episodio 12

EPISODIO N. 12
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di GXP

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L’insostenibile leggerezza dell’essere - parte II

- Fiducia? - disse l’amazzone con astio voltandosi lentamente - Fiducia, Virgilio? Quello che hai visto fin ora su quella parete è fiducia? - il suo tono era davvero sprezzante.

- Anche mia madre aveva fiducia in te, Olimpia – disse acidamente Evi, mettendosi le mani sui fianchi, profondamente infastidita dal vittimismo di cui la donna faceva mostra. L’amazzone si voltò verso di lei, altrettanto stizzita.

- Non difenderla a priori. Io avevo perso la memoria! -

- E mia madre avrebbe perso la sua vita per te! Ma sei troppo egoista per capirlo! – rispose a tono la messaggera di pace.

- Adesso basta - disse Xena mestamente - Voi non avete nulla a che fare con questa faccenda. È una questione tra me e Olimpia. Inoltre il carro sta per partire, quindi affrettatevi a lasciare la casa -

- Io … - provò ad intervenire Fillide.

- Mi piacerebbe che ve ne andaste in amicizia - lo interruppe Xena, senza guardarlo negli occhi.

Virgilio diede una pacca sulla spalla al fratello indicando, con un cenno del capo, di prender la sua parte di bisacce nella stanza. Quando tornarono poco dopo, la situazione era di poco cambiata: Xena era appoggiata alla testa del camino. Olimpia si era seduta al lato opposto della stanza ed Evi passeggiava su e giù per l’ambiente.

- Noi… andiamo - disse accoratamente il poeta.

Olimpia si alzò e gli andò in contro abbracciandolo.

- Fai buon viaggio amico mio. E applicati nella poesia. Hai talento -

- Grazie - rispose lui con un nodo alla gola.

I due si strinsero.

- Magari potrei venire a trovarti - disse lei, come se cercasse una via di fuga.

Virgilio ne rimase poco contento. Aveva capito che tra le righe significava un viaggio senza Xena. La guardò con un sorriso stretto e triste. Quindi si diresse da Evi.

- Scrivimi e fammi sapere come finisce - le sussurrò nell’orecchio. Arrivato a Xena, uno di fronte all’altra, non si scambiarono una parola ma solo un abbraccio. E una pacca sulla spalla. Quindi il poeta si diresse sconsolato verso la porta.

Fillide partì con i saluti da Xena.

- Xena, io… - cercò di dire.

- Shh – gli rispose lei, abbracciandolo e grattandogli la testa velocemente col pugno.

- Mantieni alto il nome della famiglia, capito? - gli disse con un sorriso sulle labbra.

- Sarà fatto - rispose lui, camminando all’indietro e mostrandole i pollici verso l’alto fino a raggiungere Evi

- È stato bello passare questi giorni con te. Sai dove trovarmi, ecco - l’abbracciò con il suo caratteristico slancio un po’ goffo.

- Sei come un fratello per me, verrò volentieri a farti visita – Evi lo congedò con una carezza sul viso, ricambiata dalla smorfia di chi ha capito che non ci potrà essere altro che amicizia.

Arrivato da Olimpia, Fillide sentì l’imbarazzo avvolgerlo. Aveva tantissime cose da dire in difesa di Xena e tanta rabbia che non sapeva manifestare. Olimpia lo guardò con un sorriso e lo abbracciò. Lui prese coraggio e tutto d’un fiato espose la sua visione dei fatti.

- Grazie a Xena io ho potuto vedere mio padre… le sarò eternamente grato, anche se ha rischiato grosso. Pensaci. Sei mia amica e ti voglio bene. Stammi bene Olimpia. - si diresse poi, in silenzio, verso la porta.

I due fratelli all’uscio salutarono con la mano un’ultima volta prima di sparire fuori dalla casa.

Nella stanza si udivano solo i passi di Evi e la legna che Xena stava posizionando nel caminetto per riscaldare la casa dal gelo della sera.

- Io ho bisogno di riposare. Mi ritiro in camera mia – disse Olimpia, mettendosi una mano sulla fronte, quindi si diresse silenziosa verso la sua stanza chiudendosi la porta alle spalle.

- La lasci andare così madre? - chiese stupita la giovane - Non ha nemmeno finito di ascoltare -

Xena non le rispose.

- Lei ti ha tradito per mesi e mesi ed ora fa la vittima per un bacio? Questo è inconcepibile! – insistette, ma la principessa guerriera non rispose nemmeno questa volta.

- Hai rischiato la tua anima per lei. Possibile che tu non le voglia parlare? -

Xena si mosse lentamente avvicinandosi alla figlia.

