Episodio N. 13
di Nihal


stampa il racconto


di Nihal

stampa il racconto

 

INTRODUZIONE

“Nel nome di Belur”. Erano settimane che quelle parole echeggiavano per la città, riempiendo Alessandria d’Egitto di scontri, furore e violenza. Non poteva sopportare oltre quella situazione. Prima o poi i piccoli focolai sarebbero divampati ed avrebbero portato l’intera città al collasso.
<<Oreste, dobbiamo fare qualcosa. Al più presto>> disse la donna, senza distogliere lo sguardo dalla finestra che si affacciava sulla città.
L’uomo di fronte a lei, Oreste, prefetto romano di Alessandria, rimase seduto al suo ampio tavolo, reggendosi il capo con entrambe le mani. Qualche filo grigio gli attraversava i ricci scuri e folti, ma l’uomo non doveva avere più di sei lustri.
<<Ipazia, mia signora...>> disse, rivolgendosi alla donna senza guardarla <<Non c’è nulla che io potessi fare e che non abbia già fatto>>
Ipazia si avvicinò ad ampie falcate, il peplo bianco che ondeggiava attorno al suo corpo ad ogni movimento. Piantò con rabbia entrambi i palmi sul tavolo, costringendolo a guardarla negli occhi. Come sempre, l’uomo rimase affascinato dalle fiamme che facevano ardere le iridi castane di lei. In quel momento, l’intera città sarebbe potuta sprofondare e non sarebbe stato certo lui ad accorgersene.
<<Schiera le legioni>> il suo comando lo riportò bruscamente alla realtà.
<<Lo sai che non posso!>> anche Oreste scattò in piedi, con frustrazione. <<Non ho abbastanza uomini per contrastare una guerra civile... Dobbiamo essere cauti!>>
<<Cauti?>> Ipazia lo guardò come se avesse appena detto un’oscenità della peggior specie. <<Quanti uomini devono ancora morire perché tu possa mettere da parte la cautela, prefetto?>>
Oreste prese un profondo respiro prima di risponderle.
<<Mia signora, quanto ha fatto Cirillo è intollerabile...>>
<<Finalmente dici qualcosa di sensato...>> sbottò, bloccando le sue parole.
<<Ma>> Oreste alzò la voce per non essere ulteriormente interrotto. <<Nonostante ciò, non possiamo accusarlo direttamente... Molti dei seguaci di Belur sono con lui. Ha soppresso la fazione che contestava la sua elezione e non c’è modo di intervenire ora che l’imperatore è uno di loro. E sappiamo benissimo entrambi che più di un esponente di spicco di questa stessa città gli darà appoggio pur di contrastare me...>>
Ipazia serrò la mascella, con rabbia. “E me...” pensò, ma evitò di dar voce a quel pensiero. Si costrinse a ragionare con lucidità. Oreste aveva ragione: per quanto sciocco ed impulsivo fosse quando era un suo studente, ora le sue parole erano tutt’altro che avventate. La donna cominciò a camminare nella stanza, i suoi sandali di cuoio sul pavimento istoriato scandivano il passare del tempo.
Oreste la osservava, quasi di nascosto, come se avesse paura di fronteggiare il suo sguardo. Avrebbe voluto avvicinarsi, dirle che poteva andare a casa, che avrebbe risolto tutto lui, ma sapeva bene che avrebbe mentito ed Ipazia non era certo una donna che amasse le bugie consolatrici. Tamburellò distrattamente le dita sul legno, senza che i suoi pensieri riuscissero ad approdare a nulla.
<<Dobbiamo agire senza agire...>> sussurrò Ipazia a voce così bassa che Oreste non riuscì a distinguere le sue parole.
<<Come, mia signora?>> nonostante non fosse più un suo allievo e rivestisse la carica più prestigiosa della città, continuava a rivolgersi a lei con l’epiteto che usava quando ancora frequentava le sue lezioni al Museo.
<<Dobbiamo agire senza usare l’azione>> ripeté Ipazia, fermandosi a guardarlo. Oreste rimase in silenzio, attendendo che lei proseguisse il discorso.
<<Hai ordinato diverse volte a Cirillo di far cessare gli attacchi ai templi ed alla Biblioteca, giusto?>>
Il prefetto annuì. <<Decine di volte ed ha sempre risposto che non era responsabile di quelle azioni e che in ogni caso non avrebbe accettato ordini da un empio...>>
<<Faremo in modo che questa volta il comando giunga da una voce che non potrà permettersi di ignorare>> concluse Ipazia, con un leggero sorriso ad illuminarle il viso.
<<Mia signora, tenta pure di parlargli, ma per quanto logiche e stringenti saranno le tue argomentazioni, non...>>
<<No no no>> Ipazia scosse la testa con decisione, tornando ad avvicinarglisi. <<Io sono il simbolo di ciò che vuole abbattere, lo so perfettamente. Mi detesta perché credo nella filosofia e nella logica, quando lui ha fatto della demagogia la sua arma migliore. Non sarò io ad ordinargli di farsi da parte, ma dovrà farlo la Messaggera>> concluse Ipazia.
Oreste riconobbe nella sua voce la passione e la tenacia che, da ragazzo, lo avevano fatto innamorare di lei e che, da uomo, riusciva a mandare in fiamme tutto il suo essere.
<<Quale messaggera?>> le chiese, non cogliendo dove volesse arrivare.
La donna lo guardò con l’accondiscendenza che si riserva ad uno scolaro poco intuitivo.
<<Non una qualsiasi>> spiegò <<La Messaggera di Belur. Non potrà opporsi a lei senza rompere con la maggior parte dei suoi accoliti>>
Il viso del prefetto si illuminò. Come aveva fatto a non pensarci prima?
<<Con il suo appoggio isolare Cirillo ed i suoi fanatici non sarà più un problema>> le disse e la donna annuì soddisfatta.
Oreste le sorrise. “Ipazia...” pensò, ma non disse nulla, mentre lei, con un rapido cenno di saluto, si allontanava. Il prefetto si sedette al tavolo e cominciò a scrivere.

 

Capitolo 1

Olimpia bevve con sforzo un sorso del latte che aveva versato nella ciotola. Quasi non ne sentì il sapore. Xena era seduta di fronte al camino spento e le dava le spalle. Faceva scorrere la pietra per l’affilatura sulla lama della sua spada con una lentezza calcolata, estenuante. Accanto a lei, un boccale di birra semivuoto, probabilmente della sera precedente. Non aveva detto una sola parola quando Olimpia era entrata. Non l’aveva neppure guardata. Non un solo impercettibile movimento che testimoniasse una sua reazione. Gelo, nient’altro.
Olimpia conosceva bene quell’atteggiamento. Era ben più eloquente di qualsiasi altra cosa. L’aveva cancellata dalla sua vita, le stava dicendo. Anzi, glielo stava decisamente urlando. Ignorarla significava dirle che per lei era inesistente.
Olimpia bevve un altro sorso, desiderando che al posto del latte vi fosse qualcosa di ben più corposo. Scostò da sé la ciotola, ancora piena. Il naso quella mattina le doleva con ferocia e sentiva la testa sul punto di scoppiare.
Xena continuava ad affilare la lama: quello stridio cadenzato le entrava nelle tempie con insistenza. Cercò di massaggiarsi la fronte, ma ottenne ben pochi risultati.
La guerriera smise all’improvviso, lasciando calare il silenzio nella stanza. Olimpia sospirò, rincuorata. L’avrebbe uccisa se avesse continuato ancora a lungo. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Un rumore esterno, appena percettibile, come di...
