Episodio N. 13
di Nihal


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di Nihal

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Capitolo 6

Xena aprì gli occhi alle prime luci dell’alba: la finestra lasciata aperta faceva entrare i primi timidi raggi, più che sufficienti ad interrompere il suo sonno già precario. Si mise seduta, facendo scattare le vertebre del collo, ma senza ottenere l’allentamento di tensione che aveva sperato. Provò a sdraiarsi di nuovo, ma dopo pochi istanti scattò in piedi, quasi come se il giaciglio fosse una pietra ardente. Mentre si rinfrescava il viso, la sua mente tornò a quello che era accaduto con Ipazia.
“Ipazia...”
In qualche modo, il solo pensare a lei riuscì contemporaneamente a turbarla ed a rasserenarla. L’aveva baciata: non in preda ad uno slancio passionale, ma con consapevolezza. L’aveva baciata perché voleva farlo, perché desiderava sentire le sue labbra, il suo abbraccio. Desiderava lei. Questo semplice pensiero fu sufficiente a rinnovare il brivido che il contatto con il corpo della donna le aveva lasciato. Si asciugò il viso rapidamente ed afferrò la spada, intenzionata a districare i suoi pensieri con l’esercizio fisico. Uscì dalla sua stanza e si diresse nuovamente verso il giardino interno: accelerò il passo, con un’espressione più cupa di quella con cui si era svegliata, cercando di pensare il meno possibile a quello che era accaduto la notte prima. Avrebbe sicuramente dovuto chiarire la situazione, ma non in quel momento. Non era ancora pronta.
Raggiunto il giardino, si appartò, estraendo la spada. Cominciò a farla roteare, per riscaldare i muscoli delle braccia, poi iniziò ad attaccare l’aria davanti a sé con precisione, sempre più velocemente. La lama vorticava attorno al suo corpo, sussurrando la sua melodia letale con il sibilo dell’acciaio. La guerriera si sentì immediatamente più leggere, più libera ed un sorriso fece capolino sul suo volto. Quando cominciò a rallentare per riprendere fiato, un applauso alle sue spalle la fece voltare, l’arma ancora in posizione di attacco.
Ipazia le sorrise.
“Come ho fatto a non sentirla arrivare?”
<<Ho visto tante danzatrici muoversi con molta meno grazia>> le si avvicinò, lentamente.
Xena non poté fare a meno di notare come sembrasse più giovane, illuminata dalla luce più calda del sole, vestita con una tunica semplice ed i capelli sciolti. Un’immagine molto diversa dalla donna severa che mostrava di sé.
<<Grazie...>> Xena ripose la spada nel fodero. <<Ma preferisco essere letale più che aggraziata>> aggiunse, non riuscendo a nascondere la nota di imbarazzo nella sua voce.
<<Oh, non dubito che chiunque stessi ora affrontando sia già sulla barca di Caronte>> la donna le fece l’occhiolino e Xena non riuscì ad impedirsi di sorridere.
Inspiegabilmente, la guerriera trasse da quella piccola schermaglia verbale più sollievo di quanto gliene stesse dando l’allenamento.
<<Vuoi proteggermi dalle terribili insidie delle foglie secche?>> le chiese, con una nota di divertita dolcezza.
Xena inarcò il sopracciglio destro. <<Spero che tu sappia fare inviti migliori di questo...>>
Dall’espressione negli occhi di Ipazia la guerriera ebbe la certezza che la sfida era stata raccolta. La donna le si avvicinò a passi leggeri, senza interrompere il contatto visivo e con uno sfavillio pungente ad illuminarle l’espressione. Le prese le mani con fare accorato, sollevandosi sulle punte per poterle parlare all’orecchio, appoggiando la mano libera nell’incavo del collo della guerriera, per mantenere l’equilibrio. Istintivamente, Xena si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno potesse vederle.
<<Prode principessa guerriera, vorresti essere così coraggiosa da proteggere quest’inerme fanciulla dalle insidie di un luogo selvaggio come questo?>>
Xena esitò a risponderle, disorientata dal calore delle sue mani, poi si risolse a sorridere, scuotendo la testa. Non si ritrasse da quella stretta, non subito. Si concesse il tempo di guardarla negli occhi, quasi cedendo alla tentazione di cercare ancora le sue labbra, come la notte precedente. Ma in quel momento, alla luce del sole, non le sembrò la scelta più opportuna. Si allontanò, delicatamente, rompendo il contatto fisico senza, però, respingerla più del necessario.
<<Temo di non potermi rifiutare>> rispose infine, a mezza voce.
Ipazia sorrise, facendole cenno di seguirla.
<<Non mi aspettavo una così piacevole compagnia da una guerriera, nonostante non siano pochi gli elogi alla tua...dialettica brillante>>
<<Dialettica brillante?>> chiese Xena, incerta se essere offesa o divertita. Il cambio di tono nelle parole dell’altra donna la incuriosiva: era stato troppo drastico lo scarto tra l’intimità di pochi istanti prima alla formalità di quella frase per non notarlo.
<<Sbaglio o non sono poche le volte che sei riuscita a beffare anche gli dei con le tue parole?>>
Istintivamente, Xena si guardò la cicatrice sul palmo della mano. “Non abbastanza...” pensò, rabbuiandosi immediatamente.
<<Già...>> si limitò poi a dire, mentre Ipazia si chinava verso un cespuglio dalle foglie larghe, guardando con attenzione i suoi frutti, delle piccole bacche violacee. Ne staccò una, facendola roteare tra le dita.
<<Come hai scelto di essere una guerriera?>> le chiese, a bruciapelo.
<<Non l’ho scelto...>>
Ipazia si voltò verso di lei, un’espressione indecifrabile nei suoi occhi castani.
<<Tutti facciamo delle scelte>> insistette. <<Mio padre mi ha avviata agli studi da bambina, ma fu la morte di mia madre a cambiarmi>> la donna si prese una pausa, che Xena rispettò in silenzio. <<Mi diceva spesso che il cielo conserva ciascuno di noi in una stella e quando morì fu lì che la cercai, tra le stelle>> una lacrima le rotolò lungo il viso.
<<Ovviamente senza troppi risultati>> si affrettò ad aggiungere, asciugandosi la guancia. <<Per questo ho deciso di insegnare... Perché le false credenze non potessero illudere più nessuno>>
Ipazia le sorrise forzatamente. <<Ora tocca a te>> disse, ritrovando la solita sicurezza quasi sfrontata. 
Xena si ritrovò a parlarle senza neppure rendersene conto. <<Ho cominciato difendendo il mio villaggio... persi mio fratello e per molti anni anche l’amore di mia madre. Cercai solo di riempire il vuoto uccidendo. Non sono più quella Xena perchè nella mia vita sono entrate persone che mi hanno fermata prima che per me fosse troppo tardi...>>
<<Olimpia?>>
Xena serrò la mascella con rabbia ed amarezza. <<Sì, anche lei>>
Ipazia inclinò il capo, guardandola come se volesse leggerle nella mente. La guerriera sostenne il suo sguardo, sebbene la mettesse a disagio.
<<Ti ha ferita, non è così?>> avanzò di qualche passo nello spazio personale dell’altra, accarezzandole impercettibilmente il viso.
<<Non credo che la cosa ti riguardi>> la guerriera scostò il viso, non facendo altro che confermare le sue parole.
<<È così>> aggiunse Ipazia, quasi soddisfatta per la sua deduzione.
<<È una questione chiusa>>
<<Chiusa? A me pare sanguini ancora...>> questa volta il tocco della donna fu più deciso, sebbene molto delicato.
<<Non amo ripetermi, Ipazia>> la interruppe Xena, scostandole la mano con più durezza di quanto avrebbe voluto. Ipazia alzò le mani, in segno di resa.
<<Conosci questa pianta?>> le chiese, cambiando discorso all’improvviso. La guerriera scosse la testa: temeva di averla ferita, ma in quel momento non se la sentiva di darle ulteriori spiegazioni.
<<Belladonna... Ha delle bacche molto dolci>> le porse quella che aveva colto poco prima. Xena fece per prenderla, ma la donna la lasciò cadere volutamente un istante prima.
<<Ma sono letali>> aggiunse.
La guerriera fu sul punto di risponderle, ma la voce di Damia la interruppe.
<<Mia signora>> disse la fanciulla. <<Sinesio...Il priore si è svegliato>>
Ipazia annuì. <<Grazie, Damia. Arriviamo subito>> 

