Episodio N. 13
di Nihal


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di Nihal

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Capitolo 5

Appoggiata ad una parete, Xena attendeva che la riunione dei precettori del Museo avesse termine: era stata fortunata al mercato, riuscendo a trovare rapidamente quello di cui aveva bisogno, così aveva raggiunto Ipazia al Museo. Si guardò la cicatrice sul palmo della mano, sfiorandola con le dita. Una piega amara le contrasse il viso.
Non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo mentre suturava la ferita di Olimpia. “Come se fosse successo qualcosa...” si rimproverò. Stava dando troppo peso a qualcosa che, sicuramente, esisteva solo nella sua testa. Olimpia l’aveva trattenuta solo per ringraziarla, nient’altro. Eppure, nei suoi occhi... Scosse la testa, cercando di riportare ordine nella sua mente. Era questo il genere di pensieri con cui si era lacerata fino ad ora ed il genere di pensieri da cui doveva allontanarsi il più velocemente possibile se voleva davvero superare tutta quella maledetta situazione.
“Ha fatto la sua scelta, te lo ha detto piuttosto chiaramente” si ripeté più volte, con le parole della donna che le echeggiavano nella mente. Per non parlare dello schiaffo che ancora le bruciava sulla guancia. Ecco cosa aveva ottenuto con il suo sacrificio: parole di rifiuto e disprezzo. Si immerse così profondamente nella sua rabbia, un sentimento che conosceva fin troppo bene e che altrettanto bene poteva gestire, al punto che non sentì neppure Ipazia uscire e chiudersi la porta alle spalle.
La filosofa si accorse della sua distrazione, così rimase ad osservarla a qualche passo di distanza, quasi in apnea per non far rumore. Non era molto diversa da come l’aveva immaginata attraverso le pergamene di Olimpia: imponente, acuta, molto fiera.
E bella. Sì, quello era un dettaglio che il bardo aveva descritto con abilità notevole, ma non abbastanza da renderle giustizia davvero. Eppure percepiva una nota stonata in quegli occhi cerulei. Come un’ombra che ne risucchiasse la luce... qualcosa che non aveva mai visto e che non conosceva. E, se c’era qualcosa che poteva attrarla più di quanto la luce attrae le falene, era proprio ciò che non conosceva. Xena era un enigma che avrebbe risolto.
Un altro precettore uscì dalla sala, sbattendo quasi addosso ad Ipazia. Xena si voltò di scatto, la mano già sul chakram. L’altra alzò le mani, simulando una resa. L’uomo, invece, le riservò uno sguardo di disprezzo, allontanandosi senza degnare di un saluto nessuna delle due.
<<Sono sempre così lunghe queste riunioni?>> chiese Xena, ignorando l’atteggiamento dell’anziano. Ipazia le sorrise.
<<Oh, sei stata fortunata. Questa è stata una delle più brevi!>>
La guerriera accennò ad un sorriso.
<<L’osservazione di un’eclissi non è certo evento da poco>>
<<Non lo è neppure una guerra civile imminente>> ribatté Xena.
<<È una questione di priorità, Principessa Guerriera>>
<<La tua sicurezza e quella della tua città non è una tua priorità?>>
La filosofa attese qualche istante prima di replicare. <<Non mi preoccupo solo della città presente, ma anche di quella che verrà>>
<<Non potrai farlo se non rimani viva>>
<<Ti piace avere l’ultima parola?>> le chiese Ipazia, ammettendo implicitamente la sconfitta.
<<So di non essere la sola>>
La filosofa rise di gusto, facendo cenno alla guerriera di seguirla.
<<La tua compagna ha taciuto molte cose su di te nei suoi scritti>> commentò, entrando in una sala le cui pareti erano ricoperte da scaffali ricolmi di pergamene. Xena osservò Ipazia muoversi sicura tra tutta quella conoscenza, con la disinvoltura di chi vive per quel sapere.