“Zoccoli” pensò. “Un cavallo al galoppo. Xena deve averlo sentito, per questo ha smesso”
Quando Olimpia si alzò, la guerriera era già sulla soglia, con la spada in pungo, anche se rivolta verso il basso. Quando, poi, oltrepassò la porta, l’amazzone la seguì, pronta ad impugnare i sais se si fosse reso necessario.
Quando fu all’esterno, intravide il cavaliere avvicinarsi: aveva il sole di fronte e non riusciva a distinguerne i tratti. Le parve fosse biondo e con lunghi capelli... per un attimo un pensiero le fece battere il cuore più velocemente
“Brunilde?” tremò, impercettibilmente, e sentì il suo cuore perdere un battito al solo pensiero che la valchiria fosse lì.
Non appena la figura fu più vicina, Olimpia si rese conto che si trattava di un giovane di non più di quattro, forse cinque lustri. Non riuscì a trattenere la delusione.
<<Aspettavi visite?>> le chiese Xena, con tono apatico, senza neppure voltarsi a guardarla.
Olimpia ingoiò la risposta, sforzandosi di dominare le proprie reazioni. Si limitò ad attendere lo sconosciuto. In silenzio.
Non appena ebbe fermato il cavallo, il giovane smontò, avvicinandosi alle due donne.
<<È qui che dimora la Messaggera di Belur?>> chiese, guardando con un po’ di apprensione la spada sguainata della guerriera.
<<Chi la cerca?>> chiese Xena, fissandolo negli occhi.
<<Panesio, signora… Al villaggio mi è stato detto che avrei potuto trovarla qui>> riuscì a dire il ragazzo, tormentandosi le mani. Olimpia non riuscì a trattenere un mezzo sorriso nel vedere il lampo che attraversò gli occhi di Xena nel sentirsi chiamare “signora”.
<<Continua>> lo incalzò la guerriera.
<<Vengo da Alessandria, ho una missiva per la Messaggera>>
Lo sguardo di Xena si fece preoccupato.
<<Perché la cerchi? Cosa è accaduto ad Alessandria?>> questa volta fu Olimpia a parlare.
<<La città è in subbuglio…ci sono scontri ovunque…>> cominciò a raccontare Panesio, ma Xena lo interruppe.
<<Alessandria è lontana ed hai fatto un bel po’ di strada per arrivare qui, non credo che dei semplici subbugli in città possano spingere mia figlia ad affrontare un viaggio del genere senza un vero motivo>> disse la guerriera. Panesio rimase un po’ incerto, poi le consegnò un piccolo rotolo di pergamena. Xena osservò il sigillo, ma non lo riconobbe.
<<Chi lo manda?>> chiese Olimpia.
<<Chiama Evi>> le rispose bruscamente la guerriera, entrando in casa con ampie falcate. Olimpia versò dell’acqua al giovane, mentre Evi leggeva, con preoccupazione. Xena osservava in silenzio Panesio, la fronte corrucciata.
<<Evi?>> disse la guerriera, esortando la giovane a parlare.
<<Se quanto il prefetto romano di Alessandria dice corrisponde a verità>> disse Evi con espressione estremamente seria <<La situazione potrebbe degenerare rapidamente e diventare irrecuperabile. Potrebbe scatenarsi un conflitto tale da coinvolgere la stessa Roma>>.
Panesio annuì alle sue parole. <<Esattamente, mia signora. Cirillo non attende che una scintilla per scatenare una guerra fratricida: ha spaccato la città in due fazioni e non ha intenzione di sottostare alle leggi di Roma ancora a lungo>>
Di fronte all’espressione interrogativa delle due guerriere, il giovane si affrettò a precisare <<È il priore di Alessandria da alcuni mesi. Sia il prefetto Oreste che Ipazia hanno ipotizzato che la morte del suo predecessore non sia stata casuale, ma non hanno mai trovato prove sufficienti...>>
<<Ipazia?>> chiese Olimpia.
<<Sì, dirige il Museo e la Biblioteca di Alessandria. È un’astronoma ed una filosofa, gode di un grandissimo prestigio in città. Lo stesso prefetto è stato suo discepolo>>
Xena ignorò le parole di Panesio, rivolgendosi direttamente ad Evi. <<Cosa intendi fare?>>
<<L’unica cosa possibile: raggiungere Alessandria e riportare il culto di Belur alla verità>> rispose la giovane con determinazione e Xena le sorrise appena.
<<Sapevo che l’avresti detto>> disse alla figlia, poi si rivolse al giovane. <<Vieni di sopra, hai bisogno di riposo. Partiremo domattina>>
Il giovane la ringraziò, alzandosi per seguirla. La guerriera gli fece strada lungo le scale ed entrambi sparirono lungo la rampa. Olimpia era rimasta in silenzio, seguendo con l’indice il percorso delle venature di una delle assi del tavolo, completamente assorta. Evi la osservava, in silenzio, provando a decifrare i suoi pensieri, quasi riuscisse ad intravederne i guizzi nelle iridi verdi della donna.
<<Olimpia?>> la chiamò, attirando la sua attenzione. <<Verrai con noi?>>le chiese senza giri di parole.
Olimpia la guardò quasi incredula, sorpresa dalla domanda. <<Non vuoi che venga?>>
<<Solo se è quello che vuoi davvero>>
L’amazzone allungò un braccio, fino a stringerle la mano.
<<Evi, qualunque cosa succeda, tu sei mia figlia e quello che voglio davvero è esserti accanto quando hai bisogno di me>> le sorrise con dolcezza. <<Riportare alla ragione una città potrebbe essere complicato>> aggiunse con tono scherzoso.
Evi ricambiò il suo sorriso. <<Ti ringrazio>> Xena aveva appena terminato di strigliare Argo ed era sul punto di controllarne la ferratura quando sentì i passi di Olimpia alle sue spalle. Non ebbe bisogno di girarsi per percepire la sua esitazione sulla soglia. L’amazzone, poi, raggiunse con passi fin troppo decisi il cavallo che le sue consorelle le avevano donato, controllando che non gli mancasse nulla.
<<Credo che dovremmo prendere alcune provviste al villaggio, ci vogliono due giorni di viaggio per raggiungere il porto più vicino>> disse Olimpia, senza però voltarsi verso la guerriera, che, tuttavia, continuò a rimanere in silenzio. L’amazzone chiuse gli occhi, cercando di non farsi prendere dall’ira.
<<Dovremmo prendere altre provviste al villaggio>> insistette, a voce più alta.
<<Ti avevo sentita la prima volta>> fu la risposta brusca che ottenne.
<<Perché non rispondi?>>
<<Perché non vedo come la cosa possa riguardarti. Pensavo tu avessi altri piani, lontano da qui>>
“Lontano da me” pensò, non senza una punta di amarezza.
<<Evi ha bisogno di aiuto e...>> cominciò a dire olimpia ma Xena la interruppe.
<<Ad Evi può bastare sua madre. O forse anche come madre credi che non sia abbastanza?>>
Olimpia aprì le labbra per risponderle a tono, ma in qualche modo si trattenne. Non avrebbe fatto il suo gioco accettando le sue provocazioni.
<<Quello che è successo tra noi non cambia il fatto che Evi sia anche mia figlia>> prese una pausa, sostenendo lo sguardo duro della guerriera. Le si avvicinò, fermandosi a meno di un passo da lei.
