episodio n. 13
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- No, figliolo. Tu dovrai portare con te molte delle mie carte e sarai appesantito alquanto. Inoltre dovrai guidarmi con il tuo fischio, sai bene che senza vista non potrei andare molto lontano. - sospirò, - Il mio piano di fuga sarebbe stato impraticabile fintanto che fossimo stati in due. Ma ora… Ci sei tu Xena… - sorrise, - Si può dare inizio alle danze, Minosse. - sibilò con ira repressa.
- Dovremmo partire di notte. - disse Icaro, ritirandosi dalla finestra, - Ma la luna è piena ed illumina il cielo come una torcia e le guardie si sono accorte che c’è qualcosa che non va e stanno allerta: ne hai uccisa una, per caso? -
Xena alzò le spalle: - Dovevo, o non sarei mai arrivata quassù… -
- Beh, ciò che è fatto è fatto. - tagliò corto Dedalo. - Non possiamo aspettare oltre, comunque. Non ci siamo solo noi di mezzo, ora, e il tempo è prezioso. - sorrise comprensivo, - Poco prima dell’alba le guardie si danno il cambio. Proprio in quel momento, solitamente, la brezza marina che soffia da ovest si rafforza ed è ciò che fa al caso nostro. Nel grigiore che precede l’aurora sarà difficile distinguerci e potremo librarci in alto, liberi… - il suo tono si fece sognante, - Quando e se le guardie si accorgeranno della nostra fuga, noi saremo già distanti. E comunque ci saresti tu, Xena, a distrarle. -
- Ben volentieri. - rispose la donna seriamente. - Ma ora spiegami come usare queste ali… - disse, avvicinandosi al vecchio, che iniziò la sua lezione di volo.

“Strano come i sensi, quando la paura aumenta e sembra potersi fare tangibile, accrescano le proprie capacità e si affinino, fino a divenire qualcosa di superiore alla portata umana, fondendosi in una sola, grande sensazione, capace di prevedere con esattezza ciò che accadrà, dare la percezione palpabile di quale piega prenderà il destino che sta in attesa…” Olimpia si ricordò, improvvisamente, di un suo vecchio racconto, quello in cui narrava l’incontro con il Distruttore, il figlio di Speranza. Anche in quel frangente lo sgomento aveva assunto proporzioni sbalorditive, scardinando ogni logica ed ogni senso.
La ragazza camminava poco dietro Teseo, che reggeva la fiaccola con mano sempre meno salda, segno che anche in lui il panico aveva fatto presa. La matassa si srotolava lentamente tra le mani del giovane mentre, con cautela, si facevano strada tra gli alti muri del labirinto. Entrambi avevano sfilato le armi da sotto le vesti e Olimpia aveva sbalordito il giovane lacerando la sontuosa veste, fino ad ottenerne un indumento più adatto alla lotta e, nella migliore delle loro ipotesi, alla fuga. Com’era stato loro predetto da Arianna, lo spago era stato utilissimo: più di una volta si erano ritrovati di fronte ad una via già percorsa e se n’erano resi conto solo rivedendo il filo teso.
Da distanze incalcolabili erano giunte alle loro orecchie grida inconsulte e disperate, cariche d’orrore e panico seguite e, talvolta, superate in altezza, da versi animali che, da soli, sarebbero bastati a togliere la ragione. La dolorosa coscienza, poi, di ciò che era seguito alle grida, li aveva ridotti ad un silenzio forzato e stremante, teso solo ad aumentare la loro percezione di pericolo incombente. L’umidità si stava facendo via via più persistente, così come il puzzo di letame che se, all’inizio, era stato solo vagamente percepibile, ora si era fatto pungente ed impregnava l’aria, insieme a qualcosa di non ben definito, un retrogusto dolciastro, che s’appiccicava alla gola e mozzava il fiato.
Ad un certo punto, svoltato un angolo, Teseo inciampò in qualcosa sul pavimento ed andò a sbattere contro un braciere, spento chissà da quanto tempo, che stramazzò a terra provocando un rumore notevole. Olimpia s’arrestò all’istante. I due trattennero il fiato simultaneamente: il labirinto s’era fatto improvvisamente silente.
