginevra, io ti amo>> le disse dopo una lunga pausa di silenzio. <<Eravamo felici insieme, cos’è accaduto?>> le chiese accorato.
La donna non rispose, i pensieri occupati dal sorriso di Xena, dal ricordo delle sue braccia forti e gentili, delle sue labbra morbide. Sentì appena la voce di Artù che continuava a parlarle. Tornò presente a se stessa quando lui la prese tra le braccia, stringendola a sé. Cominciò a piangere in silenzio di rabbia, di dolore, di amore. Piangeva per la consapevolezza di essere ingabbiata dalla rete dei suoi doveri che le avrebbero impedito di vivere come voleva, accanto a chi amava davvero. Cercò di trovare calore nella stretta dello sposo, lo stesso uomo che un tempo aveva amato e che l’aveva resa felice e che ora rappresentava tutto ciò da cui voleva disperatamente fuggire.
Si aggrappò alla sua veste, soffocando il pianto sulla sua spalla mentre Artù le sussurrava dolci parole, accarezzandole i capelli e lasciando che si liberasse del peso che le gravava addosso. Ritrovando i proprio autocontrollo, Ginevra si separò da lui, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Fece per voltarsi per entrare nelle sue stanze ma Artù la trattenne dolcemente, tenendole il bracciò. Lo guardò intensamente negli occhi  e la donna s’accorse di come il loro colore somigliasse tanto a quelli di Xena. Permise che la baciasse e quando la seguì all’interno della sua camera da letto non oppose il netto rifiuto che avrebbe desiderato e lentamente al viso dell’uomo si sovrappose quello della guerriera.

La luna piena splendeva serena, stagliandosi come l’unico faro della notte. Xena abbassò la spada, detergendosi il sudore dalla fronte. L’erba attorno a lei portava i segni dei suoi stivali, lasciati durante lo sfibrante addestramento cui si stava sottoponendo. Sull’orizzonte era visibile l’imponente figura di Camelot, i fuochi sulle mura ben accesi e brillanti. Le parole ed il viso strafottente di Morgana erano stati un chiodo fisso da quando aveva lasciato la sacerdotessa. Era consapevole di averla già affrontata in passato ed era certa di poterla sconfiggere, ma a che prezzo? Non poteva rischiare che facesse ancora del male ad Olimpia. Di scatto riprese a fendere l’aria con la lama, che lanciava fasci di luce lattea quando i raggi lunari ne illuminavano la perfetta superficie d’acciaio. Il simbolo di Avalon la colpì come una folgore. Viviana era la chiave di tutto.
“Devo tornare ad Avalon” pensò, riponendo l’arma nella sua guaina ed avviandosi verso la cavalcatura che l’attendeva paziente a pochi passi di distanza. Ne accarezzò il collo robusto prima di montare in sella.
<<Stai tranquilla, ora ti porto a casa…>> le disse, spronandola poi con le redini in direzione di Camelot.
Una nuvola densa oscurò la luna, ma la guerriera se ne rese conto a stento, assorbita com’era dal flusso dei ricordi che l’effige della luna di Avalon aveva prepotentemente rievocato

