episodio n. 15
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CAPITOLO I

La notte avvolgeva nel silenzio la terra delle piramidi, la terra dell’Egitto.
L’unico rumore presente era quello del passo, lento e pesante di due cammelli, a bordo dei quali c’erano, incappucciate, due donne.
Cavalcavano nel perfetto silenzio quasi avessero paura che anche il loro respiro potesse far rumore. I due cammelli arrivarono in prossimità delle rovine di Asyut e lentamente e nella stessa cautela di poco prima, le donne scesero e legarono gli animali ad un palo di legno che si ergeva dal terreno.
Con passo rapido le due figure si avvicinarono alle mura o quel che ne rimaneva e si diressero sul lato ovest della città. Camminarono affannosamente con i piedi che ogni volta si affondavano nel terriccio per circa venti minuti finché arrivarono in prossimità di una lapide. La donna più adulta fremette leggermente quando capì che era quello che cercava sua sorella. Nervosamente si tolse il cappuccio e si guardò intorno: non c’era nessuno. Sperò con tutta se stessa che arrivasse qualcuno, ma sapeva che le rovine di Asyut, le rovine maledette, erano sempre deserte. Solo lei e sua sorella più piccola, avevano avuto il coraggio di fare quell’imprudenza. In realtà se fosse stato per lei… ma sua sorella Rehusi ormai aveva una vera e propria ossessione per quel posto, e aveva giurato di andarci anche da sola. E Murel, anche se molto contraria l’aveva accompagnata.
Del resto Rehusi aveva solo 12 anni.
Anche Rehusi si era tolta il grande mantello nero e ora nell’oscurità si poteva leggermente intravedere il classico vestito bianco di lino egiziano e al polso un bellissimo braccialetto dorato, dono di Murel che indossava dalla nascita.
-è questa… Murel… la lapide del tempio maledetto di Seth è questa!- gioì Rehusi con un entusiasmo a dir poco raccapricciante.
Murel sospirò. L’ossessione di Rehusi verso tutto quello che riguardava il male e soprattutto Seth la faceva rabbrividire. Con quale contentezza ora lisciava i geroglifici della lapide cercando di capire l’entrata al tempio sotterraneo…
-Rehusi…- disse Murel con un filo di voce, ma nell’oscurità silenziosa di quella notte le sue parole parvero come urlate. –andiamo a casa, vieni- disse poi prendendola per una spalla.
Rehusi con uno strattone si allontanò subito dalla sorella.
Murel poteva vederne gli occhi fremere di rabbia ed eccitazione.
-a casa? Sorella spero tu stia scherzando… sono anni che cerco il talismano di Seth ed ora che ho scoperto dove si trova il tempio maledetto… non vorrai mica farmi tornare a casa, vero?-
Murel prese coraggio e disse:- Rehusi la tua fissazione per tutto quello che riguarda Seth…-
-non è una fissazione!- urlò la ragazzina. –nostra madre mi ha consacrata a Seth… te lo sei scordato, Murel?-
Una lacrima percorse la guancia di Murel, ma subito la ragazza con prontezza la riasciugò: non voleva farsi vedere debole, non ora davanti a Rehusi.
Cercando di dominare il tono di voce disse:-fu costretta. Ti prego Rehusi questa non può essere la tua vita… tu sei solo una bambina..-
Rehusi si riempiva sempre più velocemente di collera. –tu- disse indicando la sorella.- mi hai proprio stancato- e con un solo cenno del capo Murel volò poco più in là. Murel era abituata agli scatti di Rehusi e si rialzò subito. Notando lo stato confusionale della ragazzina, la donna si avvicinò e cercò di prenderla in braccio ma Rehusi usando di nuovo i suoi poteri la sollevò in aria e poi quando fu abbastanza in alto la lasciò cadere.
Murel cadde a terra con un tonfo sordo e perse i sensi.
Finalmente soddisfatta l’egiziana lesse ad alta voce i geroglifici che si trovavano sulla lapide. Questa si mosse lentamente e sotto gli occhi immondi ed estasiati della ragazzina s’aprì. Alcune scale illuminate dalla luce s’inoltravano verso il basso. Senza neppure pensare, anzi ridendo Rehusi entrò nella botola e percorse lentamente le scale. Si sentiva finalmente completa.
Ben presto le scale finirono e Rehusi si trovò all’interno del vero e proprio tempio maledetto di Seth. Non era stato aperto da più di trenta anni e conservava ancora i tragici segni dello scempio commesso lì, proprio trenta anni fa.