“Questo silenzio non è buono…” pensò Olimpia, tenendo saldi i sais tra le mani. “Asterione dev’essersi accorto che qualcuno sta girando ancora in casa sua…”
Teseo le si avvicinò carponi: - Non ho visto cosa m’ha fatto cadere… - sussurrò concitato, - Tu hai capito cosa fosse? - cercò con le mani la torcia e soffiò sulla brace non ancora spenta: la fiamma si rinvigorì all’istante. - Vediamo subito… - il giovane si alzò e illuminò il luogo in cui era caduto. La luce mostrò ciò che nessuno avrebbe voluto vedere.
- Dei… - esclamò inorridita Olimpia, - E’ un uomo o una donna? - si portò meccanicamente una mano alla bocca.
- Difficile a dirsi… - constatò impietrito Teseo di fronte al corpo straziato. - Minosse… Bastardo… - sibilò con ira.
- Andiamo avanti, è meglio. - lo esortò il bardo, - Prima troviamo Asterione, prima finirà quest’incubo e torneremo a casa sicuri che non si ripeterà mai più. - strattonò per un braccio Teseo, che s’allontanò di malavoglia dal luogo.
- Sbaglio o quella è un’apertura? - indicò Olimpia, puntando un sai verso un minuscolo tondo, aperto chissà come nella sommità della volta.
- Sembrerebbe… - Teseo aguzzò la vista.
- Già, - proseguì Olimpia, - Che sia l’indizio che ci stiamo avvicinando al centro del labirinto? - sospirò, - In teoria proprio lì dovrebbe essere il rifugio del principe… -
- Avviciniamoci, ma stiamo attenti: potrebbe nascondersi ovunque. - sussurrò il giovane.
- Vent’anni qui dentro… Se non fosse per la sua ferocia, potremmo anche provare pena per lui… - concluse Olimpia.
- Non farti neppure sfiorare dall’idea, capito? - le si rivolse con piglio autoritario il principe: - Non merita pietà, così come non ne ha per gli altri. -
Olimpia lo guardò: - Non sto dicendo che avrò pietà per lui, ma solo che mi fa pena. A modo suo deve aver sofferto tant… -
- Non dirlo!! - urlò Teseo, - Quali sofferenze può provare un mostro che arriva a fare quello che hai visto poco fa?? -
- Abbassa la voce, stupido! - lo interruppe il bardo, mettendogli una mano sulla bocca, - Abbiamo già attirato abbastanza la sua attenzione… -
Il ragazzo si divincolò dalla presa con un movimento brusco e si spostò di lato, appoggiandosi pesantemente al muro il quale, per un meccanismo nascosto chissà dove, si mosse e girò su se stesso di centottanta gradi lungo un asse centrale, chiudendosi poi ermeticamente e frapponendosi tra i due compagni.
- Olimpia! - gridò Teseo battendo sulla parete
- Sono dall’altra parte! - rispose il bardo, raschiando con le unghie le fessure nel muro, nel tentativo di riattivare il congegno. - Maledizione! - imprecò, battendo il pugno sull’intonaco umido, - Non funziona più: siamo separati! - riprese fiato, - Teseo, proviamo a proseguire verso il lucernario. Battiamo sul muro e parliamoci, ogni tanto, così sapremo di non esserci persi. -
- D’accordo! Qui c’è una torcia, come stai a luce tu? -
- Va tutto bene, non preoccuparti. Andiamo avanti… -

L’alba si stava avvicinando. L’aurora tingeva di foschia i contorni delle cose, preparando la natura ad un fresco risveglio. Xena guardava dalla finestra l’andirivieni dei gabbiani dalla scogliera vicina e si chiedeva in cuor suo come avrebbe fatto ad emularne il volo. Robuste fibbie di cuoio le imbrigliavano i tricipiti, le spalle, il busto e la vita, fissandole alla schiena due possenti ali bianche, morbide e flessuose, completamente ricoperte da fitte penne e piume vaporose. Ad ogni movimento della guerriera, le estremità posticce rispondevano perfettamente, sincronizzandosi precisamente con i guizzi muscolari della donna. Xena sorrise: “Se Olimpia potesse vedermi…Altro che l’elmo di Mercurio!”, inspirò a pieni polmoni, alzò le braccia e gonfiò i muscoli: le ali frullarono vistosamente.