<<Non puoi decidere di estromettermi dalla sua vita, non te lo permetterebbe mai>> le disse tra i denti. Senza aggiungere altro le voltò le spalle allontanandosi. Xena dovette fare non poca fatica per trovare una galea che facesse rotta verso Alessandria e quando finalmente trovò un’imbarcazione non fu soddisfatta né del mezzo né del capitano, un uomo tarchiato e burbero. Dovette contrattare a lungo ma alla fine riuscì a fargli dimezzare il pedaggio iniziale, che saldò per metà. Quando si allontanò verso la banchina dove la attendevano gli altri, fu seguita dalle imprecazioni del capitano e non trattenne un piccolo sorriso di soddisfazione.
Fece cenno ad Olimpia di condurre i cavalli e, prima di mezzogiorno, furono pronti a levare l’ancora. La giornata era soleggiata e, nonostante l’aspetto poco rassicurante, il capitano sembrava sapere il fatto suo, sfruttando bene le correnti d’aria stagionali. Xena era appoggiata al castello di prua, assorta, gli occhi fissi sull’orizzonte sereno del mare.
Sulla tolda principale, invece, Evi ed Olimpia erano intente nella meditazione, mentre Panesio cercava di identificare la loro posizione sulla mappa dall’inclinazione dei raggi solari. Quando ebbe esaurito la sua pazienza senza molti risultati, si avvicinò alla guerriera con un sorriso gentile sul viso. Xena lo osservò con più attenzione: il giovane aveva un’espressione spesso corrucciata, come se portasse su di sé una grande responsabilità, ma nei momenti in cui si rasserenava era evidente tutta la sua giovane età.
<<Panesio>> lo chiamò la guerriera, invitandolo accanto a sé. <<Ripetimi cosa sta succedendo nella tua città>>
<<Sì, mia signora..>>
<<Panesio>> lo interruppe subito la guerriera.
<<Sì?>>
<<Smettila di chiamarmi “mia signora”>>
Il giovane non riuscì a trattenere un sorriso che Xena ricambiò.
<<Sì, mia...ehm...Xena>>
La guerriera annuì, poi il giovane proseguì. Le raccontò di come, dall’ultima volta che erano state in Egitto, le cose fossero radicalmente cambiate. Roma ne aveva fatto una sua provincia, sebbene dotata di larga autonomia ed Alessandria era retta da un Prefetto di nomina imperiale. La città vantava ancora un notevole prestigio, grazie alla Biblioteca ed al Museo. Nonostante il culto di Belur si fosse diffuso in tutti gli strati della popolazione, l’antico tempio delle Muse era rimasto un importantissimo centro di sapere e la Biblioteca raccoglieva testi da tutto il mondo.
<<Ipazia, figlia di Teone, ha preso il posto del padre nel dirigere gli insegnamenti, sebbene non con il consenso di tutti. È  lei che mi ha mandato a cercare la Messaggera, sebbene non sia tra i seguaci di Belur>>
Xena ascoltava in silenzio di come questa donna fosse stata in grado di riportare l’osservatorio agli antichi splendori e mille altri meriti che la rendevano, agli occhi di Panesio, l’incarnazione stessa del sapere e della conoscenza.
<<Nutri grande stima per lei, non è vero?>> gli chiese la guerriera.
Il giovane si affretto ad annuire. <<E chi non potrebbe! È una donna straordinaria! Ho avuto il privilegio e l’onore di essere ammesso ai suoi corsi di astronomia ed ora mi ha affidato l’incarico di portare la Messaggera da lei>> l’orgoglio nelle parole e nei gesti di Panesio era più che evidente.
Xena gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. <<Hai compiuto il tuo dovere, credo che ne sarà felice>>
<<Lo spero...>> dal luccichio nei suoi occhi Xena intuì che il giovane provava per quella donna ben più dell’ammirazione di un discepolo zelante per un grande maestro e sorrise.
Un riflesso luminoso attrasse l’attenzione della guerriera. Olimpia aveva posato a terra i suoi sai ed ora un raggio ne colpiva la lama, riflettendosi nella sua direzione. L’amazzone era seduta di fronte ad Evi, immobile. La guerriera si trovò ben presto ad osservare come i raggi solari delineassero perfettamente i contorni della sua figura, illuminandole i capelli, quasi questi avessero luce propria. Concentrandosi appena, Xena riusciva a percepire il movimento delle sue spalle scandito dal ritmo lento della respirazione. La voce del ragazzo le sfiorava appena le orecchie, senza che riuscisse a prestargli attenzione...
Olimpia mosse il collo, come a volerne sciogliere i muscoli, ma mantenne gli occhi chiusi, nonostante il formicolio persistente alla base della nuca. Prese alcuni respiri profondi, ma non si trattenne e li aprì: Evi era perfettamente immobile di fronte a lei. Istintivamente si girò: Xena la stava osservando. Panesio le era accanto e stava parlando, ma i suoi occhi erano puntati su di lei. Non appena i loro occhi si incrociarono, l’espressione della guerriera si irrigidì. Il contatto durò un istante solo, poi Xena si voltò verso Panesio.
<<Olimpia, tutto bene?>>
L’amazzone tornò a voltarsi verso Evi, che aveva interrotto la sua meditazione.
<<Sì, certo, tutto bene. Ero solo un po’ indolenzita>> la rassicurò.
<<Vuoi interrompere?>>
<<No no>> rispose immediatamente alla Messaggera. <<Riprendiamo>> le sorrise, riposizionandosi ad occhi chiusi.  Xena uscì dalla sua cabina, esasperata dalla mancanza di sonno e dallo spazio a dir poco angusto. Non aveva fatto che rigirarsi sul giaciglio, i cui scricchiolii era stati tutt’altro che d’aiuto.
Una volta sul ponte, raggiunse la prua, respirando a pieni polmoni l’aria fredda della notte, ad occhi chiusi, quasi volesse che il vento le strappasse di dosso la cappa opprimente che le aveva tolto il sonno.
Respirò a fondo più volte, stringendo le mani al parapetto fino a farsi sbiancare le nocche. Picchiò con rabbia il pugno sul legno, sollevando piccoli granelli di salsedine che l’aria salmastra aveva depositato, a testimonianza dei viaggi che la nave aveva compiuto. La calma piatta del mare che la circondava faceva da cassa di risonanza della sua inquietudine, amplificandola oltremodo.
La guerriera provò a calmarsi, ma un groviglio di pensieri, parole feroci ed immagini le si contorceva nella testa, senza che riuscisse a circoscriverlo ad un angolo della sua mente dove non fosse d’ingombro per gli altri pensieri.
Doveva aiutare Evi e di certo, stando a quanto aveva raccontato Panesio, avrebbe avuto bisogno di tutta la sua lucidità. Lucidità che, in quel momento, continuava a sfuggirle. Non finse di non sapere a cosa fosse dovuto. Eppure non aveva senso questo suo tormentarsi. Olimpia aveva fatto la sua scelta, doveva essere un capitolo chiuso.
“Vuole Brunilde nella sua vita” si disse e la cosa, arrivate a quel punto, non avrebbe dovuto farle così male. Almeno non così tanto. Strinse i denti, con rabbia. Una rabbia feroce, la rabbia di chi ha messo in gioco tutto se stesso per ottenere, in cambio, una cicatrice, come ricordo permanente del più misero dei fallimenti. Solo pensare alla valchiria bionda le bruciava come sale su di una ferita aperta.
“È il mio orgoglio ferito, nient’altro” si ripeté per la milionesima volta. Del resto, cos’altro poteva essere? Come Olimpia, anche lei aveva preso la sua decisione. Per quanto importanti, intensi ed insostituibili fossero stati, i momenti con il bardo ora non dovevano essere che ricordi da impacchettare e metter da parte.