Trovarono l’uomo seduto sul giaciglio, mentre Evi gli medicava le ferite sul viso. Xena riconobbe la mistura dall’odore: era lo stesso inutile impacco che aveva utilizzato sul naso di Olimpia. Istintivamente roteò gli occhi, ma si trattenne da qualsiasi commento sulle tecniche terapeutiche di sua figlia.
<<Mia signora...>> non appena vide Ipazia, Sinesio cercò di alzarsi, ma Evi lo trattenne.
<<Non puoi alzarti da solo con una gamba fratturata>> gli disse con dolcezza.
<<Sì, priore Sinesio>> aggiunse Ipazia, sottolineando con voluta asprezza il suo titolo. <<Non si dica che un uomo nella tua posizione disobbedisce alla Messaggera>>
<<Ipazia...>> fece per intervenire Xena, ma Evi la interruppe.
<<No, madre... Capisco il suo risentimento e lo perdono>>
Ipazia cercò di trattenere una risata, ma senza troppi risultati. Sinesio la guardò con amarezza, mentre Evi attese alcuni istanti prima di continuare.
<<Non dovremmo discutere di fede ora... Abbiamo un nemico da affrontare e dividerci non farebbe che agevolarlo>> la Messaggera guardò entrambi negli occhi, senza esitazioni.
Sinesio annuì, ammirato, mentre Ipazia incrociò le braccia, ma ugualmente diede il suo assenso con un cenno della mano. Xena sorrise appena alla figlia, con soddisfazione.
<<Bene.. Possiamo parlarne con calma. Chiedo a Damia di preparare la colazione per tutti nella sala>> Ipazia si voltò, sfiorando volutamente la mano della guerriera mentre usciva dalla stanza. Xena la seguii con la coda dell’occhio e quando tornò a voltarsi Evi la guardava con un’espressione interrogativa.
<<Sono davvero onorato di conoscerti>> disse timidamente Sinesio alla guerriera, rompendo il silenzio. <<Non sono molti i discepoli che hanno conosciuto Belur quando egli era ancora in vita...>>
Xena lo interruppe con un cenno della mano. <<Dovresti parlarne con Olimpia, io non sono mai stata una sua seguace a tempo pieno... Piuttosto vorrei sapere chi e come ti ha attaccato: più notizie abbiamo sul modo di agire di questo Cirillo, più saremo pronti ad affrontarlo...>>
<<Madre...>> intervenne Evi, accennando all’espressione di dolore che aveva contratto il viso dell’uomo. <<Forse dovremmo lasciare che riposi ancora un po’...>> dall’espressione del suo viso era evidente che intendesse dirle tutt’altro, così la guerriera si limitò ad annuire. Evi lo aiutò a distendersi sul giaciglio, poi la raggiunse oltre la porta, nel porticato esterno.
<<Allora?>> chiese Xena, diretta.
<<È accaduto qualcosa tra te ed Ipazia?>>
La guerriera corrugò la fronte, spiazzata dalla domanda ma tutt’altro che intenzionata a darle spiegazioni. Possibile che avesse visto quello che era accaduto? Eppure era certa che non vi fosse nessuno nel giardino.
<<Ed ora questo cosa c’entra?>> Xena incrociò le braccia, sulla difensiva.
<<È così?>> insistette Evi, senza nascondere la sua sorpresa, quasi irritata.
<<Se anche fosse così, ugualmente la cosa non ti riguarderebbe>>
<<Sei certa di quello che stai facendo?>> la giovane le posò una mano sul braccio, accorata.
<<Evi, non ho intenzione di discuterne>> Xena si sottrasse al suo contatto stizzita. <<Anche perché non c’è nulla di cui discutere: non è accaduto nulla tra me ed Ipazia>>
“È davvero così?” chiese a se stessa, non potendo mentire sul senso di calore che quella donna riusciva a darle, a dispetto delle loro continue schermaglie verbali. Anzi, forse anche grazie a quelle. 
<<Sai che non potrei che gioire se tu dovessi trovare la felicità, ma ugualmente credo che dovresti pensare a quello che potresti perdere...>>
Xena sorrise amaramente, mostrandole il palmo aperto della mano, su cui spiccava la cicatrice.
<<Credi davvero che mi sia rimasto qualcosa da perdere?>>
Evi rimase in silenzio, distogliendo gli occhi. Aveva notato indecisione negli occhi di Olimpia, ben prima di partire per Alessandria. Una scintilla piccolissima di indecisione sulla quale, però, aveva deciso di fare leva. Forse si era sbagliata, forse aveva sottovalutato la profondità delle ferite che le sue due madri si erano procurate a vicenda. Forse davvero Xena non aveva altro da perdere.
La guerriera abbassò la mano e quel gesto riportò la giovane alla realtà.
<<Bene>> disse poi, avviandosi verso la sua camera.
Xena passò di fronte alla stanza dove riposava Olimpia, immediatamente attigua alla sua: la porta era ancora chiusa. “Forse dovrei svegliarla...” pensò. Esitò un attimo, poi bussò con decisione. Dovette insistere un po’ prima che Olimpia andasse ad aprire.
<<Sì?>> nel vederla, il bardo aggrottò le sopracciglia.
<<Tra un po’ sarà pronta la colazione...>> le disse la guerriera.
“Ma perché lo sto facendo?” Era così intenta a darsi della stupida che quasi non si accorse che Olimpia le stava rispondendo.
<<Grazie...Arrivo subito>> accennò ad un sorriso. Xena annuì, poi proseguì a lunghe falcate, entrando nella sua camera.