Si ritrovarono faccia a faccia. Evi smise di parlare notando lo sguardo smarrito della madre e la mano tremante portata alla bocca. Erano mesi che a Xena non capitava. Ma in quel momento cedette e si lasciò andare in un pianto soffocato dall’abbraccio stretto in cui la teneva e sorreggeva la sua “bambina”.


Capitolo 20 – Tentazioni e fumi dell’alcool

 

Quella notte Olimpia non riusciva assolutamente a dormire. Il vento che si era levato soffiava contro le ante di legno mezze rotte che sbattevano contro la finestrella. La tenda di stoffa chiara sventolava con tonfi secchi contro le assi della parete. La legna del caminetto era poca e le fiamme si erano quasi spente lasciando che il freddo notturno penetrasse nella sua camera. Le rivelazioni del tardo pomeriggio non le davano tregua. Non era nemmeno riuscita a cenare decentemente. Il disprezzo per Marte, il disgusto per le scene che lui le aveva mostrato, l’imbarazzo di aver visto quegli atti davanti agli amici la stavano logorando. Era in posizione fetale nel letto e continuava a stringersi la testa. Voleva scacciare qui pensieri per trovare un po’ di conforto nel sonno, rannicchiandosi tra le coperte per cercare del tepore. Sperava di riavere quella visione che l’aveva accompagnata durante i silenziosi mesi di viaggio in compagnia di una Xena ostile ad ogni forma di comunicazione e di riavvicinamento. Sperava di rivivere anche solo per un attimo quel senso di casa e amore che la visione di lei e Brunhilde nella grande dimora nel Nord le aveva sempre donato. E sperava anche che, almeno per una volta, il sogno non venisse interrotto e le si concedesse un po’ di ristoro tra braccia amiche e tenere. Lo sperava ardentemente, così intensamente che iniziò a sussurrarlo tra sé e sé. Chiamava Brunhilde.

Brunhilde, ti prego vienimi in sogno, ho bisogno di te. Brunhilde, ti supplico non lasciami sola. Brunhilde, Brunhilde... ti prego… vieni da me…. Brun…

Si assopì con le parole ancora sulle labbra e la sognò.

Heimdallr la salutava ai piedi del ponte, distrutto durante il Ragnarok, ma che ora le si presentava bello e imponente come la prima volta che lo aveva attraversato. Il guardiano le rivolgeva un sorriso radioso.

- Corri Olimpia, ti stanno aspettando - le diceva indicandole la strada verso la sua casa. Fulla, ancora una volta, era sulla soglia con una mano stretta al grembiule e l’altra che ondeggiava felice, facendole cenno di raggiungerla. I camini fumavano e la voce ridente della donna le elencava i piatti della cena. Olimpia entrò in casa vistosamente emozionata. Abbracciò chiunque incontrasse per quei lunghi e alti corridoi di pietra. Superò la sala delle armi, accelerando il passo perché sapeva che la loro stanza era sempre più vicina. Arrivata davanti alla porta, la aprì con timore. Lei era li: i capelli sciolti, lunghi e biondi, le cadevano sul corpo snello. Brunhilde le sorrideva con gli occhi verdi colmi di gioia. Allargò le braccia cercando un abbraccio che non tardò ad arrivare perché la poetessa le si gettò al collo.

- Come mi sei mancata - le disse la valchiria, accarezzandole la testa.

- Anche tu, anche tu, Brunhilde cara - piangeva lei – Amica mia- disse con voce rotta dal pianto.

Si strinsero ancora di più e ad Olimpia pareva di sentire il suo profumo invaderla. Si staccò a lei per osservarla.

- Sono consapevole che questo sia solo un sogno, eppure mi sembra tutto così meravigliosamente vero- le confidò con le lacrime agli occhi.

- Non ha importanza se sia un sogno o no. Quello che conta è ciò che prova il tuo cuore. Come ti senti Olimpia? - le chiese la guerriera, accarezzandole dolcemente e ripetutamente il viso per togliere le lacrime che vi scivolavano.

- Io sono…. Felice…ora…qui - rispose l’aedo, abbassando lo sguardo.