Era una grande sala interamente costruita in pietra, lugubre e illuminata solamente dalla luce di una fiaccola.
Non poteva spiegarsi come era ancora accesa. Dopo trenta anni.
Sui lati delle pareti c’erano tre colonne, in marmo rosa, unite tra loro da una spessa coltre di ragnatele in cui albergavano felici, numerose specie di tarantole.
L’aria puzzava ancora di sangue e di vendetta. Camminando lentamente Rehusi giunse al centro della stanza. Davanti a se un altare,in pietra grigia anch’esso, su cui era depositata una scatola di marmo sulla quale era impressa l’impronta di una mano.
Rehusi capì che era lì, il famoso Talismano di Seth.
Guardandosi intorno notò, con gioia, la vasca d’oro dove era stato commesso quello che Seth definì “lo scempio”e aveva provocato la maledizione sulla donna che lo compì. La vasca era interamente d’oro ma la doratura era semi nascosta dal sangue che, seccato e protetto dagli agenti atmosferici, si era ancora abbastanza conservato. Accanto alla vasca com’era prevedibile uno scheletro.
Rehusi oltrepassò le colonne e sporcandosi con le ragnatele arrivò sino alle pareti.
Lì c’era una scritta in greco. No, più che altro era una firma. Lei sapeva il greco.
Lesse:- Xena- era incisa nelle pareti e con una spada che quel tempo era ancora sporca di sangue.
Senza perdere altro tempo Rehusi si avvicinò alla scatola di pietra e depose la propria mano su quella disegnata. Accanto alla quale c’era una scritta “solo un egiziano potrà”
E difatti Rehusi egiziana di nascita, consacrata a Seth venti anni prima di nascere da sua madre, aprì la scatola. All’interno conservato in uno scrigno: il talismano di Seth.
-ora ho il potere.- disse Rehusi mentre prendeva lo scrigno.
Il talismano di Seth dava potere supremo su tutto quello che riguarda il male e le tenebre. Il talismano si mutò in anello che si sistemò nel suo anulare sinistro
Al solo tocco con il talismano, una strana luce nera avvolse le mani di Rehusi e poi tutto il corpo. Il passaggio del raggio era come se la divorasse, in tutto il tempio riecheggiava delle sue grida disumane di dolore.

Il caldo sole Egiziano baciò con delicatezza e calore le guance della dolce Olimpia.
Le due guerriere si erano addormentato una di fianco all’altra.
Olimpia infastidita dal sole, aprì lentamente e con dispiacere le palpebre, ma richiuse subito gli occhi, inondati, dalla luce accecante del sole. Olimpia si girò dall’altro verso cercando di posizionarsi meglio sotto l’ombra della palma che si ergeva poco distante da loro.
Xena nella sua astuzia, la sera precedente, dopo essere stata in meditazione per qualche minuto a studiare i movimenti del sole e delle ombre, aveva insistito per sedersi sul lato sinistro del giaciglio. Olimpia aveva acconsentito, quasi beffandosi di lei per quelle stranezze.
Ed ora le sei del mattino, Xena l’astuta era in piena ombra. E lei a combattere contro il sole. Poteva perfino vederne il sorrisetto beffardo dipinto sul suo viso d’angelo addormentato.
Olimpia per nulla decisa a volersi alzare, si accucciò ben benino accanto a Xena e cambiando nuovamente posizione, trovò finalmente un po’ d’ombra.
Purtroppo per lei, lo spasso durò poco, perché il sole imperterrito continuò bruscamente con i suoi raggi infuocati a sfiorarle il viso.
Olimpia sbuffò, dicendo: - E va bene, mi alzo!- mentre con immenso disappunto si alzava dal giaciglio.
Si stirò e dopo aver sbadigliato rumorosamente, divorò in un sol boccone la parte della colazione riservata a lei, poche cose naturalmente, solo latte, un po’ di pane e burro.
Finalmente dopo l’ennesimo movimento, i bellissimi occhi blu della guerriera si aprirono. Olimpia accortasi del lento risveglio dell’amica esordì con una carica di buonumore: - buongiorno! Ce la siamo presa comoda, oggi, eh?-
Xena sorrise e alzandosi dal giaciglio disse: -è questo caldo che mi annienta! Fosse per me, io dormirei per tutta l’eternità!-
Olimpia disse con aria sognante: - potremo indossare i leggerissimi abiti egiziani! Con quell’ammasso di ferraglia, sfido io che senti caldo! Invece con addosso il morbido e fresco lino egiziano…-
Xena sbuffò: - Olimpia! Non siamo certo qui per fare le turiste!-
Quella frase punse leggermente l’orgoglio di Olimpia. Come poteva crederla ancora una ragazzina capace solo di combinare guai, frivola e superficiale? Come dopo tutto questo tempo?