Si guardò la mano sinistra, su cui spiccava la piccola cicatrice, promemoria del suo patto con Marte.
“Prima o poi devo risolvere questo problema” pensò, sfiorandola con la punta delle dita.
Per quanto piccola fosse, era la cicatrice che le dava più dolore. Probabilmente perché dava corpo alla lacerazione che Olimpia, senza neppure troppi ripensamenti, aveva inferto a lei ed al loro rapporto...
<<È una notte troppo serena per pensieri cupi...>>
La voce del capitano non la colse di sorpresa: aveva sentito il suo passo pesante non appena era salito sul ponte, ma aveva sperato che, ignorandolo, lui avrebbe fatto lo stesso.
La guerriera si limitò a rivolgergli un cenno di saluto, senza prestargli troppa attenzione. L’uomo le si mise accanto, incrociando le braccia sul parapetto.
<<Alessandria non è un bel posto da raggiungere in questo periodo>> le disse, con noncuranza.
<<L’ho sentito in giro...>>
<<E allora perché ci vai? Tu e la biondina potreste essere mercenarie, ma la ragazza pelle e ossa ed il ragazzino che vi portate dietro non hanno un aspetto propriamente minaccioso...>>
L’uomo sorrise e Xena notò come, a distanza così ravvicinata, il suo sorriso fosse ben più sgradevole di quanto pensasse.
La guerriera non rispose subito, limitandosi ad indirizzargli un’occhiata poco cordiale.
<<Ce ne sono fin troppi di guerrieri>> gli disse poi, senza distogliere gli occhi dall’orizzonte. <<Ad Alessandria non ne servono altri>>  
L’uomo fece spallucce, poco convinto. <<Magari non servono, ma una spada al fianco fa sempre comodo quando tira una brutta aria... va bene anche uno di quelli>> disse, indicando il chakram.
<<Già...>> fu la risposta distratta di Xena.
Il capitano stette ancora alcuni istanti accanto a lei, poi fece per allontanarsi.
<<L’aria della notte è molto fredda con questo vento, faresti meglio a tornare in cabina>>
Xena non gli rispose, così l’uomo tornò sotto coperta, lasciandola sola.
Un’onda un po’ più grande delle altre fece oscillare la nave, costringendo la guerriera a reggersi al parapetto. Istintivamente le tornò alla mente Olimpia ed il suo mal di mare, nonché al polpo crudo  che aveva mangiato mentre era sotto l’effetto del suo “tocco”. Non poté non sorridere.
Si concesse alcuni istanti immersa in quei ricordi, lasciando che una lacrima facesse capolino alla coda dell’occhio. L’asciugò rapidamente con il dorso della mano e si impose di pensare ad altro.
Una piccola luce all’orizzonte attirò la sua attenzione: strizzò gli occhi e sorrise.
Il Faro. Alessandria non era affatto lontana. Da quando il profilo della città di Alessandria si era fatto più nitido all’orizzonte, reso più visibile dai raggi del sole, Panesio non aveva fatto che camminare sul ponte, importunando costantemente Xena ed il capitano su quanto ancora avrebbero dovuto navigare prima di poter sbarcare.
Era felice ed impaziente di tornare nella sua città, questo era più che palese, ma soprattutto fremeva per portare a termine il compito che gli era stato affidato da Ipazia, verso la quale aveva un rispetto ed un’ammirazione davvero sconfinate.
<<Xena, quanto...?>>
La guerriera lo fulminò con gli occhi. <<Panesio, chiedimelo un’altra volta e dovrai arrivare al porto A NUOTO!>>
Il tono intimidatorio della donna fece letteralmente indietreggiare il ragazzo che, scusandosi, corse a fare la stessa domanda al capitano.
Xena scosse la testa, esasperata. Evi mascherò un sorriso divertito coprendosi la bocca con la mano.
<<Madre, lo hai davvero terrorizzato>> le disse, sorridendo.
<<Io l’ho spaventato, ma se va ancora dal capitano, non credo che si limiterà solo a minacciarlo...>>
Evi sorrise, ma Xena si accorse che non era indirizzato solo a lei. Si voltò e vide che Olimpia si stava avvicinando, con un colorito di certo non dei migliori. La guerriera intuì che il mal di mare le avesse dato filo da torcere più del solito.
Il bardo fece un cenno di saluto a Xena, che ricambiò distaccata, poi si avvicinò ad Evi, posandole con affetto una mano sulla spalla scoperta.
<<Olimpia, tutto bene? Non hai una bella cera...>> chiese la Messaggera, probabilmente più per rompere il silenzio, dal momento che conosceva bene gli effetti che le lunghe percorrenze in mare provocavano alla donna.
<<Nulla che non possa essere risolto quando metterò i piedi a terra...>> rispose il bardo, rassegnata ormai a convivere con quel suo malessere. <<La pressione non è servita?>> chiese Xena
Olimpia rimase alcuni istanti in silenzio, incerta su cosa risponderle. Perché le faceva quella domanda? Perché si interessava? Non aveva certo bisogno che le ricordasse quanto le aveva insegnato in passato. Si trattenne, optando per una risposta più cauta di quella che, istintivamente, avrebbe voluto darle.
<<Cerco di non abusarne....>>
Il bardo osservò con attenzione il volto della guerriera, cercando di cogliere anche la più piccola indicazione per capire dove effettivamente volesse arrivare, ma Xena era una maschera di ghiaccio.
<<Del resto non sono un bello spettacolo con del polpo crudo in bocca>> aggiunse, col tono di chi sa di avventurarsi in un territorio non propriamente sicuro e vuol farlo con cautela.
Olimpia rivolse un sorriso ad Evi, che ricambiò divertita: in più di un’occasione le era stato raccontato di come, assieme al mal di mare, fosse scomparso anche il gusto del bardo mentre erano sulla galea di Cecrope.
Xena non disse nulla, tenendo gli occhi fissi sul porto, che si faceva sempre più vicino.
“Ad entrambe è venuta in mente la stessa situazione....” si disse, ma non diede a quel pensiero lo spazio per prendere corpo.
<<Sono felice che tu sia qui>> disse Evi, rivolta ad Olimpia. <<Sono felice che entrambe siate qui>> aggiunse.
Istintivamente il bardo l’abbracciò con affetto, stringendola a sé. Quando si separarono, Evi allungò le braccia verso la madre.
<<Posso avere anche un tuo abbraccio, madre?>> le disse.
<<A lei queste cose bisogna sempre chiederle>> scherzò Olimpia, ma il sorriso le si raggelò sulle labbra nel vedere Xena mutare espressione e lanciarle uno sguardo che avrebbe incenerito un’intera città.
<<Xena, non volev...>> fece per dire il bardo, ma la guerriera l’anticipò.
<<Vado a prendere le mie cose>> disse e sparì sotto coperta prima che Olimpia potesse aggiungere una sola sillaba.
<<Evi, davvero, non volevo...>>
Era sincera: per la prima volta, dopo tutto il tempo trascorso in mare in un silenzio gelido, erano riuscite a parlarsi quasi in modo cordiale e lei aveva distrutto quella minima tregua con una stupidissima battuta. Si diede dell’idiota almeno una decina di volte, prima che Evi interrompesse i suoi pensieri.
<<Non affannarti, Olimpia, non serve. Anche le ferite più profonde si rimarginano con il tempo>>
“Lo spero...” fu l’unica cosa che Olimpia riuscì a pensare. Per Xena, certo, ma anche per se stessa.