La valchiria le sorrise e si avvicinò a lei per baciarla. La poetessa sorrise sentendo il calore delle labbra posate sulla pelle. Olimpia la stringeva a se perché voleva sentirla. Pregava in cuor suo di non svegliarsi da quel sogno che le dava così tanto calore. Supplicava che nessuno la disturbasse e che quel momento potesse durare il più a lungo possibile. Riusciva a percepire i capelli tra le dita, il respiro caldo e profondo di lei. Era apparsa nei suoi sogni come a comando e ancora una volta le stava donando quel calore che Xena non era in grado di darle. Brunhilde riusciva ad amarla senza gesti estremi, senza patti sciagurati con meschini dei. No. Brunhlde aveva scelto di rinunciare ai poteri di valchiria per stare con lei e vivere una vita serena. Lei aveva rinunciato al suo destino per condividere ogni secondo del loro amore. Era a lei che pensava quando vergava poesie anonime. Era a lei che dedicava ogni sospiro nella notte. Era lei che meritava la sua amicizia sconfinata. Ormai ne era certa. Doveva dirlo a Xena. Doveva mettere fine a quella assurdità della loro relazione fondata su un’unione di anime. Erano anime gemelle. Ma Marte ormai faceva parte dell’anima di Xena ed Olimpia non avrebbe mai accettato questo compromesso. Era finita. Lo avrebbe dichiarato la mattina seguente e, dopo aver chiuso con un mondo che non le apparteneva più, sarebbe partita da sola verso le terre del nord per tornare dall’unica donna che si era davvero sacrificata ben due volte per lei. Brunhilde. La sua fiamma eterna.

Xena era ancora sveglia quando, passando davanti alla porta di Olimpia, la sentì parlare, probabilmente nel sonno. Percepì chiaramente il nome della rivale e la cosa le fece raggelare il sangue. Se Marte lo avesse scoperto sarebbe stata dura liberasi di lui. Voleva parlarle. Decise che sarebbe stata la prima cosa da fare l’indomani. Al momento era troppo amareggiata per condurre una discussione logica e razionale con Olimpia.


Marte si risvegliò con un insistente cerchio alla testa.

- Ben svegliato, testone - gli disse la sorella, che lo osservava seduta al suo scranno.

- Mi hai dato una bella botta - commentò lui toccandosi la testa.

- Te la meritavi - rispose con calma la dea.

Il dio si alzò dal giaciglio reale in cui era stato posto e cominciò a tastarsi il corpo per verificare che fosse tutto intero.

- Hai solo picchiato la testa! - commentò Venere, scuotendo incredulamente la testa.

Il fratello la osservò di sbieco e diffidente. Estrasse la sua spada e cominciò a farla roteare con destrezza. Appurato di non aver subito danni rifoderò l’arma, sistematosi la cintola con fare maschio.

- Vado a ritirare la mia ricompensa – disse.

- Dove credi di andare, babbeo? - lo richiamò la sorella, mentre spiluccava uno spicchio d’arancio poi proseguì - Hai preso davvero una bella botta! Quelle due hanno fatto pace! -

- Menti - sostenne lui scettico e col sorriso sulle labbra - le ho viste litigare - canticchiò.

- E poi sei svenuto. Che bell’esempio di maschio. Con te fuori gioco, Xena l’ha fatta ragionare ed è tutto come prima, sebbene Olimpia abbia chiesto un po’ di tempo per... sì, insomma...purificarsi entrambe -

- Ma che cosa stai dicendo? Io non ti credo!- rispose con voce storpiata dall’incredulità, poi continuò - Le ho viste! Olimpia era disgustata e Xena in difficoltà, e poi possiedo ancora il segno del patto - aprendo la mano mostrò un piccolo segnetto sulla pelle.

- Si, bel patto… Quella è solo la cicatrice dell’incisione che hai fatto per convincere col tuo sangue divino quel tizio con la barca a fare quello che voleva Xena. Poi le ti ha dato il suo di sangue e bla bla bla. Non pensavo di averti fatto così male - spiegò la dea con fare non curante.

- Noi non sanguiniamo sorella e non ci feriamo. Che cosa avete congiurato voi due?-

- Dannazione, ti ho davvero ridotto il cervello una poltiglia. Ricordi di avere utilizzato l’unica arma ancora esistente forgiata da nostro padre e che è in grado di sancire patti di questo genere? Patti di sangue… ci arrivi adesso.. sangue divino… Marte, se puoi avere figli avrai anche del sangue da trasmettergli, arrivaci da solo!-

- Ee... sorella?- chiese dubbioso - Ma di cosa stiamo parlando?- disse allargando le braccia per chiedere spiegazioni.

- Una botta seria… - commentò lei e, con uno schiocco di dita, fece comparire un boccale - Bevi – lo esortò.

- Che cosa è? -

- Ti aiuterà a ricordare- disse lei con fare disgustato.

- È un trucco?- chiese lui, afferrando il calice.

- È una pozione. Bevi, per noi stessi!-

- E non imprecare… - tergiversò il dio.

- BEVI!- ordinò la dea dell’amore.

Il fratello tracannò l’intruglio in un sol sorso. Staccato il calice dalla bocca, si asciugò le labbra con il polso.

- Buono! Ed ora vado a far scoppiare una guerra in Tracia, a più tardi sorella!- si smaterializzò come se nulla fosse accaduto.

- Povero idiota- fu il commento deciso della sorella che scomparve per riapparire poco dopo nella stanza di Xena.