- Eccezionale, vero? -
Xena si voltò: Icaro avanzava nella stanza con passo fluido. Sulle spalle portava un paio d’ali simili a quelle della donna, ma nere. Dietro di lui veniva Dedalo, lentamente.
- Sei preoccupata, Xena? - chiese il vecchio. - Non devi. Funzioneranno, stai certa: arriverai dalla tua amica in tempo, non temere. -
- M’interessa anche che voi ve ne andiate sani e salvi da qui. - s’avvicinò ai due, - Quando sarete distanti dalla torre, più o meno all’altezza della scogliera, noterete grossi scogli affiorare dall’acqua: lì ha dato fondo la mia nave. I miei uomini ci stanno aspettando, Dedalo. Sono amici: Apollodoro, Castore, Chiro… Anche Anàssaro faceva parte della ciurma… - sorrise, prendendo le mani del vecchio tra le sue, - Voglio che planiate sulla nave o che vi facciate venire a prendere sulla spiaggia. Voglio che siate salvi al mio ritorno, intesi? -
Dedalo strinse le mani alla donna e chinò il capo in cenno d’assenso.
- Padre, è ora… - mise fretta il giovane Icaro, - Tra poco sorgerà il sole e non potremo più prendere il volo. - considerò, guardando dalla finestra.
I tre si riunirono al centro della stanza: Xena trascinò il tavolo tra loro e vi salì. Appoggiò le mani all’architrave, issandosi sopra e, carponi, aprì l’apertura che immetteva sul tetto della torre.
- Ingegnoso, eh? L’abbiamo aperto tempo fa… Quelle tonte di guardie non si sono mai accorte di nulla! - sorrise Icaro. Il giovane aiutò il padre a salire sul tavolo: Xena si sporse dall’architrave e, letteralmente, issò il vecchio verso l’apertura nel tetto. Icaro volse un’ultima occhiata alla stanza dell’odiata prigionia e raggiunse i due, già all’aperto.
- Aspettate che il vento soffi da ovest verso est… Dove sono le guardie? - chiese ansioso Dedalo.
- Tutto sotto controllo. - rispose Xena.
- Bene, - sospirò il vecchio. Poi fece silenzio. Piano, la brezza che veniva da ovest si fece via via più spavalda, finché iniziò a tirare un forte vento, nella direzione del sole nascente.
- Ora! - esclamò lo studioso, - Ora! Volate, volate! - si mise in piedi ed allargò le braccia: le ali si aprirono al comando del loro creatore, il vento le gonfiò e sollevò i tre che, lasciatisi cadere dal tetto, si librarono nel vuoto.
Una guardia fissò basita, per un attimo, quelle strane figure poi, realizzando l’accaduto, diede l’allarme. Miriadi di frecce si scaraventarono verso il cielo, sibilando. Il chakram fece altrettanto, a traiettoria inversa, abbattendo scudi e archi e sentinelle insieme.
- Andate! - gridò Xena, - Ci penso io qui! - schivò una freccia, sterzando bruscamente su un lato. Il vento soffiava poderoso, ora, gonfiando le piume e sibilando tra le penne candide.
Icaro puntò verso l’alto, richiamando con continui fischi il padre, che volava con i sensi tesi, per raccogliere le indicazioni del figlio.
Xena roteò su se stessa e puntò verso il basso, urlando il suo grido di battaglia a pieni polmoni. L’aria sibilava attorno alle sue orecchie, mentre gli occhi si facevano due fessure, per evitare di lacrimare troppo.
- Provate a beccarmi, canaglie! - gridò la donna mentre, passando tra le sentinelle, menava fendenti a destra e manca, abbattendo e stordendo qua e là.
Allargò le braccia e il vento la portò via di nuovo, prima che un drappello di uomini le si facesse in contro a capo chino. La guerriera si voltò in cerca delle sagome dei suoi due amici e li vide: lontani, sopra la scogliera, diretti esattamente verso la nave che li aspettava al largo, per portarli a casa. Icaro volava più in alto del padre e continuamente si abbassava verso il vecchio, per poi riprendere quota.
“Icaro è troppo in alto!” pensò Xena, rivolgendo l’ultimo sguardo alla coppia che s’allontanava sempre più. In cuor suo sperò che Dedalo capisse a che pericolo si fosse esposto il figlio, e lo richiamasse. Poi, intravide in lontananza la sommità del labirinto e vi si diresse senza indugiare oltre.