 

 

Capitolo 2

Ipazia, in piedi accanto ad un semplice seggio di legno scuro, osservava con occhi severi la platea dei suoi discepoli, una dozzina tra i migliori che frequentavano il Museo, in attesa di una risposta.
<<Allora, nessuno vuol dire nulla?>> insistette, guardandoli uno ad uno.
Con calma si sedette sullo scranno, raccogliendo il lungo peplo bianco sulle ginocchia, prima di tamburellare le dita sul bracciolo levigato dal lungo uso, scandendo il tempo con regolarità.
Gli studenti continuavano ad abbassare lo sguardo quando erano prossimi ad incrociare il suo, scambiandosi occhiate furtive tra di loro, troppo intimiditi anche solo per bisbigliare.
<<Timeo?>> chiamò Ipazia e subito il volto del giovane divenne violaceo.
<<Io...for...probabilment...>>
<<Non farfugliare, Timeo>> lo apostrofò la donna.
<<No...cioè...sì, mia signora...non...non...>> provò a risponderle, ma riuscì solo a diventare ancora più paonazzo.
Ipazia prese un respiro profondo. Se quella era davvero la migliore gioventù che Alessandria era in grado di offrire, non prevedeva un futuro roseo né per il Museo né per la Biblioteca. Del resto molti dei giovani aristocratici ora frequentavano più assiduamente le riunioni dei seguaci di Belur che le lezioni e non pochi di essi gravitavano nell’orbita fanatica di Cirillo, fornendogli i mezzi per portare avanti i suoi progetti di controllo. Con queste premesse, la stessa esistenza della città, così come lei la conosceva ed amava, era in serio pericolo. La donna si costrinse a non pensarci.
<<Serpedonte, neppure tu?>>
Il giovane ora interpellato scosse la testa. <<No, mia signora>>
<<Bene...>>
Ipazia si alzò nuovamente dallo scranno ed un silenzio ancora più profondo calò nell’aula. L’unico suono era il rumore dei suoi calzari sul marmo candido della pavimentazione. La donna lasciò che si tormentassero per un po’, mentre lei, con la fronte corrucciata e le braccia incrociate al petto, camminava lentamente lungo il perimetro che separava la gradinata, volutamente spoglia, su cui sedevano i discepoli, dalla piattaforma rialzata su cui, invece, era posto il seggio dell’insegnante.
Ipazia si fermò esattamente al centro di quello spazio.
<<Dal momento che avete ancora le idee un po’ confuse, voglio che ciascuno di voi metta per iscritto...>>
<<Mia signora>>
Una voce maschile fece voltare Ipazia verso l’ingresso e lo sguardo che rivolse al giovane sull’uscio fu tutt’altro che cortese.
<<Mi spiace interromperla>>
<<Temo, Lica, che ormai tu l’abbia fatto... Cosa c’è?>> chiese, sospirando esasperata.
<<Dovrebbe seguirmi... Adesso...>>
Ipazia sospirò ancora, poi si rivolse ai suoi discepoli.
<<Per questa volta siete stati fortunati: ritorneremo sull’argomento domani...>> fece per andarsene e li sentì tirare un sospiro di sollievo pressoché all’unisono.
<<Quante volte ancora dovrò ripetere che per nessuna ragione voglio essere interrotta durante le mie lezioni?>> chiese, una volta fuori dall’aula.
<<Ho seguito le sue disposizioni, mia signora: Panesio è tornato>>
A quelle parole, Ipazia si fermò, quasi pietrificata ed incredula. Guardò Lica dritto negli occhi.
<<È tornato da solo?>>
<<No, mia signora>>
Un sorriso a dir poco radioso le si dipinse sul volto e si affrettò a seguire il giovane il più velocemente possibile.   Evi si guardò intorno, cercando di ricordare il nome di alcuni degli oggetti che riempivano la stanza: qualcuno lo aveva visto ai suoi precettori, ma la maggior parte di essi le erano totalmente sconosciuti.
<<Così tu saresti la Messaggera di Belur?>>
Una voce femminile la fece sobbalzare proprio mentre sfiorava la superficie di un astrolabio. Evi si voltò, incrociando lo sguardo penetrante di Ipazia. Sebbene non l’avesse mai vista, non ebbe bisogno di presentazioni per capire chi fosse.
Gli occhi scuri della donna la scrutavano, indagatori. Evi sostenne il suo sguardo con tranquillità, lasciando che fosse l’altra a proseguire la conversazione.
<<Non mi aspettavo che tu fossi così giovane>> commentò, incrociando le braccia sul petto. <<D’altronde anch’io ero poco più che una fanciulla quando ho cominciato ad insegnare>> aggiunse poi, quasi rivolta a se stessa. Evi valutò che dovesse avere approssimativamente l’età di sua madre.
<<Sono lieta di conoscerti, Ipazia>> le disse <<La fama della tua saggezza ha superato da tempo i confini della provincia d’Egitto>> La giovane attese una sua reazione, ma la donna rimase immobile.
<<La tua missiva diceva che era molto urgente >>
Ipazia prese a camminare nella sala, nervosa, mentre il suo peplo bianco ondeggiava leggermente attorno al suo corpo esile.
<<Qualunque cosa tu possa immaginare, la realtà è ben peggiore. Siamo sull’orlo di una vera e propria guerra civile! Da quando Teofilo è morto e Cirillo è diventato priore di Alessandria, gli scontri armati sono ormai all’ordine del giorno. Oreste... il prefetto teme che un intervento massiccio dell’esercito possa solo aumentare la tensione>>
Evi annuì alle sue parole, diventando più cupa.
<<Alessandria ha sempre potuto vantarsi di essere un punto di riferimento per gli studiosi di tutto il mondo, indipendentemente dalla loro fede>> proseguì la filosofa, accorata. <<Ora anche raggiungere il Museo è diventato un’impresa rischiosa e ci sono giorni in cui fare lezione, poi, è quasi impossibile. Oggi, stranamente, la situazione sembra più serena, oserei dire quasi normale, ma non posso certo far affidamento su questi casi fortuiti... I discepoli sono sotto la mia responsabilità: fino ad ora sono riuscita ad evitare il peggio, ma non so quanto ancora potrà durare>>
Tra le due calò un silenzio denso di preoccupazione.
<<Presto>> proseguì la filosofa <<la città sarà sotto assedio se qualcuno non fermerà Cirillo… E l’unica autorità a cui non può ribellarsi è la tua>>
Ipazia la guardò negli occhi intensamente. La giovane poteva sentire distintamente tutta la sua amarezza. Poi annuì, grave.
<<Non sono sola>> disse dopo alcuni istanti. Ipazia la guardò interrogativa, ma con una nota di speranza in fondo agli occhi.
<<Mia madre è qui>> rispose Evi prima che la donna potesse formulare la sua domanda. <<Potrà essere sicuramente d’aiuto in una situazione come questa>>
<<Non ho osato chiedere un suo intervento nella missiva, ma non nascondo che avevo sperato in una simile evenienza, sebbene qualcuno si ostini a sostenere che sia morta...>> commentò a mezza voce, quasi stesse parlando con se stessa.
Evi sorrise: nonostante Xena avesse fatto più volte visita al regno dei morti, facendone ritorno in carne ed ossa, era piuttosto frequente trovare persone fermamente convinte della sua morte.
<<Dov’è ora?>> chiese Ipazia.