<<Cosa vuoi dire?>> le chiese, indecisa se essere infastidita o semplicemente curiosa. Ipazia non rispose e srotolò una mappa di Alessandria sul tavolo, dopo aver messo da parte altri rotoli.
<<Qui>> indicò un punto con l’indice <<Si trova il Museo, mentre Cirillo ha la sua roccaforte qui>>
Xena osservava i movimenti delle sue mani sulla mappa, memorizzando le diverse indicazioni.
<<Qui Oreste potrebbe disporre un’intera legione... Se si dovesse arrivare ad uno scontro frontale, sarebbe il luogo perfetto...>>
<<Ma è quello che dobbiamo evitare>> terminò la guerriera ed Ipazia annuì.
<<Esattamente... Dovremo minare la base del suo consenso... Se vogliamo cambiare le cose non basta eliminare fisicamente Cirillo, è il suo pensiero che dobbiamo distruggere. Il suo pensiero e la presa che riesce ad avere>>
<<Personalmente preferisco metodi più rapidi >> Xena sfiorò il chakram, appeso alla cintola, in un gesto automatico.
<<Quello sarebbe più efficace? Dimmi, quante persone hai dissuaso con quello?>>
<<Più di quante immagini>> le sorrise, guardandola negli occhi, ritrovando il luccichio della sfida che, sapeva, brillava anche nei suoi. <<So essere molto convincente>>
<<Non ne dubito>> il suo sguardo venne ricambiato, con altrettanta intensità. <<Ma quando smetteranno di temere te o quanto tu non ci sarai, credi che loro o quelli dopo di loro saranno ancora abbastanza spaventati da fare ciò che è giusto?>>
Xena rimase in silenzio mentre Ipazia sorrideva con una certa soddisfazione senza staccare gli occhi da quelli della guerriera. La donna girò attorno al tavolo, avvicinandosi.
<<Con la spada e la paura agisci qui>> la filosofa posò una mano al centro del petto della guerriera, sul suo cuore. Prima di proseguire Si concesse un attimo per sentire il suo battito regolare, solido, senza mai interrompere il contatto visivo.
<<Se vuoi cambiare davvero il mondo, è qui che invece devi intervenire>> le pose le mani ai lati della testa, guardandola, se possibile, ancora più profondamente negli occhi.
<<E per fare ciò le armi non sono d’aiuto>>
Rimasero entrambe, per alcuni istanti, come avvolte dalla bolla che Ipazia aveva abilmente costruito. Nessuna delle due sembrava più dar peso al contenuto della discussione, troppo concentrate nell’esaminare le espressioni e le reazioni dell’altra.
La guerriera le sorrise, scostandosi. <<Non voglio cambiare il mondo, ma evitare che Evi si esponga troppo a pericoli non necessari>>
Xena posò entrambe le mani sul tavolo, costringendosi ad osservare la mappa e non la donna accanto a lei. Quando, poi, non ricevendo risposta, sollevò lo sguardo nella sua direzione, si accorse che Ipazia la stava fissando, con una nota di divertita curiosità nello sguardo. Le rivolse un’occhiata interrogativa.
<<Trovo affascinante osservare la Principessa Guerriera all’opera>> le disse, con il suo solito sorriso.
<<Non sono “all’opera” e non amo quel nome>>
<<Lo so>>
La guerriera inarcò un sopracciglio.
<<Avrò bisogno di parlare con il prefetto...>> aggiunse, ignorando la provocazione ed il formicolio che le aveva dato lo sguardo di Ipazia.
<<L’avevo immaginato. Potremo parlare con Oreste domattina stessa... guarda, è proprio lì, sotto le tue mani>> Ipazia si avvicinò e le sollevò la mano sinistra dalla mappa, indicando il palazzo del prefetto. La sua attenzione fu attratta dalla cicatrice al centro del palmo della guerriera.
<<Risale alla crocifissione?>> le chiese, osservandola con interesse. Non appena la sfiorò, Xena ritrasse la mano di scatto, quasi quel contatto l’avesse bruciata.
<<No>> rispose. <<Abbiamo finito qui?>> il suo tono lasciava capire perfettamente che la questione doveva considerarsi chiusa.
<<Certo, abbiamo finito>>