Olimpia la seguì con lo sguardo, fino a quando non fu fuori dal suo campo visivo. Chiuse la porta, appoggiandovisi con le spalle: prese un profondo respiro, poi si avvicinò alla brocca d’acqua sullo scrittoio. Si rinfrescò il viso ed il collo, cercando di togliersi di dosso i residui della notte insonne. 
Faceva fatica a star dietro ai suoi stessi pensieri e di certo la mancanza di sonno non era stata d’aiuto. Nell’asciugarsi il viso tastò malamente il naso, gemendo per il dolore improvviso.
<<Accidenti...>> imprecò, vedendo il panno macchiato di sangue.
Sollevò la testa, premendo con forza il panno bagnato e fortunatamente il flusso si fermò in fretta. Finì di rivestirsi distrattamente ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Si avviò verso la sala, assorta. Vedere Xena con Ipazia l’aveva toccata, più profondamente di quanto si aspettasse. Del resto, lei voleva tornare da Brunilde... 
“Forse inconsciamente non sono pronta a lasciarla andare...” pensò, ma si rese conto di quanto poco senso avessero tali interpretazioni. “Tra di noi è finita, sono qui solo per aiutare Evi. Quello che Xena fa non mi riguarda, non deve riguardarmi...Ma...”
Urtò qualcuno davanti a sé: istintivamente portò le mani al naso, proteggendolo.
<<Scusami, io...>> alzò gli occhi e vide Ipazia rassettarsi la veste bianca, stretta in vita da una cintura argentea a placche quadrate leggermente smaltate in turchese. La donna le sorrise ed il bardo fu costretta a ricambiare.
<<Scusami>> ripeté <<Ero distratta e proprio non ti ho vista>>
<<Non preoccuparti, nessuna si è fatta male. Quello>> Ipazia le indicò il naso, ancora piuttosto tumefatto <<Non è stata colpa mia>>
Olimpia si sforzò di sorriderle.
<<E poi>> riprese la donna <<Credo di essere io a doverti delle scuse per quello che è accaduto ieri sera...>>
L’espressione sul volto dell’amazzone si congelò immediatamente. “Che mi abbia vista? È impossibile...” Rimase in silenzio, in attesa.
<<Non sarebbe dovuto accadere, mi sono lasciata trasportare troppo dalla situazione..>>
Olimpia era sempre più spiazzata ma si costrinse a mantenere un atteggiamento neutrale.
<<Vedere Sinesio così mi ha colta alla sprovvista ed ho riversato la mia rabbia su di te... Ti chiedo di scusarmi, non è mia abitudine comportarmi in questo modo>>
L’amazzone per poco non tirò un sospiro di sollievo. <<Non devi scusarti, è comprensibile che tu fossi sconvolta...>> le rispose cordialmente.
<<Vieni a mangiare qualcosa?>> le chiese poi l’altra.
<<Sì, Xena mi ha avvertita poco fa...Credo che lei sia già lì...>>
<<Sì, esatto>> Ipazia annuì, facendole strada.
Uno dei servitori si avvicinò silenziosamente ad Ipazia, consegnandole una piccola pergamena. La donna la lesse velocemente, poi la riconsegnò all’uomo, congedandolo.
<<Temo che dovrò rubartela anche stamane>> disse poi, rivolta ad Olimpia, con un’espressione di innocente malizia.
<<Rubarmi cosa?>>
<<Xena>> la donna lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Di fronte allo sguardo perplesso di Olimpia si affrettò a continuare <<Devo raggiungere la biblioteca e mi hanno appena informata che i seguaci di Cirillo hanno aggredito altri insegnanti... Xena vorrà sicuramente accompagnarmi...>> si prese una pausa, guardando l’amazzone negli occhi per valutare ogni minima reazione. <<Per parlare anche con loro>> aggiunse in coda, divertita dalla piccola sfida che stava tessendo.
Olimpia si costrinse ad un sorriso tirato. “A che gioco sta giocando?”
<<Probabilmente sì>> le rispose, ignorando volutamente il sottinteso nelle affermazioni della filosofa.
<<Mi piacerebbe vedere la Biblioteca...>>
<<È un luogo unico al mondo... In essa è racchiuso ben più di quanto si dice>> commentò Ipazia, con trasporto. Poi si rivolse con un sorriso ad Olimpia. <<È lì che ho trovato anche una copia delle te pergamene>>
<<Davvero? Non avrei mai osato sperare che i miei scritti arrivassero alla Biblioteca di Alessandria>>
<<La fama di Xena non ha confini, nel bene e nel male. I tuoi scritti si sono diffusi di conseguenza>>
Ad Olimpia non sfuggì affatto la nota di saccenza nascosta in quelle parole, sebbene la filosofa stesse ancora sorridendo.
<<E poi qui ad Alessandria Xena era ben nota prima delle tue cronache...>>
<<Non sono esattamente cronache>>
Ipazia la guardò quasi con condiscendenza, attendendo che Olimpia la raggiungesse. <<No? Certo, io non sono una letterata, il mio mestiere è la filosofia, ma pensavo che raccontare le avventure di qualcun altro fosse fare una cronaca>>
<<Non mi limito a raccontare le avventure di Xena>> ribatté, piccata, Olimpia. <<Le ho vissute anch’io!>>
<<Cronache dirette allora>>
<<Non sono una cronista! Ho cercato di infondere qualcosa di più nei miei scritti... di trasmettere poesia>>
<<Quindi sei una poetessa?>> la domanda di Ipazia la colse quasi alla sprovvista, ma Olimpia non esitò a rispondere.
<<Sì, penso di sì>>
<<Correggimi se sbaglio, poetessa>> la filosofa si fermò, guardandola negli occhi <<Non credo che scrivere le storie di qualcun altro, sebbene vi sia una partecipazione diretta e la stesura avvenga in versi, renda l’autore qualcosa di molto diverso da un cronista>>
Olimpia ne aveva abbastanza della sua presunzione e non riuscì a trattenersi.
<<Permettimi di contraddirti, filosofa, e di farti notare la differenza tra un cronista ed una poetessa. Non sono solo “fatti”, quelli che racconto, come avrebbe fatto un cronista. In ogni parola, in ogni verso c’è parte di me, di Xena... Raccontare le nostre avventure è un mezzo, non un fine>> sostenne con fierezza lo sguardo dell’altra donna.
Ipazia assunse un’espressione pensierosa. <<Vorresti dirmi che il tuo obiettivo era trasmettere “emozioni” e non raccontare storie?>> si prese una pausa, quasi volesse davvero una risposta da Olimpia, che, invece, rimase in silenzio, continuando a camminarle accanto.
<<Questo lato sentimentale deve essermi sfuggito>> concluse la filosofa.
<<Forse perché non sei abituata a dare ai sentimenti la dovuta attenzione. O semplicemente non sai farlo. Lascia che ti spieghi cosa è sfuggito al tuo occhio così razionale. Dedicando loro più tempo avresti scoperto come le mie “pergamene” siano in realtà la nostra storia, le nostre emozioni, il nostro legame>> guardò Ipazia negli occhi con determinazione <<Sono ciò che siamo>>
<<Ciò che siete o ciò che eravate?>> Ipazia le sussurrò la domanda dopo aver raggiunto un’ampia porta, un attimo prima di entrare nella sala in cui era stata allestita la colazione.
Olimpia rimase imbambolata sulla soglia, con una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. “È davvero tutto volato via?” si chiese. “Ogni sguardo, ogni parola, ogni carezza... È davvero tutto ridotto in cenere?”. Poteva quasi sentire la voce di Xena dirle “Sei libera da quella promessa” e quelle della notte precedente. Nessun legame. Nessun legame... Quelle parole le diedero un brivido gelido lungo la schiena.
<<Olimpia, che fai lì?>> la voce solare di Evi la riportò alla realtà.
<<Arrivo...>> le rispose, abbozzando un sorriso.
Si sedette al posto lasciatole libero, dal lato opposto del tavolo rispetto a Xena, ma quasi di fronte alla guerriera. Evi le si sedette accanto, con un sorriso che il bardo ricambiò con gratitudine, dal momento che il suo viso era il solo che le sorrideva davvero.
Xena cercava di capire i dettagli dell’aggressione subita da Sinesio, ascoltando con attenzione il suo resoconto. Ipazia, invece, a capotavola, osservava ogni movimento della guerriera come per volerlo memorizzare.
<<Sapevano del tuo arrivo, questo è certo>> disse Xena, quando Sinesio ebbe finito.
<<Come avrebbero potuto? Nessuno sapeva che sarei arrivato se non alcuni fidati seguaci...>>
<<A quanto pare non così fidati>> intervenne Ipazia e la guerriera annuì.
<<Mi rifiuto di crederci!>> Sinesio sembrava sconvolto.
<<È l’unica spiegazione razionale, Sinesio>> lo rimproverò Ipazia, senza troppa gentilezza. <<Se ti ho insegnato qualcosa, ti prego di farne uso e di non lasciarti accecare dalla tua nuova ed ingenua fede>>
<<Se non possiamo contare nemmeno sui seguaci a noi più vicini, di chi dovremmo fidarci?>> intervenne Evi, cercando di appoggiare la posizione del priore.
<<Di nessuno>> fu la risposta secca della guerriera.
Olimpia non ebbe bisogno di alzare gli occhi per percepire che, almeno in parte, quelle parole erano destinate a lei. Ruppe quasi con rabbia la focaccia di farro che stava mangiando.
<<L’egemonia di Cirillo deve essere fermata il più rapidamente possibile...>> commentò Evi, versandosi dell’acqua.
<<Sì, ma come? Fino ad ora è stato fin troppo cauto e non ha dato al prefetto alcun pretesto per poter effettivamente intervenire con le forze necessarie>> le rispose Ipazia.
<<Cirillo desidera il potere, giusto? Facciamo in modo di mettere in pericolo la sua posizione>> tutti si voltarono verso Olimpia, che fino ad allora era rimasta in silenzio.
<<Cosa hai in mente?>> le chiese Xena. Il bardo istintivamente si umettò le labbra, prima di risponderle.
<<Evi potrebbe chiedere un’assemblea della comunità nella quale annunciare che il nuovo priore di Alessandria sarà Sinesio, così da poter porre fine alla lotta con le autorità della città e ristabilire la pace. Del resto, Sinesio è stato un allievo di Ipazia ed è la persona più adatta a rappresentare l’unione delle due fazioni che Cirillo ha creato>>
Xena corrugò la fronte, assorta. <<Sarebbe un motivo più che valido per spingere Cirillo ad un’azione esplicita>> concordò alla fine.
Ipazia, invece, rivolse all’amazzone un’espressione di disappunto.
<<Ad un attacco armato come reagiremmo? Sappiamo bene che ha spie ovunque e sicuramente vorrà reagire con la forza a questo nostro tentativo di detronizzarlo. Ha centinaia di fanatici ai suoi ordini...>> aggiunse la filosofa.
<<Xena non ti sembra una garanzia sufficiente?>> le rispose Olimpia, d’impeto.
<<Ho ben chiare le doti della Principessa guerriera, ma temo che da sola contro centinaia di uomini anche lei potrebbe avere qualche difficoltà a gestire la situazione>>
<<Ha distrutto un’intera armata persiana da sola... L’ho raccontato in una delle mie cronache, se le hai lette come dici, dovresti ricordarlo>>
“Ha distrutto un’intera armata persiana per proteggere me...”
Ipazia era sul punto di ribattere ancora, ma Xena intervenne prontamente.
<<Basta così>> il suo tono perentorio non lasciava spazio ad ulteriori repliche.
Olimpia posò quanto rimaneva della sua focaccia nel piatto, intrecciando le mani davanti alla labbra.
<<Potremmo chiedere l’intervento dei legionari>> propose Evi, cercando di mettere fine agli sguardi fiammeggianti che l’amazzone e la filosofa continuavano a lanciarsi. 
Xena guardò Ipazia, attendendo una conferma alla possibilità di utilizzare i legionari a disposizione del prefetto.
<<È possibile, certo. Oreste farà i salti di gioia quando gli chiederò dei soldati>> sorrise verso la guerriera <<Sempre che tu riesca a sopportare di avere così tanti romani intorno>> la sua mano sfiorò il braccio della guerriera.
<<Perfetto. Sarebbe meglio se riuscissimo a parlare con Oreste oggi stesso>> la bruna non ricambiò quel contatto ma neppure lo respinse né sembrò non gradirlo.
<<Lascia che gli mandi un messo e ci accoglierà senza alcun problema>> le confermò la filosofa.
Xena annuì ancora, poi si alzò, rivolgendosi all’amazzone. <<Ho bisogno di parlarti in privato>>
Olimpia annuì, ancora corrucciata, e la seguì a ruota. Poteva sentire gli occhi di Ipazia puntati su di sé, ma si trattenne dal voltarsi.