- Olimpia! – gridò Teseo, battendo contemporaneamente la mano sulla parete che lo separava dalla ragazza.
- Sono qui! Non preoccuparti! - Gli fece eco il bardo.
Olimpia sbuffò il suo disappunto, tirando un calcio ad un sasso accanto al suo piede: non ci voleva, non ci voleva proprio. Separati erano deboli ed esposti ad Asterione in qualsiasi momento: non sarebbe bastato richiamare l’altro in proprio soccorso, nel momento del bisogno, con di mezzo un muro a dividerli.
- Maledizione! – sibilò la ragazza.
- Olimpia, tutto bene? – chiese la voce amica.
- Sì Teseo, va tutto bene. Continua a picchiare sul muro, usa di meno la voce: è meglio… - il bardo iniziava seriamente ad innervosirsi: possibile che il principe non capisse in che pericolo potevano incappare, soli per giunta, se avesse continuato ad essere tanto incauto?
- E sia. – rispose Teseo, - Ma fa lo stesso anche tu: altrimenti mi preoccupo. –
Per ciò che sembrò un’eternità, i due mimarono reciprocamente il battito sulla parete fradicia d’umidità.
Olimpia si stava concentrando sempre di più: i suoi sensi si stavano preparando ad un possibile attacco. La ragazza sapeva di dover star all’erta: non era una scampagnata e non c’erano molte possibilità di cavarsela senza lottare fino all’ultimo. All’ultimo sangue… Si concentrò e si mise in ascolto dei suoni che la circondavano. Passi, molto lontani, crepitii di torce accese chissà dove. Qualche gemito. Percepì, netto, un suono gutturale, prolungato, molto basso. Non sapeva dire da dove provenisse con esattezza, ma lo sentiva nettamente.
D’un tratto, s’accorse che l’unico suono che non udiva più era quello del battito sul muro di Teseo: deve s’era cacciato quel ragazzo?
Olimpia s’impose di restare calma.
- Teseo? – provò. La sua voce rimbombò verso l’alto, scalando il muro che, in teoria, doveva separarla dal principe. – Teseo, sei lì? Tutto bene? -
Nulla. Non una parola, non un segnale.
Possibile? Eppure non aveva sentito richieste d’aiuto o grida. Che fosse suo quel gemito di poco prima? No, non era possibile…
Ad un tratto un rumore secco, come di ramo che si spezza, la colse all’improvviso. Olimpia si voltò di scatto ed inciampò in ciò che restava di una trave, caduta a terra chissà quando e chissà da dove. La torcia atterrò poco distante e rotolò sulla terra battuta.
Quando toccò terra, il bardo s’accorse d’esser precipitata su un mucchio di paglia. Strinse le pagliuzze tra le dita, rialzandosi, mentre il suo olfatto percepiva forte, pungente, un odore ormai famigliare: sterco. Sterco di vacca.
Si guardò intorno: si trovava in un’enorme stanza. Evidentemente era giunta alla fine della parete che la separava da… Già, ma dov’era Teseo? Si sarebbe dovuto trovare anche lui lì. “Se i corridoi fossero stati paralleli. Ma, evidentemente, non lo erano… E bravo Dedalo…” rilevò ironicamente Olimpia.
Tutt’intorno a lei le pareti, ben squadrate e scure, si alzavano verso un soffitto che la fioca luce della torcia non permetteva neppure di cogliere. Molto lontano si poteva intravedere un flebile raggio di luce filtrare dal lucernario, che sembrava ritagliato direttamente nella volta celeste. Olimpia scorse, dietro l’angolo di un muro, il riflesso di un’ombra nera: doveva esserci un’altra stanza, accanto a quella.
Ma… Il riflesso. L’ombra nera… Il sogno: dunque era reale. Lei era già stata lì.
“Ci siamo.” Pensò risoluta, “Uno di noi due non uscirà vivo da qui, Asterione”. Espirò velocemente, per calmare il battito del cuore, troppo accelerato.