Rientrarono presso la dimora di Ipazia quando il sole era già prossimo al tramonto. Durante il tragitto avevano parlato poco, ciascuna chiusa nelle proprie riflessioni. La guerriera, dal canto suo, approfittò della tregua che la donna sembrava averle concesso per rilassare la mente. Non appena furono all’interno, Damia accorse con la solita rapidità, pronta ad assistere la sua signora in qualsiasi necessità. Xena sfruttò la distrazione di Ipazia per avvisarla che sarebbe salita nella sua stanza per preparare l’unguento di cui Olimpia aveva bisogno.
Non impiegò molto tempo per mescolare le erbe con un balsamo all’interno di una piccola ciotola di terracotta. Prima di raggiungere la stanza di Olimpia, prese un profondo respiro, ancora non completamente sicura di esser in grado di affrontare anche quello. Bussò e la voce del bardo le disse di entrare. Entrò lentamente, quasi sulle punte: l’amazzone era rimasta a letto e, per fortuna, la benda con cui le aveva fasciato la ferita era ancora bianca.
<<Ha smesso di sanguinare>> commentò, sedendosi sul bordo del letto.
<<Non di fare male...>>
<<Succede quando le ferite sono profonde>> Xena si rese immediatamente conto che le sue parole erano venate di un’amarezza decisamente troppo marcata perché potessero considerarsi riferite alla gamba dell’altra, ma non aggiunse altro, fingendo indifferenza. La guerriera non alzò gli occhi dal suo lavoro, sciogliendo rapidamente la fasciatura, costringendosi a rimanere concentrata su quello che stava facendo. Olimpia la guardava, invece, senza riuscire a focalizzare i propri pensieri: le mani della guerriera si muovevano veloci e precise, attente a non farle male. Conosceva quei movimenti, glieli aveva visti fare molte volte, al punto da poterli prevedere perfettamente: avrebbe inclinato il capo a sinistra, osservando i bordi della ferita, poi avrebbe toccato delicatamente i punti in cui aveva ricucito la pelle, per assicurarsi che fossero asciutti.
Quando Xena, con la testa inclinata a sinistra, passò l’indice sulla ferita, Olimpia non trattenne un sorriso. La guerriera sembrò percepire quel sorriso e la guardò, interrogativa.
<<Nulla...  è solo che inclini sempre la testa quando osservi questo genere di ferite>>
Xena non rispose, cominciando ad applicare l’unguento che aveva preparato, senza modificare la sua espressione.
<<Questo dovrebbe permetterti di camminare senza problemi già domattina>> le disse, con un distacco fin troppo voluto. Olimpia annuì, rimanendo in silenzio.
<<Credi che riusciremo ad evitarlo?>> chiese, all’improvviso. Xena la guardò, interrogativa.
<<Temo che uno scontro sia inevitabile>> aggiunse il bardo. <<Prima Sinesio, poi Ipazia ed ora anche Evi... Cirillo è fuori controllo>>
La guerriera annuì, corrugando la fronte. Era perfettamente consapevole della criticità della situazione, ma non avevano molte opzioni in quel momento.
<<Non c’è molto che possiamo fare... Uccidere Cirillo sarebbe una soluzione a breve termine, soprattutto se dovesse sopravvivergli l’orda di fanatici che ha creato. Spero solo che Evi riesca ad essere sufficientemente convincente>>
<<E se non dovesse esserlo?>>
Xena la guardò negli occhi, il viso impassibile. <<Sarà guerra>>