<<All’ingresso... Si è rifiutata di consegnare le armi>>
Ad Ipazia sfuggì un sorriso divertito. <<Allora dobbiamo sbrigarci: temo per l’incolumità delle mie guardie...>> Xena, appoggiata alla parete esterna dell’imponente edificio del Museo, continuava a tamburellare le dita sul chakram, in attesa. Panesio la guardava con nervosismo, temendo una sua reazione improvvisa.
Le guardie, impettite nella loro posizione, sembravano totalmente indifferenti alla loro presenza ed al mondo interno. Del resto, avevano vietato l’ingresso alla Principessa Guerriera, se non avesse deposto le armi, senza battere ciglio. A nulla erano valsi i tentativi di Panesio di dissuaderli dall’applicare quella regola anche a loro, viste le circostanze eccezionali, ma erano stati inamovibili ed Evi aveva infine deciso di entrare da sola, naturalmente disarmata. A quanto pare Ipazia in persona aveva impartito quegli ordini, per la sicurezza dei suoi discepoli e degli insegnanti, e difficilmente qualcuno sarebbe stato disposto a disobbedire ad un suo ordine diretto.
Olimpia era rimasta un po’ in disparte, accettando con più calma il divieto, anche per evitare ulteriori motivi di conflitto con Xena.
<<Liberate il passaggio!>>
Una voce femminile, proveniente dal corridoio d’ingresso, fece voltare di scatto le guardie, che immediatamente ritrassero le loro picche, liberando l’accesso.
Xena fu la prima ad entrare, a grandi falcate, senza degnarli di uno sguardo, seguita a ruota da Panesio ed, infine, da Olimpia. Accanto ad Evi, Ipazia le accolse con un sorriso.
<<Mia signora>> disse Panesio, chinando il capo in una riverenza piena di rispetto.
<<Hai svolto il tuo compito in modo eccellente>> gli rispose, facendogli cenno di rialzare lo sguardo. <<Ti ho chiesto di condurre ad Alessandria la Messaggera e mi hai portato molto di più>> rivolse un sorriso più ampio alle due guerriere.
Xena la osservò attentamente: il suo viso non era bello, eppure l’espressione dei suoi occhi e la compostezza dei suoi movimenti lasciavano trasparire una grande autorevolezza.
<<Non posso che darti il bentornato ad Alessandria, Principessa Guerriera. Ho letto molto su di te e sulle tue imprese: spero che le leggende ti rendano giustizia>> i suoi occhi indugiarono a lungo in quelli della bruna, forse qualche istante più del necessario, catturati da qualcosa che sembrava aver attratto la loro curiosità. Si, poi, rivolse ad Olimpia.
<<Tu devi essere Olimpia. Ho avuto modo di leggere i tuoi scritti e li ho trovati una lettura davvero piacevole>> la sua voce era cordiale e gentile. Olimpia accennò appena ad un sorriso di circostanza.
“Una lettura piacevole… Ma chi si crede di essere?” pensò il bardo, osservando l’atteggiamento della donna, che sembrava avvolta in un’aura di pacata superiorità, che non avrebbe potuto essere più irritante...
<<Se mi concedete alcuni istanti, vi accompagnerò personalmente presso la mia dimora. Potremo parlare più tranquillamente...>> con lo sguardo Ipazia lasciò intendere che, sebbene si trovassero nel Museo, le spie di Cirillo potevano essere in ascolto. <<Panesio, seguimi... Ho ancora alcuni incarichi da affidarti>>
Quando Ipazia fu fuori portata di orecchio, Xena si rivolse direttamente ad Evi.
<<Cosa ne pensi?>>
<<Se anche la metà delle cose che mi ha riferito sono vere, temo che sarà più difficile del previsto: affrontare la questione in modo troppo diretto è fuori discussione, se si vuole evitare un conflitto su larga scala. Però prima di decidere come muovermi voglio contattare alcune persone di fiducia tra i fedeli di Belur... Ho bisogno di capire qual è la situazione interna... Ipazia non ha molte fonti a riguardo>>
La guerriera annuì, in segno di approvazione. <<Hai ragione, dobbiamo capire su quali e quanti punti di appoggio possiamo contare prima di rischiare di scatenare una guerra...>>
Olimpia ascoltava distrattamente le loro parole: qualcosa, in Ipazia, l’aveva turbata ed in modo tutt’altro che piacevole. Forse il riferimento ai suoi scritti come “lettura piacevole”, forse quell’aura di chi cammina una spanna sopra gli altri...
La loro attesa non durò a lungo: Ipazia le raggiunse velocemente, con un mantello bianco sulle spalle. La seguirono fuori, dove ad attenderle vi erano cinque soldati.
<<Temo che Cirillo sarà informato ugualmente del nostro arrivo: se non è già stato fatto, la tua scorta farà un po’ troppo rumore con quei calzari chiodati…>> commentò Xena, rivolgendosi alla donna, senza aver bisogno di chiedere a cosa servisse quella milizia.
<<Purtroppo i legionari mi sono stati assegnati dal prefetto: io ne avrei fatto volentieri a meno, ma molti degli altri insegnanti sono stati attaccati nelle strade…>> le rispose Ipazia, avendo intuito il motivo del disappunto della guerriera. <<Sono a conoscenza dal tuo…poco affetto per Roma>>
Evi sorrise. Poco affetto era decisamente un modo molto diplomatico per descrivere la situazione.
<<Ora abbiamo la Principessa Guerriera con noi, non credo che Oreste avrà da ridire se gli rimando indietro i suoi soldati>> aggiunse poi Ipazia e fece cenno ad uno dei legionari, probabilmente il più alto in grado, di andare via.
<<Ma signora…>> cominciò a dire, ma lo sguardo di Ipazia lo fulminò.
<<Riferisci pure al prefetto che potrà rivolgere a me le sue lamentele per questo. Ora andate>>
La sua espressione fu tale che il soldato non dovette neppure ordinare ai suoi uomini di allontanarsi: il comando di Ipazia era stato per loro più che sufficiente. Xena le sorrise con un’espressione di soddisfazione.
<<La mia dimora non è molto distante da qui, se volete seguirmi...>>
La guerriera fischiò ed Argo, assieme al cavallo di Olimpia, le raggiunsero al piccolo trotto. La guerriera diede una pacca all’animale, mentre l’amazzone afferrava le briglie della sua cavalcatura.
<<Possiamo andare>> decretò Evi, con un sorriso.
<<Ammetto che è stato sorprendente...>> commentò Ipazia, affiancandosi a Xena alla testa del gruppo. <<Non ho mai visto un animale rispondere ad una chiamata a distanza in quel modo...>>
<<Diciamo che Argo forse non è un animale convenzionale>> rispose Xena con un certo orgoglio <<Mi ha tirata fuori da situazioni complicate più di una volta>>
<<Sarebbe interessante approfondire la metodologia con cui l’hai addestrata...>>
Olimpia assistette a quello scambio di battute con insofferenza, mentre una morsa di fastidio le stringeva lo stomaco.
<<Ho inviato un messo presso la mia dimora per avvertire di preparare altre due stanze, sarò davvero lieta di avervi come mie ospiti personali... Godo ancora di un certo prestigio di fronte alla popolazione, anche grazie a quello che mio padre ha fatto per il Museo, e casa mia è uno dei luoghi più sicuri. Almeno fino ad ora, Cirillo non è stato così folle da attaccarmi direttamente, anche se temo che potrebbe non durare a lungo>>
<<Hai detto che ci sono stati attacchi diretti...>> si inserì Evi.