Olimpia stette in silenzio, risentita.
A Xena, quel silenzio rimase sospetto, non immaginava che la sua frase, detta in un momento di scherzo potesse ferire l’orgoglio dell’amica.
Stava per dire qualcosa ma Olimpia con fare arrogante la precedette: - certo! Non sono più una bambina!- nelle sue parole, Xena s’accorse, c’era risentimento.
Solo ora capì che forse poteva averla ferita. E timidamente disse: -Olimpia.. io non intendevo certo ferirti. Né direi che sei ancora una bambina. Stavo solo scherzando.-
Olimpia la guardò negli occhi e capì quanto era stata stupida a fraintendere le sue parole. –scusami- disse sorridendo –sono stata una stupida-
-no, sono io che devo chiederti scusa. Lo sai che non sono molto brava con le parole-
-ora,dobbiamo capire chi è l’autore di questa lettera anonima. E soprattutto che cosa sta accadendo in Egitto.- propose Xena.
-giusto!- rispose Olimpia con convinzione. –ma prima rileggimi quello che c’è scritto nella lettera, per favore. Forse con una lettura più attenta potremo capire degli elementi in più-
Xena si avvicinò ad Argo II e prese dalla sua bisaccia il papiro arrotolato e srotolandolo lesse:
L’Egitto morirà. Se non arriverai in tempo.
Un egiziano.

Olimpia rimase molto pensierosa. Che razza di messaggio. Non un accenno a quello che sta accadendo in Egitto, non una spiegazione, non una firma.
Che ne potevano sapere loro dei problemi dell’Egitto?
-molto ermetico il ragazzo, eh?- disse Xena notando che Olimpia si stava scervellando per capirci di più. Olimpia rispose: - pensavo che fosse solo una tua prerogativa ma, a quanto pare, ci sono molti apprendisti in giro per il mondo!-
Xena rise e finì di sistemare le loro cose, rimise anche il papiro al proprio posto.
-ho un’idea- esordì Olimpia. –se l’Egitto sta morendo, sta succedendo sicuramente qualcosa di molto importante. E non sarà solo l’autore di questo messaggio a saperlo. Facciamo un giro per il paese. Vedrai che qualcuno saprà informarci-
-si, ci avevo già pensato- sorrise Xena.
Olimpia alzò gli occhi al cielo: - ovviamente-
Poi ridendo entrambe montarono in groppa ai rispettivi destrieri e s’avviarono verso il paese di El Kharga.
Il viaggio dall’oasi al paese si rivelò più noioso del previsto.
Non una tempesta di sabbia, non un brigante da catturare, nessuno da salvare.
Solo una gran distesa di sabbia e un sole cocente sulla testa. Xena procedeva, o meglio, faceva procedere il proprio cavallo ad un ritmo sostenuto. Teneva il capo dritto all’orizzonte, le mani non lasciavano le briglie, se non di tanto in tanto per passarsi una mano dietro il collo e distanziare, anche solo per un attimo, i capelli dal proprio corpo. Quei capelli, quanto le facevano caldo!
Olimpia osservava con divertimento la scena. A volte quando pettinava (anche se di rado) i capelli corvini di Xena, si pentiva di averli corti. Ricordava con piacere quei capelli dorati scenderle per le spalle.
Ma erano proprio in questi momenti che esultava per un taglio corto.
Non aveva certo caldo come Xena!
Dopo un po’, scorsero da lontano i primi segni di un paese: El Kharga.
Xena guardò Olimpia con lo sguardo di chi è stato per giorni in mare e finalmente avvista la terra, Olimpia le sorrise e condivise la sua gioia per aver finalmente trovato la città.
Ed entrambe spronarono i cavalli, a correre sempre più veloci.
Xena e Olimpia arrivarono alla città pochi minuti dopo e quello che subito le colpì fu che era affollatissima. Non sembrava il ritratto di un Paese che ha le ore contate.
Ammassate l’una sulle altre, dozzine di bancarelle occupavano la vasta area della piazza. Vendevano di tutto, tutto tranne generi alimentari.
E come ogni città egizia aveva un piccolo porto e commercio fluviale , anche se qual giorno non sembrava particolarmente attivo, anzi. Il fiume era terribilmente in secca.
Tenendo strette le briglie dei cavalli si addentrarono tra le affollatissime bancarelle.