- Fatto: quel fesso di Marte è sistemato - le disse con aria di sufficienza, celando l’esaltazione del successo che traspariva dal sorriso a denti stretti che le mostrò poco dopo.

Xena era seduta sul letto con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Alzò il capo.

- Cosa?- le chiese.

Venere le rispose come se fosse la cosa più logica del mondo.

- Botta, sortilegio, pozione, salvezza!- si mise le mani sui fianchi attendendo i complimenti.

- Venere, io… Ma di cosa stai parlando?- chiese la guerriera, mostrandole un’espressione distrutta.

Solo allora la dea lascio cascare le braccia a peso morto e, inclinata la testa, le disse

- Non me lo dire, non ce l’hai fatta… - Si sedette accanto a lei, poi proseguì - Che è successo Xena?- le domandò intimorita.

Xena fissò il vuoto di fronte a lei.

- Sono certa che voglia tornare da Brunhilde - disse rassegnata.

- CHE COOOSA??- esclamò la dea portandosi una mano al cuore e roteando gli occhi al cielo - Adesso vado io dalla signorinella dall’altra parte e la faccio rigare dritta - disse incredula, alzandosi dal letto con fare deciso e scostandosi i veli dalle nude braccia come a rimboccarsi le maniche.

- Dove vuoi andare? - le chiese retoricamente la principessa guerriera - Se le parli penserà che ti abbia mandato io e già sospetta che l’abbia stregata per farla tornare con me... Poi mi odia per il patto con Marte ed ora tu che vuoi redimerla, per favore Venere, non fare nulla -

- Ma Xena! - obiettò lei allargando le braccia in segno di resa - Il patto è saltato! Sono la dea dell’amore, ho rotto l’incantesimo!-

- Che cosa?! E come?-

- Te lo devo ripetere? Sono la dea dell’amore. Basta qualche intruglio -

Xena mostrò un’espressione infastidita.

- Mi stai dicendo che avresti potuto evitarmi tutto questo? -

La dea si mise sulla difensiva.

- No, non potevo. Non posso correggere ad un danno d’amore se prima il danno non viene fatto. Non posso cancellare i sentimenti che mio fratello prova per te, ma ho rimosso, diciamo così, la convinzione che tra te e Olimpia sia tutto finito. Convinto Marte, il patto si scioglie. Nei patti di sangue se viene a mancare la condizione base sulla quale il patto stesso si fonda, il legame d’anime non ha ragione di esistere. Convinto lui, tu sei libera.-

- Ma avresti potuto dirmelo prima e avrei potuto garantire ad Olimpia che non mi sarei lasciata trascinare via da Marte -

- Non capisci, Xena: se il patto fosse stato stipulato con la menzogna, non avrebbe funzionato ed il rito non sarebbe avvenuto! Tu eri davvero disposta a cedere la tua anima a Marte - spiegò con rammarico, poi aggiunse scandendo bene le parole sottovoce - È questo il dettaglio che io non renderei noto ad Olimpia- concluse socchiudendo gli occhi, come se una nota stridula le pizzicasse l’udito.

Xena parve pensierosa. Si alzò e cominciò a vagare irrequieta per la stanza.

- Lui dov’è ora?-

- In Tracia a far scoppiare una guerra- disse con noncuranza la dea.

- Che cosa?!- chiese scioccata la principessa guerriera.

- Xena, lo fa tutti i giorni, io non mi preoccuperei. È il suo mestiere- concluse con tranquillità. Si portò un dito al labbro con fare meditante poi aggiunse

- Sei certa che non debba parlarle?-

- Più che certa, Venere - rispose con risolutezza l’altra.

- Neanche un sussurrino nei suoi sogni?- suggerì con fare birichino la dea.

Xena la guardò con un sopracciglio sollevato.

- Ok, no - dedusse la dea.

- Domattina parleremo- informò la mora - Vorrei che tu non intervenissi in nessun modo. Olimpia… deve essere libera di decidere da sola. L’ha già fatto una volta andandosene. Ha il diritto di rifarlo.

- Ma Xena, sono la dea dell’amore!

- L’hai detto tu stessa che siamo una di quelle coppie su cui non hai mai dovuto intervenire, che andiamo oltre i tuoi poteri. Gioca pure con le memorie di tuo fratello, ma non noi.

La dea assunse una posizione svogliata cascando seduta sul letto ed appoggiandosi con le braccia alle ginocchia, sbuffando. Xena la osservò e le venne spontaneo sorriderle. Venere ricambiò il sorriso in maniera sarcastica poi disse.

- Ma se le cose diventano assurde non puoi impedirmi di intervenire come amica - le disse prima di svanire.

La principessa alzò gli occhi al cielo e tornò a sdraiarsi sul letto, con le mani incrociate dietro la testa nell’attesa che il sonno le concedesse un po’ di quiete.

di GXP

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