<<Purtroppo sì... Un anziano maestro è rimasto ferito in modo piuttosto serio. Hanno cominciato bersagliandolo con verdure andate a male, poi qualcuno ha avuto l’idea di passare alle pietre. Testimoni hanno detto di aver visto i seguaci di Belur istigare ad una vera e propria esecuzione sommaria>> il tono di Ipazia si era fatto duro ed era palese la sua preoccupazione.
<<I seguaci di Cirillo, di certo non di Belur. Non farebbero mai nulla del genere!>> precisò la Messaggera.
<<Rimane il fatto che i seguaci di Belur non sono intervenuti per impedire quello che stava per trasformarsi in un massacro>> fu la risposta piccata della filosofa. <<Chi non impedisce un’ingiustizia ne è altrettanto colpevole>>
<<Lascerei da parte Aristotele e mi concentrerei su cosa in concreto si può fare per neutralizzare la minaccia>> intervenne la guerriera, percependo che la tensione tra le due stava salendo fin troppo rapidamente.
Ipazia la guardò sorpresa <<Non mi aspettavo conoscessi Aristotele...>>
La guerriera inarcò il sopracciglio destro, con un mezzo sorriso. <<A quanto pare le leggende non mi rendono giustizia>>
La filosofa fece per replicare, poi alzò le mani, in segno di resa. <<La battaglia è tua Principessa Guerriera. Ammetto la sconfitta>> i suoi occhi, però, furono attraversati da un lampo di soddisfazione.
<<Non amo molto quel nome...>> puntualizzò Xena.
<<Di questo, invece, ero a conoscenza>>
La Messaggera, ancora un po’ rabbuiata per il piccolo screzio avuto con la filosofa, si era leggermente allontanata e solo allora si accorse che anche Olimpia stava procedendo in disparte, con un’espressione corrucciata, quasi di dolore.
<<Olimpia, qualcosa non va? Il naso ti dà ancora dolore?>> Evi l’aveva affiancata, mentre Xena ed Ipazia andavano avanti di qualche passo.
<<No, Evi, affatto…>> le rispose, cercando di dissimulare quanto fastidio le desse vedere con quanta attenzione la guerriera ascoltasse le parole della filosofa.
<<Olimpia, ti prego: mi pare evidente che qualcosa ti turbi>>
Forse Evi non aveva colto il motivo del suo stato d’animo e questo la rincuorò. Magari neppure Xena l’aveva notato. Cosa che, in ogni caso, non le importava. O forse sì?
<<Olimpia, mi ascolti?>> Evi la guardava, preoccupata. Si era quasi dimenticata della sua presenza…
<<Tranquilla, Evi… Va tutto bene: è stato solo il mal di mare a scombussolarmi un po’>> cercò di sorridere per rasserenarla, ma ottenne l’effetto contrario.
<<Siamo arrivati>> la voce di Ipazia interruppe Evi proprio un attimo prima che potesse continuare. Olimpia si aspettava una dimora imponente e trovarsi di fronte ad una casa molto semplice ed austera la lasciò spiazzata. Certo, era un edificio molto più grande degli altri, eppure era stato progettato in modo così equilibrato da non risultare fuori posto né eccessivamente sfarzoso.
Ipazia entrò per prima e Xena la seguì nel piccolo portico che proteggeva un giardino di dimensioni ridotte, ma davvero ben tenuto. Non mancò di notare che quella casa era totalmente priva di difese, eppure non vi erano segni di attacchi recenti.
Panesio, che nel frattempo le aveva raggiunte, le salutò non appena varcarono la soglia, inchinandosi profondamente di fronte ad Ipazia.
<<Ho dato disposizione di preparare le stanze al piano superiore. Spero siano di vostro gradimento. Damia sarà lieta di mostrarvele in mia vece e Panesio potrà darvi ulteriori informazioni sulla situazione>> disse Ipazia, facendo cenno ad una giovane che le aveva raggiunte. Xena notò che aveva fermato la fanciulla con un gesto della mano non appena questa aveva fatto per scioglierle il mantello.
<<Dove stai andando?>> chiese, quindi, la guerriera. Ipazia le sorrise.
<<Mi attendono al Serapeo: tra pochi giorni ci sarà un’eclissi e c’è molto lavoro da fare>>
<<Un’eclissi?>> Panesio esultò <<Ma è meraviglioso! L’osservatorio sarà aperto anche ai discepoli?>> chiese, con gli occhi che gli scintillavano dalla gioia.
<<Naturalmente no… Ma visto il servigio che hai reso alla città, forse potrei fare un’eccezione>> fu la risposta della donna, che non trattenne una leggera risata nel vedere l’espressione di felicità del giovane.
<<Ad ogni modo, per oggi non sarà possibile: devo andare da sola>> aggiunse poi, accennando ad un saluto.
<<Mia signora…>> la voce di Damia la trattenne. Ipazia le fece cenno di parlare.
<<Non c’è nessuno che venga con lei… E la città non è sicura dopo il tramonto>>
La donna scosse la testa, con un sorriso appena accennato.
<<Ti preoccupi troppo, Damia>> c’era tenerezza nella sua voce, ma il suo atteggiamento non lasciava spazio ad ulteriori repliche.
<<Ha ragione invece>> intervenne la guerriera, avvicinandosi. <<Per quanto tu possa essere protetta dalla tua fama qui a casa, per le strade non credo che possa essere lo stesso>> si guardarono negli occhi alcuni istanti, come due avversarsi che si studiano prima di scegliere il primo affondo.  <<Hai bisogno di qualcuno che ti accompagni>> sentenziò alla fine.
<<Mia signora, se permette...>> intervenne Panesio, ma Ipazia lo fermò sollevando la mano, senza distogliere lo sguardo dalla guerriera, ancora impegnata nel loro duello di volontà.
<<È fuori discussione. Non posso esporre un mio discepolo a questo rischio. E lui non è neppure lontanamente un guerriero>>
<<Non parlavo di Panesio, infatti>>
Tutti i presenti ebbero la netta sensazione di assistere ad uno scontro quasi fisico.
<<Verrò io>> aggiunse Xena dopo alcuni istanti di silenzio. <<Così avrò modo di vedere quanto è grave la situazione>>
Ipazia fu su punto di replicare qualcosa, ma si trattenne, distendendo il viso in un ampio sorriso.
<<E sia. Non potrei avere una protezione migliore>> calò il cappuccio del mantello sul capo ed attese che la guerriera la raggiungesse sulla soglia.
Olimpia le guardò allontanarsi con una strana sensazione che le serpeggiava nel corpo. Aveva notato il gioco di sguardi ed il luccichio negli occhi di Xena nello sfidare la donna era stato tutt’altro che celato. Come altrettanto poco nascosta era stata l’evidente soddisfazione che entrambe sembravano tralle da quelle interazioni, per quanto fugaci queste fossero. La voce di Damia che la invitava a seguirla la distrasse. Le annuì, entrando nella dimora insieme ad Evi. La giovane le condusse negli appartamenti riservati agli ospiti e, nonostante l’istintiva antipatia che aveva provato verso Ipazia, non poté non apprezzare l’eleganza semplice con cui era arredata la dimora. Non vi era nulla di sfarzoso, ma ogni dettaglio era stato curato con la massima attenzione.
<<Se desidera rinfrescarsi, la mia signora ha fatto preparare la sala del bagno...>>
Olimpia le sorrise con gentilezza, anche se un po’ forzatamente, poggiando le sue cose sullo scrittoio. Non mancò di notare che la stanza era sufficientemente ampia per ospitare due persone. Un dubbio le balenò alla mente.