-sembra che qui sia tutto tranquillo- disse Olimpia notando con quale semplicità e normalità si svolgeva la vita qui a El Kharga, come in una comunissima città tranquilla. –nessuna traccia di ciò che era scritto in quel papiro-continuò Olimpia mentre osservava la merce esposta in una delle tante bancarelle. Si trattava di vasi greci e questo non poteva non attirare la sua attenzione.
Il mercante notando lo sguardo di Olimpia verso i vasi esposti disse:-Buongiorno bella straniera- e sorrise mostrando ad Olimpia una serie di denti cariati.
La donna, disgustata ,si fece leggermente indietro e ricambiò con poca convinzione il sorriso.
-una bella donna come lei, non poteva certo non notare la bellezza di quei vasi di perfetta fattura Greca. Non sono nemmeno tanto cari, solamente 50 denari il più piccolo… mentre..-
-non sono cari?- domandò sarcastica Olimpia – e comunque non mi interessano, grazie- e si allontanò velocemente per vedere la merce esposta nelle altre, più in là.
Le due continuarono a camminare per le vie di El Kharga, finché giunsero ad un tempio.
Era in perfetto stile romano, e questo dimostrava come quelle dannate aquile rosse si erano impadronite dell’Egitto dopo la morte di Cleopatra e l’uccisione di suo figlio Cesarione. Olimpia rabbrividì quando notò che in una delle colonne più maestose, c’era una grandissima e profonda crepa. Girando lo sguardo verso le altre colonne del tempio notò che non erano messe meglio della prima.
I cavalli sembravano molto strani, cercavano disperatamente di dimenarsi e far lasciare la presa alle due guerriere.
Xena se ne accorse, stava per dire qualcosa ma improvvisamente si udì un boato e la gente subito iniziò ad urlare e a correre freneticamente da una parte all’altra della cittadina. La terra iniziava velocemente a tremare e ben presto le due guerriere non riuscirono neppure a reggersi in piedi, tale era la forza del sisma.
-Xena…- disse Olimpia prima di finire a terra, Xena caduta anche lei, le fu vicino. Ma la potenza delle vibrazioni le divise ancora una volta.
Argo II e il cavallo di Olimpia corsero via impauriti.
La gente continuava a cadere e a gridare disperati che era la fine dell’Egitto, la venuta di Seth e tutti piangevano e imploravano il dio del male di essere clemente con loro.
La terra continuava a tremare , sempre più velocemente e Xena s’accorse che lei ed Olimpia lì erano in pericolo. Il tempio dietro alle loro spalle stava crollando.
-Olimpia!- urlò Xena, cercando di farsi sentire, ma il caos e il panico della gente erano più potenti della sua voce. Olimpia continuava a non capire, avrebbe voluto riuscire ad avvicinarsi a Xena, ma la potenza del terremoto non la lasciava avvicinare e purtroppo, doveva ammetterlo, era anche immobilizzata dalla paura.
Una colonna stava lentamente sgretolandosi dalla base.
Nel centro della piazza, intanto, che sembrava il vero e proprio epicentro del terremoto, si stava aprendo una profondissima spaccatura e una bambina egiziana, che in preda alla paura correva disperata, stava cadendo dentro la fenditura.
Xena, accortasi di quello che stava succedendo, si rialzò debolmente in piedi ed emettendo il suo grido di battaglia, saltò in aria, prese la bambina al volo un istante prima che potesse cadere nel baratro. Le due rotolarono più in là.
Olimpia, intenta a vedere dove mai fosse finita Xena, non pensava al pericolo che stava correndo. La colonna si stava completamente staccando dalla base.
E ora velocemente precipitava.
-attenta!- udì una voce femminile gridare, la donna si voltò e troppo tardi vide la colonna cadere nella sua direzione.
In una frazione di secondo, Olimpia si sentì afferrare da qualcuno e rotolò con quest’ultimo per alcuni metri. Udì lo schianto della colonna.
Lentamente la terra smise di tremare.
Olimpia si trovava a terra accanto, a lei un uomo egiziano, si rialzò in piedi.
-stai bene?- domandò l’ uomo che contemporaneamente si stava alzando pure lui.
Olimpia sorrise rispondendo:- si, grazie. Mi hai salvato la vita-
L’uomo fece spallucce:-tu l’avresti fatto per qualcun altro, no?-
Olimpia aggrottò la fronte:- noi… ci conosciamo?-
Il ragazzo sorrise e rispose semplicemente :-no- poi si pulì il torace nudo dalla polvere così come anche i capelli biondissimi e il gonnellino bianco egiziano.