Si alzò e s’avvicinò alla parete. Girato l’angolo, scorse la figura, rannicchiata accanto ad un piccolo falò. Sembrava intenta a nutrirsi e, seppure da quella posizione Olimpia non avrebbe potuto giurarci, la ragazza sapeva perfettamente di cosa si stava sfamando…
- Belur, fa che non sia Teseo… - mormorò la ragazza avvicinandosi. La figura si bloccò ed alzò la testa. In un lampo fu in piedi: Olimpia intravide due occhi rossi che la fissavano con ira. Sentì la creatura espirare forte l’aria dal naso. Asterione gettò in un angolo ciò con cui stava armeggiando accanto al fuoco; Olimpia, a differenza del sogno, non guardò nell’oscurità. Sapeva perfettamente che, se avesse guardato, il terrore l’avrebbe afferrata per non lasciarla andare più.
La ragazza sfilò i sais dagli stivali. La creatura avanzò, il passo lento e deciso, sbuffò ancora, gli occhi rossi fissi nei suoi. Il cappuccio che le ricopriva il capo scivolò sulle spalle: Olimpia vide ciò che aveva già visto in sogno e che l’aveva fatta urlare.
Un possente collo nero si stagliava al di sopra di enormi spalle umane, appartenenti ad un altrettanto enorme corpo.
Il muso taurino di Asterione portava, proprio al centro, tra gli occhi, una macchia bianca, unica stella su di una testa completamente nera.
Poco distanti dalle orecchie, facevano bella mostra di sé le corna, lunghe, arcuate e, cosa ancor più temibile, appuntite come spade.
Olimpia squadrò il mostro e calcolò che, con un po’ di fortuna, la sua agonia sarebbe finita presto. Ma non sarebbe morta senza lottare, questo mai.
“Xena...” Pensò sospirando, mentre caricava il peso del proprio corpo su una gamba, pronta a respingere il primo attacco di Asterione. “Amica mia, spero tu possa capire che non avevo altra scelta…”
Il mostro attaccò, caricando. Avanzò a mani tese e testa bassa, con l’evidente intenzione d’incornare il bardo. Il quale, dal canto suo, oppose alla forza bruta l’agilità. Olimpia si scansò di lato e colpì con un sai l’avambraccio di Asterione. La bestia emise un muggito spaventoso ma sembrò non recedere dall’intento di eliminare l’avversaria.
- Hai deciso di farmi dannare, Asterione? – gridò beffardamente la giovane.
Il mostro sbuffò furioso dalle nari e iniziò di nuovo la corsa verso Olimpia. La ragazza poteva vedere la furia cieca saettare dalle iridi rosse della bestia e decise seduta stante che non sarebbe stata quella l’ultima immagine che avrebbe visto in vita sua.
- Forza! – gridò, quand’ebbe scansato e nuovamente colpito al braccio il mostro, - Tutto qui quello che sai fare? -
Come se colpito dalla frase della ragazza, Asterione si voltò di scatto e prese di nuovo la rincorsa ma, anziché lanciarsi a mani tese, una volta arrivato nei presi di Olimpia, fece perno su una gamba e roteò, colpendo la ragazza alle ginocchia ed atterrandola.
Pur dolorante, Olimpia si rialzò, giusto in tempo per vedere la bestia saltarle addosso.
A terra, i due rotolarono nella polvere. Asterione, possente, schiacciava Olimpia al suolo e, con le mani, la stringeva alla gola. La ragazza si sentì venire meno. Aveva un braccio bloccato sotto la schiena, in una posizione dolorosissima. Sperò di non esserselo fratturato: il dolore era troppo lancinante.
Tentò di staccare il mostro con un colpo di reni, ma Asterione era decisamente massiccio e a nulla servivano i deboli tentativi del bardo.
L’altra mano annaspava nella polvere, alla ricerca del sai, finito poco distante.
Asterione avvicinò il proprio muso al viso di Olimpia, che percepì netto e pungente il fiato della bestia: putrido e ammorbante.
- No caro! Non diventerò carne per te! – gridò disperata mentre, con sforzo sovrumano, le dita raggiungevano ed afferravano il sai ed il braccio, come dotato di vita propria, sferrava un colpo micidiale ficcando, fino all’elsa, l’arma nella schiena del mostro.
Asterione emise un urlo agghiacciante e si divincolò, lasciando la stretta. Olimpia rotolò di lato, e si guardò la spalla dolente. Era tumefatta ed aveva una forma strana: non c’era dubbio, se non rotta, era quantomeno lussata.