CAPITOLO V

<<Perché?>> chiese la regina, notevolmente sorpresa dalle parole della guerriera.
<<Perché l’ha mandata qui Viviana e lei risiede ad Avalon>> fu la risposta volutamente neutra di Xena, il cui viso rimase impassibile. Olimpia volse lo sguardo fuori dalla finestra, distogliendolo dalle iridi chiare dell’altra.
“Ed eccomi di nuovo da sola…” pensò, chinando il capo. Xena le si avvicinò e le cinse la vita con le braccia, provocandole un brivido lungo tutta la schiena.
<<È necessario che io vada, Olimpia… Devo scoprire perché Viviana ha scelto di servirsi di quella donna e soprattutto qual è il suo fine>> le disse dolcemente. <<Ti ha già fatto del male e non voglio che succeda ancora>> aggiunse, posandole un bacio leggero tra i capelli intrecciati. Olimpia si girò nella sua stretta, tornando a guardarla negli occhi.
<<E credi che lasciarmi ancora una volta sola sia la soluzione?>> il viso della regina sembrò oscurarsi.
<<Olimpia, ora non devi temere nulla: godi di nuovo del favore di Artù e Morgana non è così sciocca da inimicarsi il re adesso che la sua posizione è molto fragile>> la rassicurò la guerriera.
Le immagini della notte appena trascorsa costrinsero la regina a distogliere gli occhi, stretta dal senso di colpa. Xena le sollevò il viso sfiorandole delicatamente il mento con due dita.
<<Non starò via molto>> le disse, sorridendo.
“Se solo sapessi…” pensò la regina, incapace di mascherare le lacrime che avevano deciso di far capolino all’angolo dei suoi occhi. La guerriera la asciugò prontamente quando una sfuggì al controllo, scivolando lungo la gota. 
<<Se credi che sia giusto così, non posso certo impedirtelo io>> disse poi Olimpia, sciogliendosi dalla sua stretta e tornando a darle le spalle. Xena fece per avvicinarsi, ma si trattenne, consapevole del fatto che ciò avrebbe solo reso le cose più difficili.

<<Se avrai bisogno di me, sai dove sono>> aggiunse, poi lasciò la stanza con passo marziale, dirigendosi verso il cortile in cui l’attendeva la sua cavalcatura, già pronta per intraprendere il viaggio. Aveva informato Artù della sua volontà di allontanarsi temporaneamente e, pur riluttante, il re aveva acconsentito. Controllò che le bisacce fossero pronte, poi montò in sella. Schioccò la lingua e l’anima cominciò a procedere al piccolo trotto. Si voltò indietro ed intravide la figura di Ginevra alla finestra. Le fece un cenno con la mano, poi dette un colpo secco con le redini e si allontanò al galoppo oltre la cinta del castello.

519 d. C, Avalon

<<Viviana!>> la voce della sacerdotessa Lisia irruppe nei pensieri della Dama del Lago come una folgore. La donna sollevò il capo dalla pergamena che aveva di fronte sullo scrittoio e corrugò la fronte nel vedere il viso dell’altra paonazzo per lo sforzo. Le fece cenno di sedersi, ma Lisia scosse la testa, ancora visibilmente affannata.
<<Selene…è qui…>> riuscì a dire. Viviana sgranò gli occhi, non riuscendo a credere alle sue parole.
<<Vuole parlare…con te>> aggiunse la sacerdotessa prima che la Dama del Lago potesse dire qualcosa. Si limitò allora ad annuire e Lisia corse fuori con un’agilità inaspettata per i suoi anni.
Quando la guerriera entrò, la donna ebbe quasi un sobbalzo: i tratti giovanili che ricordava si erano fatti maturi e la struttura fisica, già impostata, era divenuta possente e resa ancora più minacciosa dalla corazza in cuoio e scaglie metalliche che indossava sotto il mantello blu. Sorrise nel vederle alla cinta la spada che le aveva donato prima che partisse per Escalot.
<<Non speravo più che la Dea mi avrebbe concesso di rivederti…>> le disse avvicinandosi a lei per abbracciarla. Selene dapprima rispose con freddezza, poi si strinse alla donna che, nonostante tutto, era l’unica madre che aveva conosciuto.
Era rimasta stupefatta nel ritrovarla esattamente come la ricordava: la chioma fulva era ancora folta e luminosa mentre sul viso i segni del tempo erano limitati a poche tracce intorno agli occhi. Sorrise quando, sciolto l’abbraccio, la vide asciugarsi velocemente le lacrime.
<<Hai quasi fatto venire a Lisia un attacco di cuore>> disse la sacerdotessa, facendole cenno di sedersi accanto a lei su di una panca.
<<Dimmi, figlia mia, sei qui per restare?>> le chiese poi, tenendole le mani tra le sue, dando voce al suo desiderio più profondo. La guerriera scosse il capo.
<<Mi dispiace, Viviana, ma il mio posto non è il Tempio della Dea da molto tempo ormai. Sono qui perché ho bisogno di risposte>> le disse, attendendo che l’altra, con una nota di delusione sul viso, le facesse cenno di continuare. Le parlò quindi di Ginevra, dei loro ricordi della loro vita passata, della forza del loro legame che aveva abbattuto le barriere del tempo.
“Sapevo che in te c’era qualcosa di speciale, Selene… L’ho sempre saputo” pensò mentre l’ascoltava con assoluta attenzione.
Quando ebbe finito tra loro calò un silenzio nel quale la sacerdotessa sembrò lasciarsi assorbire dai propri pensieri. Quando poi tornò a guardarla in viso, aveva un’espressione serena.
<<Con quale nome vuoi essere chiamata, bambina mia?>> le chiese, scherzando.
<<Non credo che sia il nome a definire chi sono. Soprattutto non è per questo che ho viaggiato a cavallo per due settimane fin qui>> le rispose, ritornando seria.
<<Spero che potrai ugualmente attendere fino a domattina: dopo un viaggio così lungo avrai bisogno di riposare>> le disse, avendo notato i segni della stanchezza nei gesti della donna.
<<Viviana, non…>> fece per dire la guerriera, ma la sacerdotessa la interruppe con un gesto secco della mano che non ammetteva repliche.
<<Domani mattina, Xena. Attendi solo a domattina>> aggiunse, alzandosi e chiamando una giovane adepta che la portasse nelle stanze delle Guardiane della Luna.
Raggiungendo la porta, Xena sentì la muscolatura ribellarsi e si rese conto che aveva effettivamente bisogno di riposare.
Seguì la fanciulla in silenzio lungo i corridoi che, nonostante gli anni passati lontano da quel luogo, erano ancora ben definiti nella sua memoria. Quando l’altra le ebbe portato dell’acqua per rinfrescarsi e l’ebbe lasciata sola, si sdraiò sul letto semplice ed ebbe appena il tempo di togliere stivali e mantello prima di crollare addormentata.