Quando furono fuori dalla sala, Xena l’afferrò bruscamente per un braccio, tirandola a sé in un punto.
<<Che cosa stai cercando di fare?>>
Olimpia la guardò senza capire di cosa la stesse accusando.
<<Siamo qui per aiutare Evi e di certo offendendo uno dei migliori appoggi che abbiano non otterremo granché>>
L’amazzone sorrise amaramente. <<Adesso capisco>> si liberò di forza dalla presa della guerriera.
<<Cosa capisci? Che ti sei comportata a dir poco in modo immaturo?>>
<<No, affatto... Non dovrei essere io a dirtelo, ma ha cominciato lei con le offese... Ma non è questo il punto...>>
<<Il fatto che tu non abbia simpatia nei suoi confronti non mi sembra una motivazione sufficiente, spero tu abbia una ragione valida>> Xena incrociò le braccia, guardandola duramente.
<<Tu invece hai molta simpatia per lei, non è vero?>>
<<Non so di cosa tu stia parlando>> Xena spostò il peso da un piede all’altro, a disagio.
<<Stai mentendo>> Olimpia sorrise <<Siamo state troppo tempo insieme, riesci a mentire molto meglio di così>>
<<Tu>> Xena le puntò l’indice al petto <<Proprio tu, stai dando a me della bugiarda? Non farmi ridere, Olimpia. Nonostante tutto ho conservato un minimo di rispetto nei tuoi confronti, non farmi ricredere anche su questo>>
L’amazzone la gelò con lo sguardo. <<Vorresti dire che non provi nulla per Ipazia? Ed io dovrei crederti? Vi ho anche viste!>> involontariamente si trovò quasi ad urlarle contro.
<<Abbassa la voce>> Xena scandì quelle parole molto lentamente. <<Non so di cosa tu stia parlando nè cosa tu creda di aver visto, ma se anche le cose stessero come credi, la cosa non ti riguarda. Sei qui per aiutare Evi, occupati di quello>>
<<È quello che sto cercando di fare, non ho nulla contro Ipazia. È lei che per arrivare al tuo cuore crede di dover eliminare me. Tieni la tua nuova fiamma a bada>>
<<Non è la mia “nuova fiamma”...>>
<<Vuoi convincere me o te stessa? So cosa ho visto, Xena, e so anche che quel bacio non è stato casuale>>
Gli occhi di Xena fiammeggiarono di rabbia, ma si limitò a serrare la mascella.
<<Fai in modo che non debba affrontare ancora questo argomento, Olimpia>> concluse, allontanandosi a lunghe falcate.