La bestia cercava di raggiungere con le mani il sai conficcato nella sua schiena, ma inutilmente.
“Siamo pari…” sorrise beffarda Olimpia. Il dolore alla spalla le toglieva il fiato.
Asterione restò immobile per qualche istante poi, dopo aver scrollato più di una volta le spalle, si voltò nuovamente verso il bardo.
Olimpia, barcollante, asciugò con la mano sana un rivoletto di sangue che le colava sugli occhi. Il taglio nella cute non era profondo, ma sanguinava abbondantemente. La ragazza si sentiva stremata… E Asterione stava per attaccare di nuovo. Sarebbe sopravvissuta, stavolta?
Impugnò saldamente il sai e si preparò ad accogliere il mostro.
Contemporaneamente ad Asterione, anche Olimpia iniziò a correre verso l’avversario.
- Ahh! – gridò la ragazza, mentre percorreva quei pochi metri. Scaricò la sua rabbia in un nuovo urlo di nuovo, menando un fendente e parandone uno. Asterione l’afferrò per il braccio ferito e Olimpia gridò il suo dolore a pieni polmoni. La bestia, con la mano libera, la prese per la gola e la sollevò da terra. Miriadi di luci bianche esplosero davanti agli occhi della ragazza.
“Xena…Addio…” pensò il bardo.
- Olimpiaaaa! – gridò qualcuno alle sue spalle, ma il ronzio nelle sue orecchie era troppo forte perché potesse distinguere bene la voce.
- Xena… - mormorò flebilmente il bardo.
La figura giunta all’improvviso si lanciò contro Asterione, che scaraventò Olimpia contro il muro accanto, come un oggetto inutile.
La ragazza si accasciò al suolo, perdendo momentaneamente i sensi.
- Olimpiaaaa! – questa volta la voce le giunse nitida alle orecchie. Il bardo aprì gli occhi e guardò verso il lucernaio: una figura alata scendeva velocemente dal cielo. Sembrava un Arcangelo, ma non lo era.
Olimpia sorrise: - Xena! – si mise a sedere e rise: - Xena, Xeeeenaaa!!! – poi fu attirata dalla lotta che si stava svolgendo poco distante da lei: Teseo, aggrappato alla schiena del mostro, si teneva saldamente all’impugnatura del sai, mentre Asterione scrollava la schiena con colpi furibondi nel tentativo di atterrare il nemico.
Olimpia fu in piedi e, pur dolorante, s’avvicinò ai due lottatori. Il mostro si voltò verso di lei ed iniziò a prendere la rincorsa. Il bardo sapeva di avere un asso nella manica: sfilò dalla gamba il sacchetto di polvere fenicia e lo gettò sugli occhi della bestia, proprio mentre questa s’apprestava ad esserle addosso. L’involucro s’aprì ed il suo contenuto polveroso invase gli occhi del “principe”.
- …Si ricordi di non toccarsi gli occhi né la bocca dopo averla armeggiata: si lavi abbondantemente le mani e le deterga con un po’ di cenere. In caso contrario, tutto le brucerebbe indicibilmente… - ricordò trionfalmente Olimpia, mentre Asterione urlava inferocito e per il dolore, portandosi le mani enormi agli occhi e scuotendo la testa freneticamente.
Allora Teseo sollevò la spada, la conficcò proprio alla base del collo del mostro e, con un balzo, si staccò da esso.
Asterione avanzò ancora verso il bardo, a mani tese, sbuffando e muggendo; ma la sua potenza andava scemando.
Dall’alto si udì giungere un sibilo: il chakram sbatté contro la parete e rimbalzò verso il trio: Olimpia si scostò velocemente osservando l’arma che, senza arrestarsi nella sua corsa, spiccò la testa della bestia dal busto e si perdette nell’oscurità.
Il corpo di Asterione fece mezzo giro su se stesso e precipitò al suolo con un pesante tonfo.
Olimpia si voltò in tempo per vedere una figura, circondata da un polverio bianco, che si avvicinava correndo. Il dolore la sopraffece, la vista le si annebbiò ed ebbe la netta sensazione di precipitare in un baratro.
Due braccia forti giunsero a sorreggerla: Olimpia aprì gli occhi per un istante e si trovò riflessa in due iridi blu.