 

519 d. C., Camelot

Ginevra sedeva preoccupata nel salottino interno, attorniata dalle sue dame di compagnia, che chiacchieravano serene. Una di loro era convolata a nozze con sir Galvano da alcuni mesi ed ora portava orgogliosa il ventre ingrossato dalla gravidanza che cominciava ad essere evidente.
<<Spero che sia un maschio!>> diceva con voce argentina. <<Hanno contato le lune ed è quasi certo che sarà così!>>
La regina le sorrise forzatamente, mentre i pensieri che ormai l’accompagnavano da tre giorni tornavano a farsi strada nella sua mente: i suoi cicli naturali erano in ritardo, possibile che fosse in attesa del tanto desiderato erede al trono? Per saperlo con esattezza non poteva far altro che attendere.
“Un figlio…” quel pensiero la colmava di felicità, ma le infondeva un’incredibile senso d’angoscia e di paura. Non riusciva a non pensare a cosa avrebbe potuto significare un figlio, suo e di Artù, per il suo legame con Xena. Poteva quasi vedere i suoi occhi sorpresi e feriti mentre fingeva di essere partecipe di quell’evento così importante per il regno.
<<Mia signora, qualcosa la disturba?>> le chiese una delle giovani che le stavano attorno, notando l’espressione di disagio che le si era fatta strada sul viso.
Ginevra fece cenno di no con la testa mentre sentiva qualcosa muoversi all’altezza dello stomaco. Intorno a lei i colori cominciarono a girare e si tenne la testa tra le mani nel tentativo di fermarli. Prese respiri profondi prima di riaprire gli occhi. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: era tutto al suo posto.
<<Maestà, è sicura di star bene?>> insistette una fanciulla che le ricordava terribilmente Eilan.
<<Sì, cara…>> le rispose sorridendo. <<Forse, però, è meglio che prenda un po’ d’aria fresca. Ti andrebbe di accompagnarmi?>> le chiese dolcemente e, dopo l’assenso evidentemente lusingato della giovane dama, si alzò, dirigendosi elegantemente verso la porta.
Era sul punto di oltrepassare la soglia quando si fermò, incerta sulle ginocchia. Istintivamente si aggrappò alla ragazza dietro di lei, che la sostenne. Le pareti avevano ricominciato a vorticarle intorno ancora più vertiginosamente di prima e non riuscì a reggersi. Si accasciò a peso morto tra le braccia della fanciulla che riuscì solo ad adagiarla sul pavimento lentamente.
I suoni le giungevano ovattati e l’ultima immagine che vide furono gli occhi castani della ragazza che la fissavano con apprensione.