<<Cosa le hai fatto di così tremendo da scatenare questa rabbia?>> la voce di Ipazia la fece voltare di scatto, con rabbia.
<<Non ti riguarda>>
La filosofa sorrise, senza nascondere la sua soddisfazione. <<Sei sempre così suscettibile?>>
<<Sei sempre così interessata agli affari altrui?>>
Ipazia trattenne una piccola risata, coprendosi le labbra con la mano.
<<Questa battaglia è tua, poetessa. Un bravo stratega sa quando risparmiare le forze>>
<<Spero che ti piaccia combattere da sola. Io sono fuori da tutto questo>> Olimpia fece per allontanarsi.
<<Rinunci a lei così facilmente, poetessa?>>
L’amazzone si voltò, tornando sui suoi passi. Aveva la mascella contratta per la rabbia e lo sguardo incandescente. Aveva già rinunciato a Xena...Ma cosa stava dicendo? Non aveva rinunciato a lei, avevano deciso di prendere strade diverse... Ora nel suo cuore c’era... cosa c’era nel suo cuore?
Accantonò quella domanda, avvicinandosi ancora ad Ipazia, immergendosi completamente nella rabbia che quella donna aveva scatenato dentro di lei, rabbia in grado di nascondere qualsiasi altro dubbio, qualsiasi altra emozione. 
<<Non sto rinunciando a nulla. Xena è una donna libera e quel che fa non mi riguarda in alcun modo>> la distanza tra le due era ormai ridotta a pochi centimetri.
<<Tu, la tua arroganza e la tua stupida guerra non hanno nulla a che fare con me, sono stata chiara? Non mi fai paura>>
<<Neppure tu>> l’espressione di Ipazia si era fatta seria e determinata, senza la nota di sarcasmo che la caratterizzava.
<<Alessandria sta per distruggere se stessa e quello che sapete fare è discutere come due adolescenti innamorate?>> Evi, sulla soglia della porta, le guardava con delusione e rabbia.
<<Non ho cominciato io questa stupida disputa>> si difese Olimpia.
Ipazia la guardò con sufficienza. <<Nessuna disputa, poetessa. Una disputa presuppone due avversari ed io, mia cara, avevo vinto in partenza>>
L’amazzone alzò le mani, con rabbia, quasi a trattenere l’istinto di colpirla. <<Nessuna disputa? Non hai smesso un istante da quando hai cominciato a parlarmi!>>
<<BASTA!>> tuonò Evi, mettendosi fisicamente tra le due. <<Ci aspettano giorni di lotta, di morte e di violenza: nessuna di voi due è utile se la vostra preoccupazione principale è beccarvi come due galline! C’è una guerra fuori di qui, non c’è bisogno che ve ne sia una anche all’interno. Dobbiamo essere compatti se vogliamo sconfiggere Cirillo. Compatti e pronti a lottare, con la spada in pugno, l’uno per l’altro!>>
<<Con la spada in pugno? Queste sono parole degne della figlia di Xena, ma lo sono anche della Messaggera di Belur? Non è un messaggio di amore e non violenza quello che predichi?>> la provocò Ipazia, cogliendo al volo l’occasione. <<Sarebbe davvero difficile conciliare ciò con delle mani sporche di sangue, non trovi?>>
<<Cirillo è il responsabile di tutto ciò...>>
<<Ma hai appena detto che sarà necessario combattere...>> controbatté prontamente la filosofa. <<Ti rifiuteresti di fare qualcosa che, invece, chiedi ai tuoi seguaci di compiere?>>
<<E tu come credi di salvarci, con la filosofia?>> intervenne Olimpia, spalleggiando la giovane Messaggera.
<<Forse la filosofia non salverà delle vite oggi, ma almeno mi permette di essere coerente con me stessa. Cirillo può anche uccidermi e sconfiggermi oggi, ma sarà ricordato per il mostro sanguinario che è>> fu la risposta secca che ottenne da Ipazia.
<<Io non sono disposta ad accettare una sconfitta>> intervenne Evi. <<Devo a Roma questo prezioso insegnamento: non arrendersi. Ed io non mi arrenderò, né oggi a Cirillo, né domani al prossimo fanatico. Difenderò Belur e la sua parola con ogni mezzo avrò a mia disposizione, anche a costo della vita se necessario>>
<<Anche a costo della vita di chi ami? Anche a costo della pace interiore che dici di aver raggiunto? Cosa diventerà la Messaggera quando la sua spada tornerà a bagnarsi di sangue?>> chiese Ipazia.
Evi strinse i denti, trattenendosi dall’impeto di rabbia che si faceva strada dentro di lei. La filosofa sorrise, prendendo quel silenzio come una resa, anche se momentanea.
<<Ora scusatemi, ma i miei studenti ed il prefetto mi attendono>> Ipazia si allontanò con tranquillità, come se avessero discusso di una sciocchezza qualunque.
<<Ho bisogno di meditare ora....>> disse Evi, rivolta ad Olimpia. <<Vuoi venire con me?>>
<<Volentieri... Stare vicino a quella donna è estenuante>>
La messaggera le rivolse un sorriso tirato. <<Attendimi nella tua stanza, ho bisogno di scambiare due parole con mia madre...>> Olimpia annuì, avviandosi lungo il corridoio che portava alla sua camera.