“Sono salva… Sono a casa…”, fu l’ultima cosa in grado di pensare, prima che tutto divenisse nuovamente nero come pece.

EPILOGO

- Sta buona e ferma, o farò un pasticcio e la spalla non andrà a posto come si deve! – Xena finì di sistemare la fasciatura alla spalla di Olimpia, annodandola gentilmente.
- Ecco, - disse amabilmente, - ora è bloccata nella posizione giusta. – I suoi occhi presero un’espressione divertita, - Così adesso sai cosa può succedere quando ci si scontra con qualcuno più grande e grosso di te, completamente sola… - diede un buffetto alla guancia della ragazza seduta sul giaciglio.
Olimpia sorrise: - Lo so, lo so… Ma se qualcuno non si fosse perso proprio all’ultimo momento e qualcun altro non avesse tardato a planare, divertendosi ad interpretare la parte dell’Arcangelo, non sarei stata costretta a fare tutto da sola… -
- Olimpia, scherzavo! – si schermò la guerriera, - Hai agito bene, lo sai: sono fiera di te. Ti sei comportata esattamente come avrei fatto io nella stessa situazione. – sorrise amorevole agli occhi verdi che la fissavano assorti. – L’idea di usare la polvere, poi… Fantastica! – rise.
- Già… Mi spiace, quella polvere era un regalo per te… Sarebbe dovuta servire per i tuoi bagni. Un piccolo regalo buttato via… - si schiarì la voce e riprese, – Xe, che mi dici di Dedalo? Come sta? Mi dispiace… Povero vecchio: Icaro era il suo unico figlio… - cambiò discorso la ragazza.
- Già. – rispose tristemente Xena, sospirando. – Sta accettando la cosa. In fondo non è colpa sua: Icaro s’è spinto troppo in alto e il sole ha sciolto la cera che teneva unite le penne all’intelaiatura delle ali… Precipitare da quell’altezza l’ha ucciso sul colpo. -
- Il corpo è stato recuperato? – chiese Olimpia apprensiva. – Forse dargli degna sepoltura lenirà i sensi di colpa del padre… -
- Chiro e Castore hanno organizzato una scialuppa e sono partiti prima dell’alba. Chiro viene da Simi: prima d’imbarcarsi faceva il pescatore di spugne, come tutti gli abitanti di quell’isola. E’ un ottimo nuotatore e può restare immerso per lunghissimo tempo: troveranno Icaro, vedrai. – Xena scostò una ciocca di capelli dalla fronte di Olimpia, attraversata dal taglio già debitamente ricucito. La guerriera passò con delicatezza un dito sulla ferita: - Questo taglio si rimarginerà presto, vedrai… -
Olimpia, a sua volta, allungò la mano e accarezzò la ferita sulla guancia di Xena: - Anche il tuo, vero? -
- Certo! L’ho curato io personalmente! -
Lo sguardo di Olimpia si rabbuiò per un attimo, fanciullescamente - E il mio? – chiese con finto risentimento.
- Sicuro! L’ho cucito con queste manine… - Xena mosse le mani, muovendo immaginarie marionette.
- E resterà il segno? – Olimpia mise il broncio.
- No, no: neppure l’ombra! – ribatté la guerriera.
- Volevo ben vedere! – disse il bardo.
Entrambe le donne risero di cuore.
- Ah, mi sento proprio a casa! – esclamò Olimpia, sorridendo.
- Tutto è bene quel che finisce bene… - dichiarò d’un tratto Xena - Per un attimo ho creduto di perderti… -
- Ma non è successo, di che ti preoccupi? -
- Ho tardato ad arrivare… Ancora poco e poteva essere troppo tardi… -
- Xe, non ti crucciare. Sei sempre la solita! Tutto il pasticcio è iniziato perché io non ho calcolato i tempi e le probabilità. E poi, dimentichi l’intervento di Teseo… -
- No, non lo dimentico affatto: non fosse stato per lui tu adesso non saresti qui… -
- Visto? – la bionda sorrise e fece segno alla guerriera di sedersi sul letto. – Ora che faremo? Ci fermiamo a Creta o torniamo ad Atene? – chiese tranquillamente il bardo.
- Torniamo ad Atene: Teseo vuole presentare Arianna ad Egeo. – sorrise, - A quanto pare quei due fanno sul serio! – strizzò l’occhio all’amica.