<<Damia...>> cercò di controllare la voce per darle il tono più neutrale possibile. <<La stanza di Xena dov’è?>>
<<La signora ha dato disposizioni affinché fosse qui accanto>>
<<Grazie, Damia>> si sforzò di risponderle, nascondendo il suo fastidio. <<Puoi andare>> aggiunse, quando si accorse che la ragazza attendeva sulla soglia.
Quando fu sola, si sedette sull’ampio letto. “Ha dato disposizioni per tutto e tutti...” pensò, poi si sdraiò, chiudendo gli occhi. Certo, disporre un’unica stanza sarebbe stato eccessivo, anche per Ipazia, ma aveva fatto in modo che fossero vicine...
“Ma perché mi arrabbio, poi? Si è solo comportata come un buon padrone di casa...” disse a se stessa, dandosi della sciocca per quella reazione così infantile. “Brunilde, dovrò attendere ancora per rivederti...”. Sorrise al pensiero della valchiria che l’accoglieva a braccia aperte. Non voleva pensare in quel momento all’eventualità di un rifiuto. L’immagine di Brunilde era la sua oasi di pace e non l’avrebbe rovinata per nulla al mondo. Respirò a fondo, costringendosi a relegare il fastidio che provava in un angolo remoto della sua testa, rifiutandosi categoricamente di chiedersi a cosa fosse dovuto. Xena ed Ipazia camminarono a lungo in silenzio, ciascuna chiusa nei propri pensieri. La guerriera osservava l’altra donna con la coda dell’occhio: poteva quasi percepire fisicamente la sua grande forza d’animo, ma con altrettanta chiarezza avvertiva una nota stonata nell’immagine che Ipazia dava di se stessa.
“Probabilmente sto fantasticando troppo” si disse. Del resto la conosceva da poche ore, forse anche meno, e non aveva alcuna ragione per porsi questo genere di interrogativi. Eppure faticava ad allontanare i pensieri da quelle domande e dalle risposte che, inevitabilmente, queste portavano con sé. Era incredibilmente incuriosita da quella donna, per quanto cercasse di riportare la sua mente alla vera ragione per la quale si trovava lì. 
<<Dovrò scusarmi con Evi quando faremo ritorno a casa>> disse Ipazia, dal nulla.
<<Per cosa?>>
<<Per il piccolo “incidente” che stavo creando... Temo che Evi si sia sentita offesa. Non volevo accusare i seguaci di Belur di nulla, sebbene non nutra per loro grande simpatia>>
<<Credo che Evi ti abbia già perdonata... >>
Ipazia annuì, assorta. La guerriera ebbe la sensazione che fosse sul punto di aggiungere qualcosa, ma la donna non disse nulla.
Guardandosi intorno con più attenzione, Xena notò i segni della faida religiosa che stava lacerando Alessandria: i margini delle strade, solitamente affollati da mercanti provenienti da ogni dove, erano spogli ed in taluni punti erano evidenti i segni di incendi recenti.
<<Hanno appiccato il fuoco ai banchi di almeno una dozzina di mercanti che non erano loro seguaci>> disse Ipazia, intuendo i suoi pensieri. <<Ed hanno derubato e poi distrutto il magazzino di un uomo che mandava suo figlio alle mie lezioni, sebbene entrambi fossero entrambi seguaci di Belur.
<<Il prefetto non è intervenuto?>>
<<Cirillo è sempre molto attento affinché nessuno di questi episodi sia riconducibile a lui...>>
<<Dovremo costringerlo ad uscire allo scoperto allora>>
Ipazia sorrise. <<Non sarà così semplice, Principessa Guerriera. Cirillo non si serve dei mezzi che una donna come te è abituata a combattere>>
Xena la guardò, seria, i suoi sensi in allerta. <<Staremo a vedere>> la guerriera abbassò il tono della voce. <<Qualcuno ci sta seguendo: qualsiasi cosa succeda, fai esattamente quel che dico, ma comportati come se fosse normale>>
Le indicò di imboccare una strada secondaria, più stretta, facendole cenno di continuare ad avanzare, mentre lei attendeva immediatamente dopo la svolta, sfruttando una piccola zona d’ombra.
Non appena l’uomo la oltrepassò, Xena lo afferrò, spingendolo alla parete. Gli premette con forza l’avambraccio sulla gola.
<<Sorpresa...>> gli disse, mentre Ipazia tornava indietro.
<<Serpedonte?>> la filosofa aveva un’espressione sconvolta.
<<Lo conosci?>>
<<È uno dei miei allievi...>>
Serpedonte sputò nella direzione della filosofa.
<<Non ha nulla da insegnarmi una pagana!>>
<<Chi ti manda?>> chiese la guerriera, strattonandolo lontano da Ipazia.
<<Vengo in nome di Belur>>
Non aveva neppure terminato la frase quando Xena eseguì il pinch su di lui.
<<Ho bloccato il flusso di sangue al tuo cervello, morirai entro trenta secondi. Non te lo chiederò un’altra volta, chi ti manda?>>
Serpedonte mosse le labbra come per parlare, ma non emise alcun suono. Si portò le mani al collo, quasi volesse liberarsi dalla stretta del pinch. Fu la questione di un attimo: il giovane estrasse dalla manica della blusa un’ampolla e ne ingoiò il contenuto. Quando Xena riuscì a strappargliela di mano, era già morto.
<<Dannazione...>> imprecò la guerriera. Si portò l’ampolla al naso <<Non riconosco questo veleno..>>
Ipazia non disse nulla, rimanendo come pietrificata. Quella stessa mattina Serpedonte era seduto di fronte a lei, sorridente. Ed ora era morto. Non riusciva a rendersi consapevole e cosciente di quanto era accaduto in pochi istanti.
Xena le mise una mano sulla spalla, cercando un contatto con i suoi occhi.
<<Ipazia, stai bene?>>
La donna annuì, ma senza convincere neppure se stessa. La guerriera non insistette, rispettando il suo silenzio.
<<Dobbiamo portarlo via da qui>> aggiunse dopo pochi istanti, guardandosi intorno: fortunatamente sembrava che nessuno avesse assistito alla scena.
<<Portiamolo a casa mia... Manderò un messaggero ad Oreste perché mandi i suoi uomini...e poi...>>
Xena coprì il viso del giovane, notando che Ipazia non riusciva a distogliere lo sguardo dalle orbite senza vita del ragazzo. <<E così la puttana di Oreste ha mandato a chiamare la Messaggera di Belur...>> la voce di Cirillo era tutt’altro che preoccupata. Il priore di Alessandria si alzò dal suo seggio, accarezzandosi la folta barba nera, pensieroso.
<<Questa è davvero un’occasione splendida per noi...>> si rivolse poi all’uomo inginocchiato di fronte a lui. <<Hai fatto un ottimo lavoro, va’ ora. E che Belur sia con te>> gli disse, dirigendosi verso il suo scrittoio.
<<Mio signore, non è tutto...>>
Cirillo si voltò, facendogli cenno di proseguire.
<<Abbiamo ragione di temere che anche Xena sia qui>>
L’uomo lo guardò sorpreso. <<Xena? Quella Xena?>>
<<Sì, mio signore. Con la Messaggera sono giunte due guerriere>>
Nella stanza privata del priore calò un silenzio denso. Gli occhi scuri di Cirillo si erano fatti distanti, mentre il giovane seguace rimaneva rispettosamente in ginocchio. La risata di Cirillo lo colse alla sprovvista.
<<E sia!>> disse, alzandosi di scatto. <<Immoleremo anche lei sull’altare di Belur! Dai l’ordine di procedere>>