Evi, invece, si diresse verso il giardino interno. Non impiegò molto tempo a trovare Xena. La guerriera era seduta su di una piccola panchina in pietra, le mani appoggiate sui bordi, accanto a sé. Non alzò neppure gli occhi verso di lei quando la sentì arrivare.
<<Cosa c’è ora?>> le chiese, seccata. Evi le si sedette accanto.
<<Temo che tu lo sappia, madre... >> la Messaggera la guardava con disappunto quando Xena sollevò gli occhi nella sua direzione.
<<Evi, ne abbiamo già parlato...>>
<<Devi tenerla sotto controllo>> la interruppe la giovane.
<<Non è una mia proprietà!>> sbottò la guerriera, alzandosi di scatto. <<E non parlarmi con quel tono autoritario, Evi>>
<<Sei l’unica per la quale mostra rispetto>> cercò di addolcire il tono di voce consapevole che, con sua madre, non avrebbe ottenuto molto con un atteggiamento aggressivo <<E non solo...>> aggiunse, esitando.
<<Ancora? Ti ho già detto che non ti riguarda!>> Xena era esasperata da quella situazione paradossale.
<<Non aggiungere una sola parola. Nè ora né mai più>> la guerriera si fermò, notando che Ipazia stava scendendo le scale esterne, diretta verso di loro. Evi seguì lo sguardo della madre, poi sospirò.
<<Come vuoi>> le disse, allontanandosi.
 
Ipazia non impiegò molto a raggiungere la guerriera ed a notare la sua fronte corrucciata. <<C’è qualche problema?>> chiese, sorridendo.
<<No, nessuno>>
<<Possiamo andare allora>>
Xena annuì, seguendola a pochi passi di distanza.

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 7
<<Prefetto...>> Oreste alzò gli occhi dalla pergamena che aveva di fronte e puntò il suo sguardo stanco sul soldato in attesa sulla soglia.
<<La signora è qui...>> disse l’uomo. Oreste si illuminò e gli fece cenno di farla entrare.

Durante il tragitto, non avevano aperto bocca, raggiungendo il palazzo del Prefetto in un silenzio pressoché assoluto. La guerriera sembrava completamente assorta nei suoi pensieri ed Ipazia si limitò a guardarla, ogni tanto, con la coda dell’occhio. Con Olimpia era stata evidentemente pesante, ne era perfettamente consapevole, ma pentita? No, decisamente no.
Non aveva idea di cosa fosse successo tra le due donne, ma era stato subito evidente che tra quello di cui aveva letto nei suoi racconti e quello che poteva vedere non avrebbe potuto esserci distanza maggiore. Sicuramente, qualsiasi cosa fosse, aveva creato una spaccatura profonda, i cui segni erano evidenti sul volto di Xena ogni volta che, in qualche modo, la conversazione arrivava anche solo vicina all’argomento “Olimpia”.
Non si capacitava di quanto poco tempo era stato necessario perché tra lei e la Principessa Guerriera potesse crearsi quell’intesa. Quando, poi, aveva sentito le labbra della donna sulle sue, le sue capacità di pensiero si erano totalmente disintegrate. Era stata attratta da altre persone, in passato, ma mai in modo così...inaspettato. Non era certo a suo agio con quel genere di sensazioni, era piuttosto abituata a prendere quel che desiderava quando lo desiderava, allontanandosene quando la curiosità si dissolveva. E questo accadeva inevitabilmente.
Eppure, più si avvicinava alla guerriera, più si danzavano intorno, più la sua curiosità si accendeva, divampando prepotente, non permettendole di far altro che cercare un contatto casuale, un incrocio di sguardi, anche una reazione di sfida. E Xena non sembrava non gradire. I suoi pensieri vennero inevitabilmente interrotti dai passi dell’uomo che le aveva annunciate al prefetto.