- Già, quel che si dice: “Amore a prima vista”! – rispose Olimpia, - E poi? Hanno intenzione di stabilirsi a Creta o ad Atene? -
- Credo che torneranno qui: Arianna deve riorganizzare il regno di suo padre. Quel vecchio pazzo stava portando il paese al collasso. Appena ha saputo della morte di Asterione, si è gettato dalla scogliera. – esclamò Xena pensosa, - E poi, Egeo è ancora in salute: credo che il trono di Atene attenderà Teseo ancora per lungo tempo… -
- Mi sono persa un po’ di cose, eh? -
- A quanto pare… Ma avevi bisogno di dormire… -
- Xe, posso chiederti una cosa? – iniziò Olimpia dopo un lungo momento di silenzio.
- Tutto quello che vuoi. – rispose la guerriera, disarmata di fronte allo sguardo tenero della ragazza.
- So che ti sembrerà sciocco… - riprese Olimpia, - E sei libera di dire di no… - prese fiato, - Senti… Hai ancora quelle ali bianche? – abbassò gli occhi, timida.
- Sì… - rispose Xena senza capire dove il bardo volesse andare a parare.
- Beh… Sai… Uff, quant’è difficile… -
- Olimpia, parla… - la incoraggiò la mora.
- E va bene… - prese coraggio, - Ti sembrerà sciocco, ma ho trovato molto… Come dire? Intriganti, ecco, quelle ali. – sorrise, - Sai, è da quando siamo state Arcangeli che ho un pensiero fisso… Beh, come dire… Tu le hai e io no… -
Xena si alzò di scatto, lo sguardo impenetrabile. Olimpia la guardò basita, certa d’aver in qualche modo offeso la guerriera. Senza proferir parola, Xena lasciò la stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Olimpia si lasciò cadere sul letto, contrita per il comportamento della donna.
Umettò due dita della mano libera e con esse spense la candela appoggiata accanto al giaciglio. Nella stanza si fece buio.
- Lo sapevo… Come al solito ho parlato troppo… - si lamentò il bardo, - Avrei dovuto chiederle cos’avesse fatto per arrivare qui, chiederle come stesse e invece? Invece le ho anteposto i miei desideri… - sospirò, - Logico che se la sia presa… -
Ad un tratto la porta si aprì. Olimpia spalancò gli occhi e vide avanzare verso di lei Xena. La guerriera, che indossava un favoloso paio d’ali candide, reggeva una candela accesa in una mano mentre, nell’altra, portava una splendida coppia d’ali che, alla luce del lume, sembravano d’oro. Xena appoggiò il lume accanto a quello spento, senza parlare e senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Olimpia.
- Dei… - riuscì a pronunziare la ragazza.
- Nah, niente dei in tutto questo: è il mio regalo per te… Ci ho azzeccato, eh? Sapevo che ti sarebbero piaciute… - rise la guerriera, mentre posava le ali a ridosso di una seggiola. - Quando sono tornata alla torre di Dedalo per recuperare parte delle sue cose le ho trovate tra i suoi strumenti. Probabilmente ne aveva costruite di molte dimensioni… - fece aprire le sue con un movimento delle spalle, – Certo, per ora non puoi ancora farcela, ma tra qualche giorno… –
Olimpia l’attirò a sé e la catturò in un grande abbraccio.
- Xe, sei un fenomeno! -
- Eh, modestamente… -
- M’insegnerai a volare? – chiese fanciullescamente Olimpia.
- Farò di più! Torneremo a casa volando! – esclamò la guerriera.
Il bardo la guardò basita. – Ma Xe… A casa… - balbettò.
- Certo! Non hai sempre detto che navigare ti fa male? Ora non t’inventerai che, oltre al mal di mare, esiste anche il mal d’aria… - rise di cuore, mentre Olimpia la guardava sempre più incerta sul fatto che Xena stesse scherzando o fosse seria.
- Volevi farmi un regalo, Olimpia? Bene, il tuo sguardo ora vale più di mille sacchetti di polvere fenicia, te lo giuro! –
Il cuscino che la colpì in pieno viso si aprì e liberò nell’aria una miriade di piume candide, che si sparsero tutt’intorno, come le risate delle due donne.

FINE

di Dori

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