 

Xena aprì le imposte della finestra, fissando lo sguardo su di una luna crescente estremamente luminosa. Ad osservarla così, sembrava impossibile che in quella città così serena serpeggiassero tensioni così irriducibili. La guerriera provò a rimettersi a letto, le braccia incrociate dietro la testa, ma resistette sdraiata solo pochi minuti. Si sentiva inquieta: aveva inutilmente cercato di districare la matassa di pensieri che le si affastellavano nella mente, ma senza alcun successo Ad occhi aperti, si rigirò per l’ennesima volta tra le morbide lenzuola di lino, senza, tuttavia, riuscire a rilassarsi. Esasperata, si alzò e, indossato il corpetto di cuoio, uscì dalla sua stanza, raggiungendo il cortile interno. L’aria leggermente fredda della notte le solleticò la pelle, facendola rabbrividire appena.
Avanzò di qualche passo tra le piante, perfettamente curate, quando vide la sagoma di Ipazia. La riconobbe all’istante: immobile, quasi come marmo. L’unica nota diversa erano i capelli: solitamente li portava raccolti, sopra la nuca, ma in quel momento le scendevano liberi sulle spalle, avvolgendosi appena su se stessi.
Xena non si avvicinò subito, rimanendo ad osservarla a qualche passo di distanza. Ipazia si strinse sulle spalle la sola bianca, poi fece per voltarsi. Nel vedere la guerriera si fermò di scatto, sorpresa. Le bastarono, però, pochi istanti per vestire il sorriso, magnetico e sicuro, che caratterizzava l’espressione del suo viso. E che Xena, nonostante tutto, cominciava ad apprezzare.
<<Brutti sogni?>> chiese Ipazia, riducendo la distanza fra loro.
<<Insonnia>>
La guerriera osservò con attenzione i tratti della donna davanti a sé: la sua non era una bellezza evidente e sfacciata, piuttosto il suo viso poteva apparire a tratti duro, quasi severo. Eppure l’aura che i suoi lineamenti emanavano era così prepotente che Xena non riusciva a staccare gli occhi dai suoi. Occhi talmente scuri da sembrare bui. Un buio che sembrava stesse chiamando proprio lei.
Ipazia continuava a sorriderle appena: le sue labbra difficilmente si distendevano in un sorriso pieno, ma piuttosto si modellavano in un’espressione mutevole ed inafferrabile.
<<Qualcosa ti preoccupa?>> nonostante fossero sole, la filosofa parlava a mezza voce, quasi non volesse esser udita da nessuno che non fosse Xena.
<<Credo che sarebbe più facile dirti cosa non mi dà preoccupazioni in questo momento...>> si voltò verso l’altra donna per un istante, appena il tempo necessario per cogliere la sua espressione.
<<Ed allora cosa ti tormenta al punto da strapparti al dolce abbraccio di...>> Ipazia attese una frazione di secondo, scrutando il viso di Xena con la stessa attenzione che dedicava alla volta celeste <<..Morfeo?>> concluse, infine.
La guerriera aveva sentito un brivido lungo la schiena: la donna aveva letto gli scritti di Olimpia e, certamente, il fatto che le loro camere fossero contigue non poteva essere una coincidenza. Non poteva di certo essere a conoscenza di quanto era recentemente accaduto tra loro.
“Dove vuoi arrivare?”
<<Oppure hai ucciso anche lui?>>
Xena fece spallucce, con una disinvoltura forse un po’ troppo forzata. <<Probabilmente... Ma potrei fare a te la stessa domanda>>
<<Se ho ucciso Morfeo? No, tra le mie tante abilità temo non rientri quella di uccidere le divinità... O almeno non in senso prettamente fisico. Spero che questo per te non sia una caratteristica fondamentale...>>
La guerriera fece finta di non cogliere la provocazione, limitandosi a sorridere. <<In realtà mi chiedevo quale ragione turbasse te al punto da strapparti al dolce abbraccio di Morfeo>>
Con un cenno della mano, Ipazia indicò il cielo. <<Hai sopra di te le mie ragioni...>>
Istintivamente, la guerriera alzò gli occhi, osservando il cielo stellato sopra di loro.
<<E poi... >> aggiunse Ipazia, avvicinandosi ancora <<L’abbraccio di Morfeo per me non è mai stato poi così dolce...>>
A Xena sarebbe stato sufficiente sollevare appena la mano per sfiorare quella della donna, tanto le si era avvicinata. Le cose attorno a lei presero a scomparire, rapidamente: davanti a sé aveva solo il volto di Ipazia, ad una distanza pericolosamente breve...
La filosofa sollevò una mano, sfiorandole con il dorso delle dita il braccio nudo. Nonostante fosse lì da molto, la sua mano aveva conservato il proprio tepore e, a contatto con la pelle, la guerriera avvertì un brivido. Avrebbe voluto ritrarsi, ma rimase immobile, come incatenata dagli occhi di Ipazia. La donna disse qualcosa, ma Xena non riuscì ad udirla: vide solo le sue labbra muoversi mentre si facevano più vicine... Così vicine che riuscì a sentirne la morbidezza prima che sfiorassero le sue.
Quegli istanti parvero esplodere, per dilatarsi all’infinito, avvolgendole in una bolla di impenetrabile ed ovattato silenzio. La mano di Ipazia si sollevò ancora, fino ad accogliere nel suo incavo il volto della guerriera, mentre le loro labbra giocavano a sfiorarsi impercettibilmente. Non fu un bacio, ma piuttosto un intreccio di respiro ed emozione che le lasciò senza fiato.
Fu la filosofa ad allontanarsi per prima, facendo un passo indietro.
<<Dovrò scusarmi con Olimpia>> le disse, rompendo il contatto tra i loro sguardi. <<Avete davvero un’intesa fantastica...>> aggiunse, sciogliendosi dall’abbraccio per asciugarsi rapidamente gli occhi, come a volersi ricomporre.
<<Ipazia...>>
<<È davvero fortunata ad averti accanto..>>
Xena le prese una mano, costringendola a guardarla negli occhi: quelle iridi scure la osservavano con curiosità e sfida e la guerriera vi rimase incatenata. Ipazia le si avvicinò, lentamente: nel suo sguardo era tornata a splendere la scintilla di arrogante ironia che la contraddistingueva. La guerriera le scostò una ciocca dal volto, trasformando, poi, quel gesto in una carezza.
<<So del vostro legame e...>>
Xena le portò l’indice sulle labbra, facendo cenno di no con la testa. Senza staccare gli occhi dai suoi, poi, le si avvicinò ancora.
<<Nessun legame...>> sussurrò, un istante prima che le sue labbra incontrassero ancora quelle di Ipazia in un bacio ben più profondo. Le sue mani corsero a cingere il collo della guerriera mentre questa la tratteneva a sé.

Olimpia ritornò nella sua stanza il più rapidamente possibile, per quanto glielo consentisse la sua gamba ancora ferita. Era uscita a prendere un po’ d’aria: l’unguento che Xena aveva utilizzato aveva un odore tremendo ed il bruciore non la lasciava dormire. Dal parapetto aveva una visione perfetta del giardino interno. Una volta superata la soglia, si poggiò alla parete, coprendosi il volto con le mani, ma non bastò ad allontanare dalla sua mente quello che aveva appena visto. Avvertiva un’insistente stretta allo stomaco che non l’abbandonò neppure quando si decise a mettersi a letto.