Ιpazia, ricomposta la sua maschera imperturbabile, si apprestò ad entrare, ma non ebbe il tempo neppure di oltrepassare la soglia che Oreste le si fiondò addosso.
<<Rispetto la tua indipendenza, mia signora, ma congedare la scorta è stata una follia!>>
La donna trattenne a stento una piccola risata che non fece che aumentare il disappunto del prefetto.
<<Anche io sono molto felice di vederti, Oreste>> lo canzonò e, notando che l’uomo era sul punto di risponderle a tono, alzò una mano per bloccarlo. Oreste incrociò le braccia sul petto, irritato.
<<Oreste, mio caro>> disse Ipazia con espressione divertita dal suo atteggiamento rimasto immutato negli anni <<Lascia che ti presenti Xena, la Principessa Guerriera>>
Il prefetto spalancò gli occhi per la sorpresa.
<<La Principessa Guerriera?>> chiese, mentre la guerriera gli stringeva la mano.
<<Alcuni mi chiamano così...>> commentò Xena.
<<Susciti sempre questo genere di reazioni?>> le chiese Ipazia, in un sussurro, vicinissima al suo orecchio, mentre Oreste, ancora incredulo, faceva loro cenno di accomodarsi. Xena si sforzò di ignorare sia lo sguardo malizioso della donna che il brivido che il contatto del suo respiro aveva fatto correre lungo il suo corpo.
<<La situazione non è facile...>> disse il prefetto. <<La città non è sicura, anche con la Principessa guerriera accanto. Non dovresti...>>
<<Oreste, tutto questo già lo sappiamo>> lo interruppe Ipazia, non trattenendo un sorriso nel notare il fastidio della guerriera a quell’appellativo <<Proprio per questo abbiamo chiamato la Messaggera, che ha insperatamente portato con sé un’altra leggenda...>>
<<Siamo qui per parlarti proprio di questo>> aggiunse poi la guerriera, cercando di arrivare velocemente al punto <<Abbiamo bisogno dell’appoggio dei tuoi uomini per eliminare Cirillo una volta per tutte>>>
<<Come pensi di riuscirci?>> chiese Oreste, incuriosito.
<<Lo faremo uscire allo scoperto>> sentenziò Xena, decisa.
<<Vuol dire>> intervenne Ipazia, notato lo sguardo perplesso del suo antico discepolo <<che abbiamo intenzione di colpire Cirillo nel suo punto più debole, il potere. Così facendo, sarà costretto ad una reazione violenta. Ed è per questo che abbiamo bisogno dei tuoi uomini>>
<<Sì, ma...>> fece per intervenire il prefetto, ma la donna lo zittì.
<<Non hai perso la tua impazienza, Oreste>> il tono di leggero rimprovero ferì l’uomo, che si limitò a farle cenno di proseguire.
<<Bene. La Messaggera convocherà un’assemblea di tutti i seguaci di Belur per annunciare il nuovo priore di Alessandria. Sarò presente anch’io, per testimoniare il tentativo di collaborazione con le istituzioni di questa città>>
<<È fuori discussione!>> sbottò Oreste. <<Non c’è modo di controllare una folla di quelle dimensioni, non con Cirillo che sobilla i suoi seguaci! Significherebbe mettere in pericolo la vita della Messaggera e la tua>>
<<Proprio per questa ragione l’assemblea in realtà verrà convocata con un’altra ragione, come un dibattito pubblico tra me e la Messaggera. I tuoi uomini saranno tra le folla>> proseguì Ipazia, posando una mano sull’avambraccio di Xena. <<Al comando della Principessa Guerriera. Dovranno essere pronti a reagire dall’interno ed a bloccare i focolai interni alla folla. Ovviamente sarà necessario che altri soldati garantiscano il controllo del perimetro della piazza...>>
<<E se non lo facesse?>> chiese il prefetto. <<Cirillo potrebbe non attaccare apertamente: fino ad ora è stato molto cauto...>>
<<Non lo sarà quando Sinesio verrà proclamato nuovo priore di Alessandria>> fu la risposta serena di Ipazia.  Oreste sgranò gli occhi.
<<Sinesio è qui?>>
<<Presso la mia dimora, ferito>> aggiunse la filosofa. <<Di lui si stanno occupando i miei domestici, Oreste. Togliti quell’espressione affranta dal viso>>
L’uomo rimase in silenzio alcuni istanti, pensieroso, poi si rivolse a Xena.
<<Puoi assicurarmi che non le accadrà nulla?>> le chiese apertamente.
<<Ci sarà mia figlia in quella piazza, prefetto>> gli rispose la guerriera, secca. Capiva perfettamente la sua apprensione, ma non potevano permettersi, in quel momento, di pensare non lucidamente. <<Non accadrà nulla a nessuna delle due>>
Oreste annuì. <<E sia>> aggiunse poi.
<<Darò immediatamente disposizioni perché i miei uomini migliori siano a tua completa disposizione. In breve tempo credo di essere in grado di richiamare due legioni e la guardia cittadina>> porse la mano alla guerriera, che l’afferrò prontamente.
<<Bene>> intervenne Ipazia <<Ora, però, i miei discepoli mi attendono al Museo>> si alzò, avviandosi verso la porta.
<<Mia signora>> la chiamò Oreste. Ipazia si voltò.<<Sii prudente, ti prego...>>
<<Ti ricordi del fazzoletto?>> gli chiese la donna, con il suo caratteristico sorriso ironico.
Oreste arrossì, limitandosi ad annuire.
<<Bene>> commentò Ipazia. <<Lasciamo la prudenza alle menti da poco>>
L’uomo abbassò lo sguardo, senza aggiungere altro.
Ipazia si incamminò per il lungo corridoio che portava all’esterno. Xena la camminò accanto, in silenzio fino a quando non furono fuori dalla struttura.
La città era nel pieno della sua attività, ma Ipazia sembrava non accorgersi di nulla attorno a sé. La guerriera la osservava con attenzione: in ogni suo gesto riusciva a percepire come una forma di consapevolezza superiore, una sicurezza che non sapeva come definire.
<<Cosa aveva di speciale quel fazzoletto?>> le chiese, affiancandola.
La donna trattenne una risata. Avrebbe preferito che le sue prime parole, dopo quello che era successo quella mattina, fossero altre, ma non le avrebbe certo negato una risposta.
<<Oreste mi fece una dichiarazione d’amore, in pubblico, offrendo un dono alla mia “perfezione”, come se fossi una divinità. Su quel fazzoletto c’era la prova che non sono affatto una dea>>
Xena le rivolse un’occhiata interrogativa, ma divertita.
<<Ancora non mi hai detto cosa fosse>>
Ipazia le si avvicinò all’orecchio.
<<Il mio ciclo di luna>>
La guerriera sbatté le palpebre, spiazzata. Ipazia le fece l’occhiolino, compiacente, poi proseguì con noncuranza.
<<Temo di non aver capito bene>>
La donna rise di gusto di fronte all’espressione di Xena.
<<Principessa Guerriera, hai capito benissimo. Ma visto che insisti, sarò più chiara. Ho donato al giovane Oreste un fazzoletto bagnato dal mio sangue mensile>>
La guerriera non sapeva se essere più sorpresa per il “dono” o per la noncuranza con cui ne parlava. Accennò un sorriso, in contrasto con la sua espressione corrucciata, ottenendo da Ipazia una nuova risata divertita.

Olimpia si sedette sulla panca in pietra nel giardino interno, ad occhi chiusi, per rasserenare un po' i suoi pensieri. Evi l’avrebbe raggiunta a momenti per meditare insieme e sicuramente quello era il posto migliore, dal momento che non poteva uscire da quella casa. Viste le sue condizioni, uscire da sola avrebbe potuto essere inutilmente pericoloso. Tentò di rilassare i muscoli del collo e delle spalle, come aveva imparato con Belur, per avviare uno stato di meditazione, ma con pochi risultati.
Le parole di Ipazia non volevano uscirle dalla testa e chiudere gli occhi significava rivederla, con il suo sorriso, sicuro ed affascinante, mentre le chiedeva, con quell'aria di sfida che non abbandonava mai, "quello che siete o quello che eravate?"
"Quello che siamo o quello che eravamo?" Olimpia non riusciva a smettere di pensare a quella domanda: se la filosofa voleva colpirla, ci era riuscita perfettamente. Forse non tanto  con quelle parole, quanto con quello che le aveva mostrato la notte prima. Xena aveva baciato Ipazia e non era stato un bacio qualsiasi. Certo, il buio non le aveva permesso di vedere nitidamente il volto della guerriera, ma non sarebbe stato ugualmente necessario. Xena aveva deciso di andare avanti. Non aveva ragione di biasimarla, tutt'altro. Avrebbe dovuto essere felice per lei. Del resto, era stata lei stessa la prima a fare quella medesima scelta: la scelta di una nuova vita, senza l’altra. Non aveva avuto difficoltà ad accettare il fatto che volesse lasciarla per raggiungere la valchiria, che le aveva mostrato un amore dolce, delicato, che non si nutre di gesti estremi... Perché, ora, l’idea che Ipazia potesse prendere un posto nella vita di Xena non riusciva ad accettarlo con la stessa serenità? Era questo che Xena aveva provato quando lei aveva scelto un’altra donna?
Prender consapevolezza di ciò, però, in qualche modo la ferì così profondamente che una lacrima le rotolò lungo la guancia. Non l'amava più, glielo aveva detto più volte e lo aveva anche ripetuto a se stessa. Aveva scelto Brunilde, la valchiria. La donna che aveva sacrificato quanto aveva di più caro pur di starle accanto incondizionatamente. Ed invece era lì, in lacrime. Il volto di Brunilde solo un sussurro nella sua mente cui non riusciva a ridare vigore.
"Davvero non la amo più?" Si chiese e senti il suo cuore perdere un battito. Si prese il volto tra le mani, cercando di trattenere i singhiozzi che minacciavano di esplodere da un momento all'altro. Aveva un disperato bisogno di capire cosa ci fosse nel suo cuore, ma, per quanto si sforzasse,  non riusciva a venirne a capo.
Il tocco gentile di una mano sulla spalla la fece sobbalzare.
<<Scusami, non volevo spaventarti>> si scuso Evi, sorridendole con dolcezza.
<<Non ti ho sentita arrivare....>> guardo la ragazza negli occhi, così simili a quelli di Xena, ma più limpidi.
<<Ti va di parlare?>>la Messaggera le si era seduta accanto, prendendole le mani tra le sue.
Olimpia fece cenno di no con la testa, asciugandosi le guance con il dorso della mano.
<<Hai cose più importanti di cui preoccuparti, Evi>> si sforzò di sorriderle.
<<Non c'è nulla di più importante delle persone che amo>>
Quelle parole ebbero, per Olimpia, un effetto devastante: il suo pianto esplose, liberatorio, e lasciò che Evi l'abbracciasse, confortandola. Non appena riuscì a riprendere il controllo di sé, L'amazzone sciolse l'abbraccio, cercando di ricomporsi. Fece per scusarsi, ma la giovane la interruppe.
<<Cosa ti turba così profondamente?>>
Il bardo prese un profondo respiro prima di risponderle, incerta se raccontarle tutto quello che era accaduto. Poi, le parole vennero fuori da sole. Evi non disse nulla per tutto il tempo. Neppure lei amava Ipazia e la sua arroganza, ma non poteva certo negare che fosse una donna incredibilmente carismatica e Xena aveva tutte le ragioni per esserne attratta.
Nulla l'avrebbe resa più felice del rivedere le sue madri di nuovo insieme, ma non spettava a lei quella decisione. Del resto, aveva promesso a Xena che non avrebbe preso posizione a favore di nessuna delle due.
<<Non so cosa fare, Evi...Io...non...Le ho...viste...>> le parole sembravano incastrarsi nella gola, mentre le lacrime riprendevano a scorrere, veloci, sul suo viso.
<<Devi darti tempo. Mia madre ora è molto vicina ad Ipazia, l'ho visto con i miei stessi occhi, ma ora hai bisogno di capire di cosa ha bisogno il tuo cuore>> sorrise all'amazzone, con la sua solita dolcezza.
<<Non so cosa accadrà, non posso dirlo. Ma di una cosa sono certa: avete superato ostacoli insormontabili più di una volta>>
Olimpia rispose al suo sorriso abbracciandola stretta.