Sbatté le palpebre più volte prima che i suoi occhi riuscissero ad adattarsi alla luce. Per quanto si sforzasse non riusciva a capire dov’era né cosa era accaduto.
<<Bene, maestà, vedo che si è svegliata>> una voce maschile la fece sobbalzare.
Si voltò e vide seduto accanto al letto un uomo anziano con una lunga barba candida che spiccava sulla tunica scura. Dopo un primo istante di smarrimento, lo riconobbe: era il medico personale di Artù. Cercò di tirarsi su, ma l’anziano le fece cenno di no con la testa.
<<State comoda, maestà: nel vostro stato avete bisogno di riposarvi>> la sua voce era gentile, ma non ammetteva repliche.
La paura cominciò a serpeggiarle nella mente: il suo stato? Quale stato? Possibile che… Esitò a lungo prima di risolversi a parlare.
<<Perché, qual è il mio stato?>> chiese con voce incerta. Ancora un sorriso paterno.
<<Vostra maestà davvero non lo immagina?>>
Ginevra fece cenno di no con la testa.
<<Siete in dolce attesa, mia signora>>
Dopo quelle parole, calò un silenzio incredulo. Tutti i suoi dubbi erano stati fugati una volta per tutte: era incinta. Stentava a convincere se stessa di quella verità.
<<Il re è già stato informato?>> L’anziano medico annuì.
<<Avete dormito per due giorni, maestà. Il re è stato il primo ad avere la notizia. E l’ha accolta anche con molta gioia>>
La regina annuì, per nulla sorpresa né lusingata.
<<Vorrei rimanere sola adesso. Mandate a chiamare Dorilea>> gli disse, chiudendo gli occhi.
Sentì i suoi passi farsi sempre più lontani ed i battenti della porta chiudersi alle sue spalle. Quando fu sicura che fosse andato via, si portò una mano al ventre.
<<Mio figlio…>> sussurrò.

 