-ah… -disse Olimpia –e allora, come fai…-
-diciamo che la tua fama, Olimpia di Potidea, ha raggiunto l’Egitto. Speriamo solo che abbia raggiunto l'Egitto anche la leggendaria principessa guerriera,Xena..- rispose l’uomo con un sorriso.
Olimpia si pulì anche lei gli abiti impolverati e rispose:- hai inviato tu il messaggio?-
L’egizio-macedone annuì. -Olimpia!- disse improvvisamente Xena sopraggiungendo.- stai bene?- Olimpia annuì, tranquillizzando l’amica.
-tu sei…- iniziò Xena attendendo che l’uomo rivelasse il suo nome.
-Tanus - rispose tranquillo l’uomo porgendo la sua mano a Xena che la strinse annunciando il suo nome. Poco dopo si avvicinò a Tanus una donna egiziana, dall’aspetto aristocratico vestita con un manto e sotto il comune abito di lino.
-e lei è Murel - continuò Tanus, la donna egiziana chinò leggermente il capo verso le due guerriere.
Murel prese parola: -e voi dovreste essere Xena e Olimpia…conosciamo le tue gesta principessa guerriera. Ti abbiamo inviato noi quel messaggio. Vi prego aiutateci.- e disse queste ultime parole con un filo di voce. Olimpia si stupì del carico di tristezza che traspariva dalla sua voce, eppure era molto giovane. Non aveva più diciassette anni. Olimpia le mise una mano sulla spalla e disse dolcemente:- certo che vi aiuteremo-
Intanto gli occhi scuri e misteriosi di Tanus si posavano di tanto in tanto su Xena, incuriosito dalla donna che trovava estremamente femminile, nonostante fosse una grande combattente, valorosa e piena di coraggio, ma anche affettuosa con chi amava.
Olimpia accortasi dello scambio di sguardi e per nulla compiaciuta da ciò che stava accadendo disse:- Tanus, Murel spiegateci ciò che sta accadendo e vi potremo aiutare-
Tanus, rispose:- seguiteci. Parleremo in un posto più tranquillo-
Olimpia toccando leggermente la spalla di Xena disse:-Xena e i cavalli? Sono scappati!-
Xena si guardò un po’ intorno, poi frettolosamente disse:-Argo mi ritroverà–
La città lentamente si riprendeva. Le donna riprendevano i loro bambini e si dirigevano nelle rispettive case per accertarsi che fossero ancora in piedi.
I mercanti esponevano le loro merci e continuavano a chiamare i possibili acquirenti.
Durante il sisma tutti gridavano e piangevano, ora tutto sembrava tornato alla normalità. Tutti fingevano che tutto andasse bene. O semplicemente avevano paura di reagire. Avevano paura, tanta paura di Seth.
Nulla sembrava essere accaduto, nulla testimoniava il terremoto e la grande paura degli uomini e della venuta di Seth.
Nulla se non un tempio distrutto di cui già si preparava la ristrutturazione e qualche casa caduta a pezzi.
Nulla se non una crepa gigante in mezzo alla piazza centrale della città.
Nulla se non gli occhi della gente. Tempio indiscusso dell’anima.

I quattro attraversarono un quartiere bellissimo, dove risiedevano tutti i nobili e le persone più importanti della città. Era adorno di case bellissime in marmo bianco, dove sostavano, silenziosi e immobili ai lati delle porte, le guardie Egiziane, due per ogni porta; indossavano uno strano copricapo che copriva loro gli occhi e sulla testa formava come delle orecchie appuntite da lupo, e tenevano in mano delle lance.
Nel quartiere c’erano molti templi di divinità, uno, spiegò Murel, dedicato ad Horus, l’altro ad Neftis. Olimpia camminava silenziosamente di fianco a Xena, affascinata dalla bellezza di quel quartiere e di quelle case, così aristocratiche.
Murel indicò una casa sulla destra, più semplice delle altre, ma sicuramente bella e nobile. I quattro entrarono, preceduti da Murel.
Le guardie fecero subito lo spazio agli ospiti, invitandoli però a consegnare le armi, Murel ammonì le guardie dicendo che loro erano qui per aiutarli, non per derubarli.
Grandi colonne di marmo introducevano gli ospiti nella sala più grande, dal soffitto pendevano dei veli bianchi che davanti al tutto un aspetto nobile ma al contempo semplice. Una serva corse loro incontro e salutò con riverenza la padrona poi accompagnò il quartetto nel salone. L’arredamento era essenziale ed elegante.

di Diomeche

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