 

<<Cosa vuol dire i tuoi studenti possono aspettare?>> la guerriera guardò la donna, sorpresa, mentre camminavano nei corridoi del Museo. <<Perché siamo qui?>>
La donna non le rispose subito, limitandosi ad entrare nella stanza in cui, la volta precedente, le aveva mostrato la mappa della città, chiudendosi la porta alle spalle.
<<Xena...>> la voce della filosofa si era fatta seria La guerriera si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.
<<Sai che non possiamo far finta di nulla...>>
Xena rimase in silenzio, senza risponderle mentre Ipazia ne osservava con estrema attenzione ogni singolo movimento ed espressione del viso, anche il più impercettibile.
<<Soprattutto>> insistette la filosofa <<Io non voglio far finta di nulla>> le si avvicinò, prendendole una mano.
Xena sorrise appena. I suoi pensieri correvano velocissimi ed a stento riusciva a tenere il passo. Era avventato e sciocco lasciarsi travolgere da quella situazione, per quanto Ipazia fosse... Non sapeva neppure come definirla, ma sapeva perfettamente quanto e con quanta forza poteva catturare la sua attenzione. Non aveva sicuramente nulla da offrirle. Olimpia, rifiutandola, aveva lasciato ben poco dietro di sé ed era rimasta sorpresa nel vedere come questa donna, questa sconosciuta, avesse saputo toccare corde che lei stessa considerava irrimediabilmente spezzate.
<<Sei sempre così eloquente?>> Ipazia si costrinse a sorridere di fronte al prolungato silenzio della donna, come se nulla fosse, ma la guerriera poteva percepirne con chiarezza la tensione.
Si stava esponendo e sapeva benissimo che ciò non le stava costando poco. Fu in quel momento che prese la sua decisione.
“Al diavolo....” si disse la guerriera, concedendosi, per una volta, di non pensare. Ipazia era lì e desiderava lei, glielo stava dicendo piuttosto chiaramente e quello stesso desiderio, non solo fisico, era cresciuto dentro di lei da quando aveva sfiorato la sua bocca la prima volta. Non poteva certo amarla, ma poteva essere onesta con lei e con se stessa. Se Ipazia poteva accettarla così, senza chiederle di esser nulla che non fosse se stessa, non aveva nessuna ragione per tirarsi indietro. Xena ridusse ulteriormente la distanza fra loro: erano di nuovo vicinissime, come la notte prima, e di nuovo il mondo prese a dissolversi.
Tutta l’amarezza e la rabbia che in quei giorni erano state la sua sola compagnia lentamente si rimpicciolirono, occupando uno spazio remoto nei pensieri di Xena, per far largo ad un appagante, per quanto precario, senso di serenità. Poteva vedere Ipazia fremere in attesa che dicesse qualcosa e trattenersi con tutte le sue forze dal parlare ancora, mentre il suo sguardo correva, altrettanto irrequieto,dalle iridi chiare della guerriera alle sue labbra.
Xena le lasciò la mano per posarla, delicatamente, sul fianco con le braccia. La filosofa era sul punto di dirle qualcosa, ma l'altra glielo impedì, chiudendole le labbra con l’indice. Fece per ribellarsi, ma Xena trasformo quel gesto di dolce ammonimento in un bacio, stringendola più forte a sé. Sì, non aveva nessuna ragione per negare ad entrambe questo.
Ipazia, spiazzata, sentì il proprio corpo reagire a quel contatto ben prima che la sua mente fosse in grado di elaborare qualsiasi pensiero. Si ritrovò a stringere il viso dell'altra con entrambe le mani: quello che era nato come un bacio soffuso si trasformò in un vortice in grado di annullare ogni cosa, lasciandole immerse in un desiderio prorompente, del quale non avrebbero potuto liberarsi neppur volendo.
<<Signora!>> la porta si spalancò ed un giovane, allarmato, si precipitò nella stanza.
Ipazia si staccò da Xena con un gesto repentino quanto impacciato, cercando di ricomporre,con mani ancora tremanti, i panneggi dei suoi abiti. Il ragazzo era arrossito fino alla punta dei capelli.
<<Signora...>> la sua voce, spaventata, era, adesso, carica di imbarazzo. <<Cirillo è alle porte e chiede di entrare>> disse tutto d'un fiato.
<<Che cosa?>> Ipazia era sconvolta <<E cosa pensa di fare?>>
<<Non lo so, mia signora, ma non è solo...>>
<<Cosa vuoi dire?>> intervenne la guerriera.
<<Ha un'armata>>
Quasi contemporaneamente le due donne si precipitarono fuori dalla stanza a grandi falcate.