519 d. C., Avalon

<<Cosa?>> Viviana era balzata in piedi come se fosse stata investita da una fiammata devastante.
Xena non diede segno di essere sorpresa dalla sua reazione.
<<Quella donna a Camelot! Perché non sei venuta prima?>> le disse cominciando a camminare nervosamente nel giardino.
<<Mi disse che era lì come tua rappresentante>> fu la risposta della guerriera che la osservava muoversi di fronte a lei, furente.
<<Mia rappresentante? L’ho scacciata dalla sacra isola non appena si è rivelata la sua vera natura: non è una sacerdotessa, è una serpe!>> inveì la Dama del Lago, fermandosi dinanzi all’altra donna e fissandola negli occhi.
<<È il potere che vuole, null’altro: non c’è nulla che potrà fermarla>> aggiunse quasi come se stesse parlando a se stessa.
<<È nei miei ricordi>> disse improvvisamente Xena. <<Solo che non riesco a darle un nome né un’identità>>
Viviana l’ascoltò con preoccupazione, poi si fermò di scatto, sgranando gli occhi come se finalmente tutto le fosse apparso chiaro. La guerriera la guardò interrogativa, attendendo in silenzio che la sacerdotessa la mettesse a conoscenza delle sue informazioni.
<<L’ho sorpresa durante un rituale evocativo. Deve aver risvegliato la conoscenza della sua precedente incarnazione>> Viviana la guardò intensamente. <<È potente ora, ma in passato deve esserlo stata molto di più e forse, anzi, ne sono certa, sei stata tu a fermarla>> concluse sicura.   
La guerriera annuì pensierosa, trovando nelle parole della donna la conferma a quelle che per lei erano solo sensazioni diluite dal tempo.
<<Dobbiamo solo capire come…>> rifletté ad alta voce la Dama del Lago.
<<È molto semplice>> alle parole della guerriera si voltò di scatto verso di lei, sorpresa. Xena annuì seria.
<<Devo ripetere il suo stesso rituale>> disse poi.
<<È fuori discussione! È qualcosa di estremamente pericoloso e malvagio: serve un’anima molto potente per gestirlo senza esserne sconvolti!>>
Le due si guardarono negli occhi, quasi sfidandosi. La guerriera si alzò, avvicinandosi al viso dell’altra con un’espressione di gelida fermezza.
<<Viviana, darei la vita per proteggere Olimpia>>
La sacerdotessa scosse il capo. <<Non rischi di perdere solo la tua vita, ma la tua stessa anima>> la sua voce tradiva ansia.
<<Non accadrà se sarai tu a prepararmi>>
<<Non fare questi giochetti con me, guerriera!>> sbottò Viviana <<Non so neppure se io stessa posso controllare una simile potenza>> aggiunse a voce bassa, distogliendo gli occhi.
Xena le prese le mani, costringendola a guardarla ancora negli occhi.
<<Ho bisogno del tuo aiuto, Dama del Lago: non c’è nessun altro a cui possa rivolgermi>>
Di fronte al suo sguardo implorante, la sacerdotessa cedette, accarezzandole con fare materno i lunghi capelli corvini.
<<E sia, figlia mia… Ma non sarà facile>> aggiunse grave.
La guerriera annuì seria e la seguì all’interno del tempio in assoluto silenzio.

 

519 d. C., Camelot

Erano quasi trascorse quattro lune da quando Xena era partita ed Olimpia cominciava a temere che le fosse accaduto qualcosa. Cercò di trovare una posizione comoda tra i cuscini che Dorilea aveva portato sulla sedia, ma fu praticamente inutile. Si sentiva piena di dolori e non dormiva da giorni, grazie anche alle nausee che la svegliavano ben prima dell’alba. Artù era un tripudio costante di gioia ed orgoglio e le sue continue premure cominciavano a stancarla: da quando aveva saputo della sua gravidanza a stento le permetteva di scendere dal letto da sola.
La regina si alzò per affacciarsi alla finestra, respirando a piani polmoni l’aria frizzante delle ore che precedono l’alba. Fuori sembrava che tutto fosse addormentato ad eccezione delle guardie che periodicamente si davano il cambio lungo le mura. L’orizzonte cominciò a colorarsi di rosa tenue ed Olimpia sperò di vedere la guerriera tornare.
<<Ginevra, sei già sveglia?>> la voce di Dorilea, cui aveva chiesto di condividere la camera da letto, la fece voltare, distogliendola dai suoi pensieri. Sorrise alla donna, ormai vicina alla vecchiaia, e tornò a sedersi sul bordo del letto, accanto a lei.
<<Ancora le nausee?>> le chiese l’altra, aiutandola a sdraiarsi sistemandole un guanciale sotto il capo.
<<Anche…>> le rispose tirandosi su le coperte non troppo pesanti. Dorilea rimase alcuni momenti in silenzio, guardandola negli occhi.
<<Preoccuparti così non ti serve a nulla, sai?>> le disse dopo un po’, avendo intuito quale fosse l’oggetto dei suoi pensieri.
<<Se le fosse accaduto qualcosa…>> fece per controbattere ma l’anziana le mise un indice sulle labbra.
<<Non devi dirlo neppure. Poi, se le fosse davvero accaduto qualcosa, posso assicurarti che lo sentiresti>> la tranquillizzò, materna.
Olimpia annuì, rannicchiandosi in posizione fetale tra le sue braccia, cercando conforto. Sentiva la vita crescere dentro di sé giorno dopo giorno assieme alla gioia che comportava, eppure non riusciva a gustarla appieno.
“Xena, perché non sei qui?” pensò, mentre lasciava che la stanchezza avesse il sopravvento su di lei, facendola addormentare tra le carezze amorevoli di Dorilea.
<<Riposa bene, piccola mia>> disse la donna prima di chiudere anche lei gli occhi, avvolta dal tepore delle coltri e del corpo della giovane.

 

519 d. C., Avalon

La memoria le invase la mente con il fragore di una folgore: si tenne stretta alle mani di Viviana per non perdere il contatto con la realtà. Intorno a loro, in cerchio, alcune sacerdotesse salmodiavano una litania nella sacra lingua dell’isola con cui venivano celebrati i riti più sacri e potenti.
Dietro le palpebre le scorrevano le immagini della sua vita passata in un flusso continuo, assumendo man mano forza e significato. Poi la vide, di fronte ad una pira funebre, mentre teneva stretta Olimpia per i capelli, poi lottare contro di lei sotto forma di scheletro.
<<Antinea…>> sussurrò senza aprire gli occhi né rompere la trance.
La Dama del Lago la guardava in silenzio, ben attenta a qualsiasi cenno di cedimento sul viso della guerriera. Dovette trattenersi dal fermare il rituale ogni volta che vedeva la donna contrarsi o urlare per il dolore di antiche ferite.
Xena aprì gli occhi di scatto, boccheggiando alla ricerca d’aria. Si piegò in avanti, cercando di ritrovare un ritmo regolare nel respiro, lentamente il rombo nelle sue orecchie rallentò fino a lasciare il posto al silenzio. Viviana aveva dato ordine di tacere alle altre sacerdotesse e l’osservava, in attesa.
<<Stai bene?>> le chiese dopo un po’ con rinnovata apprensione per lo sguardo ancora vacuo ed assente della guerriera. La sua voce le risuonò nella mente con forza, strappandola ai suoi pensieri vaganti. Annuì appena e mentre si rimetteva in piedi sentì la muscolatura farle male ad ogni movimento. Viviana le stava accanto, vicinissima, pronta a sostenerla se avesse vacillato.
<<Ti avevo avvisata che non sarebbe stato facile>> le disse vedendola avanzare a piccoli passi incerti.
<<Sto bene, Viviana. Devo solo riprendere fiato>> le rispose brusca, aprendo e stringendo le mani per scacciare il dolore sordo e l’immagine dei chiodi che le penetravano. Con un cenno la Dama del Lago congedò le altre sacerdotesse presenti.
<<Hai trovato quello che cercavi?>>
Xena attese prima di risponderle, incerta. Aveva visto se stessa uccidere Morgana, o Antinea, sapeva chi era ed a cosa l’aveva portata, ma come avrebbe potuto affrontarla in questa vita?
<<Forse, Viviana… Forse>> si limitò a risponderle, seguendo poi la sacerdotessa lungo un corridoio laterale che non ricordava.
<<Dove stiamo andando?>> le chiese.
<<Alla polla in cui ti ho consacrata da bambina>> fu la risposta secca della Dama, che continuò ad avanzare.
Quando furono all’esterno, Xena si rese conto che la notte era molto inoltrata e la falce di luna calante stentava ad illuminarla a sufficienza.
<<Ora spogliati ed immergiti nell’acqua>> le ordinò Viviana in prossimità del piccolo specchio d’acqua.
La guerriera fece per chiedere spiegazioni, ma la donna le fece cenno di tacere.
<<Permettimi di darti una protezione, figlia mia: ti attende una battaglia più dura di quanto immagini>>
Si guardarono a lungo negli occhi, poi Xena si risolse a togliersi le vesti. La sacerdotessa ebbe un tremito vedendo le cicatrici che segnavano la pelle chiara della guerriera mentre si immergeva nelle acque gelide. Le impose le mani sul capo.
<<Ora chiudi gli occhi>> le disse e cominciò a salmodiare.